UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Farmacia
Corso di Laurea Magistrale in Farmacia Tesi di laurea
“Le potenzialità dell’arte galenica nell’uso terapeutico della Cannabis”
Relatore Candidato
Prof.ssa Patrizia Chetoni Leonardo Canali
Capitolo 1: Introduzione Pag. 3
Capitolo 2: Utilizzo terapeutico della Cannabis 9
-2.1 Selezione degli studi su pazienti con dolore cronico 12
-2.2 Valutazione della qualità degli studi su pazienti con dolore cronico 12
-2.3 Analisi dei dati 13
-2.4 Efficacia della cannabis nel trattamento del dolore cronico 13
-2.4.1 Dolore neuropatico 14
-2.4.2 Sclerosi multipla 14
-2.4.3 Dolore neoplastico 15
-2.4.4 Dolore associato a condizioni varie 15
Capitolo 3: Il sistema cannabinoide 16
-3.1 Endocannabinoidi 17
-3.2 I recettori cannabinoidi 18
Capitolo 4: Prodotti a base di Cannabis e metodi di somministrazione 21
-4.1 Varietà di cannabis prodotte 21
-4.2 Tecnologia della Cannabis: Metodi di somministrazione 22
-4.3 Il decotto 23
-4.4 Olio di oliva FU 27
Capitolo 5: La legislazione 31
-5.1 Decreti di regolamentazione della Cannabis terapeutica 33
-5.2 La ricetta medica e la sua prescrizione per preparati magistrali 33
-5.3 Doveri del farmacista 36
1. Introduzione
L’ingrediente principale di tutti i medicinali è il “principio attivo”, ovvero una sostanza chimica che possiede un’azione farmacologica in grado di essere assorbita, attraversando le barriere cellulari, fino a penetrare nelle cellule specifiche di un organo esplicando mediante interazione con uno specifico sistema recettoriale, un’azione farmacologica sull’ intero organismo vivente.
Tre sono le origini principali dei principi attivi:
- sintetica, ovvero la molecola è progettata ad hoc mediante reazioni di chimica organica-farmaceutica;
- naturale, ovvero sfruttando la loro presenza in alcune piante (es. la morfina nell’oppio), muffe (penicillina) o animali (insulina ricavata dal maiale) etc.
- semisintetica, ovvero modificando chimicamente una molecola di origine naturale per ottenere un principio attivo con caratteristiche diverse dall’originale, esempi sono l’eroina e l’aspirina.
Nei tempi passati, quando ancora né la chimica né la medicina erano sviluppate, la maggior parte dei principi attivi utilizzati per la “cura” delle patologie dell’uomo, erano di origine naturale. Le cure mediche si basavano, soprattutto, sull’impiego di piante o parti di esse, le cosiddette “piante officinali” o “droghe”, coltivate con molta attenzione appositamente in orti ed in giardini. Oggi esistono anche principi attivi sviluppati sulla base di conoscenze chimiche e/o biotecnologiche che sono andati ad affiancare e non a sostituire molti prodotti di origine naturale che tuttavia possiedono ancora una’ importanza terapeutica insuperabile, basta ricordare ai digitalici oppure l’atropina.
La cannabis è una pianta officinale, conosciuta da moltissimi anni, contiene alcuni principi attivi di interesse farmacologico ma è sempre stata circondata dalla fama di essere una “droga” per svago e non come rimedio terapeutico. In essa sono contenuti i cosiddetti “cannabinoidi”, in particolare ne sono ricche le infiorescenze femminili (la cannabis è una pianta dioica) che li contengono in particolari organelli, simili a piccoli peli, detti tricomi. Anche le foglie li contengono in minore quantità, mentre le radici i semi ed il fusto ne sono praticamente privi
.
Tra queste sostanze le più importanti sono il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) ed il cannabidiolo (CBD) ma in realtà ve ne sono molti altri che progressivamente sono studiati. In particolare il THC ha un’azione euforizzante ed antidolorifica mentre il CBD ha un’azione antinfiammatoria e compensatoria, nei confronti del THC, degli effetti collaterali più importanti: tachicardia, riduzione dell’attenzione e difficoltà respiratoria. E’ utile da sapere che il CBD, non essendo psicoattivo, non è una sostanza considerata stupefacente; pertanto è la presenza del solo THC il discriminante che rende una pianta di cannabis una sostanza stupefacente oppure no.
Negli ultimi anni, l'uso di estratti a base di cannabis per scopi terapeutici è notevolmente aumentato. La cannabis non è in sintonia con il paradigma convenzionale di progettazione, sviluppo e test che generalmente si applica ai farmaci. Il suo uso è stato promosso dai pazienti e dai loro assistenti, anziché da ricercatori scientifici o medici avviene nella forma naturale come pianta, utilizzando modalità non convenzionali di assunzione come la vaporizzazione, il decotto come olio.
Nella cannabis industriale, cosiddetta canapa da fibra, il THC non può essere presente in concentrazione superiore allo 0,2%, altrimenti il raccolto deve essere distrutto per non incorrere nel rischio di reato di coltivazione illegale di piante ad azione stupefacente. Oggi c’è un ritorno alla coltivazione della canapa per la sua fibra eccezionale per produrre tessuti o per il suo impiego nella bioedilizia (bioplastiche). Dai semi inoltre, si ottengono farine, olii e derivati, per impiego cosmetico ed alimentare.
Come già riportato, quando si parla di cannabis si pensa immediatamente alle droghe d’abuso ed all’illegalità, in quanto il suo uso, dopo la seconda Guerra Mondiale, è sempre stato rivolto allo scopo voluttuario piuttosto che terapeutico. Tuttavia, come già è accaduto per gli oppiacei, non è possibile non tenere in considerazione i suoi effetti terapeutici che possono essere di notevole aiuto nel trattamento del dolore e di altre malattie croniche e fortemente invalidanti.
Nonostante l'immissione sul mercato del principale principio attivo della cannabis, (-) 9-trans-tetraidrocannabinolo ((6aR, 10aR9 delta-9-tetraidrocannabinolo, dronabinol o 9-THC, (Figura 1), come derivato sintetico, l'impiego del farmaco o dei suoi estratti medicinali è diffuso. Ciò è dovuto alla maggiore efficacia verso il trattamento di patologie specifiche e ad una più bassa insorgenza di effetti collaterali rispetto alla droga sintetica. In effetti, gli
estratti medicinali a base di cannabis (Cannabis medical extracts, CME) possono migliorare i sintomi neurogeni che non rispondono ai trattamenti standard.
Si sa molto sulla composizione chimica dei CME, sempre più approfonditi studi sulle proprietà farmacologiche dei diversi principi attivi presenti nelle infiorescenze di cannabis hanno permesso la loro applicazione in diverse patologie.
Poiché la composizione chimica varia ampiamente tra le varietà di cannabis, sono state sviluppate alcune varietà con una composizione standardizzata di principi attivi cannabinoidi.
I principali cannabinoidi THC e CBD si trovano nella pianta in forma carbossilata (acido tetraidrocannabinolico o THC-A e acido cannabidiolico o CBD-A, (Tabella 1)
Tabella 1 – Varietà di Cannabis in commercio
Bedrocan, Bediol, Bedrobinol, Bedrolite e Bedica sono le specie attualmente in commercio. Ad oggi, l’uso medico di cannabis riguarda le seguenti patologie:
1. l'analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali;
2. l'analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace;
3. l'effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali;
4. l'effetto stimolante dell'appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell'appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell'anoressia nervosa, che non può essere
THC (% p/p) CBD (% p/p) Bedrocan 19 <1 Bediol 6,3 8 Bedrobinol 13,5 <1 Bedrolite <0,4 9 Bedica 14 <1
ottenuto con trattamenti standard;
5. l'effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali;
6. la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard.
In Italia il DM del 18/04/2007 ha consentito l’uso in terapia del THC e nel 2013, DM 23/01/2013, un ulteriore decreto, ha riconosciuto l’efficacia farmacologica dell’intera pianta della cannabis. Negli ultimi anni perciò l’impiego terapeutico della cannabis si è andato via via sempre più diffondendosi e sono alcune migliaia i pazienti che ne stanno facendo uso regolare e legalmente prescritto, grazie a leggi locali con le quali alcune regioni ne hanno autorizzata la autorizzazione alla prescrizione in regime di SSN. Fino a qualche tempo fa il principio attivo, costituito da infiorescenze essiccate di alcune varietà caratterizzate da concentrazioni diverse di cannabinoidi, è stato regolarmente importato dall’Olanda, unico paese europeo produttore di cannabis con buoni requisiti di qualità e standardizzazione. Tuttavia gli inevitabili rischi d’abuso o di prescrizione illecita, gli elevati costi finali sostenuti dai pazienti e la discontinuità dell’importazione hanno portato alla necessità di arrivare ad una vera e propria regolamentazione di tutto il contesto. Nel 2014 pertanto si inizia a parlare di come arrivare ad una produzione legale e sicura di cannabis in Italia, senza rischi di favorire il commercio illegale e tutelare al massimo i pazienti. Il 18 settembre 2014 con la firma dell’accordo di collaborazione tra Ministero della Salute e Ministero della Difesa prende il via il “Progetto Cannabis” con l’intento di garantire tre punti basilari, ridurre i costi, garantire la disponibilità, assicurare Qualità e Sicurezza. Il compito di coltivare in assoluta sicurezza la cannabis e da essa ottenere il principio attivo di qualità farmaceutica è stato attribuito allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (SCFM), Unità produttiva dell’Agenzia Industrie Difesa (AID). Inoltre, per sviluppare e portare a termine l’intero progetto parallelamente è anche stato nominato un “Gruppo di Lavoro”, facente capo oltre che dai precedenti Ministeri, dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf), all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ai Carabinieri ed alla Guardia di Finanza, allo scopo di contribuire attivamente, per quanto di relativa competenza, a sviluppare e portare a termine l’intero progetto. I motivi che hanno indotto a coinvolgere lo SCFM e ad assegnargli il compito di
Farmaceutica dello Stato e che da molti anni collabora con AIFA ed il Ministero della Salute per garantire la disponibilità di farmaci orfani per la cura delle malattie rare e di quei farmaci essenziali per le pubbliche calamità. In pratica lo SCFM vanta decenni di attiva collaborazione a favore non solo delle Forze Armate, “cliente” istituzionale dello Stabilimento, ma dell’intero paese. Inoltre lo “status” di militare è risultata una garanzia per mantenere il giusto margine di sicurezza che un contesto così delicato può richiedere. E’ bene ricordare che per ottenere una cannabis idonea all’impiego farmaceutico non è sufficiente eseguire la coltivazione partendo da cloni in serre completamente artificiali (luce, nutrienti e terreno) in modo da standardizzato per rendere riproducibile ogni ciclo di coltivazione. A questa parte più tecnica, deve essere necessariamente abbinata la parte preparativa in un ambiente di grado farmaceutico in grado di garantire l’assoluta qualità finale del prodotto. Quindi sia le serre che sono dei box prefabbricati equipaggiati e gestiti quasi come sale operatorie, che l’abbigliamento degli addetti ai lavori conforme alle norme prestabilite, è stato individuato per impedire contaminazioni da agenti patogeni e da polline. Infatti, il polline non deve entrare in contatto con le piante perché sono solo le infiorescenze della pianta, come già detto, di sesso femminile, non fecondate che producono i cannabinoidi di nostro interesse.
In queste serre particolari si ottengono delle condizioni di crescita con le quali si riesce a completare un ciclo di coltivazione in soli 3 mesi invece che nell’anno che normalmente è necessario. La fase di coltivazione si conclude con il taglio della pianta alla base del gambo ed al successivo raccolto dei fiori che, dopo essiccamento, vengono macinati e confezionati in barattolini da 5 grammi e commercializzata con il nome di “Cannabis FM2”. Ogni raccolto è controllato dal laboratorio Controllo Qualità dello SCFM che ne certifica la composizione chimica e l’assenza di inquinanti microbiologici e chimici. Questa infiorescenza essiccata di cannabis FM2 è così diventato un “principio attivo”, di origine naturale e di qualità certificata farmaceutica e pronto per essere dispensato dal farmacista, secondo la prescrizione del medico, nelle dosi prevista per il singolo paziente (20-250 mg di infiorescenze/dose). Tali dosi saranno usate dal paziente sotto forma di decotto da bere quotidianamente oppure utilizzate in un vaporizzatore che mediante in un apposito dispositivo genera un aerosol respirabile.
La varietà FM2 non è l’unica varietà che sarà coltivata, è iniziata anche la coltivazione di una ulteriore varietà, sempre messa a punto dal CREA CIN di Rovigo, caratterizzata da un elevato contenuto di THC. La sua distribuzione inizierà a partire dal 2017 con il nome di “Cannabis FM19” in virtù della concentrazione (19%) di tetraidrocannabinolo.
Non è da escludere che in futuro si potranno coltivare anche altre varietà con altre concentrazioni di principi attivi in base a quelle che sono le esigenze dei medici che la impiegano.
Fig.1: Formule di struttura del Diazepam (IS), Acido cannabidiolico (CBDA), Cannabidiolo (CBD), Cannabinolo (CBN), Tetraidrocannabinolo (THC), Acido tetraidrocannabinolico (THC-A).
2. Utilizzo terapeutico della Cannabis
L’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico è sempre più diffuso a livello internazionale. Con la stesura del “DM del 23 gennaio 2013”, c’è stato un aggiornamento delle tabelle contenenti l'indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, di cui al decreto del 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni e integrazioni. Inserimento nella Tabella II, Sezione B, dei medicinali di origine vegetale a base di Cannabis: sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture.
Il medico può dunque oggi prescrivere prodotti a base di cannabis a scopi terapeutici e qualsiasi farmacia può dispensare prodotti a base di cannabis sotto forma e dose di medicamento secondo prescrizione medica.
In particolare, il DDL S.2947 XVII Legislatura, “Disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico”, è approdato il 30/10/2016 al Senato, dopo l’approvazione alla Camera che ha unificato i testi di tutti i DdL simili già presentati. Inoltre, secondo quanto previsto dall’accordo di collaborazione tra Ministero della Salute e Ministero della Difesa del 18 settembre 2014, è stata avviata in Italia la produzione della cannabis, in precedenza importata da coltivazioni olandesi tramite l’Office of Medicinal Cannabis. Infatti, dal 14 dicembre 2016 è disponibile per la prescrizione di preparati magistrali a base di cannabis, la sostanza attiva di origine vegetale (Cannabis FM2) prodotta dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze preparata rispettando le Good Manufacturing Practices (GMP) dell’Unione Europea.
La cannabis FM2 coltivata in Good Agricoltural and Collecting Practices (GACP) e prodotta secondo le GMP è fabbricata in accordo con le direttive dell’Unione Europea in materia di sostanze attive per la produzione di medicinali e la documentazione tecnica relativa al prodotto è depositata presso l’Agenzia Italiana del Farmaco. La Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico del Ministero della Salute – il cui Ufficio Centrale Stupefacenti con l’entrata in vigore del DM 9 novembre 2015 svolge le funzioni di Organismo statale per la cannabis– ha emanato una circolare con tutte le informazioni necessarie a medici e farmacisti per l’utilizzo della cannabis FM2 a scopi terapeutici relativamente alle modalità di prescrizione e rimborsabilità, l’attuazione di un monitoraggio delle prescrizioni, indicazioni terapeutiche a cui il prodotto è destinato, la posologia ed il metodo di somministrazione, le modalità di
preparazione del decotto. Sono state inoltre indicate le proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche, le controindicazioni, gli effetti collaterali, le avvertenze speciali e precauzioni di impiego, nonché le interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione, il sistema di fitosorveglianza per il monitoraggio della sicurezza. La circolare ribadisce che “la cannabis non può essere considerata una terapia propriamente detta, ma un trattamento sintomatico di supporto a quelli standard, quando i medicinali approvati destinati alla specifica patologia non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali”. Tenendo conto delle evidenze scientifiche disponibili, che saranno aggiornate ogni due anni, la circolare riporta le condizioni nelle quali è previsto l’utilizzo di cannabis ad uso medico. Le preparazioni magistrali a base di cannabis FM2 possono essere prescritte da qualsiasi medico abilitato e iscritto all’Ordine dei Medici, tramite prescrizione magistrale non ripetibile, e la sua rimborsabilità da parte del SSN è stabilita autonomamente da ciascuna Regione e Provincia Autonoma.
Con la nuova Tariffa Nazionale dei medicinali, pubblicata in gazzetta ufficiale il 25/10/2017 ed entrata in vigore il 9/11/2017 la cannabis in infiorescenze presenta un costo di €9.00 per ogni grammo, sotto la voce di “Cannabis infiorescenze”, senza far distinzione tra le varietà.
Tabella 2 - Indicazioni all’utilizzo della cannabis terapeutica
• Analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali.
• Analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace.
• Effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali.
• Effetto stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard.
• Effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali.
• Riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard.
Il dolore cronico rappresenta l’indicazione terapeutica che dal punto di vista epidemiologico ha il maggior impatto, sulla produzione di cannabis. Infatti, studi recenti riportano che una percentuale compresa tra il 45-80% dei pazienti che utilizzano prodotti a base di cannabis lo fanno per la gestione del dolore e, tra quelli ai quali sono stati prescritti oppiodi a lunga durata d’azione per la terapia del dolore, più del 39% utilizzano anche la cannabis. In secondo luogo, i medici sempre più spesso dovranno discutere con i loro pazienti i potenziali benefici e rischi della cannabis visto che la decisione di prescrivere preparati a
base di cannabis deve essere condivisa con il paziente, tenuto a rilasciare un consenso informato scritto.
Infine, le evidenze disponibili sul trattamento del dolore cronico sono estremamente frammentate e, di conseguenza, manca una sintesi di riferimento in grado di fornire a Istituzioni, professionisti e pazienti un riscontro sull’ efficacia e sui rischi della cannabis terapeutica negli adulti con dolore cronico, finalizzato a guidare l’appropriatezza prescrittiva, le scelte dei pazienti e la necessità di condurre ulteriori studi.
2.1 Selezione degli studi su pazienti con dolore cronico
Sono stati effettuati studi condotti dalla "Fondazione Gimbe”, fondazione costituita dall'associazione Gruppo Italiano per La Medicina Basata sulle Evidenze, i quali vertevano su una ricerca bibliografica mirata ad esaminare gli studi scientifici primari che hanno valutato gli effetti dei preparati a base di cannabis, intesi come qualsiasi preparazione o estratto della pianta, in soggetti adulti.
Per valutare l’efficacia nel trattamento del dolore cronico, sono stati inclusi controlli randomizzati e studi che misuravano il dolore come outcome primario. Per la valutazione dei rischi, gli studi sono stati condotti sia in pazienti con dolore cronico, sia nella popolazione generale.
2.2 Valutazione della qualità degli studi su pazienti con dolore cronico
Per ciascuno studio sono sta estratti dettagli relativi a disegno, setting, popolazione, intervento, follow-up, somministrazione contemporanea di interventi rilevanti, outcome, utilizzo dell’assistenza sanitaria, e effetti avversi. Due revisori indipendenti hanno valutato ciascun trial classificando il rischio di errore– risk of bias (ROB) – in basso, elevato o non chiaro.Per valutare il ROB degli studi osservazionali sono state considerate le potenziali fonti di errore più rilevanti adattando gli strumenti di valutazione critica.
2 .3 Analisi dei dati
Per gli studi sul dolore neuropatico è stata e effettuata una meta-analisi sulla percentuale di pazienti che hanno sperimentato una riduzione del dolore ≥30%. Per altri gruppi di pazienti i dati sono stati riportati in maniera qualitativa, perché varie ragioni hanno reso precluso le meta-analisi: eterogeneità clinica, variazioni degli outcome riportati, limitato numero di trial. Tenendo
conto della validità interna dei singoli studi e della consistenza, coerenza e applicabilità delle evidenze complessive, la forza delle evidenze è stata classificata in quattro categorie. (Tabella 3)
• Elevata: è improbabile che ulteriori studi modifichino la stima dell’effetto.
• Moderata: ulteriori studi potrebbero avere un effetto importante sulla stima dell’effetto e potrebbero modificarla.
• Bassa: è molto probabile che ulteriori studi possano avere un effetto importante sulla stima dell’effetto e possano modificarla.
• Insufficiente: qualsiasi stima degli effetti è molto incerta. Tabella 3 – Forza delle evidenze
2.4 Efficacia della cannabis nel trattamento del dolore cronico
I metodi principali utilizzati per la valutazione continua del dolore sono la visual analogic scale (VAS) da 0 a 100 mm e la numeric rating scale (NRS) da 0 a 10 (dove 0 indica nessun dolore e 10 indica il dolore di massima intensità).
Alcuni studi hanno identificato la percentuale di partecipanti che hanno ottenuto un miglioramento clinicamente significativo nella riduzione dell’intensità del dolore, definito come una riduzione ≥30% (o approssimativamente di 2 punti) sulla NRS, oppure di 20 mm sulla VAS.
2.4.1 Dolore neuropatico
Tredici randomized controlled trials (RCT) hanno valutato l’efficacia dei preparati a base di cannabis sul dolore neuropatico: i partecipanti inclusi avevano un dolore neuropatico centrale o periferico correlato a varie condizioni cliniche. Il rischio di errore su questi studi era basso per 11 pazienti, non chiaro in uno ed alto in un altro. Complessivamente, la forza delle evidenze sull’efficacia della cannabis per ridurre il dolore neuropatico era bassa. In generale, gli studi non hanno riportato differenze significative sulla rilevazione continua del dolore tra i gruppi; tuttavia, una percentuale più elevata di pazienti del gruppo trattato con cannabis aveva un sollievo clinicamente significativo dal dolore per molti mesi. In 9 studi i pazienti trattati con cannabis avevano maggiore probabilità di sperimentare un miglioramento del dolore ≥30%. Il secondo trial in ordine di dimensioni con basso rischio di errore ha incluso 55 pazienti con infezione da HIV associata a neuropatia sensoriale, assegnati in maniera randomizzata a 3 sigarette/die con 3.56% di THC contro placebo per 5 giorni. Tra i partecipanti che hanno completato lo studio, il 52% (n = 13) del gruppo di intervento ha riportato una significativa riduzione clinica del dolore rispetto al 24% (n = 6) del gruppo placebo. Uno studio prospettico della durata di un anno (n = 431) su pazienti con dolore cronico neuropatico e nocicettivo non neoplastico ha fornito informazioni sugli effetti a lungo termine: gli utilizzatori di cannabis hanno avuto una riduzione dell’intensità media del dolore che si è mantenuta stabile in 4 rilevazioni della VAS nell’arco di 1 anno.
2.4.2 Sclerosi multipla
Nove studi hanno esaminato l’efficacia dei preparati a base di cannabis sul dolore nei pazienti con sclerosi multipla. Nella maggior parte dei casi i partecipanti avevano dolore resistente alle terapie tradizionali o dolore neuropatico correlato a diagnosi di sclerosi multipla confermata clinicamente. Il rischio di errore era basso per 3 studi, non chiaro per 5 ed elevato per uno. Complessivamente, la forza delle evidenze è bassa per varie ragioni: pochi studi metodologicamente rigorosi, numero limitato di pazienti inclusi, risultati incoerenti tra gli studi, mancanza di outcome a lungo termine. Dei 3 studi con basso rischio di errore, uno ha riportato una piccola riduzione non
outcome e un altro studio di grandi dimensioni ha riportato che un maggior numero di pazienti del gruppo dei pazienti trattati con cannabis riferiva sollievo dal dolore fisico a 12 settimane.
2.4.3 Dolore neoplastico
Tre studi (n = 547) hanno esaminato l’efficacia dei preparati a base di cannabis sul dolore neoplastico: i partecipanti erano pazienti oncologici con dolore moderato-severo, la cui causa non era tuttavia specificata. Il rischio di errore era non chiaro in due studi ed elevato in un terzo. Complessivamente, le evidenze risultano insufficienti sia per il numero limitato di studi, sia per vari limiti metodologici: elevato numero di partecipanti persi al follow-up, esclusione dei pazienti con punteggi del dolore variabili, utilizzo di outcome non standardizzati e procedure di randomizzazione.
2.4.4 Dolore associato a condizioni varie
Due trial e tre studi hanno esaminato l’efficacia dei preparati a base di cannabis nei pazienti con dolore associato a condizioni varie: fibromialgia, artrite reumatoide, dolore addominale. Il rischio di errore era non chiaro in un trial ed elevato nell’altro; negli studi osservazionali era basso in uno studio ed elevato in due di essi. Complessivamente le evidenze erano insufficienti a causa dei risultati inconsistenti e dei limiti metodologici: assenza di follow-up, inadeguato occultamento nell’assegnazione, errore di selezione, numero elevato di partecipanti persi al follow-up, esclusione di utilizzatori occasionali di cannabis.
3. Il sistema Cannabinoide
In base alla localizzazione dei recettori cannabinoidi nell’organismo, è stato ipotizzato che il sistema endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di processi fisiologici. I cannabinoidi possono modulare l’umore e le trasmissioni nervose, incluso il dolore, inibendo il rilascio di una vasta gamma di neurotrasmettitori sia periferici che centrali (inclusa l’acetilcolina, la noradrenalina, la dopamina, la 5-idrossitriptamina, l’acido gammaaminobutirrico, glutammato) e producendo numerosi effetti sistemici. L’uso terapeutico della cannabis, dei suoi estratti o di analoghi cannabinoidi esogeni è infatti limitato dagli effetti psicotropici ad essi correlati e al loro potenziale di sviluppare abuso negli assuntori, specialmente negli adolescenti.
I derivati della cannabis hanno numerose potenzialità terapeutiche, come illustrato nello schema sottostante, dove vengono citate le indicazioni accettate, le indicazioni in fase di studio e alcune ipotesi di meccanismo che rappresentano un potenziale terapeutico. Oltre al suo noto coinvolgimento in specifiche funzioni corporee, il sistema endocannabinoide ha un ruolo importante in processi fondamentali dello sviluppo. Il rilascio dei cannabinoidi endogeni controlla la plasticità sinaptica, ovvero, la capacità del sistema nervoso di modificare l’efficienza del funzionamento delle connessioni tra neuroni (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune, in molte aree cerebrali comprese la neocorteccia, l’ippocampo, il cervelletto e i gangli della base.
Il signaling endocannabinoide ha un ruolo fondamentale nelle sinapsi con un chiaro continuum d’azione, dallo stabilirsi delle sinapsi nell’inizio del neurosviluppo alla funzione delle sinapsi nel cervello adulto.
Il sistema endocannabinoide, infatti, è presente nel Sistema Nervoso Centrale fin dalle prime fasi di sviluppo cerebrale, ed esso possiede un ruolo rilevante nell’organizzazione cerebrale durante la vita pre e postnatale. Gli endocannabinoidi sono coinvolti nel controllo della genesi dei neuroni, nella proliferazione dei progenitori neurali, nella migrazione e nella specificazione fenotipica dei neuroni immaturi influenzando la formazione di complessi circuiti neuronali. L’importante ruolo svolto dal sistema endocannabinoide durante lo sviluppo neuronale, suggerisce quanto una sua eventuale perturbazione, per esempio attraverso l’utilizzo di fitocannabinoidi, possa influire in modo molto
3.1 Endocannabinoidi
Gli endocannabinoidi sono molecole segnale che vanno ad utilizzare gli stessi recettori di membrana a cui si lega il principale costituente psicotropo della cannabis, il THC (Δ9- tetraidrocannabinolo). Queste molecole segnale sono di natura lipidica e derivano da un acido grasso polinsaturo, l’acido arachidonico. Essi vengono prodotti a partire da precursori biosintetici di tipo fosfolipidico.
A livello encefalico agiscono come neuromodulatori. Tra gli endocannabinoidi sino ad ora identificati ci sono:
• l’anandamide (N-arachidonoiletanolamide, AEA),
• il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG),
• il 2-arachidonilgliceril etere (noladin etere),
• la O-arachidonoil-etanolamina (virodamina),
• la N-arachidonoil-dopamina (NADA).
Anandamide e NADA non si legano solo ai recettori cannabinoidi, ma come la capsaicina, (un principio attivo contenuto nel peperoncino) hanno la capacità di stimolare i recettori vanilloidi (TRPV1). Al contrario di altri mediatori chimici cerebrali, non sono prodotti all'interno delle cellule neuronali, ma attraverso multiple vie biosintetiche, vengono prodotti quando necessario, a partire da precursori fosfolipidici di membrana, e quindi rilasciati dalle cellule. Dopo il rilascio sono rapidamente disattivati per la ricaptazione nelle cellule e quindi metabolizzati. In particolare, per l'anandamide il meccanismo comunemente accettato prevede l'idrolisi enzimatica, catalizzata da una fosfolipasi di tipo D, di un precursore fosfolipidico, l'N-arachidonoil-fosfatidiletanolammina (NArPE).
I processi biosintetici che portano alla formazione del 2-arachidonoilglicerolo (2- AG) possono seguire meccanismi diversi, ma l'ipotesi più consistente è quella che prevede la formazione di un di-acil-glicerolo che viene poi idrolizzato a 2AG attraverso l’azione di una fosfolipasi di tipo C.
Sono prodotti attraverso l’azione di enzimi calcio-sensibili. Essi vengono biosintetizzati solo quando l’aumento della concentrazione del calcio citoplasmatico (che accompagna gran parte delle perturbazioni fisiopatologiche delle cellule), supera una determinata soglia tale da attivare gli enzimi biosintetici. Questi, agendo su fosfolipidi di membrana, producono gli endocannabinoidi per l’immediato rilascio all’esterno della cellula. Principalmente a causa della natura fortemente lipidica, che non consente loro una facile diffusione nella matrice extracellulare, gli endocannabinoidi svolgono un’azione principalmente locale, sia sulla stessa cellula che li ha prodotti, sia su cellule limitrofe, a seconda di dove siano localizzati i recettori CB1 e CB2.
In particolare si è ipotizzato che gli endocannabinoidi si comportino da messaggeri retrogradi: sintetizzati nella cellula postsinaptica, andrebbero ad attivare i recettori CB1 degli assoni della cellula presinaptica. In tal modo, essi ricoprono un ruolo importante in vari tipi di plasticità sinaptica e nei processi cognitivi, motori, sensoriali e affettivi a essi correlati. Inoltre, in alcune condizioni patologiche, acute o croniche, dell’SNC, come durante l’epilessia o nelle malattie neuroinfiammatorie e neurodegenerative, gli endocannabinoidi, attivando recettori sia CB1 sia CB2, possono svolgere un ruolo pro-omeostatico e neuroprotettivo.
3.2 I recettori cannabinoidi
Ad oggi sono stati identificati due tipi di recettori cannabinoidi, recettori CB1 e CB2. Hanno differenti meccanismi di signaling e distribuzione tissutale. Entrambi i recettori appartengo alla famiglia dei recettori accoppiati a proteina G di tipo inibitorio (GPCR), sono situati sulla membrana citoplasmatica, con un sito di legame specifico per gli endocannabiboidi, localizzato in un dominio extracellulare nel doppio strato lipidico; così si spiega perché molecole di natura lipidica, quali gli endocannabinoidi e il THC, possano legarsi al recettore con alta affinità. L’attivazione dei recettori cannabinoidi causa inibizione dell’adenilciclasi e di conseguenza l’inibizione della conversione di ATP ad AMP ciclico (cAMP) e attivazione dei canali del Potassio, con iperpolarizzazione. I recettori cannabinoidi CB1 sono tra i più numerosi e maggiormente distribuiti nell’encefalo. Sono costituiti da una catena polipeptidica formata da sette segmenti trans membrana. Il ruolo dei
recettori cannabinoidi è essenzialmente quello di regolare il rilascio di altri messaggeri chimici.
I recettori CB1 sono situati principalmente sulle cellule nervose di encefalo, midollo spinale e sistema nervoso periferico, ma sono presenti anche in alcuni organi e tessuti periferici tra cui ghiandole endocrine, ghiandole salivari, leucociti, milza, cuore e parte dell’apparato riproduttivo, urinario e gastrointestinale. Molti recettori CB1 sono espressi sulle terminazioni nervose centrali e periferiche ed inibiscono il rilascio di altri neurotrasmettitori. Quindi l’attivazione dei recettori CB1 protegge il sistema nervoso centrale da una eventuale sovrastimolazione o sovrainibizione da parte dei neurotrasmettirori. I recettori CB1 si localizzano particolarmente nelle regioni encefaliche che sono responsabili del movimento (gangli basali, cervelletto), dei processi mnestici (ippocampo, corteccia cerebrale) e della modulazione del dolore, mentre a livello del tronco encefalico non trovano una grossa espressione, il che può spiegare la mancanza di mortalità acuta cannabis-correlata. I recettori CB1 sono distribuiti nel SNC corteccia cerebrale ippocampo gangli della base cervelletto (sistema nervoso centrale) quindi l’attivazione ne determina: Analgesia spinale e sovra spinale, modulazione dei processi di memoria, alterazione ormonale ipofisaria, inibizione dei movimenti, regolazione appetito andando a stimolare la fame. Si trovano principalmente nei neuroni, soprattutto nella parte terminale degli assoni, ad indicare l’importante ruolo di questi recettori nella modulazione degli effetti euforizzanti, ma anche della loro azione antiemetica, antiossidante, ipotensiva, immunosoppressiva, antinfiammatoria, analgesica, antispastica e come detto, stimolante dell'appetito.
I recettori CB2 trovano principale localizzazione a livello periferico, in particolare nelle cellule del sistema immunitario, tra cui leucociti, milza e tonsille, timo, pancreas e nel tratto gastroenterico.Presentano come azioni principali: antinocicezione periferica; inibizione crescita tumorale; processi infiammatori; risposta immunitaria. Una funzione di questa tipologia di recettore nel sistema immunitario è la modulazione del rilascio di citochine, deputate responsabili delle risposte infiammatorie e della regolazione di questo sistema. Dal momento che i composti che attivano selettivamente i recettori CB2 (agonisti dei recettori CB2) non esplicano effetti psicoattivi, essi sono diventati oggetto di studi sempre più numerosi per l’uso terapeutico dei cannabinoidi, in particolare per quanto riguarda gli effetti analgesici, antinfiammatori e antitumorali. Il Δ9 -THC ha approssimativamente eguale
affinità per i recettori CB1 e CB2 , mentre l’anandamide ha una selettività marginale per i recettori CB1, presentando dunque un tipo di affinità maggiore per i CB2.
4. Prodotti a base di Cannabis e metodi di somministrazione 4.1 Varietà di Cannabis prodotte
L’azienda olandese “Bedrocan ®” produce 6 varietà di cannabis a uso medico che vengono messe a disposizione da parte del Ministero della Salute dei Paesi Bassi. Ognuna è etichettata con un livello standardizzato di 3 cannabinoidi: THC, CBD e CBN. Bedrocan® è considerata cannabis del tipo sativa. Il suo livello di THC è standardizzato al 19%, con un livello di CBD inferiore all'1%. È la cannabis più ampiamente utilizzata tra quelle offerte dal Ministero olandese ed è stata utilizzata maggiormente nella ricerca rispetto ad altre varietà.
Bedrobinol® è considerato una sativa. Il suo livello di THC può essere considerato mediamente forte, standardizzato al 13,5%, con un livello di CBD inferiore all'1%. Bediol® presenta un livello di THC da basso a medio, standardizzato al 6,5% e un livello medio di Cannabidiolo non psicoattivo (CBD), standardizzato all'8%. Gli effetti del CBD sono chiaramente diversi dal THC. Il Bediol è disponibile in formato granulare. Anche il Bediol è considerato del tipo sativa.
Bedica ® è considerata cannabis della varietà indica. Contiene una quantità media di THC, attorno al 14%, con meno dell'1% di CBD. Le differenze caratteristiche tra le varietà di Indica e Sativa è riscontrabile nella presenza di composti odorosi (terpeni) nella pianta. Ad esempio, una simile quantità elevata di mircene è presente in Bedica ®, mentre nelle altre tre varietà essa non è riscontrabile o lo è in misura minima. Il mircene è noto per avere un effetto calmante. Bedica ® è anche disponibile in formato granulare.
Bedrolite® è in fase di standardizzazione ed è la varietà non psicoattiva ora disponibile per uso medico e di ricerca. Bedrolite contiene circa il 9% di CBD e lo 0,4% di THC. E’ disponibile nei Paesi Bassi e negli Stati riforniti dal Ministero della Salute dei Paesi Bassi. CBD presenta proprietà farmacologiche distinte.
Bedropuur® è una varietà indica ad alto tenore di THC con meno dell'1% di CBD. Bedropuur è disponibile solo in Canada e a scopo di ricerca.
L’azienda olandese, garantisce standard chimici, in cui i cannabinoidi vengono forniti come soluzioni quantificate in etanolo con una purezza >98% (analisi UPLC). Tutti i prodotti sono corredati di Certificato d'Analisi.
Bedrocan offre test analitici di campioni di cannabis utilizzando metodi basati sulla Farmacopea Europea (Ph.Eur.)o standard correlati. I metodi analitici convalidati sono stati descritti in una Monografia Olandese disponibile attraverso l'Ufficio Olandese per la Cannabis a uso Medico (OMC). Sono disponibili i seguenti test: Profilo dei cannabinoidi (analisi qualitativa o quantitativa HPLC); contenuto di terpeni (analisi GC); qualità microbiologica verso batteri e funghi; qualità chimica per la valutazione dei pesticidi, metalli pesanti (piombo, mercurio, cadmio), tossine derivate da funghi. La produzione di cannabis in Bedrocan è interamente standardizzata, poiché gli scostamenti possono pregiudicare la composizione del prodotto. Il processo per la produzione di cannabis a uso medico è certificato ISO e soddisfa lo standard europeo di Buona Pratica Agricola (GAP). Il ministero della Salute dei Paesi Bassi conduce audit in relazione alle GAP con cadenza regolare. Inoltre, non vengono mai utilizzati pesticidi e lo stabilimento di Bedrocan è interamente alimentato da energia eolica.
4.2 Tecnologia della Cannabis: Metodi di somministrazione
La cannabis può essere assunta in modi diversi: per via inalatoria attraverso un dispositivo per la vaporizzazione, o per via orale. Quest’ultima comprende preparati come decotto ed olio.
Il riscaldamento è essenziale per la conversione dei cannabinoidi acidi nella loro forma farmacologicamente attiva decarbossilata. La decarbossilazione avviene anche spontaneamente in tempi molto più lunghi, durante l’invecchiamento dei campioni di cannabis, come risultato dell’esposizione alla luce, alla temperatura dell’ambiente.
Cannabinoidi e terpeni quando inalati sono rapidamente assorbiti; i primi effetti si manifestano entro 5 minuti dall’assunzione e si perdono entro 3-4 ore. L’inalazione è quindi più adatta a pazienti che richiedono un onset rapido, come il trattamento di certi tipi di dolore ad esempio spasmi associati a sclerosi multipla o epilessia, nausea e vomito. L’inalazione avviene tramite un vaporizzatore, in cui la cannabis viene riscaldata ad alta temperatura (180°C) senza bruciare la pianta.
La vaporizzazione offre tutti i vantaggi (rapida insorgenza dell’effetto) della somministrazione per via inalatoria evitando i rischi connessi al fumo, oltre al fatto che fumando si può arrivare a temperature di circa 800°C, con conseguente degradazione di
circa il 40% di THC (Figura. 2). Anche se esistono molti tipi di vaporizzatori, solo pochi sono stati
somministrazione. Attualmente l’unico riconosciuto come dispositivo medico è il Volcano.
Figura .2 Decarbossilazione THC-A in THC
4.3 Il decotto
Per la somministrazione della Cannabis, il decotto, è il metodo di somministrazione attualmente più utilizzato in Italia. La metodologia di preparazione è fondamentale; la cannabis viene aggiunta all’ acqua fredda e immediatamente si porta a ebollizione continuando l’ebollizione per il tempo stabilito. Secondo quanto riportato sul Documento approvato dal Gruppo di lavoro previsto dall’Accordo di collaborazione del Ministero della salute e del Ministero della difesa del 18 settembre 2014 (aggiornato al 2017) i passaggi da seguire per la tecnica di preparazione del decotto sono:
• preparare acqua fredda in rapporto 1000:1 acqua/cannabis (es. per 100mg di cannabis, usare 100ml di acqua)
• versare la dose di cannabis • portare a ebollizione • coprire con coperchio
• mantenere l’ebollizione per 15 minuti
Tale metodica è sconsigliata per diversi motivi: l’acqua è un solvente idrofilo e quindi pessimo per quanto riguarda la capacità di solubilizzare ed estrarre i principi attivi della cannabis che sono lipofili. I tempi di bollitura indicati nella nota del Ministero sono
insufficienti per avere la certezza che parte sufficiente del THC e CBD siano decarbossilati e quindi “attivati”, nonostante una parte esce comunque dall’infiorescenza per questioni fisiche di osmosi può rimanere sospesa in acqua. Studi olandesi hanno dimostrato come nella tisana alla cannabis così fatta, il contenuto di THCA sia fino a 5 volte superiore al THC poiché le temperature raggiunte sono minori rispetto a quelle di fumo, vaporizzazione o cottura in forno. Altrettanto per i tempi a cui la cannabis è sottoposta a queste temperature. Se non velocemente bevuta dal momento della preparazione, i cannabinoidi presenti nella tisana con sola acqua tendono ad aderire sul fondo o ai lati del contenitore (bicchiere/tazza) limitando di conseguenza l’assunzione al paziente dei principi attivi.
Con la quantità di acqua indicata dal Ministero, quasi certamente al termine dell’ebollizione la quantità di acqua sarà notevolmente ridotta.
Partendo della Cannabis grezza in cartine quale prodotto per l’allestimento del decotto, si deve considerare che una certa quantità di potenziale THC attivato può rimanere nel residuo, ovvero nel materiale vegetale. Per questo motivo si sconsiglia fortemente di filtrare il residuo, ma di ingerirlo insieme alla tisana. Tutto questo si tradurrebbe in una apparente inefficacia della cannabis e potrebbe indurre ad incrementare le dosi, nonostante che il paziente non sia a conoscenza della concentrazione reale di THC e/o CBD e che ipoteticamente questa sarebbe 1/5 del totale dei cannabinoidi (ad es. circa 4mg di THC e circa 20 mg di THCA nel Bedrocan oppure 1,5 mg di THC e 6 mg di THCA nel Bediol).
In considerazione dei problemi espressi è stata proposta una diversa versione della metodica consigliata per la preparazione della tisana alla cannabis che tende a ottimizzare alcuni dei punti critici espressi, in particolare:
• tempi: vengono aumentati per permettere una maggiore decarbossilazione senza incorrere nel rischio di ottenere prodotti di degradazione (es. CBN dal THC) o di perdere la loro attività, perchè la temperatura massima raggiunta è circa 100°C e non si supererà, dato che l’acqua sarà sufficiente a rimanere in ebollizione;
• liquido solvente: poiché i cannabinoidi sono lipofili, si propone di utilizzare un solvente in grado di sciogliere i cannabinoidi, tenendoli stabilmente in soluzione. Non volendo usare oli che sarebbero troppo pesanti e con altri problemi, il liquido migliore è il latte sia vaccino, ma anche di soia, in quanto si ottiene un certo grado di
sostanza grasse che idrofile.;
• quantità di liquido: 100 ml di acqua fredda per ogni 100 mg di cannabis FM2 utilizzata, si prepara la tisana con molto più liquido, sia per compensare le perdite di evaporazione, sia per ottimizzare l’estrazione in quanto liquidi troppo concentrati non riescono ad estrarre tutte le sostanze;
• preparazione della cannabis: un’operazione necessaria per aumentarne la superficie di esposizione della cannabis al solvente ovvero le parti di cannabis a contatto con il solvente è la triturazione.
A titolo esemplificativo si riporta in Tabella 4 le quantità medie di principio attico (THC e CBD che sono contenute nei ml di decotto secondo le modalità sotto indicate (*). (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4589_listaFile_itemName_3_file.pdf).
Tabella 4 . Quantità di THC e CDB contenuti in un determinato volume di decotto
Questa operazione favorisce sia la decarbossilazione che l’estrazione. L’operazione può avvenire con una lama, meglio con un grinder, meglio ancora facendo preparare al Farmacista della polvere micronizzata di cannabis.
Di seguito, la ricetta ottimizzata e consigliata per la preparazione di un decotto alla cannabis terapeutica:
1. nel caso si disponga di cannabis grezza in cartine, sminuzzarla con una lama affilata per ottenere parti vegetali con dimensione inferiore al millimetro e aumentare così la superficie di esposizione che diventa milioni di volte maggiore rispetto ad un
normale “pezzo” di infiorescenza. 2. scaldare fino a ebollizione intensa.
3. abbassare la fiamma per mantenere una blanda ebollizione, aggiungere almeno 15 grammi di latte intero (o almeno 15 grammi di latte in polvere) per ogni 100 mg di cannabis (es. se si sono preparati 200 mg di cannabis, aggiungere almeno 30 grammi di latte vista la natura lipofila dei principi attivi, come riportato dal Ministero della salute olandese).
4. mantenere l’ebollizione blanda per 15/30 minuti; al termine spegnere e lasciare raffreddare.
5. le infiorescenze o la polvere possono essere ingerite con la tisana: questo permette di assimilare anche eventuali sostanze rimaste nella parte vegetale e non perfettamente estratte o decarbossilate durante la decozione.
6. dolcificare a piacere
E’ possibile conservare il decotto in un thermos di vetro o metallo per un massimo di 24 ore, oppure è possibile conservarlo in frigo per un massimo di 5 giorni, avendo l’accortezza di aggiungere una sostanza grassa per mantenere in equilibrio la concentrazione dei principi attivi.
Inoltre, in accordo con un’altra ricetta è possibile preparare una tisana con solo latte, utilizzando latte freddo sin dall’inizio, senza dover aggiungerne ulteriormente. Il consiglio è comunque di “allungare” il latte con un po’ di acqua: durante l’ebollizione, la parte acquosa del latte tende ad evaporare, lasciando un latte molto “pesante” e grasso che alcuni pazienti possono trovare difficile da digerire. Il procedimento per la preparazione della tisana è comunque lungo e articolato.
Col tempo si può certamente arrivare alla padronanza del metodo, ma i tempi tecnici sono fissi e quindi almeno 40/45 minuti ogni volta sono necessari. Se si considera che la posologia media è di assumere la dose di cannabis (in decotto) 2 o 3 volte al giorno, si capisce immediatamente come con un derivato quale l’olio di cannabis, il paziente può assumere le gocce prescritte col contagocce, in modo molto più pratico, sicuro e con una compliance decisamente superiori ed aumentare il numero delle gocce man mano che si sviluppa tolleranza.
4.4 Olio di oliva FU
Non esiste una definizione ufficiale di olio di cannabis, esistono diversi procedimenti per realizzarlo. L’ottenimento di una procedura standardizzata e univoca, è dovuto al lavoro di due ricercatori Luigi Romano e Arno Hazecamp.
Tale lavoro mette a confronto differenti metodi di estrazione dei principi attivi della cannabis per comprendere quale permette di mantenere integro il profilo di cannabinoidi e terpeni e che determina la maggiore efficacia terapeutica. Il lavoro è stato pubblicato dai ricercatori Luigi Romano dell’Università di Siena e Arno Hazekamp dell’Università di Leiden in Olanda in uno studio titolato “Cannabis Oil: chemical evaluation of an upcoming cannabis-based medicine” del maggio 2013.
In questo studio un’unica varietà di cannabis, utilizzata per produrre il Bedrocan, è stata scelta per estrarre i principi attivi con alcuni solventi non polari come etanolo, nafta, etere di petrolio e olio di oliva. La ricerca cita inevitabilmente il metodo Rick Simpson (http://www.cannabis-terapeutica.com/it/resina-di-cannabis-olio-di-rick-simpson.html) ad oggi il più conosciuto, che prevede l’estrazione di Cannabis in alcool etilico puro (96°) con dosaggio variabile stabilito dal medico prescrittore.
I ricercatori hanno ricavato estratti di cannabis applicando i protocolli di estrazione più popolari e reperibili, eseguendo però le diverse fasi del processo con un rigore scientifico impossibile da ottenere in ambiente domestico. Si è analizzata la fase di decarbossilazione, nota per convertire i precursori THCA e CBDA nei cannabinoidi più efficaci dal punto di vista terapeutico THC e CBD. Gli scienziati hanno rilevato che la decarbossilazione aumenta la potenza dei cannabinoidi.
Tabella 5 – Estrazione con solventi
I risultati (Tabella 5) sono interessanti: la nafta è risultato il solvente più dannoso per la preservazione dei terpeni, mentre l’etere, chimicamente molto simile, ha permesso di mantenere una maggiore integrità della materia prima. L’olio di oliva è risultato il solvente in grado di estrarre e conservare il maggior numero di derivati, grazie alla sua alta non-polarità e scarsa volatilità. Gli estratti ricavati da solventi chimici sono stati analizzati per verificarne i residui e i risultati hanno mostrato alte percentuali di idrocarburi del petrolio. Nel caso della nafta, la quantità di residui chimici era equivalente a quella dei terpeni. Gli estratti in laboratorio sono stati confrontati con un campione di “Rick’s Simpson Oil” prodotto artigianalmente e nei diversi prodotti sono state rilevate le stesse quantità di residui chimici. Le conclusioni della ricerca appaiono parzialmente in contrasto con le indicazioni di Rick Simpson per quanto riguarda i residui di solventi egli scienziati consigliano quindi l’utilizzo di etanolo o di olio di oliva. Inoltre, qualsiasi evaporazione del semilavorato
cura con la pianta piuttosto che con i cannabinoidi sintetici.
Grazie a questo lavoro, è stato fornito ai farmacisti un metodo scientifico per preparare l’olio alla cannabis utilizzando olio di oliva, apportando a tale metodo alcuni passaggi/accorgimenti per ottimizzare il lavoro, al fine di validare e analizzare l’olio da un laboratorio di analisi. Ciò è riferito ad una preparazione dell’olio di cannabis da Bedrocan 19/22%, ottenuto da estrazione di 5g di sostanza in 50ml di olio di oliva FU 10% p/v. Il procedimento prevede:
1. prelevare la quantità (es. 5 grammi) di droga grezza e pesarla esattamente con bilancia di precisione.
2. triturare uniformemente la cannabis tramite l’uso di un grinder.
a. il grinder è formato da due parti complementari, dotate all’interno di piccoli dentini, che mediante la rotazione antitetica delle due metà, è in grado di macinare e sminuzzare la cannabis riducendola in parti molto più piccole e aumentando notevolmente la superficie specifica di esposizione al solvente di estrazione. Le diverse parti sono in metallo ed è resistente al lavaggio.
3. Mediante siringa prelevare 50 ml di olio extravergine di oliva FU di grado farmaceutico e trasferirlo in un becker.
4. Versare i 5 grammi di cannabis nel becker insieme all’olio e mescolare.
È possibile preparare qualsiasi quantitativo di olio di cannabis, mantenendo sempre le proporzioni tra l’olio e cannabis. Es. per 100 ml di olio di cannabis, usare 10 g di cannabis; per 25 ml usare 2,5 g di cannabis.
5. Porre il becher a bagnomaria a 100° e lasciare in piena ebollizione per 2 ore, mescolando. a. Per validazione della procedura è obbligatorio effettuare il riscaldamento a bagnomaria con un agitatore magnetico e piastra riscaldante, al fine di mantenere costantemente in agitazione l’olio.
b. Le due ore di tempo necessarie all’estrazione vanno conteggiate solo nel momento in cui l’acqua comincia a bollire a circa 100°C.
6. Filtrare attraverso un torchiatore per pressare l’olio
Le quantità di olio da utilizzare come dose tengono conto che 1 ml di olio di cannabis corrisponde a 30 gocce. L’olio così preparato dovrà essere sottoposto ad analisi qualitativa (HPLC). L’olio è già pronto all’uso, è necessario la somministrazione sublinguale per garantire una rapida insorgenza d’azione ed evitare effetto di primo passaggio. Per ottimizzare l’assorbimento è consigliato assumere l’olio a stomaco vuoto: questo perché l’olio rilascia più lentamente i cannabinoidi con il rischio di non permettere il raggiungimento di livelli ematici soddisfacenti. L’olio deve essere conservato al riparo dalla luce e dall’aria a bassa temperatura conservato in frigo (4 -5 °C) poiché a temperatura ambiente si verifica un’importante degradazione dei principi attivi.
Capitolo 5: La legislazione
5.1 Decreti di regolamentazione della Cannabis terapeutica
In Italia l’uso di terapeutico di cannabis è stato autorizzato nel 2007 con il DM 18/04/2007. Tre principi attivi appartenenti alla famiglia dei cannabinoidi introdotti in tale data nella vigente sottotabella II sezione B della Tabella 7 della Farmacopea XII Ed erano il Delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), il trans-delta-9-Delta-9-tetraidrocannabinolo denominato anche Dronabinolo, ed il Nabilone. Nella versione aggiornata al 2009 della Tabella II, sezione B, vengono ammessi all'importazione anche il THC, il Dronabinol e il Nabilone. Purtroppo questa legge ha avuto pochi riscontri pratici a causa della mancata disponibilità di questi farmaci nel nostro paese e di conseguenza un numero ridotto di pazienti ne ha potuto beneficiare.
Successivamente il DM 23/01/2013 (GU n.33 del 08/02/2013) ha modificato ancora il DPR n° 309 del 09/10/1990 ed ha inserito nella Tabella II sezione B, anche i medicinali vegetali a base di cannabis (sostanze, preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture), rendendo prescrivibili anche le infiorescenze di cannabis. Il decreto, entrato in vigore dal 23/02/2013 rese disponibile la Cannabis ai pazienti dall’aprile dello stesso anno. Nell’anno successivo è stato abolito il lungo iter burocratico necessario per ottenere una prescrizione a base di cannabis con la dichiarazione di incostituzionalità della legge “Fini-Giovanardi” sugli stupefacenti ed il conseguente DL 36 del 20/03/2014. L’iter legislativo si è concluso con la Lege 79 del 16/05/2014 con la quale e stata creata una tabella dedicata alla cannabis e dei prodotti ottenuti dalla stessa nella Tabella dei Medicinali – sez B. Infine, con il decreto 9/11/2015, definendo le funzioni svolte dal Ministero della Salute, quale organismo statale per la cannabis, è stato avviato il progetto “pilota” per l’ottenimento delle inflorescenze di cannabis sul territorio nazionale da svolgere presso lo Stabilimento Chimico-Farmaceutico Miliare di Firenze.
Sulla base della classificazione della cannabis, cambiandone la posizione dalla Tabella II sezione B alla Tabella dei medicinali sezione B, è stata resa dunque prescrivibile dal medico di base e non da medici specialisti, fatte salve specifiche prescrizioni indicate dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) nell'ambito dell'eventuale autorizzazione all'immissione in commercio.
Il governo ha deciso di non ostacolare la distribuzione di cannabis, ma ha cercato di garantire i diritti e la sicurezza dei pazienti, ribadendo che questa tipologia di farmaci a base di cannabis devono essere prescritti solo “quando altri farmaci disponibili hanno dimostrato di essere inefficaci o inadeguati alle esigenze terapeutiche del paziente”. Per ridurre i costi di importazione il Ministero della Salute Italiano ha avviato un progetto pilota per coltivare piante di cannabis e per la fabbricazione dei prodotti direttamente in Italia presso l’Istituto Chimico-Farmaceutico Militare di Firenze.
Le prescrizioni di preparati magistrali sono regolamentate dall’articolo 5 del DL n.23 del 01/02/1998, convertito dalla Legge n.98 del 08/04/1998 (Legge di Bella) pubblicata sul sito del Ministero della Salute il 05/12/2013 dove si chiarisce che gli unici prodotti che posso essere utilizzati per l’allestimento di tali preparazioni sono le sostanze vegetali esportate dall’Office for Medicinal Cannabis del Ministero della Salute, del Welfare dello sport Olandese.
Tali prodotti, denominati Bedrocan, Bediol, Bedrobinol e Bedica sono regolarmente in commercio secondo quanto previsto dalle Convenzioni Internazionali in materia di sostanze stupefacenti, in quanto oggetto di specifica autorizzazione dell’International Narcotics Control Board (INCB).
Alcune Regioni hanno approvato leggi o proposte riguardanti la concessione gratuita di farmaci a base di derivati della cannabis. Tutte queste leggi riguardano sempre e solo la rimborsabilità, non la prescrivibilità.
Indipendentemente dall’approvazione o meno di una Legge Regionale, i farmaci cannabinoidi sono sempre prescrivibili in tutta Italia.
In conclusione, poichè la prescrizione della cannabis è sottoposta alla normativa che regolamenta la prescrizione dei medicinali galenici magistrali, all’impiego fuori indicazioni terapeutiche (legge 94/98- Di Bella) e alla Normativa medicinali Stupefacenti (DPR 309/90 – Tabella dei Medicinali – Sez. B) all’apparenza sembra fortemente complessa sia per la parte che concerne il prescrittore che per quella del preparatore. Questa complessità deriva dall’esigenza di avere un’attenta tracciabilità sull’utilizzo della cannabis e sulla necessità di attivare un’ attenta sorveglianza. La compilazione della Scheda per la raccolta dei dati dei pazienti trattati contenente in forma anonima n i dati relativi a età, sesso del paziente, posologia, esigenze del trattamento farmacologico ed esito dell’utilizzo in relazione alla
finalità.
L’attivazione del sistema di Sorveglianza comprende la rilevazione di segnalazioni concernenti sospette reazioni avverse alle preparazioni galeniche contenenti cannabis, che devono essere trasmesse dagli operatori sanitari entro 2 giorni lavorativi, all’ ISS. La raccolta ed il monitoraggio di tali segnalazioni, incrociate con i dati sui pazienti trattati (Scheda raccolta dati pazienti) consente di completare il quadro sulla tracciabilità e sicurezza sull’uso di cannabis in analogia con qiuanto accade per i medicinali industriali.
5.2 La ricetta medica e la sua prescrizione per preparati magistrali
In base all’articolo 5 della legge 94/98, dove il Ministero della Salute chiarisce la prescrizione dei medicinali a base di cannabis, i medici posso prescrivere preparazioni magistrali esclusivamente a base di principi attivi che sono descritti nelle farmacopee di paesi dell’Unione europea oppure che siano contenuti in medicinali prodotti industrialmente di cui è autorizzato il commercio in Italia o in un altro paese dell’Unione europea
(medicinali in possesso di A.I.C.).
Il medico, previo ottenimento da parte del paziente del consenso, può prescrivere il galenico a base di cannabis, specificando sulla ricetta le esigenza particolari che giustificano il
ricorso alla preparazione estemporanea.
Sulla ricetta dovrà essere inoltre trascritto un codice alfa-numerico che identifica il paziente (non devono essere scritti nome e cognome) in collegamento con i dati di archivio che poi permetterà il riconoscimento del soggetto stesso da parte delle autorità competenti.
La ricetta presenterà dunque:
1) nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, timbro e firma del medico prescrittore. 2) codice alfa-numerico che identifica il paziente.
3) composizione quali-quantitativa del prodotto vegetale e % titolo di THC. 4) forma farmaceutica, quantità di farmaco.
5) eventuali indicazioni per l’allestimento, posologia e via di somministrazione. 6) esigenze particolari che giustifichino l’estemporaneità.
Il medico, oltre a dover rispettare i metodi di prescrizione, rilascerà al paziente un foglio informativo riguardante effetti collaterali e secondari della terapia a base di cannabis. La ricetta per preparazioni magistrali a base di Cannabis Flos, è una ricetta di tipo Non Ripetibile (RNR), ha dunque una validità di 30 giorni escluso quello della redazione da parte del medico, ed è valida per un’unica preparazione (v. esempio Figura 3).
5.3 Doveri del farmacista
Qualità, sicurezza ed efficacia sono i tre parametri indispensabili per un medicinale, sia di sintesi che naturale, prodotto da un’azienda farmaceutica o da un laboratorio di preparazioni galeniche.
Nel caso delle preparazioni galeniche, mentre il responsabile dell’efficacia e dell’appropriatezza clinica è il medico, il responsabile e garante degli aspetti relativi alla
qualità e alla sicurezza è il farmacista.
Ancor prima di effettuare la preparazione il farmacista è tenuto ad osservare specifiche regole per quanto riguarda la documentazione, l’acquisto e il carico scarico delle sostanze; a compilazione di un bollettario buoni-acquisto, del registro di carico e scarico dello stupefacente.
La documentazione di tutte le materie prime deve contenere almeno le seguenti informazioni:
- denominazione e/o nome chimico - quantità acquistata
- data di arrivo
- numero di lotto, nome del produttore e nome dell’eventuale distributore
Per quanto riguarda le droghe vegetali, queste devono essere fornite alla farmacia in confezione integra recante in etichetta anche:
- denominazione della droga e nome botanico della pianta secondo il nome scientifico accettato dalla Farmacopea Ufficiale
- luogo di origine della droga
- se ottenuta da pianta spontanea o coltivata
- data di raccolta, confezionamento e limite di utilizzo - forma di presentazione della droga
- titolo riferito al o ai principi attivi caratteristici, riportati nelle singole monografie
Tutte le materie prime devono essere numerate con numerazione unica attribuita dal farmacista, data di primo ed ultimo utilizzo.
Sul certificato di analisi occorre annotare la numerazione assegnata alla materia prima e la data di ricezione.
Vista la collocazione nella Tabella della Farmacopea della cannabis, il farmacista ha delle specifiche regole di conservazione dei documenti delle materie prime e delle preparazioni magistrali a base di cannabis.
Le ricette contenenti prescrizioni di preparazioni con sostanze stupefacenti appartenenti alle sezioni A, B e C della Tabella dei medicinali devono essere conservate per due anni.
I fogli di lavorazione devono essere conservati per sei mesi. Per lo stesso tempo, dall’ultimo utilizzo, devono essere conservati i flaconi vuoti di materie prime e relativi certificati di analisi della materia prima che vi era contenuta.
Il registro di carico e scarico, e i bollettari Buoni-Acquisto per due anni dall’ultima registrazione.
Il DM 18/11/2003 sancisce le procedure di allestimento dei preparati magistrali e officinali e Norme di Buona Preparazione dei medicinali in farmacia.
I principali controlli che devono essere effettuati sul prodotto finito sono: - verifica della correttezza delle procedure eseguite
- controllo dell’aspetto
- controllo del confezionamento
- verifica della corretta compilazione dell’etichetta, compresa l’indicazione sulla modalità di conservazione e di vendita
L’etichetta posta sulla confezione che verrà dispensata al paziente dovrà riportare varie diciture obbligatorie:
- codice alfa-numerico distintivo del paziente
- componenti indicati con la dicitura in FU e titolo (Cannabis Flos Bedrocan 19% THC)
- posologia e modalità di somministrazione
- avvertenze, istruzioni, precauzioni e conservazione
- “soggetto alla disciplina del DPR n.309/90 e succ. modifiche Tabella B” - “contiene sostanze dopanti L.376/00 – S8 – cannabinoidi”
Successivamente all’allestimento della preparazione il farmacista deve effettuare lo scarico della materia prima usata dal registro degli stupefacenti; effettuare il carico della
preparazione sul registro degli stupefacenti.
Apporrà sulla ricetta, la data, numero progressivo della preparazione, firma del preparatore, prezzo (calcolato secondo la tariffazione entrata in vigore in data 9/11/2017) e timbro della farmacia.
Il farmacista preparatore invierà una copia della ricetta alla ASL e la conserverà per due anni. Entro il 31 gennaio dell’anno successivo trasmetterà i dati delle quantità totali di sostanze attive vietate per doping utilizzate nelle preparazioni estemporanee. Essendo la cannabis una sostanza ad azione stupefacente deve essere trattata come le altre sostanze così catalogate, nel momento in cui deve essere ordinata, il farmacista utilizzerà il
modello di Buoni acquisto.
Le farmacie e le società autorizzate al commercio all’ingrosso di medicinali stupefacenti devono utilizzare, per l’acquisto, vendita o cessione di sostanze stupefacenti o medicinali di cui alla tabella dei medicinali sezioni A, B e C, il modello conforme al Decreto ministeriale del 18 dicembre 2006, formato da quattro copie, in blocchetti preconfezionati contenenti non più di cento buoni acquisto o direttamente stampabili estemporaneamente dal richiedente al momento dell’emissione dell’ordine ( v. Figura 4 ). Con l’abrogazione dell’articolo 39 del Decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990 (Testo unico degli stupefacenti) non è più utilizzabile il bollettario buoni acquisto in tre sezioni di modello conforme a quanto previsto dal DM 20 aprile 1976. Il modello in tre sezioni è stato sostituito dal modello in quattro copie per le richieste singole e cumulative di sostanze stupefacenti o psicotrope e delle relative composizioni medicinali conforme a quanto previsto dal Decreto ministeriale del 18 dicembre 2006. I bollettari del modello in tre sezioni parzialmente utilizzati devono essere chiusi con riferimento alla legge 79/14 e conservati in farmacia per lo stesso tempo dei registri di entrata e uscita. Eventuali bollettari in tre sezioni ancora inutilizzati possono essere restituiti