L’impresa di FIUME
Bellezza, socialismo, patria,
rivoluzione
Gli antefatti: PARIGI 1919
• Nella primavera 1919 si apre a Parigi una
conferenza internazionale per stabilire il
nuovo volto dell’Europa all’indomani della
prima guerra mondiale. Si tratta di
decidere le condizioni di pace da
imporre agli sconfitti e di ridisegnare la
mappa politica del continente e delle aree
coloniali che fanno capo agli Stati europei.
L’Italia e il patto di Londra
L’entrata in guerra dell’Italia, decisa a seguito del
patto di Londra del 26/4/1915, prevedeva, in
caso di vittoria delle potenze dell’Intesa,
l’acquisizione
•A)del Trentino Alto Adige fino al Brennero
•B) della Venezia-Giulia
•C)dell’Istria più alcune isole della Dalmazia
•D) di Saseno e Valona in Albania.
Inoltre era prevista la partecipazione dell’Italia
alla spartizione dell’impero coloniale tedesco e
“La Dalmazia deve essere italiana!”
• A Parigi, l’Italia rivendica la Dalmazia. A tale
richiesta si oppongono la Jugoslavia, appoggiata
dal presidente americano Wilson, e la Francia
che è contraria alla penetrazione italiana nei
Balcani. Gli italiani ritengono invece che, alla
luce dei compensi ottenuti dagli altri alleati e del
tributo di sangue pagato dalla nazione nel
conflitto, l’intera regione debba passare sotto
la sovranità di Roma, che in questo modo
controllerebbe
agevolmente
buona
parte
ORLANDO (furioso!) A PARIGI
• Il presidente del consiglio italiano Vittorio
Emanuele Orlando, di fronte alla fermezza di
USA e Francia nel negare il territorio adriatico
all’Italia (cui è concesso solo l’acquisto di
Trentino, Istria, e Venezia Giulia), che cosa fa?
• Prende e se ne va !!!!
• Con il solo risultato di concedere via libera agli
altri alleati per la spartizione delle colonie degli
sconfitti.
La vittoria mutilata
• L’abbandono della conferenza di Parigi con i suoi esiti disastrosi infligge un colpo mortale al prestigio italiano e alla reputazione personale di Orlando, tanto che si parlerà di una vittoria mutilata.
Il presidente Orlando, a fronte della radicalizzazione
dello scontro politico in Italia - attraversata dalle
inquietudini economiche, politiche e culturali del
dopoguerra, a loro volta cavalcate dai partiti di
massa – rassegna le dimissioni nel giugno 1919.
NITTI
• Sale al governo Francesco
Saverio Nitti, insigne intellettuale,
ma privo di vera capacità e
fermezza decisionale, a guida di
un gabinetto di centro, con
l’appoggio dei cattolici del PPI.
Fiume:
la città si trova al confine tra Istria e Dalmazia ed è abitata in maggioranza da italiani.
A Fiume…
• Fiume con un plebiscito - promosso da
un “Consiglio nazionale” che rappresenta
gli italiani contro i tentativi di annessione
serbocroati - chiede il 30 ottobre 1918 di
entrare a far parte della nazione italiana
mentre
l’Intesa, alla fine della guerra, la vuole unita
alla Jugoslavia.
Il comando interalleato
• A seguito dei disordini per i perduranti
conflitti tra italiani e serbocroati, gli
alleati decidono di inviare guarnigioni in
città per mantenere l’ordine (Americani,
Italiani, Francesi e Inglesi). Tuttavia le
truppe Americane e Francesi divengono
anche garanzia delle decisioni antiitaliane
che i rispettivi Stati stanno prendendo alla
conferenza di Parigi.
Gabriele aiutaci!!!
• Il Consiglio nazionale di Fiume, il 7 aprile 1919
chiede aiuto a Gabriele d'Annunzio, noto per le
sue imprese patriottiche (la beffa di Buccari e il
volantinaggio aereo su Vienna) che dell'italianità
della città si era già fatto paladino. Questi
accetta l'invito e immediatamente, anche con
pubblici discorsi sempre più patriottici, chiede
che l'esercito italiano occupi la città. Orlando
però appare in altre faccende affaccendato.
L’incidente
• Il 6 luglio 1919, sconsideratamente, ufficiali francesi osano
strappare i nastri tricolori che le donne fiumane portavano in petto. E’ la rivolta che poi sarà chiamata “i Vespri Fiumani”: intervengono soldati e marinai Italiani, si spara sui francesi. Nei disordini si contano nove morti e parecchi feriti. La commissione d’inchiesta, nominata dagli alleati, pretende lo scioglimento del Consiglio Nazionale Fiumano, del corpo dei Volontari ed il ritiro dei Granatieri di Sardegna come responsabili dei fatti. Il 25 Agosto i granatieri si ritirano salutati da un mare di tricolori agitati da una folla commossa e piangente. Il sindaco della città di Fiume nel suo discorso dice :
“La Patria vi chiama altrove, ma il vostro cuore resta con noi. Voi ora li conoscete i Fiumani! Dite dappertutto, ove sosterete, ai nostri fratelli, che noi siamo italiani da secoli, e anche staccati dalla Madre siamo sempre stati figli devoti e amorosi….” . I granatieri tornati in Italia e si stanziano a Ronchi
Un fausto 11 settembre
• L’11 settembre 1919
gli
ufficiali
e
i
rappresentanti
del
Consiglio di Fiume
offrono a Gabriele
d’Annunzio la guida
per
la
riconquista
della città.
D’Annunzio non si fa pregare
• Il poeta, dopo aver chiesto a Mussolini un
aiuto politico-militare e averne ricevuto un
cortese e strategico rifiuto (“Sono con te
ma i tempi non sono maturi”), si associa
ai Granatieri espulsi da Fiume a Ronchi
(una borgo vicino a Monfalcone che
prenderà il nome di Ronchi dei Legionari)
e inizia a dirigersi a Fiume attraverso
l’Istria.
La marcia di Ronchi
• Durante il tragitto i Bersaglieri di stanza
nella regione ricevono da Nitti l’ordine di
fermare il poeta, ma quando incontrano
d’Annunzio e i suoi uomini, rifiutano di
sparare su ex combattenti pluridecorati e,
anzi,
infiammati
dalle
parole
e
dall’atteggiamento del poeta, invece che
Il governo italiano
• Il tutto avviene sull’onda di un entusiasmo
che le miopi élites liberali italiane non
comprendono, prese come sono nel
piccolo
cabotaggio
delle
trattative
paradiplomatiche, delle mediazioni e dei
giochi di potere. Nitti in particolare cerca di
dissuadere pubblicamente i partecipanti
all’impresa con un monito contro la
“sedizione” e le “avventure”.
“Cagoia”
• Tale atteggiamento merita tutto il disprezzo dei
combattenti e del loro “Comandante” che con la
solita irriverente fantasia, conia per il presidente
del consiglio lo sprezzante nomignolo di
“CAGOIA”
Nome dialettale e copromimico di una lumachina
viscida, assunto da un personaggio della
commedia popolare noto per essere ambiguo e
traditore.
Il 12 settembre 1919 D’Annunzio
entra a Fiume
• Con lui sono tutti coloro che hanno deciso di
unirsi alla marcia e di partire per la città:
Arditi, Bersaglieri, Granatieri e altri membri dei
corpi scelti dell’esercito italiano (circa 2500
uomini che presto diventeranno 10000). Con lui
sono anche poeti, letterati, artisti sensibili al
richiamo di un nuovo esperimento politico,
militare, patriottico ma anche estetico. Non
mancano coloro che vedono nel Vate il possibile
artefice di una palingenesi sociale, ideale che
le pastoie e i settarismi del PSI avevano da
tempo accantonato.
Il plebiscito dell’ottobre 1919
Un plebiscito conferma che i cittadini fiumani
vogliono essere italiani e che la loro guida
deve essere il Comandante:
7013 voti favorevoli al Vate su 7154 votanti.
INIZIA L’AVVENTURA DELLA
REPUBBLICA DEI COMBATTENTI E DEI
POETI.
L’esperimento politico dannunziano
• D’Annunzio entra a Fiume per riconsegnare la città all’Italia. Paradossalmente però è l’Italia, nei suoi rappresentanti governativi, che non accetta che Fiume divenga italiana.
• Da questo paradosso nascerà l’idea di una “reggenza”, cioè di un governo effettivo e di una costituzione che “regga” le sorti della città in attesa che essa possa riunirsi alla madrepatria.
• Ma la “Reggenza del Carnaro” rappresenterà anche un’ occasione storica per dare realizzazione a quelle aspirazioni di rivoluzione sociale e nazionale a lungo covate e alimentate dall’esperienza della trincea.
Guerra di massa e masse in guerra
• Nelle trincee della Grande Guerra per la prima
volta le masse entrano nella storia d’Italia e
d’Europa come protagoniste degli eventi. Non
che esse non fossero guidate dai comandi,
tuttavia la miopia e l’indifferenza alla vita dei
generali che mandavano al massacro migliaia di
fanti, non potevano togliere alle persone
impegnate nei combattimenti l’impressione che il
loro eroismo, il loro sacrificio, le loro abilità
avrebbero alla fine deciso le sorti della guerra.
Libertà e guerra
• Nelle trincee d’Europa, a prescindere dagli schieramenti in campo, le persone sperimentavano una nuova solidarietà e una nuova
libertà a stretto contatto con la morte e la sofferenza. Si tratta di
un’esperienza forte e in grado di modificare l’intero sistema di valori di una persona.
• In particolare si tratta di un’esperienza di LIBERAZIONE dal timore, dalla paura, dal compromesso accomodante. La guerra pretende tutto dall’uomo, ogni fibra del suo essere viene sacrificata nel delirio delle crudeltà e del generale imbarbarimento. MA da tale pretesa nasce un nuova essenzialità, la percezione di una nuova dimensione d’essere, in cui privati di tutto ci si trova a tu per tu con la morte, e perciò stesso questa nudità diventa emancipazione e liberazione da tutti i lacci che ci attaccavano alla vita e alle abitudini:
sono privo di tutto MA sono anche libero da tutto, solo con le
mie forze interiori a decidere di vivere o morire, e capace di giocare fino in fondo le mie carte perché anche l’attaccamento alla vita non ha più senso.
Nazionalismo: la comunità dei forti
• L’esperienza della guerra modifica la percezione dei legami tra le
persone. Il singolo non è più legato all’altro dal comune interesse, ma dal comune sacrificio per la comune esistenza. Quest’ultima prende il nome
di Patria. Il singolo prende coscienza del proprio valore solo in relazione a colui che insieme a lui si sacrifica in vista del tutto della Nazione.
• “E’ il sentimento di una comunità compresa in un grande destino… La patria divenne una questione di vita che coinvolgeva direttamente ciascun singolo … e l’uomo, che nel grembo della metropoli si era sempre più sentito come la rotella di un ingranaggio complicato, si vide chiamato ad un’azione dotata di una perfezione tanto semplice quanto spaventosa, a un’ esistenza virile, sul campo, nel vento, sotto il temporale e in mezzo al pericolo: a un modo d’essere di cui prima di allora si poteva solo leggere nei libri” (E. Jünger, La
Libertà e giustizia sociale
• Sono in molti a vivere questa esperienza di liberazione. • Ma quei molti sono gli stessi che la trincea mette a
contatto con quegli intellettuali interventisti rivoluzionari che hanno visto nella guerra la possibilità di una generale rivolgimento politico che spianasse la strada a quella rivoluzione sociale e proletaria capace di instaurare, nei sogni di Marx, il regime della fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sono questi i
sindacalisti rivoluzionari che pensano che la violenza
(sia essa quella dello sciopero generale, sia quella di una vicenda bellica) generi la possibilità di abbattere il
vecchio sistema di sfruttamento borghese mettendo
IL combattentismo fiumano: una sintesi di
nazionalismo e socialismo (che non c’entra niente
con il nazionalsocialismo)
• I combattenti fiumani erano agitati da questo
spirito esacerbato da due elementi:
da un lato le delusioni per la mancata
realizzazione di quel riscatto sociale delle
masse che Diaz (capo di stato maggiore
dell’esercito italiano) stesso aveva ventilato
verso la fine del conflitto;
dall’altro la delusione per quel sogno di
grandezza storica della patria subito
infrantosi nelle paludi parigine.
Combattentismo ossia: arditismo
• Gli Arditi erano un corpo speciale dell’esercito italiano che si distinse per le sue impreseeroiche alla fine della Grande Guerra. Molti arditi parteciparono all’impresa di Fiume dando ad essa una connotazione speciale in base al loro modo di concepire la vita e il mondo. Cosi Mario Carli (poeta futurista molto vicino a D’Annunzio) ne riassume i caratteri:
• “Volontarismo. Sdegno del tra-tran, in cui non si rischia né si
guadagna troppo. Passione per l’emozione, il pericolo, la lotta. Personalità, iniziativa, fantasia, accortezza di anima predace. Fusione perfetta di pensiero-bellezza-azione. Eleganza di un gesto primitivo, infantile, subito dopo un gesto di eroismo inverosimile. Tutti gli slanci, tutte le violenze, tutte le impennate di cui trabocca l’anima italiana. Aristocrazia, dunque, di carattere, di muscoli, di fede, di coraggio, di sangue, di cervello. Patrizi scesi da cavallo, aviatori scesi dai velivoli, intellettuali usciti dalle ideologie, raffinati fuggiti dai salotti, mistici nauseati dalle chiese, studenti ansiosi di vita e giovinezza, giovinezza, che vuol tutto conquistare o tutto perdere, che vuol dare con pienezza, con salute, con energia i suoi diciannovanni generosi e innamorati dell’Italia, di tutte le cose belle d’Italia, della bella terra, delle belle donne, delle belle città d’Italia, dell’avvenire che intuiscono meraviglioso”
D’Annunzio formatore
D’annunzio a Fiume dà forma, plasma tutte queste
istanze, ne costruisce un sintesi, grazie al suo genio
poetico che mette al centro della sua opera politica
l’idea di bellezza: «Non c’è ordine politico che non sia
lirico» cioè «bello»:
La giustizia sociale è bella,
Il lavoro è bello e “orna il mondo”,
Il coraggio è bello e dà vittoria,
L’amore giovane ed erotico è bello,
La lotta è bella,
La bellezza
• La tradizione filosofica ha cercato di definire il valore della bellezza, poiché essa si è sempre presentata come qualcosa che tutti sanno apprezzare, ma che è difficile definire. La difficoltà sta nel fatto che è un valore prettamente estetico, cioè relativo ad una percezione in cui non è coinvolto solo il pensiero ma lo sono anche gli organi di senso. Potremmo, solo per dare un indirizzo in omaggio alla suddetta tradizione, indicarla come la percezione di una proporzione e armonia delle forme delle cose, unita ad una chiarezza, ad uno splendore, ad una
vitalità che provocano in noi ammirazione, piacere e il sentore
che le cose rimandano ad una pienezza ad una perfezione pura che non è di questo mondo ma che si manifesta in questo mondo attraverso appunto le cose belle.
La bellezza
• La bellezza ha per d’Annunzio un valore educativo, va messa al centro della vita sociale e politica, perché meglio di tutti i “valori”, di tutte le tecniche, di tutte le legislazioni, di tutte le ideologie, strappa l’uomo a se stesso e rende la
sua vita sensata, cioè immortale e felice qui sulla terra,
orientandola alla sua più piena perfezione attraverso la coltivazione e la ricerca della sua più piena proporzione, armonia, chiarezza, vitalità, al suo più pieno splendore in cui tutto è senza macchia e difetto.
• Questo pensiero ripropone l’antico ideale romantico della
D’Annunzio comandante
• L’esperienza fiumana dura poco più di un anno,
dal settembre 1919 al dicembre 1920.
D’Annunzio è il comandante, guida in modo
personale le sorti della città, affiancato dai
militari e dagli arditi che lo hanno sin dall’inizio
seguito. Egli si ritiene un dittatore temporaneo
(come quelli
romani) che si impegna
nell’intrattenere rapporti con l’Italia, in attesa di
costringere le élites di governo ad accettare
Fiume come parte integrante della madrepatria.
Una costituzione per Fiume
• Viste le indecisioni e le ostilità della classe dirigente italiana, egli decide di dare vita ad una vera e propria costituzione fiumana, per dare alla città un governo stabile ed un ordinamento preciso. Il progetto costituzionale viene affidato ad Alceste de Ambris, uomo di punta della sinistra non aderente al PSI, sindacalista rivoluzionario, interventista, libertario. Costui sottoporrà il suo lavoro a D’Annunzio che lo limerà, anche dal punto di vista della lingua italiana, aggiungendovi alcuni punti che a lui stavano a cuore, e trasformando la carta in un vero e proprio brano letterario. Il 12 novembre 1920 viene proclamata la
Una costituzione democratica …
Art. 3:La “Reggenza italiana del Carnaro è un
governo schietto del popolo”…. “che ha per
fondamento la potenza del lavoro produttivo”.
Art. 18: La sovranità è esercitata dai cittadini che
“sono i produttori assidui della ricchezza
comune e i creatori assidui della potenza
comune” all’interno di uno Stato che è “la
volontà comune e lo sforzo comune del popolo,
verso un sempre più alto grado di materiale e
spirituale vigore”.
…corporativa…
• Il lavoro, intellettuale o manuale, “anche il più umile, anche il più oscuro, se sia ben eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo” (art. 14). Esso è al centro del sistema politico. Vi sono dieci corporazioni che riuniscono i lavoratori di tutti gli ambiti produttivi, dando giusto risalto anche a coloro che sono dipendenti e svolgono mansioni non direttive. Le corporazioni eleggono i propri rappresentanti in un’apposita istituzione che è parte integrante del potere legislativo. Così il lavoro entra nei contesti decisionali e il cittadino lavoratore vede la sua attività e la sua fatica come perno della vita dell’intera comunità.
• Si tratta di un’istanza socialista, depurata dai conflitti e dagli odi di classe, di cui il fascismo tenterà di raccogliere negli anni successivi l’eredità.
…libertaria…
• Tutte le libertà borghesi e individuali sono garantite (art. 7), compresa la più completa parità dei sessi (art. 4 e 7). Ma ciò che più conta è che la libertà non finisce nell’individuo, ma tiene conto anche della sua dimensione sociale e comunitaria: si pensi, per esempio, all’idea di una proprietà che non possa esistere se non nella sua funzione sociale: non esiste una proprietà assoluta di un bene, non esiste l’individuo proprietario, ma unico legittimo titolo di possesso è il lavoro che produce il bene comune. L’individuo non è poi l’unico depositario di diritti: l’individuo trova piena realizzazione nel popolo di cui è parte, la libertà è anche nella difesa dei “diritti popolari” (art. 5).
…artistica e festosa…
• Gli articoli 63 e 64 sono un elemento di originalità dannunziana della costituzione di Fiume. Essi trattano infatti della funzione sociale e politica dell’arte (in particolare l’architettura – art. 63) e della musica. Non si vive degnamente se non nella bellezza e la bellezza va celebrata in tutti i campi della vita pubblica. La gioia dionisiaca del vivere trova il suo particolare spazio nella dimensione musicale: “Non sembra che la grande musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e ansiosa il regno della Spirito?” (art. 64). Essa eccita l’aurora e i suoi spettacoli corali ed orchestrali “sono totalmente gratuiti come dai Padri della Chiesa è detto
La vita a Fiume: l’utopia
A Fiume accorrono ben presto moltissimi giovani
che hanno vissuto da protagonisti la guerra e
che trovano la vita borghese insopportabilmente
al di sotto delle aspettative che la guerra stessa
aveva alimentato. La repubblica dannunziana
appare loro come la degna risposta alle
piccolezze della classe dirigente italiana e un
monito a quei poteri internazionali che
intendevano preservare i propri privilegi, contro
le nazioni giovani e povere, ansiose di liberarsi
dalle catene e dalla servitù:
Italia e vita (discorso di D’Annunzio
– 24/10/1919)
• “Noi potremo perire tutti sotto le rovine di Fiume, ma dalle rovine lo Spirito balzerà vivo ed operante: dall’indomito Sinn Fein irlandese alla bandiera rossa che in Egitto unisce la Mezzaluna e la Croce, tutte le insurrezioni dello spirito
contro i divoratori di carne cruda e contro gli smungitori di popoli inermi si riaccenderanno alle nostre faville che volano lontano…Tutti gli insorti di tutte le stirpi si raccoglieranno sotto il nostro segno. E gli inermi saranno
armati. E la forza sarà opposta alla forza. E la nuova crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri liberi, contro le nazioni usurpatrici e accumulatrici di ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai, che sfruttarono ieri la guerra per sfruttare oggi la pace, la crociata novissima ristabilirà quella giustizia vera…”
La vita a Fiume: la cultura
(Comisso e Keller)
Fiume diventa anche un centro di vita culturale internazionale. Il poeta Giovanni Comisso e l’aviatore, poeta, combattente, artista, nudista Guido Keller, fondano con altri
la «YOGA»,
«unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione», un’ associazione dotata di un proprio giornale, che accoglie tutte le avanguardie culturali italiane ed europee e si batte contro il vecchiume artistico e politico dell’ Italia (e contro le correnti fiumane di destra legate per esempio a Giovanni Giuriati).
YOGA e il superuomo
Dal manifesto di Yoga:i componenti dell’associazione sono «un certo numero di spregiudicati fiumani [decisi a] iniziare una potente lotta contro le persone, una lotta che sarà vinta dagli individui. [Essi] cercano di dare sfogo alla loro intuizione artistica, letteraria, morale eccetera. E di orientare tutto il movimento contro il dottorume: contro gli occhiali d’oro con stanghetta, contro gli ‘Addio caro ‘, contro gli ‘r’ gorgés, contro la posa, contro la pazzia per bene, organizzata a domicilio, seria, spiritosa e a scopi esibizionistici, contro tutti i limiti di spazio e di tempo…»
Yoga e il superuomo (2)
«…Decidono codesti sciagurati che vogliono guarire l’epidermide terrestre dalla noiosa malattia dermosifilopatica chiamata Uomo Personale, decidono, questi patrocinatori del Superuomo, di infondere spontaneità ardore, di dare a ognuno la responsabilità della creazione del Superuomo cioè di esseri sempre meglio adatti all’ambiente, più fluidi, più sviluppati negli infiniti organi latenti in noi, di insegnare la scienza dell’Amore cioè della Trasformazione, di fornire all’uomo il necessario per distruggere il Cielo, per dare il senso iniziatico della Terra»
Yoga e il superuomo (3)
«Chi sono i componenti la YOGA? Uomini di buona
fede, d’Arte, di Scienza, privi di pregiudizi, privi di
senso di arrivismo personale, convinti che la
mentalità concreta distrugge la Realtà artistica, e
decidono perciò dotati di senso analogico e
metafisico, di senso di unità, di non forma, di
distruggere il distruttore, di riorientarsi verso il
Sublime matematico-artistico (matematico in senso
largo della parola). Sublime comprendente alla sua
volta il sublime dinamico creatore del Bello!»
La vita a Fiume: la cultura (Kochnitzky,
Furst, Shimoi)
• Il poeta belga di origini polacche Leon Kochnitzky, musicista e letterato appassionato dell’Italia e laureatosi in filosofia a Bologna, ebreo poliglotta convertito al cattolicesimo, dopo aver intervistato D’Annunzio per un giornale belga viene cooptato dal comandante e diventa una sorta di ambasciatore di Fiume all’estero.
• Henry Furst newyorchese di origine tedesca, filobolscevico come Kochnitzky, regista teatrale, segue la stampa straniera per conto di D’Annunzio.
• Il professore di lingue e cultura giapponese all’istituto orientale di Napoli, Harukichi Shimoi, dopo aver in precedenza conosciuto D’Annunzio, si reca a Fiume e viene accolto dal Comandante con un discorso sul
La cultura a Fiume (Comisso,
Sitwell)
• Giovanni Comisso, combattente nella prima guerra mondiale, poeta, romanziere,
viaggiatore, descrive con grande entusiasmo nella sua autobiografia intitolata «Le mie stagioni» la vicenda fiumana che lascerà in lui un’impronta definitiva per il resto della vita. Amico di Keller e Furst, con loro partecipa da protagonista a Yoga. Kochnitzky dice di lui: “È l’anima più lirica che fosse a Fiume, pellegrino appassionato, ebbro di poesia”. Apprezzato da d’Annunzio e da tutta l’ala più intransigente e rivoluzionaria dei legionari di Fiume, diventa membro dell’ «Ufficio delle relazioni esteriori» (una sorta di ministero degli esteri) della Reggenza del Carnaro.
• Osbert Sitwell, scrittore e combattente inglese a Ypres durante la prima guerra mondiale
in cui cominciò a scrivere esordendo con il poemetto dal simpatico titolo Some instinct,
and a combination of feelings not hitherto experienced united to drive me to paper ("Certi
istinti ed una combinazione di sentimenti non ancora sapientemente uniti che mi guidarono verso i fogli di carta"), fece capolino a Fiume ed ebbe a ricordare a proposito
di quella esperienza: «La generale animazione e la rumorosa vitalità sembravano annunciare un nuovo mondo, un nuovo sistema di vita. Guardavamo stupefatti e stupefatti ascoltavamo. Ognuno sembrava indossare una divisa ideata da se medesimo, altri ancora si lasciavano crescere enormi ciuffi di capelli al vento fuori dei copricapi e portavano in bilico sulla zazzera nera dei neri fez. Piume, mantelli e nere cravatte svolazzanti erano
Fiume futurista
• Anche il capo del movimento futurista si reca a Fiume, dove molti artisti futuristi hanno veduto la possibilità di diffondere il loro verbo, guidati da Mario Carli, fondatore della rivista futurista fiumana “Testa di Ferro”. Marinetti, poco dopo il suo ritorno dalla città istriana ebbe a dichiarare pubblicamente:
“Ho passato a Fiume una ventina di giorni meravigliosi in un'atmosfera di alto patriottismo generoso ed eroico. Il mio primo discorso alle truppe e tutti quelli che seguirono nelle piazze e nelle diverse mense dei granatieri, degli arditi e del genio, furono accolti col più
fervido entusiasmo.
Dopo il mio discorso sull'opera artistica e politica di Gabriele d'Annunzio, al banchetto degli arditi, il duce (e cito qui la " Vedetta d'Italia " del 25 settembre) si alzò e disse: " Per Marinetti e per Vecchi, valorosi agitatori milanesi, gridate: Eja! Eja! Alalà!". (Lettera al “Giornale d’Italia” del 19/10/1919).
La vita a Fiume: gli Uscocchi
• Poco dopo l’entrata di d’Annunzio in città, il governo italiano promuove un blocco navale con lo scopo di impedire i rifornimenti ai legionari. Malgrado il blocco venga più volte violato, esso risulta estremamente dannoso per l’economia e le attività produttive della zona. D’Annunzio, insieme ai suoi fedeli, decide allora di adattarsi a quella che non può non essere un’ economia di guerra. Ciò comporta la costituzione di un corpo speciale di veri e propri pirati, che prendono il nome di Uscocchi, dagli antichi pirati cristiani del Carnaro, dediti ad azioni di rapina contro il naviglio mussulmano, e autori di gesta di leggendario coraggio.
Pirateria e goliardia
• Gli Uscocchi, travestendosi da turisti e
viaggiatori, si imbarcano su navi da trasporto in
piccoli gruppi (6,7,10 persone), una volta al
largo ne prendono possesso e le dirottano su
Fiume, appropriandosi del loro carico di
vettovaglie e di oggetti vari. Essi si rendono
protagonisti anche di azioni e incursioni beffarde
(come quando rubano 46 cavalli all’esercito
italiano e li scambiano con 46 denutriti ronzini
fiumani).
Keller goliarda
Messaggio di Guido Keller dopo che, giunto a Roma in trasvolata da Fiume, lancia vari oggetti sui tetti della città…
“Giunto a destinazione offro al Vaticano delle rose rosse per Frate Francesco, sul Quirinale lancio altre rose rosse alla Regina e al Popolo, in pegno d’amore. Su Montecitorio scaglio invece un arnese di ferro smaltato (un pitale, n.d.r.), con uno striscione di stoffa rossa, delle rape legate al manico e un messaggio:
‘Guido Keller – Ala Azione nello splendore – dona al Parlamento e al Governo che si reggono da tempo con la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del Loro Valore’.
La vita a Fiume: le feste
Così L. Kochnitzky spiega il ritmo dionisiaco
delle giornate fiumane in cui l’esistenza
privata si confonde con quella pubblica: in
piazza e per le vie a tutte le ore si parla, si
discute, nascono gli amori e si vive come
in un antico forum, che i passeggiatori
traversano in largo e in lungo:
“Cortei, fiaccolate, fanfare”
“…Si crea così a poco a poco, questa atmosfera di perpetuo quattordici luglio che avvolge il nuovo venuto a Fiume. Cortei, fiaccolate, fanfare e canti, danze, razzi, fuochi di gioia, discorsi, eloquenza, eloquenza, eloquenza…
Mai scorderò la festa di San Vito, patrono di Fiume, il 15 giugno 1920; la piazza illuminata, le bandiere, le grandi scritte, le barche coi lampioncini fioriti (anche il mare aveva la sua parte di festa) e le danze…
Si danzava dappertutto: in piazza, ai crocevia, sul molo; di giorno, di notte, sempre si ballava, si cantava; né era la mollezza voluttuosa delle barcarole veneziane; piuttosto un baccanale sfrenato. Sul ritmo delle fanfare marziali si vedevano turbinare, in scapigliati allacciamenti, soldati, marinai, donne, cittadini…
Lo sguardo, dovunque si fosse fermato vedeva una danza, di lampioni, di fiaccole, di stelle; affamata, rovinata, angosciata, forse alla vigilia di morire nell’incendio o sotto le granate, Fiume, squassando una torcia, danzava davanti al mare” (La quinta stagione o i centauri di fiume, pp. 45-46) .
La vita a Fiume: l’amore
• L’ultimo discorso di d’Annunzio a Fiume si chiude con un “Viva l’amore, Alalà!!!”.
• Fiume rimane un città di amore, dove eros trionfa: l’eros della battaglia che va a braccetto con Thanathos, e l’eros dei letti, degli anfratti, dove i giovani celebravano la loro gioia di vivere, dove anche gli ormoni danzavano senza ordine, senza direzione e il sesso, etero od omosessuale, diventava una necessità fatale. Non si trattava però di mollezza, di una ricerca del piacere decadente, di un bisogno edonistico, ma di una sovrabbondanza di energie vitali, che come gli atomi di Democrito, nel loro vorticoso sciamare DOVEVANO
La fine dell’avventura: il trattato di
Rapallo
In Italia infuriano le agitazioni socialiste del “biennio
rosso”, Nitti, incapace di risolvere la situazione,
deve lasciare il campo al più navigato e furbo
Giolitti nel giugno 1920. Quest’ultimo intende
anche risolvere tramite un’accorta azione
diplomatica la questione di Fiume.
Prende contatti con la Jugoslavia e firma il trattato
di Rapallo nel novembre 1920, dove viene deciso
che Fiume sarebbe diventata città libera, l'Italia
avrebbe rinunciato ad ogni pretesa sulla
Dalmazia a parte Zara, che sarebbe passata
all'Italia.
Fiume contro Rapallo
Ma il governo “illegale” instaurato da Gabriele
d'Annunzio sulla città in nome dell'Italia non vuole
riconoscere un trattato che passa sulla testa degli
abitanti e di coloro che hanno costruito a Fiume un
nuova e fiorente realtà politico-culturale. Giolitti allora
manda contro la città ribelle la regia marina, guidata
da Enrico Caviglia, famoso generale chiamato da
d’Annunzio ironicamente: «Chiunque il quale» a
dileggiare una sua espressione sintomo della sua
proverbiale rozzezza e incultura.
La fine dell’avventura: il Natale di
sangue
• Il rifiuto da parte di d'Annunzio di accettare l'ultimatum che imponeva di abbandonare Fiume e la denuncia del trattato di Rapallo come illegale provocano il cannoneggiamento della città da parte della Regia Marina che costringe il Comandante, restio a continuare quella guerra civile che il governo aveva irresponsabilmente iniziato, a consegnarla alla fine dell'anno.
• La battaglia dei legionari e volontari dannunziani contro l'esercito regolare italiano, comandato dal generale Enrico Caviglia, inizia il 24 dicembre1920 e dura cinque giorni: il lasso di tempo definito dallo stesso Vate il Natale di Sangue.
• Alla fine si contano diverse vittime, fra cui ventidue legionari, diciassette soldati italiani e cinque civili. Numerosi sono i feriti. Le truppe italiane entrano a Fiume nel gennaio successivo.
Davanti ai morti di Fiume: “Non eravamo legioni armate, eravamo un’armonia ascendente”
« Ieri nel camposanto di Fiume, la volontà di ascendere, che
travaglia ogni gesta di uomini, toccò l'ultima altezza. Parve la nostra vita più alta ora nel cielo dell'anima. Sapevano che io li conducevo verso la sommità di una bellezza a me stesso ignota? Quante volte nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della più ebbra poesia? «Chi mai potrà imitare l'accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi? Quali combattenti marciano come noi verso l'avvenire? Non eravamo una moltitudine grigia; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina incontro a se stesso avendo l'erba e la mota appicicate alle calcagna nude». Comprendevano. Dischiudevano le labbra perché si gonfiava il cuore. Bevevano la
Davanti ai morti di Fiume: “Non eravamo legioni armate, eravamo un’armonia ascendente” (2)
«…Credevano ch'io dessi loro da mangiare il miele del mattino: ‘Il miele senza sostanza’. Non eravamo legioni armate; eravamo un'armonia ascendente. Nessuno rimase in piedi: nessuno delle milizie, nessuno del popolo. E colui che versò più lacrime si sentì più beato. E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di là dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sangue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia. E nessuno di noi sapeva che fosse e di dove scendesse quella grazia. Tale fu ieri il commiato che i Legionarii diedero alla terra di Fiume. E domani a un tratto la città sarà vuota di forza come un cuore che si schianta. Questi italiani hanno dato il loro sangue per l'opera misteriosa del fato latino, con terribile ebrezza d'amore i nostri, e gli altri con inconsapevole tremito scrivono nella muraglia funebre: «Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura». Inginocchiamoci e segniamoci, armati e non armati, davanti a questi morti».
Gabriele d’Annunzio
UN’INTERPRETAZIONE:
fiumani fascisti
• Molti noteranno la coincidenza di alcuni slogan e parole d’ordine fiumane con quelle del movimento fascista. In effetti un buon numero di coloro che partecipano all’iniziativa dannunziana poi confluiscono nel fascismo, che ambisce a porsi come legittima continuazione, sul piano della nazione intera di ciò che era avvenuto nella cittadina adriatica. Tra i più noti fascisti fiumani vi sono Filippo
Tommaso Marinetti leader del movimento futurista; Mario Carli,
anch’egli futurista, promotore a Fiume de “La testa di ferro”, giornale dalle ardite sperimentazioni artistico politiche a metà tra futurismo e bolscevismo, ma anche partecipe alla marcia su Roma e fondatore del quotidiano fascista “L’impero”; Ettore Muti, futuro segretario del Partito Nazionale Fascista così come Giovanni Giuriati; lo scrittore e intellettuale critico Marcello Gallian, avanguardista e
Fiumani anarchici, bolscevichi,
antifascisti
• Tuttavia non meno sono quelli che, radicalizzando gli elementi anarco-libertari presenti nel crogiuolo fiumano, andranno a gonfiare le fila dei gruppi critici nei confronti del fascismo, legati alla sinistra anarchica e
comunista. Tra questi vi sono il sindacalista Alceste de Ambris,
autore della costituzione fiumana, in esilio a Parigi nel 1922 per la sua opposizione al fascismo; Ercole Miani, mandato da d’Annunzio ad organizzare una mai realizzata estensione dell’insurrezione fiumana in tutta Italia, passato nelle file antifasciste e medaglia al valore della Resistenza; Gabriele Foschiatti, dirigente del Partito d’Azione, antifascista militante, morto a Dachau nel 1944; il futurista Nanni Leone
Castelli che, dopo la fondazione di un fascio di combattimento a Fiume,
cerca di continuare l’esperienza dannunziana in Italia, ma viene respinto per le sue posizioni estreme, emigra in America e finisce in Messico a promuovere attività politiche in un contesto antifascista.
Letture fasciste…e antifasciste
• Di fronte a questa ambivalenza, gli interpreti di epocafascista hanno cercato di arruolare l’esperienza fiumana
nell’ambito del pre-fascismo, che poi il movimento mussoliniano avrebbe pienamente realizzato; di contro gli
interpreti del post-fascismo (come, tra i molti altri, Emilio
Lussu o, più recentemente, Claudia Salaris ed Enrico Galmozzi, si veda anche la discussione su fiume condotta da Lupo Rosso sul Web) hanno insistito sulla componente “progressiva”, socialista e internazionalista dell’ evento fiumano, che addirittura rappresenterebbe, per la sua creatività insofferente di ogni schema ed autorità, una sorta di antenato nobile della contestazione del Sessantotto e del
Le strategie argomentative che arruolano
fiume nel pre-fascismo
Che dire? Di certo appaiono poco probanti in linea generale le due strategie argomentative:
1) da un lato dimostrare quanto dello spirito fiumano, delle sue parole d’ordine, della visione del mondo combattentistica e patriottica sia rimasta nel fascismo, che pure mantenne nelle sue componenti di sinistra lo spirito rivoluzionario e sociale dell’ “ideologia” che si affermò a Fiume. Su questi elementi non vi è dubbio, e tuttavia non sono sufficienti a fare di Fiume un semplice antefatto del fascismo, perché così non si spiegherebbero, se non come degli ingenui errori di prospettiva, le legittime scelte di chi vide nel campo avverso la realizzazione degli ideali e della cultura elaborata durante quell’esperienza.
Le strategie argomentative che situano
l’esperienza fiumano lontano dal fascismo
2) dall’altro dimostrare quante differenze di prospettive e divergenze politiche vi furono tra d’Annunzio e Mussolini, e come il fascismo tentò in ogni modo di normalizzare l’incandescenza fiumana, immettendola nei binari logori del realismo politico, talvolta troppo inclinato verso la ricerca del consenso presso l’opinione pubblica più reazionaria. Anche su ciò non vi è dubbio, ma tale approccio rischia ancora di cedere alla vulgata di un fascismo appiattito sulla reazione (secondo la tipica interpretazione terzinternazionalista) e profondamente avverso ad ogni progetto di modernizzazione, anche culturale, del paese. Il fascismo, invero, ha una sua complessità, all’interno della quale Fiume ha un ruolo assolutamente non sottovalutabile, costituendone propriamente una mai sopita dimensione utopica, che solo pregiudizialmente può essere sottaciuta.
Una terza via
Una terza possibilità, di fronte all’insufficienza di queste due interpretazioni, va secondo me valutata. Si può pensare a Fiume come ad una sintesi che viene
prima delle sue componenti, una grande intuizione, ricchissima di spunti
provenienti dalla parte più viva della tradizione culturale italiana ed europea, cui il genio estetico di d’Annunzio ha saputo dare forma politica. Tale sintesi si è poi dissolta e dispersa in diverse e contrastanti correnti politiche e di pensiero che non hanno mai saputo ritrovare, anche a causa delle tragedie della storia, la loro unità. Destra e sinistra, fascismo e antifascismo, anarchia e Stato,
reazione e rivoluzione, tradizione e innovazione, cultura e vita militare, morale e trasgressione, arte e tattica politica, costituzione e potere carismatico (e così via), sono tutti elementi compresenti a Fiume, e fusi
assieme in reciproca solidarietà. Dopo diventeranno centri ideologici autonomi e incomunicabili di mondi culturali avversi, ciascuno vivente della pretesa di esaurire la giustizia contro il male rappresentato dall’avversario.
Prima del dogma
Il Novecento da questo punto di vista diventa il secolo della parcellizzazione, della parte e del partito, di una dialettica irrisolta tra elementi rinchiusi nella loro irrelata identità, dialettica di cui il dogma della grande dicotomia
destra-sinistra non può che essere assunto a simbolo
insuperabile… Fiume è qualcosa di diverso, grazie all’intuizione che la politica deve trovare il suo fondamento nelle totalità dell’arte e della cultura, che hanno di per sé un significato comunitario. Fiume si colloca prima e al di là
delle sue degenerazioni dogmatiche, rendendo pienamente