• Non ci sono risultati.

Il ruolo della tecnologia NAT nell'evoluzione della sicurezza trasfusionale e individuazione delle OBI.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il ruolo della tecnologia NAT nell'evoluzione della sicurezza trasfusionale e individuazione delle OBI."

Copied!
55
0
0

Testo completo

(1)

- 1 - Sommario

1. Introduzione ... - 2 -

2. Normative in tema di sicurezza trasfusionale ... - 3 -

3. Le tecniche di amplificazione degli acidi nucleici per la ricerca di HCV RNA, HIV RNA, HBV DNA finalizzate alla qualificazione biologica dei prodotti ad uso trasfusionale ... - 7 -

3.1 Estrazione degli acidi nucleici ... - 8 -

3.2 Amplificazione ... - 9 -

3.3 Rilevazione ... - 11 -

4. Sviluppo delle tecniche di amplificazione ... - 11 -

5. Rischio di trasmissione delle infezioni virali tramite trasfusione di sangue dopo l’introduzione degli esami NAT ... - 15 -

6. Cenni sul virus dell’epatite B ... - 20 -

6.1 Aspetti epidemiologici ... - 20 -

6.2 Struttura virale e ciclo replicativo ... - 23 -

6.3 Ciclo replicativo ... - 28 -

7. Significato clinico dei vari componenti di HBV ... - 30 -

8. Infezione occulta da virus dell’epatite B ... - 32 -

8.1 Introduzione ... - 32 -

8.2 Epidemiologia ... - 35 -

8.3 Aspetti virologici ... - 35 -

8.4 Implicazioni cliniche ... - 36 -

8.5 Diagnosi ... - 38 -

9. OBI: Marcatori sierologici e selezione dei donatori ... - 38 -

10. OBI e la sicurezza trasfusionale ... - 43 -

11. Studio di incidenza dell’infezione da HBV ... - 44 -

(2)

- 2 -

1. Introduzione

La sicurezza degli emocomponenti trasfusi costituisce un obiettivo primario che le istituzioni sanitarie pubbliche ed i trasfusionisti si sono imposti per tutelare la salute dei principali protagonisti del sistema trasfusionale: i donatori ed i riceventi.

La terapia trasfusionale rimane comunque una pratica non esente da rischi, in quanto rappresenta un trapianto di tessuto al quale, come tale, sono associati rischi sia di natura infettiva (virus, batteri, protozoi) che immunologica.

Questo problema assume una maggior rilevanza sociale se consideriamo l’ampio ricorso alla terapia trasfusionale: da una parte assistiamo ad un aumento della richiesta dovuto all’accresciuta attività chirurgica, ai trapianti, all’invecchiamento della popolazione ed alle problematiche connesse; dall’altra, al miglioramento stesso dell’organizzazione e delle tecniche trasfusionali che rendono più agevole e rapida la disponibilità di emocomponenti e la loro stessa infusione.

Il settore trasfusionale ha saputo rispondere con una forte evoluzione tecnico-scientifica che ha portato al miglioramento degli standard qualitativi degli emocomponenti e, allo stesso tempo, all’ impiego di procedure diagnostiche in grado di garantire la sicurezza del sangue in ambito trasfusionale.

Diversi studi hanno dimostrato che sia il rischio di morte dovuto ad un'infezione post-trasfusionale sia il rischio infettivologico residuo sono trascurabili [1],[2]. Tuttavia, le motivazioni etico-scientifiche dell'opinione pubblica e delle società scientifiche sono orientate alla massima sicurezza e hanno spinto gli organismi regolatori a pubblicare nuove normative [3]-[5], rendendo di fatto obbligatoria una revisione del concetto di sicurezza trasfusionale per quanto riguarda la validazione biologica delle unità. Le tecniche di biologia molecolare sono state standardizzate, le procedure operative

(3)

- 3 -

semplificate e parzialmente automatizzate; ciò ha favorito l'introduzione dei test di amplificazione genomica (NAT) nella routine del Servizio Trasfusionale [6],[7]. L’esecuzione della NAT su ogni unità donata è diventata rapidamente patrimonio consolidato della Medicina Trasfusionale. In virtù della loro elevata sensibilità e specificità, la NAT ha permesso di ridurre in maniera decisivamente significativa il periodo finestra per l’infezione da HIV, HBV, HCV, e di conseguenza il rischio di trasmissione di infezioni virali attraverso la terapia trasfusionale. Inoltre, la disponibilità delle tecniche di biologia molecolare è stata fondamentale per diagnosticare le infezioni occulte da HBV, che comunque rappresentano uno dei punti di maggiore interesse trasfusionale, in quanto nonostante l’implementazione dei metodi di amplificazione genomica per lo screening delle donazioni di sangue, il virus dell’epatite B rimane il più trasmesso con la terapia trasfusionale.

2. Normative in tema di sicurezza trasfusionale

Il settore trasfusionale è caratterizzato da molteplici normative, il cui campo di applicazione spazia dagli aspetti tecnico-scientifici, a quelli medico-legali e a quelli socio-sanitari. Contenuti etici sono fortemente presenti in molti di questi provvedimenti legislativi, che richiamano l’obbligo all’uso ottimale della risorsa sangue, la gratuità della donazione ed il suo valore sociale e solidaristico, l’obbligo all’emovigilanza, nonché la tutela della salute di donatori e riceventi.

I provvedimenti legislativi hanno guidato negli ultimi decenni anche il percorso verso una sempre maggiore sicurezza trasfusionale, legittimamente pretesa dai cittadini e doverosa dopo il tributo sociale pagato negli anni a causa di emocomponenti infetti. Nonostante i buoni livelli di sicurezza trasfusionale raggiunti, gli organi internazionali competenti hanno promulgato normative finalizzate alla massima restrizione possibile della finestra immunologica, introducendo nella diagnostica

(4)

- 4 -

virale di emocomponenti e plasmaderivati le tecnologie NAT che consentono l’identificazione diretta dei componenti virali.

Nel 1997, il CPMP (Committee for Proprietary Medicinal Products) ha emesso la Raccomandazione 390/97 “The introduction of nucleic acid amplification technology for the detection of hepatitis C virus RNA in plasma pool”, che sollecitava i Paesi Membri affinché fossero rilasciati sul mercato solo emoderivati risultati non reattivi per l’HCV RNA mediante tecniche di amplificazione degli acidi nucleici, utilizzando metodi validati per adeguata specificità e sensibilità. La Farmacopea Europea recepisce questa sollecitazione, introducendo l’obbligatorietà della ricerca dell’HCV RNA su tutti i plasma pool destinati al frazionamento a partire dal 1/7/1999. Successivamente vengono emesse quindi delle linee guida che definiscono i criteri di validazione e stabiliscono le modalità di valutazione dell’adeguatezza delle procedure analitiche di amplificazione genica per la rilevazione quantitativa della presenza del virus HCV.

Anche l’Italia recepisce l’urgenza di adeguare i livelli di sicurezza trasfusionale a quella dei partner europei: dal 1 luglio 1999, a seguito del Decreto Ministeriale del 29 marzo 1999, tutti i pool di plasma umano destinati al frazionamento per la produzione di emoderivati devono essere saggiati e risultare negativi per l’HCV RNA mediante tecnica di amplificazione degli acidi nucleici, con una metodologia validata ed una sensibilità di almeno 100 UI/ml.

Questo provvedimento produceva un diverso livello di sicurezza tra i plasmaderivati commerciali, saggiati obbligatoriamente per l’HCV RNA, e gli emocomponenti labili quali eritrociti, piastrine e plasma fresco congelato che, nei centri trasfusionali non venivano sottoposti a NAT, creando così un problema etico.

Per superare questo gap e assicurare un pari livello di sicurezza nelle trasfusioni, il Ministero della Sanità ha emanato, il 30 ottobre 2000, la circolare n°17 che riguarda “L’adeguamento dei livelli di sicurezza trasfusionale in presenza di metodiche atte alle indagini sui costituenti virali per l’HCV” e che sancisce la progressiva estensione

(5)

- 5 -

della tecnologia NAT anche al sangue e agli emocomponenti labili destinati alla terapia trasfusionale. Spetta però alle Regioni definire protocolli operativi, al fine di ottenere i massimi livelli di qualità dei risultati a fronte di economicità di gestione. Questa legge nella Regione Toscana è stata recepita con la delibera della Giunta Regionale n.65 del 28/01/02,”Introduzione tra gli esami di validazione biologica degli emocomponenti di pronto impiego del test di ricerca dell’ RNA Virus dell’epatite C (HCV-RNA) e dell’immunodeficienza acquisita (HIV-RNA) con

metodologiche che utilizzano l’amplificazione genomica”; con questa

determinazione, si è quindi provveduto a:

- introdurre tra gli esami di validazione biologica degli emocomponenti di pronto impiego la ricerca dell’RNA del virus dell’epatite C (HCV-RNA) con metodologia NAT, nonché la contemporanea analoga ricerca per il virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV-RNA) in quanto tale combinazione incrementava ulteriormente la sicurezza degli emocomponenti

- individuare i Centri Diagnostici deputati all’esecuzione dei test per la ricerca di HCV-RNA e HIV-RNA

Alle Regioni vengono concesse proroghe dal Ministero fino a Maggio 2002, per consentire il progressivo adeguamento strutturale ed organizzativo dei Servizi Trasfusionali, che si trovano di fronte a diverse problematiche:

costi: studi di fattibilità dimostravano infatti che tale metodologia era economicamente vantaggiosa per un numero di donazioni non inferiore a 30.000/anno, mentre in Italia il 75% delle strutture trasfusionali raccoglie meno di 10.000 unità/anno (ed il 52% circa, meno di 1000 unità/anno);

personale adeguatamente formato ed in numero sufficiente per far fronte ai nuovi carichi di lavoro;

ambienti, attrezzature e reagenti idonei;

organizzazione atta a garantire la rapidità di refertazione per salvaguardare la tempestiva distribuzione di emocomponenti validati.

(6)

- 6 -

La realizzazione concreta del progetto e dell’organizzazione prevista dalla delibera n.65 del 28/01/02 si attua con la delibera della Giunta Regionale n. 656 del 25/06/02 con la quale sono stati introdotti tra gli esami di validazione biologica di emocomponenti i test del HCV RNA e HIV-RNA con la metodologia NAT. Questi due test vengono eseguiti presso tre Servizi di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (SIMT) delle Aziende Ospedaliere Universitarie Careggi (SIMT Careggi), Pisa (SIMT Santa Chiara) e Siena (SIMT Le Scotte), individuati come Centri Diagnostici di riferimento per le rispettive Aree Vaste.

Con la delibera n. 183 del 22/11/04 della Regione Toscana si completa quindi il quadro di esami biomolecolari per la validazione biologica degli emocomponenti, infatti si introduce anche il test HBV DNA affiancato ai test HCV-RNA e HIV-RNA. L’introduzione di questo esame, in anticipo rispetto a quanto verrà indicato solo tre anni dopo dal Decreto del Ministero della Salute del 27/03/08 è stato ritenuto necessario considerato che:

- l’utilizzo del test di screening sierologico HBsAg per la validazione degli emocomponenti non eliminava il rischio residuo specifico di contrarre l’epatite B - non risultava proponibile, ai fini del mantenimento dell’ autosufficienza regionale di emocomponenti e plasma derivati, eliminare tutte le donazioni HBsAg negative e HBcAb positive.

Riassumendo, nella Regione Toscana dal 2005 ad oggi gli esami obbligatori di biologia molecolare ad ogni donazione sono: HCV NAT, HIV NAT, HBV NAT. A livello nazionale, invece questi esami per validazione degli emocomponenti e plasma derivati, sono diventati obbligatori solo tre anni dopo.

(7)

- 7 -

3. Le tecniche di amplificazione degli acidi nucleici per la

ricerca di HCV RNA, HIV RNA, HBV DNA finalizzate

alla qualificazione biologica dei prodotti ad uso

trasfusionale

Le tecniche di biologia molecolare hanno assunto un ruolo importante nella diagnostica di laboratorio e in particolare nell’ambito della qualificazione biologica del sangue e degli emocomponenti. L’amplificazione genica (polymerase chain reaction = PCR), scoperta da Kary B. Mullis nel 1984 (premio Nobel per la chimica nel 1993), sin dalla sua introduzione si è rivelata uno strumento diagnostico estremamente preciso, una tecnica di straordinaria sensibilità, in grado di riconoscere la presenza di poche copie di una particolare sequenza di DNA o RNA all’interno di un campione biologico.

Le semplificazioni metodologiche introdotte e lo sviluppo di strumenti automatizzati hanno reso possibile l’applicazione sempre più diffusa d’indagini di laboratorio, basate sull’amplificazione di acidi nucleici , recentemente dominate Nucleic acid Amplification Technology o NAT. Applicazione della NAT offre il vantaggio di una rilevazione diretta del virus e di una sensibilità più elevata di quella dei metodi immunoenzimatici.

La PCR è stata la prima tecnica di amplificazione di DNA riportata in letteratura e quella più ampiamente sviluppata ed applicata. Dopo l’introduzione della PCR sono stati sviluppati altri metodi, alternativi o complementari; Ligase chain reaction (LCR), Transcription Mediated Amplification (TMA), Nucleic Acid Sequenze Based amplification (NASBA), Strand Displacement Amplification (SDA), Nested PCR, o di amplificazione del segnale come branched DNA e, di recente introduzione, l’innovazione rappresentata dalla PCR real time.

(8)

- 8 -

Pur utilizzando tecnologie diverse, ogni metodo per l’identificazione del genoma virale è basato su tre passaggi essenziali:

a) estrazione degli acidi nucleici b) amplificazione

c) rilevazione

3.1 Estrazione degli acidi nucleici

Questa prima fase del processo è molto importante, in quanto l'efficienza di amplificazione di un tratto di genoma è legata alla purezza del campione che viene utilizzato per l'amplificazione. Proteine e sostanze presenti nel campione interagiscono con l'enzima Taq-polimerasi ( tratta dal batterio termofilo Thermus aquaticus), responsabile della neo-sintesi del frammento di acido nucleico da amplificare, riducendo di molto l'efficienza dell'amplificazione stessa.

Pertanto, una buona amplificazione è anche il risultato di una buona estrazione degli acidi nucleici che consente di avere un prodotto di partenza il più puro possibile. Il primo passaggio da eseguire nella fase di estrazione è la lisi delle

particelle virali, con liberazione degli acidi nucleici in soluzione, mediante l'uso di guanidina isotiocianato (GuSCN) o proteinasi K e detergenti quali SDS, TRITON, EDTA. Molti dei kit in commercio prevedono l'aggiunta al campione di un tampone di lisi che contiene GuSCN e detergenti necessari a rompere le cellule con liberazione di virus eventualmente presenti, a inattivare i virus stessi e a stabilizzare gli acidi nucleici con la distruzione degli enzimi RNA-asi e DNA-asi. L'estrazione degli acidi nucleici può essere eseguita in "fase liquida" o in "fase solida". Nel primo caso, l'estrazione viene eseguita in soluzione acquosa e gli acidi nucleici sono purificati da sostanze inibitrici, quali le proteine, mediante passaggi successivi. Il metodo più utilizzato è l'estrazione con fenolo-cloroformio che consente di separare molto bene gli acidi nucleici dalle proteine. Successivamente, gli acidi nucleici vengono estratti

(9)

- 9 -

dalla fase acquosa attraverso una precipitazione con alcool che, disidratandoli, ne consente la precipitazione.

L'estrazione in fase solida prevede, dopo la lisi, la cattura degli acidi nucleici da parte di resine o di biglie magnetiche in grado di legare sia RNA che DNA. Tutta la fase di purificazione avviene, quindi, mantenendo gli acidi nucleici legati alla resina o alle biglie.

Lo step finale prevede l'aggiunta di una soluzione di eluizione che stacca gli acidi nucleici dal supporto solido liberandoli in soluzione, pronti per la fase successiva di amplificazione. Le tecniche di estrazione consentono di estrarre dal campione o gli acidi nucleici complessivamente (DNA e RNA) oppure, in maniera selettiva, DNA o RNA. Nel caso di RNA il gradiente di Cloruro di Cesio consente l'estrazione di RNA totale, mentre le colonnine oligo-dT (Timidina) consentono di separare gli RNA messaggero.

3.2 Amplificazione

L'amplificazione degli acidi nucleici consiste nel riprodurre, con aumento esponenziale, una specifica sequenza di DNA o RNA (una singola molecola può essere amplificata milioni di volte) in tempi rapidi ed in maniera riproducibile. La prima tecnica messa a punto ed utilizzata, soprattutto nel campo della ricerca, è stata la reazione a catena mediata dalla polimerasi o PCR, ed è quella che a tutt'oggi trova ancora la più ampia applicazione.

La metodica PCR prevede l'utilizzo dell'enzima DNA polimerasi, di primers e deossinucleotidi trifosfati (dNTP). Per quanto concerne la DNA polimerasi, nei primi esperimenti di PCR veniva utilizzato come enzima il frammento di Klenow di DNA polimerasi di E.coli. Questa proteina doveva essere aggiunta manualmente al termine di ogni ciclo, perché, essendo termolabile, veniva inattivata dalle alte temperature. Nel 1988 la polimerasi di E.coli è stata sostituita dalla DNA polimerasi isolata dal batterio Thermus acquaticus (Taq polimerasi) che è termostabile e resiste ad

(10)

- 10 -

incubazioni fino a 95 °C. L'impiego della Taq polimerasi ha quindi consentito la completa automazione della procedura di amplificazione. Con il termine di primers si intendono oligonucleotidi complementari agli opposti filamenti di DNA e delimitanti il tratto di genoma che si vuole amplificare; essi, legandosi alla sequenza specifica mediante legami idrogeno, espongono un gruppo 3'OH alla DNA polimerasi, consentendo in tal modo l'azione catalitica dell'enzima. I dNTP sono di fatto "i mattoni" che consentono la neosintesi di filamenti complementari al tratto di DNA, aggiungendo i dNTP presenti nella miscela di reazione ai primers già legati. Ciascuno dei filamenti neosintetizzati sarà complementare al DNA target. A seguito di un ulteriore aumento della temperatura, gli ibridi costituiti dal filamento del DNA e da quello neosintetizzato vengono nuovamente denaturati, fornendo così due catene addizionali di DNA stampo per un successivo ciclo di ibridazione con i primers. In genere, la PCR prevede la ripetizione del ciclo da venti a quaranta volte.

La successiva evoluzione della tecnica PCR è stata la sua applicazione anche all'analisi dell'RNA (RT-PCR). In questo caso, l'RNA deve essere previamente sottoposto ad una retrotrascrizione ad opera di una DNA polimerasi RNA dipendente (trascrittasi inversa) per ottenere una copia di cDNA che, a sua volta, entra nel processo di amplificazione secondo lo schema descritto. Il maggior problema nello studio dell'RNA è rappresentato dalla possibilità di contaminazione con la ribonucleasi (RNA-asi), enzima che può degradare l'RNA. Le RNA-asi sono molto stabili e diffuse ubiquitariamente, non solo nel campione biologico ma anche nelle secrezioni corporee (ad esempio le mani sono una grande fonte di RNA-asi). È quindi, necessario adottare alcune precauzioni dirette a creare condizioni di lavoro cosiddette RNA-asi-free. A questo scopo, è essenziale l'organizzazione dell'ambiente in cui si lavora, la manualità degli operatori, le procedure operative e il materiale che viene utilizzato. Il grande vantaggio della PCR è l'aumento della sensibilità, poiché, ad ogni ciclo di amplificazione, la sequenza di acido nucleico target presente nel campione in esame e delimitata dai primers, viene teoricamente raddoppiata.

(11)

- 11 - 3.3 Rilevazione

In questo step finale vengono rilevati i prodotti generati durante la fase di amplificazione. La rilevazione, a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere, può essere: qualitativa o quantitativa. La rilevazione qualitativa consente di mettere in evidenza soltanto la presenza o meno del prodotto di amplificazione senza rilevarne la quantità effettiva. Fra i diversi metodi di rilevazione qualitativa vi sono:

- Elettroforesi, Southern blotting, Northern blotting,

- Test immunoenzimatici con denaturazione degli ampliconi e ibridazione su micropozzetti,

- Test in chemiluminescenza ed elettrochemiluminescenza (ECL).

I metodi di rilevazione quantitativa consentono di evidenziare il numero di copie di acido nucleico presenti nel campione. In generale, i metodi quantitativi prevedono l'aggiunta al singolo campione di uno o più calibratori specifici con un numero noto di copie. Il/i calibratore/i segue, dunque, tutte le fasi dell'intero processo, preparazione del campione, amplificazione, ibridazione e rilevazione insieme al campione da testare. I livelli di acido nucleico bersaglio presente nei campioni testati vengono determinati confrontando il "segnale" del target con il segnale dello standard di quantizzazione di ogni campione.

Pertanto, l'impiego dei calibratori consente di rilevare effetti di inibizione, di controllare il processo di amplificazione e di quantizzare l'acido nucleico eventualmente presente nel campione in esame.

4. Sviluppo delle tecniche di amplificazione

Dopo l'introduzione della PCR sono state sviluppate altre tecniche di amplificazione degli acidi nucleici, quali: l'amplificazione basata sulla sequenza dell'acido nucleico

(12)

- 12 -

(Nucleic Acid Sequence Based Amplification, NASBA), l'amplificazione mediata dalla trascrizione (Transcription Mediated Amplification, TMA) e l'amplificazione del segnale (branched DNA: bDNA).

Il metodo NASBA si basa sul trasferimento dell'informazione genetica caratteristico del meccanismo di replicazione dei retrovirus.

La reazione di amplificazione avviene in maniera isotermica a 41°C, eliminando così la necessità di apparecchiature termocicliche. La tecnica di amplificazione utilizza come target di partenza l'RNA.

Il prodotto dell'amplificazione mediante NASBA è quindi un RNA a singolo filamento "antisenso" (3'-5') che deriva dalla amplificazione di circa 106-109 volte la sequenza originale [8],[9].

Il metodo TMA utilizza due primers e due enzimi, RNA polimerasi e trascrittasi inversa. Uno dei primers contiene una sequenza promotore per la RNA polimerasi. È un processo autocatalitico che avviene a temperatura costante [10].

Il bDNA è un sistema alternativo che si basa sull'amplificazione del segnale invece che sull'amplificazione dell'acido nucleico. Si ha il legame di cosiddette molecole "segnale" (ad esempio, fosfatasi alcalina) direttamente alla sequenza da identificare, in modo da creare una struttura a DNA ramificato (branched DNA).

Il segnale ottenuto alla fine della reazione è proporzionale alla quantità di DNA target presente nel campione. Questa tecnica viene molto usata per la quantificazione sia di DNA che di RNA.

L’innovazione tecnologica della PCR è rappresentata dalla PCR real time, la metodica per eccellenza nella quantificazione del DNA amplificato. La PCR real time, permettendo di visualizzare l’amplificato man mano che si forma, rappresenta uno strumento prezioso per migliorare la diagnostica e fornire al clinico risultati attendibili in tempo utile.

Nel Centro di Qualificazione Biologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana la metodica utilizzata per rilevare la presenza del virus dell’RNA

(13)

- 13 -

dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1), dell’RNA del virus dell’epatite C (HCV) e del DNA del virus dell’epatite B (HBV) in campioni di plasma e di siero da donatori è la TMA con il kit PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY su piattaforma TIGRIS SYSTEM. Il kit prevede un’analisi qualitativa In Vitro di amplificazione degli acidi nucleici e tutto ciò avviene in tre fasi principali che hanno luogo all’interno di un’unica provetta. Tali fasi consistono nella preparazione del campione, nell’amplificazione della molecola target dell’RNA dell’HIV-1 e dell’HCV e del DNA dell’HBV mediante tecnologia di amplificazione mediata da trascrizione (TMA) [11] e nel rilevamento del prodotto dell’amplificazione (amplicone) per mezzo dell’analisi di protezione dell’ibridizzazione (Hybridization Protection Assay, HPA) [12].

Durante la preparazione del campione, l’RNA e il DNA virali vengono isolati dai campioni mediante cattura del target. Il campione viene trattato con un detergente per solubilizzare l’involucro virale, denaturare le proteine e rilasciare l’RNA e/o il DNA genomico del virus. Gli oligonucleotidi (“oligonucleotidi di cattura”) omologhi a regioni altamente conservate dei virus HIV-1, HCV e HBV vengono ibridizzati con i target dell’RNA dell’HIV-1 o dell’HCV, o con il target del DNA dell’HBV, se presenti, del campione di analisi. Il bersaglio ibridato viene, quindi, catturato su microparticelle magnetiche che vengono separate dal campione all'interno di un campo magnetico. Una serie di lavaggi consente quindi di rimuovere dalla provetta di reazione i componenti estranei. La separazione magnetica e i lavaggi vengono eseguiti mediante un sistema dedicato, denominato TCS (Target Capture Sistem). L’amplificazione del target avviene mediante TMA, un metodo di amplificazione dell’acido nucleico mediato da trascrizione che utilizza due enzimi, la trascrittasi inversa del virus MMLV e la T7 RNA polimerasi. La trascrittasi inversa viene utilizzata per generare una copia del DNA (contenente una sequenza di promotori per la T7 RNA polimerasi) della sequenza target. La T7 RNA polimerasi produce molteplici copie di amplicone dell’RNA dal templato del DNA.

(14)

- 14 -

Il rilevamento si ottiene mediante l’analisi HPA utilizzando sonde di acido nucleico a filamento singolo con marcatura chemio luminescente complementare all’amplicone. Le sonde di acido nucleico marcate ibridizzano specificamente con l’amplicone. Il reagente di selezione distingue le sonde ibridizzate da quelle non ibridizzate disattivando la chemioluminescenza di queste ultime. Durante la fase di rilevamento, il segnale chemioluminescente prodotto dalla sonda ibridizzata viene misurato mediante un luminometro ed espresso in unità di luce relative (Relative Light Units, RLU).

A ciascuna provetta contenente un campione di analisi, un controllo o un calibratore viene aggiunto il controllo interno tramite il reagente di cattura del target di lavoro (working Target Capture Reagent, wTCR) che lo contiene. Il controllo interno contenuto in questo reagente verifica le fasi di preparazione, amplificazione e rilevamento del campione. Il segnale del controllo interno in ciascuna provetta o reazione di analisi viene distinto dal segnale HIV-1/HCV/HBV grazie alla cinetica differenziale dell’emissione luminosa dellediverse sonde marcate [13]. L’amplicone specifico del controllo interno viene rilevato mediante una sonda a emissione luminosa rapida, detta “segnale flash”. L’amplicone specifico dei virus HIV-1/HCV/HBV viene rilevato utilizzando sonde con una cinetica di emissione luminosa relativamente più lenta, detta “segnale glow”. Il test cinetico doppio (Dual Kinetic Assay, DKA) è un metodo utilizzato per distinguere tra loro i segnali generati dalle marcature con segnale flash e quelli generati dalle marcature con segnale glow [13]. Quando utilizzata per il rilevamento simultaneo di HIV-1, HCV e HBV, il PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY è in grado di effettuare la distinzione tra il segnale del controllo interno e il segnale combinato di HIV-1/HCV/HBV, ma non è in grado di distinguere tra loro i singoli segnali di HIV-1, HCV e HBV.

I campioni risultati reattivi mediante il PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY possono essere sottoposti ad analisi discriminatorie specifiche per HIV-1, HCV e/o HBV per

(15)

- 15 -

determinare se sono reattivi solo per HIV-1, HCV, HBV o per una combinazione qualsiasi dei tre.

Le analisi discriminatorie PROCLEIX® per HIV-1, HCV e HBV utilizzano le stesse tre fasi principali del PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY(cattura del target, TMA e HPA). Viene quindi eseguita la medesima procedura di analisi, con una sola differenza: invece del reagente sonda del PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY, vengono utilizzati i reagenti sonda specifici per HIV-1, HCV o HBV. Il test PROCLEIX ULTRIO PLUS ASSAY mostra una sensibilità valutata con il limite di rivelamento 95% : per HCV RNA 3,1UI/ml, per HIV RNA 27,6 coppie/ml, per HBV DNA 2,1UI/ml.[14]

L’utilizzo diagnostico di questi strumenti altamente automatizzati ha permesso l’accentramento di tutti gli esami NAT presso un unico centro di Area Vasta, garantendo la sicurezza trasfusionale ed un adeguato rapporto costo/beneficio per i test svolti.

5. Rischio di trasmissione delle infezioni virali tramite

trasfusione di sangue dopo l’introduzione degli esami NAT

Il rischio di infezioni HIV, HBV, HCV associato alla trasfusione, pur drasticamente ridotto, non è scomparso ed è rappresentato dalle donazioni di sangue di donatori sieronegativi durante il periodo “finestra”, che costituisce la fase viremica precedente alla sieroconversione. L’introduzione delle metodologie di amplificazione degli acidi nucleici per la validazione degli emocomponenti hanno ridotto questo "periodo finestra" e di conseguenza il rischio residuo[15],[17]. (Tabella 1)

(16)

- 16 -

Tabella 1 Riduzione della fase di finestra diagnostica con i test NAT.

Le principali fonti di dati per lo studio del periodo finestra sono rappresentate dagli studi retrospettivi dei riceventi di emocomponenti da donatori che hanno sieroconvertito, dai casi di esposizione nosocomiale, come quelli risultati da punture accidentali e dai modelli animali di infezione da HIV, HBV, ed HCV. Dall’analisi di questi modelli risulta chiaro che esiste un periodo successivo all’esposizione al virus, durante il quale la replicazione virale è ristretta ai siti tissutali (linfonodi o fegato), e la viremia non è riscontrabile. Questa fase è denominata fase di eclissi del periodo finestra e può durare giorni o settimane [18]-[20]. Al termine della fase di eclissi, le concentrazioni virali nel plasma cominciano ad aumentare; in un primo momento questo incremento può essere lento (fase di "pre-ramp-up" ), ma poi diventa esponenziale (fase di " ramp-up ") [20],[21]. I meccanismi che portano alla transizione tra le fasi di pre-ramp-up e ramp-up dell’ infezione non sono noti. La fase di avviamento inizia quando il numero di cellule bersaglio produttivamente infette supera una soglia critica tale che la velocità di produzione del virione aumenta esponenzialmente. La dinamica della replicazione virale nella fase di avviamento può essere descritta da una variabile nota come il tempo di raddoppio, che è il tempo necessario in cui la replicazione virale diventa misurabile nel plasma. Ad un certo momento la concentrazione plasmatica di acido nucleico raggiunge un equilibrio che rimane tale, anche a livelli elevati, per settimane (fase di " plateau ") che si verifica principalmente con l’infezione da HCV, oppure l’equilibrio instauratosi dura pochi giorni, come nel caso dell’HIV. Dopo settimane dall'inizio della fase di

(17)

- 17 -

accelerazione, il sistema immunitario adattativo inizia a svilupparsi e ciò si traduce nella soppressione della replicazione virale nelle cellule infette e quindi si assiste al declino della viremia plasmatica, fase appena successiva a quella di plateau [22]-[25].

(Figura 1)

Figura 1 Schema che mostra infettività , viremia e livelli di anticorpi durante le prime fasi e fasi tardive di HIV-1, HCV e HBV. La linea continua nera mostra i relativi livelli plasmatici di viremia in infezione acuta e persistente, mentre la linea nera tratteggiata mostra i livelli del virus nel risolvere l'infezione sia con l'eradicazione del virus o infezione latente. La linea blu indica il titolo di anticorpi neutralizzanti nel plasma. Dopo l'infezione (vedi freccia) il virus si replica negli organi bersaglio (fase di eclisse). I livelli di viremia plasmatica sono in primo luogo troppo basse per essere rilevate da NAT (pre-ramp-up fase), ma successivamente le concentrazioni di virus aumentano log-lineare (ramp-up fase) fino ad un livello di picco viremia è raggiunta (picco o fase di plateau).

Le fasi dell’infezione che sono considerati come “periodo finestra” includono sempre l’eclissi, le fasi di accelerazione e una parte di plateau. La durata di questo periodo è variabile e dipendente dal tipo di virus, dalla carica virale e dalla sensibilità del sistema NAT adottato.

(18)

- 18 -

Per quanto riguarda l’HIV, con la ricerca dell’antigene p24 il periodo finestra risulta ridotto di 6 giorni circa, rispetto al test ELISA che ricerca gli anticorpi, mentre con la introduzione delle analisi di amplificazione degli acidi nucleici, il periodo finestra si riduce di 11 gg [26] (Figura 2). In questo modo, il rischio stimato di trasmissione del virus con la trasfusione è drasticamente ridotto [27].

Figura 2 Tempi di comparsa dei marcatori diretti ed indiretti dell’HIV.

Diversamente da quanto avviene per l’ HIV, per il quale la fase HIV-RNA -positivo e anticorpo- negativo è breve, nel caso dell’HCV vi è una lunga fase viremica ad alto titolo che precede l’aumento delle ALT e la siero conversione. Inoltre, la transizione da un risultato NAT negativo a positivo è molto rapida, a causa del tempo di replicazione straordinariamente breve, stimato approssimativamente 0,1 giorni. In questo modo, con le tecniche NAT l’HCV RNA può essere evidenziato entro 1o 2 settimane dall’infezione riducendo cosi la lunga fase finestra di oltre l’80% [28],[29]. Per queste ragioni, l’utilizzo dell’HCV-RNA come test di screening risulta particolarmente utile nella diagnosi tempestiva dell’infezione perché consente di rilevare l’infezione con circa 59 giorni di anticipo rispetto ai dosaggi anticorpali attualmente in uso (Figura 3).

(19)

- 19 -

Figura 3 Tempi di comparsa dei marcatori dell’HCV.

Nel caso dell’HBV, l’introduzione della NAT non ha permesso di ridurre in modo significativo il rischio di trasmissione da donatori in periodo finestra. Infatti, il virus può essere rilevato a bassi livelli nel plasma per molte settimane prima dell’HBsAg, ma il tempo di replicazione virale è di circa quattro giorni, per cui i livelli di HBV DNA nel plasma aumentano lentamente (Figura 4)

Figura 4 Tempi di comparsa dei marcatori dell’HBV.

Pertanto, a causa dei livelli di HBV-DNA relativamente bassi durante la fase pre-HBsAg, le strategie della ricerca con i test di amplificazione permetterebbero di rilevare solo una parte di donazioni effettuate durante il periodo finestra. Secondo i

(20)

- 20 -

dati pubblicati da W.K. Roth [30], la NAT per l’HBV incrementa comunque la sicurezza trasfusionale: dallo screening di 3,6 milioni di donazioni sono stati rilevati 6 campioni HBV DNA positivi con HBsAg negativo; 2 campioni erano donatori infetti che non hanno sieroconvertito e 4 donatori anti HBc positivi con bassi livelli di carriers HBV, comunque rilevati dal test NAT.

Dati relativi ai casi di infezione post-trasfusionale indicano che l’HBsAg viene rilevato soltanto 50–60 giorni dopo la trasfusione [31]. Recenti studi indicano invece che le analisi di amplificazione degli acidi nucleici per la determinazione della presenza del DNA dell’HBV permettono di rilevare l’infezione da HBV con svariate settimane di anticipo rispetto al rilevamento dell’HBsAg [32]-[35]. Nonostante ciò, l’HBV rimane sempre il virus maggiormente trasmesso con le trasfusioni. Infatti, le stime del rischio residuo (probabilità che un’unità di sangue idonea alla trasfusione, possa comunque trasmettere l’infezione, in assenza di marcatori specifici rilevabili con usuali test di screening) per l‘HBV DNA sono più alte rispetto all’HIV e all’HCV e questa differenza, oltre che dovuta alla particolare dinamica replicativa, deriva dalla presenza di un infezione occulta da virus del epatite B.

6. Cenni sul virus dell’epatite B

6.1 Aspetti epidemiologici

L'impatto dell'infezione da virus dell'epatite B sull'intera popolazione mondiale rimane ancora oggi elevato; circa 2 milioni di persone nel mondo sono state infettate in una fase della loro vita da HBV.

Si stima che vi siano circa 350 milioni di portatori di HBsAg su scala mondiale, la maggior parte dei quali vive in Asia ed Africa sub-Sahariana, dove le complicazioni

(21)

- 21 -

associate all’epatopatia cronica ed il tumore del fegato sono tra i più importanti problemi di salute.

Globalmente da 600 mila ad 1 milione di persone muoiono annualmente per complicazioni correlate all’infezione da HBV [36],[37].

Su scala planetaria è possibile individuare tre differenti aree in base alla prevalenza di portatori di HBsAg (Figura 5).

Alta prevalenza (8%): Sud-Est Asiatico, Cina, Africa subsahariana

Media prevalenza (2-8%): Centro e Sud America, Medio Oriente, Asia Centrale, Giappone, alcuni paesi dell’area mediterranea.

Bassa prevalenza (<2%): Australia e Nuova Zelanda, Nord America, Europa Occidentale.

(22)

- 22 -

L’Italia viene attualmente classificata tra le aree a bassa prevalenza essendo presenti nella popolazione generale circa 900.000 portatori cronici di HBsAg (1.5% circa della popolazione totale). Vi è inoltre una quota non facilmente stimabile, ma dell’ordine di alcuni milioni di soggetti, con “markers” di pregressa infezione da HBV (positività almeno dell’anticorpo anti-HBc) [38].

Il Sistema Epidemiologico Integrato dell'Epatite Virale Acuta (SEIEVA) ha evidenziato un progressivo calo dell’incidenza nel tempo e ogni anno essa ammonta a 0,9 per 100.000 abitanti. Questa forte riduzione dell’incidenza è dovuta a diversi determinanti; le migliorate condizioni igieniche e socio-economiche, la riduzione della dimensione dei nuclei familiari e quindi della circolazione intra-familiare dei virus, una maggiore conoscenza sulle vie di trasmissione e una migliore prevenzione con l’introduzione di misure quali lo screening del sangue, lo screening per HBsAg nelle gravide e la profilassi nei nati da madri HBsAg positive, l’adozione di precauzioni universali, prima fra tutte l’abbandono dell’uso di siringhe non monouso, la campagna educativa sull’infezione da HIV le cui modalità di trasmissione sono comuni ai virus HBV. Una importante modifica del trend epidemiologico è avvenuta però con introduzione della vaccinazione obbligatoria nel 1991 per tutti i nuovi nati e per i dodicenni. La diminuzione di incidenza ha interessato in particolar modo il gruppo d’età 15-24 anni. Oggi i soggetti che sviluppano epatite B sono soprattutto maschi. La fascia d’età maggiormente interessata è quella 35-54 anni. Le infezioni acute da virus HBV ad oggi sono principalmente acquisite tramite esposizione percutanea in corso di trattamenti cosmetici, terapia odontoiatrica e attività sessuale promiscua. Sembra che negli ultimi anni ci sia un nuovo aumento dell’incidenza in relazione all’immigrazione di soggetti provenienti dall’Europa dell’Est, area ad alta endemia per HBV [39].

(23)

- 23 - 6.2 Struttura virale e ciclo replicativo

Il virus dell’epatite B (HBV) appartiene alla famiglia Hepadnaviridae che include numerose specie virali degli uccelli e dei mammiferi con organizzazione genomica, organo-tropismo e strategie replicative simili.

Alla microscopia elettronica, il virione dell’HBV appare come una particella sferica di 42-nm di diametro (particella di Dane), a doppia parete costituita da un involucro esterno di natura lipoproteica, chiamato envelope e da un rivestimento proteico interno, il capside, che racchiude il DNA virale ed una DNA-polimerasi virus-specifica. Il capside, il genoma virale e la DNA-polimerasi nel loro insieme formano il core o nucleocapside del virione (Figura 6, Figura 7) [40].

(24)

- 24 -

Figura 7 Struttura schematica dell'HBV.

Nel corso dell’infezione da HBV, oltre alle particelle di Dane, vengono prodotte e rilasciate nel sangue grandi quantità di particelle subvirali incomplete, prive di acido nucleico e quindi non infettive, di 22-nm di diametro e che presentano forma sferica o filamentosa (Figura 8). Tali particelle subvirali, presenti in circolo in quantità assai maggiore rispetto alle particelle virali complete, sono il risultato di un’eccessiva sintesi, da parte del virus, delle proteine dell’envelope. Il genoma di HBV è una molecola di DNA circolare parzialmente bicatenario (di 3.200 paia di basi) costituito da un filamento lungo L di senso negativo e da un filamento corto S incompleto di senso positivo di lunghezza variabile. Il filamento S è incompleto per il 10-50% a seconda delle particelle virali. Il filamento L non è continuo ma presenta un’incisione a livello del 5’ del filamento S dove presenta una struttura a forcina possibile sito d’origine della replicazione. Qui il 5’ del filamento L lega una proteina che può partecipare all’innesco della sintesi del DNA virale.

(25)

- 25 -

Figura 8 HBV osservato al TEM. Accanto alle “particelle di Dane” si osservano formazioni tubulari e sferiche di piccole dimensioni. (Almeida e Waterson, American Jou of Med. Sciences, 1975).

Il filamento L contiene l’intera potenzialità codificante ed è costituito da 4 ORF (Open Reading Frames) che nella loro sequenza risultano parzialmente sovrapposte: gene S (con le regioni pre-S1 e pre-S2), gene P, gene C (con la regione pre-C), gene X (Figura 9). L’HBsAg classico presente sulla superficie del virione è l’espressione del gene S e viene definito proteina S o “small”. Nel caso vengano tradotte anche la regione pre-S1 e pre-S2 si ottengono varianti proteiche di maggiori dimensioni la cui proporzione varia nelle differenti particelle virali e nelle diverse fasi dell’infezione.

(26)

- 26 -

(27)

- 27 -

In definitiva l’espressione della sola regione S porta alla sintesi della proteina S di 24kD, l’espressione della regione pre-S1 + pre-S2 + S determina la sintesi della proteina L “large” di 39kD e l’espressione della regione pre-S2 + S determina la sintesi della proteina M “medium” di 31kD. La proteina S è quella maggiormente espressa sulla superficie delle particelle virali mentre le proteine L ed M sono espresse in quantità minore rappresentando rispettivamente il 5-15% e 1-2% del totale. L’espressione della regione pre-S sembra essere comunque fondamentale nell’evocare risposte immuni efficienti. In effetti la risposta immune all’HBsAg è maggiore quando questo è costituito anche dalla proteina grande (L) e media (M) (che vengono incluse pertanto nei vaccini ricombinanti). La proteina L risulta essenziale per l’infezione e per la morfogenesi virale essendo implicata sia nel legame del virus ai recettori cellulari, nell’assemblaggio del virione e nel suo rilascio dalla cellula, sia nella sollecitazione della risposta cellulare B e T [41]. La sua presenza nel sangue della persona infetta è strettamente correlata con l’antigene HBeAg e con la presenza di HBV-DNA, due markers sierologici dell’infezione acuta [42].

La proteina M ha un ruolo prioritario per la penetrazione del virus nell’epatocita, poiché contiene un recettore per l’albumina umana. La proteina media è prodotta esclusivamente nella fase di infezione acuta [42]. La proteina S, chiamata anche

l’antigene S o HBsAg è codificata dal gene S e rappresenta la più piccola tra le

proteine di superficie. Si chiama anche proteina maggiore (major) a causa della sua presenza dal punto di vista quantitativo. L’antigene HBsAg appare molto precocemente nel siero delle persone infettate nel corso dell’infezione, costituendo il primo marker sierologico dell’infezione e prevale nel siero dei portatori cronici. Il gene C codifica per la proteina del capside costituente l’HBcAg [43], mentre la regione pre-C codifica per una proteina che viene scissa dalla proteina capsidica che viene espulsa dalle cellule infettate per esocitosi costituendo l’HBeAg. Il gene P

(28)

- 28 -

codifica per la DNA-polimerasi virionica che agisce da trascrittasi inversa sull’RNA pregenomico durante il ciclo replicativo.

Il gene X codifica per una proteina non-strutturale (HBx) che sembra avere una funzione regolatrice, esprimendo una proprietà transattivante nei confronti delle altre proteine virali e geni cellulari, giocando così un ruolo importante nel processo di epatocarcinogenesi

6.3 Ciclo replicativo

L’HBV, pur essendo un virus a DNA, replica come un retrovirus attraverso la trascrizione inversa di un intermedio a RNA, detto RNA pre-genomico. Subito dopo l’infezione e l’esposizione del genoma, il DNA virale viene trasferito nel nucleo, dove enzimi cellulari operano la conversione del rcDNA (relax and circular) virale in DNA completamente bicatenario e superspiralizzato (cccDNA, covalently closed circular DNA) tramite la sintesi della parte mancante dell’elica S (+). Poiché il cccDNA rappresenta lo stampo per la trascrizione dell’RNA pregenomico, la sua formazione indica l’inizio di infezione. A questo punto l’RNA-polimerasi II cellulare inizia la trascrizione del cccDNA con la formazione di due classi di RNA rappresentate rispettivamente da una serie di RNA messaggeri sub-genomici e da una serie di molecole di RNA (+) pre-genomici in cui è trascritta l’intera sequenza della catena polinucleotica completa (-) del genoma del virus infettante. Gli RNA messaggeri e gli RNA pre-genomici sono quindi trasferiti nel citoplasma. La traduzione degli RNA messaggeri sub-genomici porta alla produzione delle proteine virus specifiche che verranno inserite nell’involucro pericapsidico e della proteina X. Gli RNA pre-genomici, invece, sono bifunzionali poiché rappresentano sia i messaggeri per la produzione delle proteine del capside (core) e della polimerasi, sia gli stampi per la sintesi del DNA della progenie virale. Dopo la sintesi delle proteine

(29)

- 29 -

tradotte dagli RNA pre-genomici, questi ultimi vengono incapsidati dalle proteine del core in una struttura che prende il nome di provirione, al cui interno vengono trascritti in DNA, ad opera della DNA-polimerasi RNA-dipendente (trascrittasi inversa) virus specifica, con la formazione di un complesso intermedio RNA/DNA . La polimerasi dirige la trascrizione a livello del pregenomic encapsidation signal, detto “epsilon” (ε) costituito da una serie di sequenze invertite ripetute organizzate in una struttura secondaria. La polimerasi virale opera, a questo punto, la rimozione dello stampo di RNA pregenomico e la successiva sintesi (parziale) della catena complementare di DNA (attività di polimerasi DNA-dipendente). La sintesi del filamento S (+) non sarà completato a causa delle proteine del nucleocapside che si legano all’elica L (-), quindi il genoma virale della progenie sarà circolare, rilassato e parzialmente bicatenario (Seeger and Mason, 2000). Il provirione, a questo punto, è un virione definitivamente formato nelle sue strutture essenziali, che acquisisce l’involucro pericapsidico dalle membrane del reticolo endoplasmatico in cui sono inserite le glicoproteine virali di superficie e cosi fuoriesce della cellula.(Bruss, 2007) (Figura 10). Un aspetto caratteristico della replicazione degli hepadnavirus è rappresentato dal fatto che alcuni virioni, una volta completata la sintesi del genoma, anziché essere avviati all’acquisizione dell’involucro pericapsidico e all’esportazione all’esterno della cellula, vengono riciclati mediante il loro trasferimento nel nucleo cellulare dove il genoma virale, viene ulteriormente trascritto, con l’innesco di un ulteriore ciclo replicativo. Questo meccanismo consente una notevole amplificazione della quantità di progenie virale prodotta da una singola cellula, e spiega la presenza di antigeni virali nel nucleo delle cellule infette. Dopo la penetrazione nella cellula ospite, quindi, l’HBV DNA esiste in due stati: libero, che rappresenta la forma intermedia di replicazione, o integrato nel genoma cellulare.

(30)

- 30 -

Figura 10 Rappresentazione schematica del ciclo di replicazione dell'HBV (Raimondo, 2007)

Un aspetto particolare del ciclo replicativo di HBV che sta alla base dell’infezione persistente è che una piccola parte di nucleocapsidi non viene indirizzata verso la via secretoria, tornando invece nel nucleo dove il DNA genomico viene convertito in ccc-DNA; ciò permette di creare una riserva stabile di molecole di ccc-DNA che fungano da stampo trascrizionale senza la necessità di reinfezioni multiple [44].

7. Significato clinico dei vari componenti di HBV

Per lo screening dell’HBV esistono numerosi marcatori che indicano la replicazione virale, la cronicità o la risoluzione della malattia, lo stadio iniziale d’infezione e altro.

(31)

- 31 -

Si distinguono in marcatori di infezione (HBsAg, anti-HBc, anti-HBe), di replica virale (HBV-DNA, HBeAg), di danno virus-indotto (IgM anti-HBc) e di immunità (anti-HBs) [45].

HBsAg ed Anti-HBs

L’ HBsAg resta il marcatore di infezione per eccellenza. E’determinabile da 1 a 10 settimane dall’infezione acuta e prima dell’insorgenza dei sintomi o dell’incremento delle transaminasi. Nei pazienti che guariscono, l’HBsAg diventa negativo dopo 4-6 mesi. La persistenza oltre 6 mesi indica la progressione della malattia nella forma cronica.

L’anticorpo verso l’HBsAg ( anti-HBs) appare in concomitanza con la scomparsa dell’HBsAg e frequentemente persiste, conferendo un’immunità duratura [46].

HBcAg ad Anti-HBc

L’antigene core (HBcAg) non è determinabile nel siero pur essendo presente nei nuclei degli epatociti fin dalle primissime fasi, perchè è ricoperto dall’antigene di superficie HBsAg. Quando il HBcAg viene espresso sulla superficie degli epatociti infettati, è il principale bersaglio della risposta immunitaria cellulo-mediata finalizzata alla distruzione degli epatociti infetti [47]. L’anticorpo anti-HBc si ritrova in tutti i soggetti esposti al virus: esso non è protettivo e non permette la distinzione tra evento acuto e cronico, rinvenendosi sia nel soggetto guarito che nel portatore cronico. La distinzione tra evento acuto e cronico si basa invece sul riscontro, nel primo caso, degli anticorpi anti-core di tipo IgM che non permettono però la discriminazione tra epatite acuta e riacutizzazione in corso di epatopatia cronica [48]. Nei soggetti che guariscono, l’anti-HBc è della classe IgG ed è associato all’anti-HBs, mentre nei pazienti con epatite cronica attiva si ritrova in associazione all’HBsAg ed eventualmente anche le IgM anti-HBc associate alla positività all’anti-HBe. I livelli sierici di HBV-DNA possono risultare non determinabili (con metodi di

(32)

- 32 -

ibridazione), pur in presenza di alterati indici di citolisi; le IgM anti-HBc, dosate con metodica quantitativa ad elevata sensibilità, sono un marcatore diagnostico di epatite B, in grado di identificare i portatori di HBsAg con danno epatico [45].

HBeAg ad Anti-HBe

L’HBeAg è un marcatore di replica virale e di infettività. Compare circa 7-10 giorni dopo HbsAg e scompare dopo 2-3 settimane, con la formazione del rispettivo anticorpo. La sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe e la negatività dell’HBV-DNA sierico indicano generalmente guarigione. La maggior parte dei pazienti, nella nostra area geografica, presenta la mutazione nella regione precore del genoma virale, che impedisce l’espressione dell’HBeAg; in questi soggetti si riscontra malattia epatica attiva , HBV-DNA positivo nel siero ed HBeAg negativo.

HBV-DNA

L’HBV-DNA nel siero è un indicatore sensibile e specifico di replica virale e può raggiungere nel sangue titoli superiori a 109 virioni per ml.

8. Infezione occulta da virus dell’epatite B

8.1 Introduzione

Nonostante l’implementazione dei metodi di amplificazione genomica per lo screening delle donazioni di sangue, il virus dell’epatite B può essere comunque trasmesso con la terapia trasfusionale. La trasmissione più frequente del virus in questi casi è dovuta alla presenza nel donatore di un infezione occulta da virus dell’epatite B (OBI).

(33)

- 33 -

Figura 11 Visualizzazione grafica dei marcatori virali, epoca di comparsa in base al periodo di infezione.

L’OBI viene definita come la persistenza a lungo termine di genomi virali nel tessuto epatico (ed in alcuni casi anche nel siero) in soggetti negativi per l’antigene di superficie di HBV (HBsAg), con o senza la presenza di marcatori sierologici di pregressa infezione (anti-HBs e/o anti-HBc) [49]. Il tratto comune degli individui affetti da HBV occulta è la negatività per l’HBsAg, in presenza di livelli di HBV-DNA rivelabili nel fegato e rilevabili o meno nel siero. La carica virale nelle infezioni

(34)

- 34 -

occulte da HBV risulta essere comunque molto bassa, solitamente con valori inferiori a 200UL/ml, motivo per cui l’aumento della sensibilità delle tecniche di biologia molecolare è risultato fondamentale per la diagnosi in questo ambito.

Sulla base del profilo virologico, i pazienti con OBI possono essere distinti in OBI-sieropositivi (HBc e/o HBs positivi), OBI-sieronegativi (HBc ed anti-HBs negativi) e “falsi OBI”. I soggetti OBI-sieropositivi possono aver perso l’anti-HBsAg dopo la risoluzione di un’epatite acuta o dopo anni di infezione cronica. I casi OBI-sieronegativi possono avere progressivamente perso tutti gli anticorpi anti-HBV o potrebbero essere stati sieronegativi sin dall’inizio dell’infezione. I “falsi OBI” presentano una concentrazione variabile di HBV-DNA cosi come si osserva comunemente nella tipica infezione con HBsAg positivo, ma i livelli di quest’ultimo non risultano rilevabili con le metodiche attualmente in uso a causa per esempio della presenza di virus mutati geneticamente [49].

(35)

- 35 - 8.2 Epidemiologia

L’infezione occulta da HBV è diffusa a livello mondiale e la sua distribuzione riflette la generale prevalenza dell’HBV nelle varie aree geografiche, anche se questi dati sono spesso contrastanti a causa della differente sensibilità e specificità delle tecniche utilizzate per la sua rilevazione nei vari studi.

8.3 Aspetti virologici

Le basi molecolari dell’infezione HBV occulta sono strettamente legate al caratteristico ciclo cellulare dell’HBV e in particolare alla lunga persistenza nei nuclei degli epatociti dell’HBV cccDNA (cccDNA=covalently closet circular DNA). La stabilità e la persistenza delle molecole di cccDNA, insieme alla lunga emivita degli epatociti fa si che l’infezione virale, una volta avvenuta, possa persistere anche per tutta la vita in maniera subclinica [50],[51].

Quasi tutti i soggetti affetti da OBI sono infettati da un virus capace di replicarsi, che però mostra una forte soppressione dell’attività replicativa e dell’espressione genica, il che si traduce in una riduzione complessiva dell’attività virale.

In altri casi le OBI sono dovute alla presenza di un virus B mutante, difettivo nella replicazione o nella sintesi della proteina S: ciò sembra essere dovuto rispettivamente a mutazioni nella regione della polimerasi e nella regione promotrice dell’S. Anche con questo tipo di infezione, conservando l’HBV-DNA la capacità di integrarsi nel genoma dell’ospite, viene mantenuto il potere oncogenico del virus B e conseguentemente il suo potenziale ruolo nello sviluppo di epatocarcinoma [50],[51]. In definitiva, nell’infezione occulta si realizza una forte inibizione della replicazione e dell’espressione genica virale, che è responsabile non solo della negatività per l’HBsAg ma anche del minimo livello di HBV-DNA sierico, caratteristico della maggioranza dei pazienti affetti da HBV occulta. I meccanismi di tale effetto soppressivo rimangono ad oggi ancora da chiarire, e basati solo su evidenze indirette,

(36)

- 36 -

[51],[52] ma alcuni di questi sono rappresentati p.es. dalla risposta immune dell’ospite, dalla presenza di co-infezioni e di fattori epigenetici. Per quanto riguarda la risposta immunitaria dell’ospite essa gioca un ruolo principale nella forte soppressione dell’attività replicativa. Un soggetto OBI positivo che diventi immunocompromesso, può mostrare una riattivazione immuno-mediata dell’attività replicativa virale e mostrare quindi dei danni CTL-mediati a livello degli epatociti, che possono condurre inevitabilmente allo sviluppo di epatite. La co-infezione con altri agenti infettanti, virali e non, è stata chiamata in causa come fattore addizionale in grado di inibire la replicazione di HBV e l’espressione genica; a conferma di questo concetto, la più elevata prevalenza di infezione occulta è stata rilevata in pazienti con infezione cronica da HCV e studi in vitro hanno dimostrato come la proteina del core di HCV agisca da potente inibitore della replicazione HBV. Come ricordato precedentemente, anche i fattori epigenetici possono giocare un ruolo chiave nell’induzione dello status occulto dell’infezione: è stato infatti evidenziato come le molecole di HBVcccDNA organizzate come microsomi virali, siano soggette ad attività enzimatiche anomale, dovute a modifiche dell’ambiente intraepatico, a loro volta determinate dalla presenza di coinfezioni, di agenti chimici o citochine [49],[53],[54].

8.4 Implicazioni cliniche

La rilevanza clinica delle OBI può essere schematicamente raggruppata in quattro principali tematiche (Figura 13): (a) trasmissione dell’epatite B; (b) riattivazione dell’infezione da HBV; (c) progressione verso la cirrosi di epatopatie croniche associate ad altre cause di danno epatico; (d) fattore favorente lo sviluppo di HCC.

a) l’HBV, anche nella sua forma occulta, è trasmissibile ed in grado di determinare le classiche forme di malattia epatica HBsAg positiva negli individui infettati. Tale trasmissione è verosimilmente la principale causa dei rari casi di epatite B legati alle emotrasfusioni [55]. In caso di trapianto di

(37)

- 37 -

fegato, se l’organo del donatore presenta infezione occulta, il rischio che il ricevente sviluppi un’infezione cronica B “tipica” è particolarmente alto, tanto che viene effettuata profilassi anti-HBV nei soggetti riceventi di organi da donatori anti-HBc positivi [56].

b) data la potenziale reversibilità dei meccanismi che sottendono l’inibizione della replicazione virale, una condizione di immunosoppressione (per patologie e/o chemio-immuno-terapia) può determinare la riattivazione dell’OBI con ricomparsa del profilo sierologico di un’infezione produttiva e sviluppo quindi di epatite acuta che può avere esito fatale [57],[58]

c) numerosi studi ed una recente metanalisi indicano che le OBI possano favorire la progressione della fibrosi epatica, in particolare nei pazienti infettati da HCV (che rappresentano la categoria di soggetti con la più alta prevalenza di HBV occulto) [59],[60].

d) come confermato da una recente metanalisi, l’OBI svolge un ruolo pro-oncogenetico sia con meccanismi indiretti (favorendo lo sviluppo di cirrosi) che diretti (integrazione nel genoma dell’ospite, sintesi di proteine pro-oncogene) [57],[61].

(38)

- 38 - 8.5 Diagnosi

L’unico marcatore attendibile di OBI è l’HBV DNA. Di conseguenza, solo le indagini di biologia molecolare possono evidenziare tale tipo di infezione. Un’importante raccomandazione è che i campioni biologici da esaminare debbono essere raccolti, conservati e poi esaminati nelle condizioni ottimali previste per le indagini che si basano sulla reazione a catena della polimerasi (PCR).

Solo nei casi in cui i test bio-molecolari non possono essere effettuati si può utilizzare la positività dell’anticorpo anti-HBc allo scopo di identificare possibili portatori di detta infezione in caso di donazione di sangue od organi e quando una terapia immuno-soppressiva deve essere iniziata. In questo contesto, è importante considerare che una percentuale rilevante di casi di OBI sono HBV siero-negativi e che, d’altra parte, i test per la ricerca dell’anti-HBc possono dare risultati falsamente positivi.

Vi è da sottolineare che, sebbene il gold standard per la ricerca dell’OBI sia rappresentato dall’esame del DNA estratto da tessuto epatico, quest’ultimo è disponibile solo in una minoranza dei casi. Quindi, i campioni ematici rappresentano il substrato “obbligato” per lo studio delle OBI. E’ opportuno ribadire che i test oggi in commercio per la determinazione in real time dell’HBV DNA serico sono molto sensibili e specifici, tanto da consentire l’individuazione di buona parte dei casi di OBI in cui vi sia presenza di DNA virale circolante.

9. OBI: Marcatori sierologici e selezione dei donatori

In campo trasfusionale, i marcatori sierologici per lo screening dell’infezione da HBV si sono modificati nel tempo in relazione allo sviluppo delle conoscenze e ai

(39)

- 39 -

test di laboratorio disponibili. All’inizio degli anni ’70 è stato introdotto il test per la ricerca dell’HBsAg. Con questo esame la trasmissione per via trasfusionale dell’epatite B è stata drasticamente ridotta ma non del tutto debellata. A metà degli anni’ 80 è stato introdotto un ulteriore marker dell’epatite B, gli anticorpi diretti contro l’antigene del core (anti-HBc). Più recentemente è stato possibile introdurre fra gli esami di screening dei donatori la ricerca dell’HBV DNA. Fondamentalmente questo test può rilevare un’infezione acuta da HBV prima della comparsa dell’HBsAg, riducendo il ”periodo finestra” durante il quale i donatori infetti potrebbero ospitare i virioni infettanti nella fase replicativa ed in assenza di marcatori sierologici e segni o sintomi di infezione. Inoltre, il test per la ricerca dell’HBV DNA ha permesso di identificare in un certo numero di donatori la presenza di DNA virale insieme agli anticorpi anti-HBc, con o senza anticorpi anti-HBs e/o anti-HBe [49]. Attualmente, i test effettuati come marcatori per l’epatite B, ai fini della validazione biologica degli emocomponenti, possono essere suddivisi in 3 categorie:

1) test che ricercano direttamente una componente antigenica del virus (HBsAg) e i test di amplificazione genica (HBV DNA),

2) test che ricercano un anticorpo segno del pregresso contatto dell'organismo con il virus (anti-HBs, anti-HBc, anti-HBe),

3) test surrogati che possono essere indicativi indirettamente, e in misura meno specifica, del contatto con il virus e del suo danno a carico del fegato (ALT). In tutti i Paesi del mondo i test di screening per la validazione degli emocomponenti variano e dipendono dall’epidemiologia dell’HBV. A tutt’oggi la ricerca dell’HBsAg è eseguita in tutto il mondo ed è considerata irrinunciabile anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità [62].

In alcuni Paesi a bassa endemia di HBV (generalmente con prevalenza di anti-HBc intorno a 1%: Nord Europa, USA, Canada [64] al test per l’HBsAg è stato aggiunto quello per l’anti-HBc, in alternativa al test NAT. Il razionale dell'impiego dell'anti-HBc nello screening è il seguente:

(40)

- 40 -

• è un marcatore sierologico di infezione recente e pregressa e persiste nel tempo;

• può essere l'unico marcatore sierologico presente in fase acuta, dopo la scomparsa di HBsAg; (dopo anni di infezione cronica da HBV, non produttiva, i livelli di HBsAg circolanti diventano talmente bassi da non essere più rilevabili);

• il numero di soggetti resi non idonei alla donazione, in quanto risultati anti-HBc positivi, è limitato in virtù della bassa endemia;

• può essere una misura di ulteriore sicurezza rispetto alla sola ricerca di HBsAg e può essere una alternativa (meno specifica, ma più economica) alla introduzione del test NAT per HBV.

Tuttavia va sottolineato che la specificità del test anti-HBc non è ottimale, anche se recentemente migliorata [63]-[66] in alcuni paesi a bassa endemia, (Germania [64] e USA [67]) sono stati adottati algoritmi per la riammissione di donatori risultati anti-HBc positivi.

In Paesi ad endemia medio/alta di infezione da HBV (Sud ed Est Europa, Asia, Sud Africa [68],[69] oltre alla ricerca di HBsAg è stata introdotta la ricerca di HBV DNA, solitamente in aggiunta ad analoghi test per HCV RNA e HIV RNA.

Il valore aggiunto dell'introduzione del test NAT per HBV può essere così indicato: • è un marcatore diretto del virus;

• riduce il periodo finestra dell’infezione acuta; • consente di identificare i soggetti con OBI;

• consente l'esclusione dalla donazione di sangue della sola quota di donatori con pregressa infezione da HBV che presentano una reale possibilità infettante. Inoltre, la ricerca di HBV DNA per lo screening dei donatori, ha consentito di ottenere ulteriori preziose informazioni quali:

(41)

- 41 -

• la persistenza di bassi livelli di HBV DNA nei quadri di infezione acuta in cui l'HBsAg non è più rilevabile;

• le dinamiche biologiche e le oscillazioni della carica virale nella fase cronica dell'infezione con livelli di HBsAg al di sotto del limite di rilevabilità dei test in uso;

• la diagnosi di quadri di infezione da virus B mutato con alterati epitopi di HBsAg, non rilevabili dai comuni test di screening [70],[71].

L'Italia è considerata un Paese a bassa endemia di infezione da HBV [39] ed i test obbligatori per la prevenzione della trasmissione con la trasfusione di HBV sono l’HBsAg e l’HBV DNA. Allo stato attuale, lo screening delle unità di emocomponenti con questi test diretti è la scelta più sicura per ridurre il rischio residuo di trasmissione dell’HBV attraverso la trasfusione in quanto:

1) consente la selezione di emocomponenti HBsAg non reattivi sia nella fase finestra dell’infezione acuta, sia nella fase cronica e occulta;

2) consente di escludere dalla donazione di sangue, fra i donatori anti-HBc positivi, solo quelli che potenzialmente sono in grado di trasmettere l’infezione, (HBV DNA positivi).

Di fronte ai test molecolari oggi autorizzati in Italia con una sensibilità analitica di 3,7-10,4 UI/Ml [72], quindi molto elevata, l’impiego di anti-HBc, come criterio aggiunto di idoneità dell’unità di emocomponente donato e del donatore, non viene raccomandato [62]. L’impiego del test anti-HBc comporterebbe l'eliminazione di circa l'8% di nuovi donatori e se questo criterio fosse applicato a tutta la popolazione dei donatori italiani si determinerebbe l’eliminazione di una quota di soggetti, incompatibile con i programmi di autosufficienza.

L’uso dei marcatori sierologici di HBV, tra cui l'anti-HBc, è invece raccomandato negli studi epidemiologici, nelle valutazioni di rischio trasfusionale [73] e nelle procedure di conferma di un quadro di positività per HBV DNA: l'assenza di

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

[r]

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE TRAPANI. DIRIGENTE MEDICO DI

Pagina 2 di 15 Le tabelle delle discipline (specializzazioni e servizi) equipollenti sono contenute nel D.M. Per il calcolo dell’anzianità di servizio si fa riferimento

A causa della presenza di alloanticorpi e dell’esistenza di gruppi sanguigni non identificabili come il gruppo Mik, verso il quale è documentata la presenza di anticorpi in alcuni

 Ritiro referti donatori: Centro Trasfusionale Lunedì – Venerdì ore 08:00 – 12:00, oppure consulta le sedi di Sportello Ritiro Referti

4. Ogni modifica sostanziale delle attività di un servizio trasfusionale e di una unità di raccolta è subordinata a preventiva autorizzazione da parte della regione o della

[r]