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R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell'anima: Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici, Feltrinelli, Milano, 2009

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Scienza e Pace, Vol. 1 N° 2 (2010)

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R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell'anima: Perché le diseguaglianze

rendono le società più infelici, Feltrinelli, Milano, 2009.

di Franco Turini

Non si può non cominciare la recensione di questo libro senza commentare la traduzione italiana del titolo e del sottotitolo. La prima versione inglese suona infatti The spirit level: why more equal societies almost always do better, che si potrebbe tradurre letteralmente La livella: perché le società con maggiore uguaglianza quasi sempre risultano migliori. La metafora concreta della livella a bolla (quella resa celebre da Totò), da strumento di misura dell'uguaglianza è diventata nella versione italiana una metafisica “misura dell'anima”. Così come l'ottimismo implicito nella relazione tra uguaglianza e benessere ha lasciato il posto ad una pessimistica considerazione sulle diseguaglianze che creano infelicità. Che gli autori volessero mettere l’accento sul fattore positivo costituito dall’uguaglianza è confermato da ulteriori sottotitoli che il saggio ha ricevuto in due successive edizioni inglesi, che suonano rispettivamente Why greater equality makes societies stronger, ossia Perché più uguaglianza rende le società più forti, e Why Equality is Better for Everyone, ossia Perché l’uguaglianza è meglio per tutti.

Fatta questa premessa, si tratta di un libro che vale davvero la pena di leggere; anzi, visto il suo taglio seriamente scientifico, di studiare con attenzione. I due autori, entrambi epidemiologi, si pongono l'obiettivo di dimostrare che non è la ricchezza media degli abitanti di un paese che influisce sul generale livello di benessere, ma è il livello di disuguaglianza. Per far ciò, analizzano quanto diverse questioni sociali – salute mentale, consumo di droghe, salute fisica, speranza di vita, obesità, gravidanze in adolescenza, rendimento scolastico, violenza, livelli di carcerazione, mobilità sociale – siano correlati con il livello di disuguaglianza sociale.

I dati utilizzati sono relativi ai paesi occidentali (Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) e ai singoli Stati degli Stati Uniti. La correlazione viene studiata mediante una semplice analisi di “regressione lineare” (non rinuncino a questo punto coloro che non si sentono versati in matematica) che consiste nel riportare su un piano i valori di un certo indicatore (ad esempio, il grado di salute mentale) rispetto ai valori di un indicatore di disuguaglianza e di tracciare una retta che più si avvicina a tutti i punti. Se la retta sale verso l'alto, e se tutti i punti sono abbastanza vicini ad essa, possiamo concludere che al crescere della disuguaglianza cresce anche l'indicatore di disagio sociale considerato.

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R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell'anima: Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici

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Naturalmente questo risultato di per sé non vuole provare né garantire che ci sia un rapporto di causa-effetto tra indice di diseguaglianza e indicatore di disagio sociale. Se per esempio facessimo una analisi di regressione tra temperatura media del pianeta e popolazione mondiale negli ultimi vent'anni scopriremmo una retta in salita che ci dice che quando aumenta la temperatura aumenta anche la popolazione, ma certamente l'aumento della temperatura non è causa dell'aumento della popolazione (eventualmente, potrebbe essere vero l’inverso).

Ed ecco, quindi, la parte veramente interessante del libro: la ricerca delle motivazioni sociologiche che spiegano come la correlazione evidenziata dai grafici possa essere davvero interpretata come il risultato di un rapporto di causa-effetto, mostrando come la disuguaglianza sia effettivamente alla radice di quel disagio sociale.

Posso immaginare, a questo punto, che vi stiate chiedendo chi vince, chi perde e come si colloca l'Italia in questi scenari. Vincono i paesi scandinavi e il Giappone, che con approcci molto diversi hanno ridotto le diseguaglianze, perdono Portogallo e Stati Uniti, che hanno un livello di diseguaglianza alto e simile, anche se hanno ricchezza media pro-capite diversissima. L'Italia, come molti avranno già sospettato, non è messa affatto bene.

Il libro si conclude con un "programma di governo", ovvero con una serie di proposte su come agire nei paesi con forte diseguaglianza per ottenerne la riduzione. Consigliate quindi la lettura del libro ai politici che conoscete. Magari riusciranno a mettere insieme qualche discorso sensato su un programma per il futuro e a trarne insegnamento per la loro azione quotidiana.

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