NUMERO 7 - dicembre 2014 Irene Frassoldati
Laureata in Ingegneria Edile/Architettura nel 2013 dall’Universita di Bologna. Tesi di laurea in architettura delle infrastrutture e del paesaggio “Rinaturalizzazione delle Arte di Cantiere Dismesse”, relator: Prof. Luigi Bartolomei, Corelator: Arch. Alberto Bortolotti.
L’Impronta Ecologica dei Paesi Industrializzati
Comparare l’impronta ecologica delle diverse nazio-ni e quella procapite per ciascuna nazione ci permet-te di visualizzare una problematica spesso
sottovalutata: il nostro sistema di produzione e di consumo si basa e sulla disuguaglianza. E’ necessa-rio lavorare su questo punto, perchè la condivisione della responsabilità e delle conseguenze a livello globale degli effetti non può che passare attreverso una livellazione anche delle possibilità.
Servirebbero 3-6 pianeti uguali alla Terra per per-mettere di sostenere uno stile di vita come quello di un abitante del Nord America a tutti gli abitanti del Pianeta.
The Ecological Footprint of Industrialized countries
To compare the carbon footprint of different nations and the per capita for each country allows us to visualize a problem often underestimated by our systems of production and consumption, which is based on inequality. There is a need to work on this problem because in sharing the liability and the global consequences, the effects that cannot conti-nue, reveals a series of possibilities.
It would require 3-6 planets equal to Earth in order to sustain a lifestyle like that of an inhabitant of North America in order to supporst all inhabi-tants on Earth.
Parole chiave: importa ecologica,
industrializzazio-ne, Nord America, economie basate sul petrolio, re-sponsabilita sociale
Keywords: ecological footprint, industrialization,
North America, oil-based economies, social respon-sibility
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DIETRO ALL’IDEA DI UN PROGETTO LOCALE Il movimento analitico dal globale al locale ov-vero dal generale al particolare è tipico di ogni processo conoscitivo strutturato e caratteri-stico dello studio di tematiche urbanistiche e progettuali, esso consente con un andamento tipico della meccanica fotografica di delineare contorni più nitidi al prezzo di ridurre il campo visivo. Questa struttura gerarchica delle in-formazioni corrisponde alla logica della men-te umana, ma mostra possibili debolezze, se il processo si mantiene unidirezionale, nella fase della risoluzione-azione conseguente alla prima fase conoscitiva nella quale essa pro-priamente si cala, il momento della volontà di trasformazione non è sempre capace di
sinte-si tra scale differenti, probabilmente a causa della difficile percezione del legame profondo esistente tra parti apparentemente distinte del nostro spazio di vita. “Il battito d’ali di una farfalla in Canada può scatenare un uragano in Messico” dicono, eppure una reale correla-zione tra luoghi così lontani geograficamente e culturalmente è difficile da concettualizzare: possiamo ricordare il monito di grandi teorici, come Gilles Clemént, ma forse le implicazioni delle loro espressioni non superano la propria forza poetica. Cosa significa mantenere un “occhio planetario”? Questa espressione ser-ve al coraggio, per non rinunciare a intrapren-dere, anche a piccola scala, progetti di cam-biamento che tengono conto delle dinamiche
in atto nell’ecosistema-pianeta. Si suggerisce di assecondare una visione unitaria del globo come sistema isolato che può contare solo su energie interne finite e limitate, una immagine della biosfera, fragile e dalle determinate ca-pacità di riproduzione, che l’azione antropica può far fruttificare o disperdere. In una con-tinua analogia con un Eden perduto o creato, l’uomo, da ospite a giardiniere, da creatura fra creature a demiurgo, si deve assumere la re-sponsabilità della cura del suo luogo di vita. Molti esempi dal passato ci suggeriscono che l’autodistruzione è a portata di mano, l’avver-timento viene dal declino delle civiltà che non hanno saputo interpretare le leggi deboli della natura, come accadde agli abitanti dell’Isola di
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Pasqua, che, portando avanti uno stile di vita e una crescita della popolazione al di là dei limiti dell’esiguo spazio che avevano a dispo-sizione, arrivarono a distruggere l’ecosistema tropicale della loro isola, tramutandola in un luogo senza alberi, senza biodiversità e senza risorse per il progresso di una civiltà evolu-ta. Il concetto del limite è fondamentale per comprendere come le azioni locali debbano sempre tenere presente che nessun supporto, nessun aiuto, potrà eternamente intervenire da imprecisati luoghi lontani per sostenere quello che è insostenibile. Il Nord del mondo, il sito che dalla globalizzazione dei mercati e dalla velocità delle comunicazioni ha ricavato il massimo dei benefici, non sa di questa
fini-tezza: vede le merci, i prodotti agricoli, i ca-pitali, affluire continuamente al suo onnivoro consumo e non riflette sull’origine, sulla di-sparità e sull’ingiustizia che li hanno prodotti. Una visualizzazione che è stata inventata per portare alla coscienza di questo fenomeno è quella delle impronte ecologiche: una serie di calcoli, molto astratti in realtà, che permette di associare a una qualunque identità fisica, persona, città o stato, lo spazio naturale ne-cessario per il suo sostentamento. Emerge così una disparità intrinseca al sistema e ir-reparabile, risulta infatti chiaro che il nostro stile di vita, il nostro benessere, non è genera-lizzabile, se infatti tutti gli abitanti della Terra avessero il comportamento di un americano
o di un europeo i limiti del pianeta sarebbero già stati superati: servirebbero all’incirca tre pianeti identici al nostro per pensare di diffon-dere il nostro livello di consumo. Oltre all’in-giustizia evidente anche il degrado ambientale ci suggerisce che il sistema è sottoposto a una pressione che non possiamo permetterci, gli scenari che gli scienziati propongono in rela-zione al cambiamento climatico, dovuto all’e-missione di gas che aumentano l’effetto serra, come anidride carbonica prodotta dai combu-stibili fossili, sono apocalittici e i risvolti sono già visibili nell’intensificazione dei fenomeni atmosferici più distruttivi, come le tempeste tropicali e gli uragani. L’uso dei combustibi-li fossicombustibi-li che ha costituito la base del nostro
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sviluppo nell’ultimo secolo, permettendo di raggiungere una quota di energia procapite impiegata senza precedenti, è anche alla base dei cambiamenti sociali, ambientali e mentali che renderanno progressivamente invivibi-le il nostro pianeta. Se è vero che il petrolio costituisce l’essenza stessa della modernità, essendo ciò che ha reso possibile il nostro progresso sociale e quanto ha dato forma alle nostre città, in termini di dimensione, densità e dispersione, è conseguentemente urgente rendere le sue cattive implicazioni una guida nello sviluppo futuro dei nostri insediamenti. Un’altra notizia, al contempo positiva e allar-mante, viene dalla comunità scientifica: l’an-nuncio di un prossimo picco nella produzione
petrolifera mondiale, che renderà questa ri-sorsa così fondamentale per i trasporti, l’agri-coltura, la produzione industriale, estrema-mente costosa, perchè soggetta a un regime di progressiva scarsità, per cui sarà impossi-bile soddisfare interamente la crescita della domanda e quindi la produzione sarà ripartita in base alla possibilità monetaria di ciascuno di vincere la competizione per ottenerla. Avere impostato così profondamente la vita su una unica risorsa, nociva e progressivamente in esaurimento, non è stato saggio nè lungimi-rante, quello che occorre ora è pensare a una transizione verso un nuovo sistema di approv-vigionamento, immaginando le nostre città come organismi che richiedono cibo, acqua,
energia, merci e che eliminano rifiuti. Esse devono diventare progressivamente sempre più capaci di gestire autonomamente e local-mente questi bisogni. Il tema della decresci-ta felice invade il dibattito ambiendecresci-talisdecresci-ta, au-spicando modelli auto-sostenibili e di minori consumi come unica alternativa a fronte della progressiva perdita di controllo sulla logistica del soddisfacimento delle nostre necessità e sull’etica delle nostre comodità. La dimensio-ne locale è l’unica che non rischia di sfuggire irrimediabilmente alla nostra supervisione rendendoci vandali inconsapevoli. Essa viene proposta come luogo del cambiamento an-che in ragione del fallimento delle politian-che di cooperazione internazionale; chiaramente
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Tra i grandi
misteri che avvolgono
le civiltà scomparse pochi
af
fascinano e stupiscono come quello che riguarda il declio dell’Isola
di Pasqua.
Accurati studi sui reperti archeologici
e sulla
stratigrafia del terreno possono essere fatti
confluire in
una
narrazione coerente del
declino della società.I
primi colonizzatori
della Polinesia si ritrovarono su un’isola
fornita di suolo fertile,
cibo abbondante, materiali da costruzione a piene mani e tutti
i
prerequisiti per una vita
confortevole. Dopo alcuni secoli, essi
cominciarono
a erigere
statue di pietra su piattaforme, come
quelle che i loro antenati polinesiani
avevano scolpito. Col
passare degli anni, le statue
e le
piattaforme divennero sempre
più grandi,probabilmente
in una spirale ascendente di rincorsa al
primato. Alla fine la popolazione in crescita dell’Isola di Pasqua stava tagliando
la foresta più rapidamente
di quanto
la foresta
stessa fosse in grado
di rigenerarsi.
La gente usava i terreni per
i giardini
e il legname
come combustibile, per la costruzione di
canoe e
edifici e,
ovviamente, per
trascinare statue.
Non appena
la foresta scomparve, gli isolani rimasero senza legname e senza corde per trasportare ed erigere
le proprie
statue. La vita
divenne più disagevole, le sorgenti e
i torrenti
si
prosciugarono,
e la legna
non
era più disponibile
per accendere
fuochi. La gente
trovò anche più dif
ficile riempirsi lo stomaco, dal momento che gli
uccelli
terrestri, le grandi
conchiglie
di mare e molti uccelli
marini
scomparvero. Poiché il legname per costruire canoe per
la
navigazione
in mare non era più disponibile,
la pesca declinò
e
le
focene sparirono dalla tavola.
Anche i
raccolti declinarono, dal
momento che la deforestazione
permise
che il suolo
venisse
eroso dalla
pioggia
e dal vento, seccato dal sole e le sue
sostanze nutritive dilavate. L
’intensificata produzione di polli e il cannibalismo rimpiazzarono
solo parte di quelle perdite di generi
alimentari.
Alcune statuette
con guance incavate e costole visibili
che si sono conservate suggeriscono che la gente aveva fame
-Con la scomparsa della sovrabbondanza
di cibo, l’Isola di
Pasqua non poté più nutrire i
capi, i
burocrati e i
preti che aveva
-no mantenuto in funzione una società complessa. Gli isolani ancora
in vita descrissero ai primi visitatori europei come il caos locale rimpiazzò il governo centrale
e una classe di guerrieri
prese il sopravvento sui capi ereditari. Le punte di pietra di lance e pugnali, fabbricate dai guerrieri durante l’epoca della loro mag
-giore prosperità nel ‘600 e
nel ‘700, sono ancora sparse sul
terre -no dell’Isola di Pasqua oggi. V erso il 1700, la popolazione com -inciò a
crollare verso una quantità compresa tra
un quarto e un
decimo del suo numero precedente. La gente cominciò a vivere in caverne
per proteggersi
contro i nemici. V
erso il 1770
i clan
rivali cominciarono
a rovesciarsi le statue a vicenda, demolendo
le teste. Entro il 1864
l’ultima
statua era stata abbattuta e profa
-nata.
CINQUE RACCONTI DI ORDINARIA FOLLIA
PRIMA DI UNA PEDAGOGIA DELLE CATASTROFI UNA STRADA DA CAMBIARE
L'ENTITA' DEL PROBLEMA OBBIETTIVI visioni 2050 PROPOSTE roadmap 2050
smart grid to be continued.. VIVIAMO ANCORA IN UN GIARDINO: LA TERRA Polynesia Chad A fghanistan Congo (K inshasa) Burundi Cambodia Uganda Mali Ethiopia M alawi Bur kina F aso Cen tral A frican R epublic Somalia Rw anda Laos Niger Nepal Lesotho Tanzania M adagascar Guinea Comor os Liber ia Sier ra L eone
Haiti ZambiaMozambique
Bur ma(M yanmar) Guinea-Bissau Bangladesh Kenya Sudan Ghana Benin Cot e d'I voir e (I vor yC oast) Kir iba ti Solomon Islands Camer oon TogoSenegal Bhutan Vanua
tu Sao Tome and P
rincipe Par agua y Sri Lank a Cape V erde Tur ks and C aic os Islands Niger ia Pak istan Samoa Philippines
Papua New Guinea
Nicar agua W. Sahar a Yemen Gua temala Swaziland El S alv ador Kyr gyzstan M aur itania G eor gia Hondur as Morocco Peru Tajik istan Vietnam U .S. P acific Islands India Indonesia Namibia Tonga Dominica Bolivia Colombia Fiji Congo (Br azza ville) Sain t V inc en t/Gr enadines M oldo va Angola Sain t Helena Urugua y
Ecuador Dominican Republic
Egypt Br azil Maldiv es Tunisia Sain t L ucia Botsw ana Cuba Syr ia A lger ia M ongolia Gr enada Gab onMauritius Cook Islands Tur key Nor th Kor ea Jor dan Beliz e Armenia M ac edonia Sain t K itt and Nevis Thailand La tvia
Bosnia and Herzego
vina Chile M exic o A rgen tina Djibouti Vir gin Islands Br itish Sur iname Jamaica Lithuania Romania U zbek istan Panama China Cr oa tia For mer S er bia and M on teneg ro A zer baijan M acau Bar bados Por tugal Hungar y Venezuela Switz er -land Sw eden Fr anc e Bulgar ia Belarus M ala ysia Slo vak ia Uk raine Ira n Mon tser ra t M alta Poland Italy Equa tor ial Guinea Slo venia Libya Ca ymanIslands Spain Austr ia NewZealand Aruba A
ntigua andBarbuda
Unit ed Kingdom Japan Nor w ay Isr ael Gr eec e Tur kmenistan South Africa Ber muda Ger man y Kor ea, South Puer to Ri co Amer ican Samoa Denmar k Gr eenland Guam Finland Oman Seyc helles Cz ech Republic Cyprus Iceland Ireland NewCaledonia Sain t P ier re and M iquelon Russia Hong Kong Taiw an Nauru Kazak hstan Est onia Belg ium Far oe Islands Saudi Arabia Nether lands Th e Bahamas Canada Unit ed Sta tes Austr alia Lux embour g Brunei Kuw ait Singapor e Unit ed A rab Emir at es Bahr ain Tr inidad and T obago Nether lands A ntilles Vir gin Islands , U .S. Gibr altar Ira q Lebanon Qa tar Ser bia Nepal Chad W ake Island U.S. P acific Islands Timor -Lest e (East T imor) Solomon Islands
Papua New Guinea
M aldiv es Laos French P olynesia Cook Islands Brunei Bhutan New Z ealand Amer ican S amoa A fghanistan Cot e d ’Iv oir e W est ern S ahar a Tanzania Sey chelles Sao Tome and P rincipe Sain t Helena Guinea-Bissau M adagascar Mozambique Congo Comor os Cen tral A frican R epublic Cape V er de Bur kina F aso Yemen Palestine Oman Lebanon Bahr ain Tajik istan M oldo va Kyr gyzstan Est onia A zer baijan Armenia Macedonia Ic eland Hungar y Gibr altar For mer S erbia and M on teneg ro Far oe Islands Cyprus
Bosnia and Her
zego vina Albania Dominica Vir gin Islands , U.S. Tur ks and C aic os Islands Tr inidad and T obago Sur iname Sain t V incen t/Gr enadines Sain t L ucia Sain
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Gua temala Nicar agua Nether lands A ntillesMartinique Guadeloupe French Guiana Falk
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ia Unit ed Emir ates Syr ia Saudi Arabia Qa tar Lib ya Niger ia Kuw ait Jor dan Isr ael Ira q Ira n Uzbek istan Uk raine Russia Lithuania Kazak
hstan Georgia Belarus
Unit ed Kingdom Tur key Switz er land Sw eden Spain Slo vak ia Romania Por tugal Poland Nor way Nether lands Slo venia Italy Gr eec e G er man y Fr anc e Finland Denmar k Cz ech Republic Cr oa tia Bulgar ia Belg ium Austr ia Venezuela
Chile EcuadorPeru
Colombia Br azil Bolivia M on tser rat Argen tina Cuba Bar bados Puer to R ic o Unit ed S ta tes D ominican R epublic M exic o Latvia Ireland Canada
TOTAL CARBON EMISSION BY NATIONS
PERCAPITA CARBON EMISSION BY NATIONS
le emissioni totali della Cina sono le più alte al mondo, quando vengono però
diluite
sulla
popolazione
si ritrova al
contrario nelle posizioni di coda.
Guy
ana
The United States is no. 2 for total emissions
but
Americans shrink down to
a respectable
rank in line with other
industrialized citizens.
Tiny Gibraltar tops the per capita
list due
to its
need to import most manufactured goods,a reality also seen in many small island nations.
Comparare
l’impronta
ecologica
delle diverse nazioni
e quella
procapite per ciascuna nazione
ci permette di visualizzare
una problematica
spesso
sottovalutata: il nostro sistema di produzione
e di consumo si basa e sulla disuguaglianza. E’ necessario lavorare
su questo punto, perchè
la condi
-visione della responsabilità
e delle conseguenze
a livello
globale
degli ef
fetti
non può che passare attreverso una livellazione
anche delle possibili
-tà.
Servirebbero
3-6 pianeti uguali alla
Terra per permettere di sostenere uno stile di vita come quello di un abitante del Nord
America a tutti
gli
abitanti del PIanta.
Nel
1992
si è calcolato
che un vasetto di yogurt alle
fragole
da
125 grammi comprato a Stoccarda incorporava
91
15 chilometri,
tenendo conto del percorso del latte, delle fragole coltivate in Polonia,
dell’alluminio
e la plastica del packaging,
nonchè della distanza di distribuzione. Questa situazione non riguarda certo
un caso isolato, anche
il ketcup svedese
deve fare 52 tappe
prima di arrivare sulle avole.
Nel 1997 il diportista e ambientalista Charles Moore si trovava nel Nord del Pacifico, quando
si imbattè in quella
che venne in
seguito
definita
come l’isola
di plastica. Più correttamente in
realtà si dovrebbe
parlare di un grande ammaso di rifiuti in
sospensione che forma una macchia compatta dai bordi sfumati ma di dimensioni
assimilabili
a quelli dell’Alaska.
Non si trattava
della sola presente, in seguito infatti
ne venne scoperta un’altra
vicino al Giappone. Studi successivi hanno dimostrato che sono originate da
correnti a
spirale a
bassa velocità causate dai
venti
e dalla bassa pressione.
Un
particolare della tragedia del sottopasso del Monte
Bianco fa
riflettere in modo particolare
sul sistema dei commerci del
mondo globale,
infatti in questo incidente
si trovarono coinvolti camion che contenevano uno stock di carta igienica, su entrambi i sensi di marcia. Il Presidente dell’Ecuador Raf
fael Correa, per salvaguardare
contro lo sfruttamento dei suoi giacienti
petroliferi il parco nazio -nale dello Yasunì, incredibile riserva di biodiversità, ha proposto
alla comunità internazionale
di
sostenere economicamente il
suo
stato
versando una significativa percentuale
del guadagno che esso avrebbe potuto realizzare tramite le concessioni alle grandi compagnie petrolifere. Dei 3,6 bn richiesti, e a dispetto delle promesse, solo 13
milioni sono stati
ef
fettivamente
versati.
Nell’aosto
del 2013 il presidente Correa ha dichiarato consentita
l’estrazione nel parco. Nel perco si
contano attualmente 150 specie anfibie, 120 rettili e
non meno di 596 specie di uccelli.
AlbaniaZimbab
we
Eritrea
ALIMENTI VIAGGIATORI
L'ISOLA DI PLASTICA
LA RISERVA NATURALE DELLO YASUNI'
E’ da poco apparsa sui quotidiani americani la testimonianza di
una donna, madre singol newyorkese, che nonostante i
suoi due
lavori non era in grado di permettersi una abitazione, e
così
vive
con la figlia in un rifugio per senza tetto.
La città of fre moltissime possibilità di lavoro per coloro che vogliono impegnarsi e sono stati
creati ulteriori posti,
però molti di questi non permettoo di
sopravanzare la soglia di povertà. Il divario tra coloro i quali sono
ricchissimi e coloro che pur lavorando non si possono permette
-re i 1000$ necessari per af
fittare una stanza è in continua
crescita. Nonostane questo anzichè riempire i 17mila ettari di terreno
interclusi del perimetro della città si è scelto di collocare
un nuovo centro residenziale satellite in Pennsilvenia, tra le montagne.
NEW YORK E LA CRISI DEGLI ALLOGGI
IMPORT - EXPOT Costa R ica Urugua y Tonga In questo grafico si esplicitano i
reali valori legati alle emissioni di
carbonio
dalla fine degli anni 50 al 2004, evidenziando
un trend
annuale di
crescita
delle emissioni a
prescindere dalla altalenan
-za stagionale
del valore, influenzato dalla successione di fase
vegetativa e di quiescenza delle piante.
370 350 330 310 1955 1965 1975 1985 1995 2005 CO 2
[parts por million]
Il secondo grafico si riferisce invece ad un arco temporale più grande, che permette di notare contemporaneamente
la stabilità delle emissioni fino al 1950, momento in cui
cambiano gli andamenti, e
di
valutare le
proiezioni al
2050, termine fissato per molti piani di riferimento.
1750 450 400 350 300 250 1800 1850 1900 1950 2000 2050 CO 2 [ppm by volumes] CAMBIA L ’ ANDAMENT O PREVISIONI 7 MILIARDIDI ABIT ANTI A TTUALI Totalizziamo
in questo modo uno speco
alimentare del 40% della produzione. Non solo i cambiamenti
climatici
e le
emissioni di
anidride carbonica devono
quindi metterci in guardia.
1 MILIARDO
DI MALNUTRITI
9 MILIARDIPERSONE CHE POTREBBE
SOSTENT ARE L ’A TTUALE PRODUZIONE Abitanti 2050: 9 mili ardi
Abitanti attuali: 7 miliardi
equivalenti a uno fra
:
Emissioni attuali di c
arbonio: 6 t / anno
Emissioni future acc
ettabili: 2 t / anno
2000 litri di latte
5000 km in automobile
o un terzo dell’energia perprodurne una piccola
un volo andata e ritorno
Parigi-New Y
ork
180 kg di manzocon le ossa
500 kg di C / presona x anno Università di Bologna AA 2013 - 2014 CdL in Ingegneria Edile/Architettura DA - Dipartimento di Architettura TESI DI LAUREA DI IRENE FRASSOLDA TI IN ARCHITETTURA E URBANISTICA RELA T ORE: PROF . ADALBER T O DE BAR T OLOMEI IRENE FRASSOLDA TI T1 Produzione delocalizzata e diversificata dell’energia. Scambi
bidirezionali sulla rete e centraline intelligenti di controllo.
Piano per la costruzione di una Europa a emissioni zero, conside
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senza una diffusa sensibilizzazione al tema, sfide come quelle del cambiamento climatico o della denutrizione, non possono essere ri-solte, e la percezione della incompatibilità e della frammentarietà delle posizioni non può che innescare comportamenti di sfiducia e amplificare un egoismo corrosivo. La socialità locale è dunque il catalizzatore di una allean-za possibile tra le persone, il luogo e un’idea di trasformazione: non è un caso vedere nella proliferazione di iniziative bottom-up un en-tusiasmo che la politica aveva dimenticato da tempo. La dimensione locale è quella in cui è possibile collocare una sintesi, un’ecosofia, dell’ecologia mentale, dell’ecologia sociale e dell’ecologia ambientale, le tre ecologie che è necessario armonizzare secondo la teoria di Felix Guattari. Le scale dell’analisi dal pianeta all’orto di casa devono convivere nel progetto locale, che guarda a un mondo in cui i flussi materiali, cioè di beni fisici, si dovranno pro-gressivamente localizzare, mentre quelli im-materiali, le idee, si faranno sempre più vola-tili e verranno condivisi in una realtà sempre più globale.
BIBLIOGRAFIA Roger, Alain, (2011) “Dal giardino in movimento al giar-dino planetario” in Clément, Gilles, (2011) Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata
Heinberg, Richard (2008) Senza petrolio. Il protocollo per evitare le guerre, il terro-rismo e il collasso economico, Fazi Editore, Roma
Latouche, Serge (2007) La scommessa della decrescita, Feltrinelli Editore, Milano Guattari, Felix (2000) The three ecologies, The Athlone Press, Londra
Rifkin, Jeremy (2003) Econo-mia all’idrogeno: la creazione del worldwide energy network e la redistribuzione del potere sulla terra, Mondadori, Milano;
Hopkins, Rob (2009) Manuale pratico della transizione. Dalla dipendenza dal petrolio alla forza delle comunità locali, Arianna Editrice,Bologna Pacndam, Barzing (2009) “Why Easter Island collapsed: an answer for enduring question”, Working Paper
117/2009, Department of Economic History, London School of Economy, Londra Clément, Gilles, (2011) Ma-nifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata; Magnaghi, Alberto (2010) Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Borghieri, Torino;