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Competenze trasversali: valutazione empirica di un nuovo modello del Ca'Foscari Competency Center

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

In Economia e Gestione delle Aziende

Ordinamento ex D.M. 270/2004

Tesi di Laurea

Competenze trasversali: valutazione

empirica di un nuovo modello del

Ca'Foscari Competency Center

Relatore

Professore Gerli Fabrizio

Laureanda

Dal Bo’ Ilaria

Matricola 865731

Anno Accademico

2019/2020

Ca’ Foscari Dorsoduro 3246 30123 Venezia

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II

Indice

ABSTRACT ... 1 INTRODUZIONE ... 1 CAPITOLO 1 ... 4 1.1 DEFINIZIONE DI COMPETENZA ... 4

1.2 HARD SKILL E SOFT SKILL ... 4

1.3 IL CONCETTO DI COMPETENZA E L’EVOLUZIONE DEI MODELLI ... 6

 ILCONTRIBUTODIMCCLELLAND ... 7

 ILCONTRIBUTODIBOYATZIS ... 9

 ILCONTRIBUTODISPENCERESPENCER ... 12

 ILCONTRIBUTODIGOLEMAN ... 15

1.4 TEORIA DELLA PERSONALITA’ ... 16

1.5 L’INTELLIGENZA EMOTIVA ... 18

1.6 MODELLI PER LA MISURAZIONE DELL’IE... 19

 ILMENTALABILITYMODEL ... 19

 IMIXEDMODEL ... 21

 ULTERIORIMODELLI ... 28

CAPITOLO 2 ... 32

2.1 INTRODUZIONE ... 32

2.2 LE COMPETENZE OGGETTO D’ANALISI ... 33

2.3 NETWORKING ... 33

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDEMOGRAFICHE ... 34

 ILRAPPORTOCONLAPERSONALITA’ ... 35

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDIPERFORMANCE... 37

 ILRAPPORTOCONCARATERISTICHELAVORATIVE ... 40

2.4 CONFLICT MANAGEMENT ... 47

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDEMOGRAFICHE ... 49

 ILRAPPORTOCONLAPERSONALITA’ ... 53

 ILRAPPORTOCONCARATTERISTICHELAVORATIVE ... 56

2.5 CUSTOMER FOCUS ... 59

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDEMOGRAFICHE ... 61

 ILRAPPORTOCONLAPERSONALITA’ ... 61

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDIPERFORMANCE... 63

 ILRAPPORTOCONALTRECOMPETENZE ... 67

2.6 DEVELOPING OTHERS ... 69

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III

 ILRAPPORTOCONLAPERSONALITÀ ... 72

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDIPERFORMANCE... 74

2.7 LEADERSHIP ... 76

 ILRAPPORTOCONVARIABILIDEMOGRAFICHE ... 77

 ILRAPPORTOCONLAPERSONALITÀ ... 78

 ILRAPPORTOCONLAPERFORMANCE... 79

 ILRAPPORTOCONVARIABILILAVORATIVE ... 80

CAPITOLO 3 ... 82

3.1 INTRODUZIONE ... 82

3.2 IL MODELLO ... 82

3.3 IL CAMPIONE OGGETTO DI STUDIO... 84

3.4 L’ANALISI EMPIRICA ... 85  CONFLICTMANAGEMENT ... 91  CUSTOMERFOCUS ... 95  DEVELOPINGOTHERS ... 98  LEADERSHIP... 101 CONCLUSIONI ... 105 SITOGRAFIA... 108 BIBLIOGRAFIA ... 108

(4)

1

ABSTRACT

Nel mercato del lavoro un tema che sta ricevendo sempre maggior attenzione è quello delle competenze trasversali. In un ambiente organizzativo sempre più dinamico e competitivo, ciò che differenzia i singoli individui sono le capacità e le abilità dimostrate.

L’elaborato affronta questo tema soffermandosi nello specifico su cinque soft skill: networking, developing others, conflict management, customer focus e leadership.

L’obiettivo finale è quello di ottenere un confronto tra l’analisi della letteratura e l’analisi statistica applicata ai risultati ottenuti con il nuovo modello di analisi delle competenze trasversali proposto dal Ca'Foscari Competency Center.

Per ciascuna delle competenze prese in considerazione, l'elaborato analizza la teoria esistente, soffermandosi sulle relazioni di tali competenze con variabili anagrafiche, personali e lavorative, proponendo successivamente una verifica di concordanza tra i dati raccolti e il modello analizzato.

INTRODUZIONE

Le competenze trasversali si sono affermate nel mondo del lavoro come elementi importanti per lo sviluppo e la realizzazione degli individui. L’unione Europea nel 2018 ha inserito le competenze soft tra quelle che ritiene le competenze chiave della persona, assieme alle abilità di base e alle capacità digitali.

Possedere competenze trasversali fa la differenza per chi si vuole distinguere in ambito lavorativo, perché si tratta di capacità intangibili, legate alla sfera individuale, suscettibili ad essere applicate in diversi contesti.

L’elaborato si sviluppa attorno al tema delle soft skill e delle possibili relazioni esistenti tra le competenze e alcune variabili di rilievo. Sono state selezionate in particolare cinque competenze, inserite nell’analisi: networking, developing others, conflict management, customer focus e leadership.

L’obiettivo dell’elaborato è quello di convalidare un nuovo modello di analisi delle competenze trasversali, proposto dal Ca’Foscari Competency Center. Questo modello,

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2

attraverso l’applicazione di un questionario, si pone come strumento completo, per valutare l’ampia gamma di competenze trasversali in diversi ambiti.

L’analisi è stata effettuata attraverso un confronto con quanto evidenziato dalla letteratura, a proposito delle relazioni tra competenze e altre variabili. L’importanza di questo studio è legata al valore riconosciuto alle competenze trasversali e a ciò che può influenzare il possesso delle stesse.

La letteratura è ricca di ricerche in materia di competenze e degli impatti provocati su queste da differenti caratteristiche degli individui. È interessante verificare se i risultati ottenuti dall’applicazione di questo nuovo modello sono in accordo con quanto sostenuto in studi empirici precedentemente effettuati.

Con questo elaborato si vogliono evidenziare e spiegare in particolar modo le similitudini e differenze rilevate tra la letteratura e lo studio sul campione, in merito alle cinque competenze inserite nell’analisi.

Nel primo capitolo si analizza la definizione di competenza, per andare a sottolineare successivamente la differenza tra hard e soft skill.

Si presenta in seguito l’evoluzione degli studi in materia di competenze, che hanno portato alla definizione più diffusa, secondo cui una competenza è una caratteristica intrinseca dell’individuo, causalmente collegata ad una performance lavorativa efficace o superiore (Boyatzis, 1982; Spencer e Spencer, 1993).

L’analisi della teoria si sofferma poi sul concetto di intelligenza emotiva e sui modelli di valutazione della stessa, tra i quali si inseriscono strumenti di autovalutazione assieme a misurazioni di abilità. Risulta interessante considerare quei modelli che valutano le capacità cognitive e sociali del singolo, per collegarsi poi al nuovo modello sviluppato dal Ca’ Foscari Competency Center.

L’analisi prosegue nel secondo capitolo focalizzandosi sulla letteratura, per considerare i molteplici studi empirici effettuati in merito ai legami tra determinate variabili di rilievo e le competenze trasversali esaminate. Quest’analisi ha evidenziato come il possesso delle soft skill sia rilevante per gli individui, come esse influenzino le capacità, le performance, la soddisfazione degli individui stessi.

Ciascuna delle cinque competenze considerate in questo elaborato viene definita e in seguito inserita nel contesto della letteratura. Viene sottolineata la correlazione con variabili

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3

demografiche, quali età, genere e livello di istruzione, con variabili della personalità, definite dal modello Big Five, e con variabili legate al mondo del lavoro.

Dimostrata la padronanza della letteratura in materia di queste competenze, si è passati all’analisi empirica del modello. Il terzo capitolo presenta il modello proposto dal Ca’ Foscari Competency Center per l’analisi delle competenze trasversali, contenente nel complesso 31 competenze, suddivise in sei categorie. Viene descritto, inoltre, il campione selezionato per l’indagine attraverso questionario.

L’elaborato si concentra, infine, sul confronto con le relazioni precedentemente riscontrate nella letteratura, per andare a verificare se il modello le conferma o meno.

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CAPITOLO 1

1.1

DEFINIZIONE DI COMPETENZA

I rapidi cambiamenti che si sono attuati sul mercato con la globalizzazione e l’innovazione tecnologica hanno riguardato sia l’ambito produttivo sia quello sociale. L’evoluzione che ha interessato il mondo del lavoro ha portato conseguenti modifiche alle strategie aziendali, nonché alla valutazione delle risorse che le organizzazioni hanno a disposizione.

Il contesto dinamico ha portato a riconoscere la conoscenza come ciò che permette di spiegare e determinare quelle che sono le variabili tipiche del vantaggio competitivo, quali tecnologia, innovazione, qualità, efficienza, velocità, reputazione e immagine (Camuffo, 1998).

Le aziende valorizzano il capitale umano come risorsa strategica e le competenze possedute dalle risorse umane acquisiscono particolare importanza. Grazie alla capacità di portare benefici all’organizzazione, esse rappresentano un possibile elemento chiave per il miglioramento delle prestazioni aziendali.

Per quanto riguarda la definizione di competenza, si possono individuare contributi di diversi autori, intervenuti in merito a questo concetto.

La definizione oggi maggiormente condivisa riconosce la competenza come “an underlying capability or ability of a person that leads to or causes effective or superior performance” (Boyatzis, 1982, 2008; McClelland, 1973, 1985). La competenza è, quindi, una caratteristica sottostante la persona, che causa una performance efficace o superiore nel lavoro.

1.2

HARD SKILL E SOFT SKILL

Nell’esaminare che cos’è una competenza, è necessario sottolineare la distinzione tra due differenti significati, ai quali il termine può fare riferimento, cioè quello professionale e quello comportamentale.

Le competenze professionali solo legate alla dimensione organizzativa e consistono in un insieme di capacità e abilità tecniche contestualizzate in un ambito lavorativo. Sono caratteristiche specifiche, ricercate da un’organizzazione nel proprio personale, che possono essere acquisite da un individuo tramite formazione ed esperienza.

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5

Nel 1988, la Training Agency ha definito le competenze come quello che un soggetto, impiegato in un determinato contesto occupazionale, si presume sia in grado di svolgere. Sono azioni, comportamenti, risultati, che tale lavoratore dovrebbe essere in grado di compiere.

Costa e Gianecchini (2013) hanno proposto una suddivisione delle competenze professionali in conoscenze, sapere empirico e meta-conoscenze.

Le conoscenze vengono utilizzate per comprendere il funzionamento di un certo processo o di un’attività e vengono trasmesse agli individui attraverso la formazione. Questo gruppo di conoscenze può essere ulteriormente scomposto in conoscenze enunciative (sapere che) e conoscenze procedurali (sapere come).

Il sapere empirico comprende, invece, un insieme di azioni che si traduce in routine e per questo motivo rimane spesso tacito, in quanto chi lo possiede potrebbe non essere in grado di riconoscerlo e di conseguenza trasmetterlo ad altri. Questa competenza si apprende grazie all’esperienza e alla pratica sul campo.

Le meta-conoscenze sono le conoscenze che un individuo possiede sulle proprie conoscenze e che permettono allo stesso di crescere e accumulare esperienze in diversi contesti. Queste possono essere migliorate attraverso la formazione ma vengono consolidate con l’esperienza.

Le competenze comportamentali sono quelle che oggi più comunemente chiamiamo hard skill, che Spencer e Spencer (1995) hanno identificato come competenze soglia. Sono, cioè, quelle caratteristiche essenziali di un individuo, tra cui inseriamo ad esempio il saper scrivere e leggere, capacità considerate elementari, la cui presenza è necessaria per raggiungere un livello minimo di efficacia nello svolgimento di una qualsiasi mansione. Quello che caratterizza le hard skill è il fatto che non rappresentano ciò che fa la differenza tra una performance media e una performance superiore, creano piuttosto una base. Gli autori portano l’esempio di un addetto alle vendite, la cui competenza soglia è rappresentata dalla conoscenza del prodotto, elemento necessario per svolgere i compiti richiesti ma che non porta un valore aggiunto per raggiungere prestazioni di successo.

Le hard skill individuano, quindi, quelle abilità legate alla conoscenza, che si esercitano con la pratica e l’esperienza sul lavoro e indicano il saper portare a termine un compito.

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6

Diversa è la nozione di competenza comportamentale, di cui questo elaborato si occupa. Le cosiddette soft skill sono competenze trasversali, non legate ad un unico contesto lavorativo ma applicabili a diverse situazioni. Sono complementari alle competenze professionali e, specialmente negli ultimi anni, hanno acquisito un’importanza fondamentale per il successo sul lavoro.

Le competenze comportamentali comprendono tratti e caratteristiche di un individuo, risultano difficili da migliorare attraverso formazione ed esperienza ma vengono continuamente sviluppate nella vita quotidiana di ciascuno. Sono caratteristiche difficilmente individuabili ma hanno la peculiarità di durare nel tempo.

Spencer e Spencer (1995) assegnano alle soft skill la definizione di competenze distintive, perché sono quelle che permettono di distinguere gli average dai best performer.

Con il termine soft skill si indicano tratti del carattere, attitudini e comportamenti, che migliorano le interazioni di un individuo, le prestazioni lavorative e le opportunità di carriera (Parsons, 2008).

Costa e Gianecchini (2013) hanno individuato motivazioni, tratti, idea di sé, conoscenza e skill come componenti delle competenze comportamentali.

Le soft skill sono, quindi, qualità desiderabili, non tecniche ma intangibili, sono conoscenze e relative capacità o abilità personali che possono essere applicate in diverse situazioni.

1.3

IL CONCETTO DI COMPETENZA E L’EVOLUZIONE DEI MODELLI

Diversi autori sono intervenuti in merito al tema delle competenze, cercando una definizione che potesse dare una spiegazione completa di cos’è una competenza. Importanti sono stati i contributi di McClelland, Boyatzis, Spencer e Spencer e Goleman.

Con lo sviluppo del tema delle competenze, risulta, inoltre, interessante per gli studiosi l’individuazione di uno strumento che permetta la misurazione delle stesse.

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7

Esempi di tecniche di valutazione delle competenze, oggi maggiormente diffuse, sono:  Interviste, che rappresentano una tecnica molto diffusa, sono flessibili e di

conseguenza applicabili in molteplici contesti;

 Panels, elenchi di competenze che gli esperti si aspettano di trovare nei lavoratori che svolgono una determinata mansione;

 Questionari, che permettono di indagare direttamente i lavoratori sulle competenze predefinite;

 Test, che misurano la padronanza di una o più competenze;

 Assessment center, strumento di valutazione che sulla base di prove di valutazione con il coinvolgimento di più valutatori risulta essere un sistema completo;

 Valutazioni da parte di altri, espresse da soggetti vicini al candidato e spesso accompagnate da una sua autovalutazione;

 Simulazioni di ruolo, che richiedono al candidato di immaginarsi in un determinato ruolo lavorativo e permettono di valutare come si comporterebbe;

 Esercizi di gruppo, che servono a valutare la capacità di un soggetto di relazionarsi con gli altri e possono essere competitivi, se un soggetto trae vantaggio a discapito di un altro, oppure cooperativi, quando il successo di ciascuno è slegato dal successo degli altri.

 IL CONTRIBUTO DI MCCLELLAND

Lo studio delle competenze riceve particolare importanza con David McClelland, psicologo e professore ad Harvard, al quale è stato attribuito il titolo di padre fondatore del movimento delle competenze. Egli offre diverse soluzioni per affrontare le nuove necessità, nate dall’ambiente lavorativo in via di sviluppo. Con la pubblicazione dell’articolo Testing for Competence Rather Than for “Intelligence” (1973), introduce la possibilità di utilizzare una valutazione basata sulle competenze degli individui nella selezione del personale, a sostituzione del metodo di valutazione dell’intelligenza.

Il Dipartimento di Stato americano, negli anni ’70, affidò a McClelland il compito di riprogettare la selezione dei FSIO (Foreign Service Information Officers), funzionari incaricati di promuovere la politica americana all’estero, così da aumentarne il consenso.

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McClelland contestava il sistema precedentemente utilizzato, basato su test d’intelligenza e attitudinali che andavano ad analizzare le conoscenze dei candidati sulla cultura occidentale, sulla lingua inglese e, infine, su materie economiche e politiche. I test erano stati pensati a seconda del paese estero in cui il funzionario avrebbe prestato servizio, era perciò richiesta una conoscenza della cultura locale in cui si sarebbe trovato a svolgere il lavoro.

Secondo McClelland questi test non risultavano adatti a predire il successo professionale di un soggetto, dato confermato dalla mancanza di corrispondenza tra i risultati ottenuti dai test e le effettive prestazioni lavorative. Soggetti che dimostravano avere le competenze adatte a un determinato ruolo, non lo erano poi nella realtà.

Egli propose quindi un nuovo metodo di selezione, non più basato unicamente su capacità cognitive (leggere, scrivere, fare calcoli) ma anche su caratteristiche della personalità (capacità comunicative). McClelland introdusse così la valutazione delle competenze dei soggetti per predire la loro performance lavorativa.

Raccolti i dati, tramite interviste, su un campione di diplomatici che già ricoprivano il ruolo ed erano ritenuti i best performer, che producevano cioè performance eccellenti, le confrontò con quelle di soggetti con medie prestazioni, average performer, per valutare ciò che li differenziava.

Le interviste di McClelland furono condotte tramite BEI (Behavioural Event Interview), una tecnica di intervista su modelli comportamentali. Questo approccio si compie sottoponendo il soggetto ad un’intervista su degli episodi comportamentali, per raccogliere informazioni in merito a comportamenti che egli ha adottato in particolari situazioni. All’intervistato viene chiesto di riportare alla mente alcuni eventi di successo ed altri eventi di fallimento che egli ha vissuto nelle esperienze lavorative. Si pone poi il soggetto di fronte a diversi casi, chiedendogli di riflettere su come egli stesso li avrebbe affrontati, per analizzare le motivazioni che portano un individuo verso determinati comportamenti (Spencer e Spencer, 1995). Questo metodo permette di comprendere quali competenze hanno originato i comportamenti messi in pratica dagli individui, sulla base di eventi realmente accaduti. Lo scopo è quello di evitare di farsi raccontare le competenze dal soggetto intervistato, dando importanza piuttosto a comportamenti che egli ha effettivamente attivato.

Per completare la ricerca, McClelland si occupò successivamente di verificare la validità dei risultati ottenuti. Attraverso verifiche su diversi gruppi di diplomatici e test di valutazione delle competenze, confermò quanto aveva concluso precedentemente.

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Al termine della ricerca, McClelland evidenziò la presenza, nei soggetti con prestazioni eccellenti, di particolari competenze personali collegate al successo sul lavoro, diversamente da quanto rilevato negli altri soggetti. La ricerca gli permise di giungere alla definizione di competenza, come abilità personale che permette il raggiungimento di una performance superiore (1973).

Il contributo di McClelland ha provocato grossi cambiamenti nelle organizzazioni, in particolare per quanto riguarda la direzione delle risorse umane, con l’introduzione di un nuovo metodo di gestione e formazione basato sulle competenze.

McClelland si è concentrato sull’identificazione di competenze che conducono a prestazioni eccellenti, individuando un gran numero di costellazioni di competenze (competency models), ognuna riferita ad una mansione lavorativa individuata all’interno di una precisa impresa.

 IL CONTRIBUTO DI BOYATZIS

La definizione più citata di competenza è quella proposta da un allievo di McClelland, Richard E. Boyatzis (1982), definizione che troverà in Spencer e Spencer (1993) una formulazione più compiuta.

Boyatzis, studiando le costellazioni di competenze di McClelland, ha concluso che una competenza può essere definita come “an underlying characteristic of a person which result in effective and/or superior performance in a job” (Boyatzis 1982). La competenza è una caratteristica sottostante la persona, che si traduce in una prestazione efficace o superiore nel lavoro.

Il concetto di competenza individua, secondo Boyatzis, un’abilità, che rappresenta quello che un soggetto può fare e non necessariamente ciò che effettivamente uno specifico soggetto fa, riguarda cioè una specifica situazione.

Le competenze risultano essere correlate a una prestazione efficace o superiore con un rapporto di causalità, questo indica che esiste un’evidenza a dimostrazione del fatto che possedere determinate competenze porta ad ottenere successo sul lavoro.

Boyatzis (1982) afferma, inoltre, che “a threshold competency is a person’s generic knowledge, motive, trait, social role or skill which is essential to performing a job, but is not causally related to superior job performance”. L’autore riconosce le competenze come quelle caratteristiche che differenziano una performance superiore da prestazioni medio-basse.

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L’autore articola le competenze su tre livelli distinti: il primo, più profondo, legato alla motivazione e ai tratti, seguito poi dal livello dell’immagine di sé e del ruolo sociale, infine si trova il livello delle skill o abilità personali (Figura 1.1.1).

La motivazione è un interesse o una preoccupazione propria del soggetto che ne orienta il comportamento, il tratto è rappresentato dal modo in cui il soggetto reagisce agli stimoli, l’immagine di sé è la percezione che il soggetto ha di sé stesso, il ruolo sociale è il modo che il soggetto ha di porsi in ambito sociale, con altri, infine, le skill sono le abilità del singolo, ciò che egli è capace di fare per raggiungere un dato obiettivo.

Secondo Boyatzis, le competenze di un soggetto sono generate in questi livelli, considerando che non tutte le competenze di un certo individuo esisteranno a tutti e tre i livelli ma possono coinvolgere solo in parte motivazioni, immagine di sé, skill.

L’autore, inoltre, riconosce l’esistenza di un collegamento tra i livelli di competenze, i quali si influenzano a vicenda in un ambiente dinamico.

Figura 1.1: Levels of competences

(FONTE: adapted from Boyatzis 1982, p. 35; Spencer and Spencer 1993, p. 11)

Boyatzis considera nel suo modello anche il contesto esterno, caratterizzato dalle richieste specifiche della mansione e dall’ambiente organizzativo. Contesto che influisce sulle prestazioni, in quanto il comportamento di un soggetto risulta dall’interazione tra la persona e l’ambiente in cui è inserita.

Con riferimento alle prestazioni del singolo, si evidenzia che le richieste della posizione, le competenze individuali e il contesto in cui è inserita l’organizzazione sono i tre elementi che, se messi assieme, permettono il conseguimento di performance elevate. (

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Figura 1.2)

Figura 1.2: Model of an effective job performance (FONTE: Boyatzis, 1982)

Per quanto riguarda le richieste funzionali del lavoro, sono elementi relativi a quello che l’organizzazione si aspetta dal lavoratore. Le competenze individuali si riferiscono alle abilità e conoscenze che il lavoratore possiede e utilizza nella mansione svolta. Per finire, il contesto organizzativo determina le modalità di lavoro, in base alla cultura aziendale, la posizione competitiva dell’azienda, la gestione interna.

Il soggetto ottiene prestazioni di successo quando sono presenti tutti i tre gli elementi descritti, cioè si verifica una situazione in cui le competenze possedute dal lavoratore sono in linea con quanto richiesto dall’organizzazione.

L’autore afferma che, per ottenere performance di successo, è necessario che l’individuo metta in pratica determinate azioni con l’intenzione di raggiungere uno specifico obiettivo. Boyatzis sviluppa una descrizione della competenza, definendola come “a capability or ability. It is a set of related but different sets of behaviour organized around an underlying construct called the “intent.”” L’autore afferma, cioè, che la competenza è una capacità o un’abilità dell’individuo, costituita da comportamenti tra loro collegati che ruotano attorno a un intento.

La manifestazione di una competenza, secondo questa definizione, richiede sia la presenza di un’azione, individuata da una serie di comportamenti idonei alla situazione, sia quella di un intento, deve quindi esserci una volontà da parte del soggetto.

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 IL CONTRIBUTO DI SPENCER E SPENCER

Lyle M. Spencer Jr. e Signe M. Spencer, sulla scia delle ricerche di McClelland e Boyatzis, riprendono la definizione di competenza in chiave più operativa. Nel 1993, con la pubblicazione dell’opera “Competenze nel lavoro”, riassumono centinaia di studi condotti sull’argomento nei 20 anni precedenti.

Spencer e Spencer definiscono una competenza come “una caratteristica intrinseca individuale, causalmente collegata a una performance efficace /o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito” (1993).

Il significato di caratteristica intrinseca, secondo gli autori, non va interpretato come sinonimo di innata della persona ma suggerisce di considerare la competenza come parte integrante e duratura della personalità di un soggetto. Essa può predire il comportamento del soggetto in differenti situazioni e compiti di lavoro.

Causalmente collegata si riferisce al fatto che la competenza è in grado di causare o predire il comportamento e i risultati ottenuti dall’individuo, evidenzia quindi un rapporto causale tra competenza e performance.

Il riferimento a un criterio prestabilito su cui viene misurata, infine, sta a significare che la competenza prevede il risultato del lavoro del soggetto, determinando secondo standard specifici, stabiliti a priori, se un lavoratore porta a termine bene o male i propri compiti. (Spencer, Spencer, 1993)

Secondo il modello di Spencer e Spencer, la competenza è definita da cinque diverse caratteristiche, quali motivazione, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità. 1. Motivazioni, sono gli schemi mentali di un individuo, i bisogni o le spinte interiori che

fanno sì che la persona agisca in un determinato modo. Sono interessi ricorrenti per una situazione e “spingono, guidano e selezionano” il comportamento di una persona, portandola a concentrare gli sforzi verso un determinato obiettivo;

2. Tratti, sono caratteristiche prettamente fisiche della persona, individuano una predisposizione del soggetto ad agire o reagire a certe situazioni o informazioni;

3. Immagine di sé, indica atteggiamenti, valori oppure il concetto che un soggetto ha di sé stesso, come egli percepisce sé stesso;

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4. Conoscenze, informazioni riguardo a discipline o argomenti specifici, considerate come competenze complesse, possono predire cosa un soggetto può fare;

5. Skill, individuano le abilità di un soggetto nell’eseguire un dato compito intellettivo o fisco.

Gli autori non hanno definito se queste caratteristiche sono di per sé competenze o unicamente loro determinanti.

Per rappresentare come si comportano le competenze della persona, Spencer e Spencer, le raffigurano tramite un iceberg (Figura 1.3), suddividendole nelle cinque caratteristiche prima individuate.

Figura 1.3: The iceberg model (FONTE: Spencer and Spencer, 1993)

Conoscenze e skill, secondo gli autori, tendono ad essere le caratteristiche maggiormente osservabili di un individuo e, per questo, anche più facilmente valutabili. Nella raffigurazione si trovano sulla punta dell’iceberg, costituiscono la parte emersa. Conoscenze e skill sono, di conseguenza, più semplici da sviluppare negli individui e più semplici da promuovere all’interno di un’organizzazione.

Tratti e motivazioni corrispondono, invece, alla base della figura, si trovano nella parte sommersa dell’iceberg in quanto sono la parte sommersa della personalità. Si tratta, infatti, di caratteristiche più difficili da individuare e osservare in un soggetto, che di conseguenza risultano più difficili da sviluppare.

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Spencer e Spencer affermano che è più immediato in un’organizzazione assumere personale guardando alla parte emersa dell’iceberg, identificata in conoscenze e skill, caratteristiche definite “di superficie”. Risulterebbe però più utile ed efficace per l’organizzazione, in particolar modo in termini di costi ma anche di apprendimento, una valutazione del candidato basata sulla personalità, sulle caratteristiche “profonde” e più nascoste, per insegnare successivamente skill e conoscenze necessarie a portare a termine gli obiettivi aziendali.

Attraverso il collegamento causale esistente tra competenze e performance, gli autori definiscono un modello di flusso causale (Figura 1.4), definendo il rapporto tra le competenze possedute e la possibilità di ottenere una performance superiore. Secondo il modello, le caratteristiche personali di ciascuno, motivazioni, tratti e immagine di sé, predicono le skill, quindi i comportamenti e le azioni del soggetto, i quali a loro volta predicono quelle che saranno le prestazioni, i risultati nella mansione svolta.

Figura 1.4: Il modello di flusso causale delle competenze (FONTE: Spencer and Spencer, 1993)

Spencer e Spencer sostengono che nelle competenze sia sempre contenuta un’intenzione del soggetto, definita dalla forza della motivazione o del tratto che porta al compimento di un’azione orientata a un certo obiettivo. Un comportamento senza la presenza di un’intenzione sottostante non viene considerato competenza.

Gli autori pongono l’accento, inoltre, sull’importanza di individuare un criterio su cui misurare le competenze. “Una caratteristica non è una competenza se non predice qualcosa di significativo nella vita reale” (Spencer e Spencer, 1995). È diffuso il criterio che individua performance superiore e performance efficace. La performance superiore è una deviazione standard dalla performance media e indica, in una specifica situazione lavorativa, il livello raggiunto da un lavoratore su dieci. La performance efficace è un livello di lavoro definito

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“minimo accettabile”, indicato da quella soglia che, se non raggiunta, permette di definire il lavoratore non competente per quella specifica mansione.

 IL CONTRIBUTO DI GOLEMAN

Nel suo libro “Lavorare con intelligenza emotiva” (1998), Daniel Goleman, psicologo e giornalista statunitense, definisce una competenza come “un aspetto personale o un insieme di abitudini che conduce a prestazioni lavorative e professionali più efficaci o comunque superiori - in altre parole si tratta di un’abilità che aggiunge un evidente valore economico all’impegno che il soggetto mette nel proprio lavoro”. Definizione che si collega alla scia di studi sulle competenze cominciati con McClelland, con cui l’autore ha lavorato durante gli studi ad Harvard.

Ciò che di particolare introduce Goleman, è la considerazione dell’intelligenza emotiva, descritta come un “nucleo comune di abilità sociali e personali” e definita la chiave per il successo lavorativo. L’intelligenza emotiva mette assieme lo studio in merito ai processi cognitivi dell’individuo, l’intelligenza e lo studio sulle emozioni.

Il concetto di intelligenza emotiva era già stato introdotto da Salovey e Mayer nel 1990, per descrivere la capacità degli individui di controllare le sensazioni, sia proprie sia in relazione agli altri, riuscendo inoltre a distinguere tra diversi tipi di emozione e ad utilizzare le informazioni raccolte per guidare i propri pensieri e azioni. Gli autori avevano individuato come essenziali più elementi, cioè la percezione, l’utilizzo, la comprensione e la gestione delle emozioni.

Goleman già nel 1995 rende noto il concetto di intelligenza emotiva, avviando uno studio sul ruolo che questa capacità esercita nella vita delle persone, cercando nel frattempo un possibile metodo di misurazione. Egli definisce l’IE come “la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri, di motivare sé stessi e di gestire positivamente le proprie emozioni e quelle nelle relazioni sociali”. Egli riconosce anche la distinzione dell’IE in cinque dimensioni che la compongono, quali consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali.

Da qui, Goleman definisce poi la competenza emotiva come una capacità che l’individuo apprende e che si basa sull’intelligenza emotiva, essa permette il raggiungimento di prestazioni professionali eccellenti e dimostra se il soggetto ha messo in pratica le proprie potenzialità, per tradurle in capacità effettive sul lavoro (Goleman, 1998).

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1.4

TEORIA DELLA PERSONALITA’

Nello svolgimento dei suoi studi, Boyatzis ha indagato alla ricerca delle competenze che un leader deve possedere per ottenere successo e distinguersi dagli altri. Egli evidenzia la distinzione tra le competenze soglia, quali esperienza, conoscenza e competenze cognitive di base, descrivendole come abilità minime essenziali che tutti devono possedere e che risultano fondamentali per ricoprire ruoli lavorativi. Boyatzis descrive poi le competenze distintive, che si suddividono in 3 categorie e sono necessarie per distinguere i best performer dagli altri. Tali competenze sono: competenze dell’intelligenza emotiva, che si riferiscono alle capacità di comprensione di sé stessi, di riconoscimento e utilizzo delle proprie emozioni per raggiungere performance superiori; competenze dell’intelligenza sociale, che guardano alle emozioni degli altri, alla capacità di riconoscerle e sfruttarle per performance efficaci; competenze dell’intelligenza cognitiva, che fanno riferimento all’abilità di ragionare su situazioni e informazioni in possesso dell’individuo, per giungere a prestazioni di successo (Boyatzis, 1982).

Lo stesso autore sostiene che sia necessaria la soddisfazione di determinati criteri per definire un concetto come intelligenza (Boyatzis e Sala, 2004; Boyatzis, 2008).

Un concetto dev’essere:

o Osservabile dal punto di vista comportamentale; o Collegato ai risultati nella vita e nel lavoro;

o Relativo al le funzioni biologiche e differenziato per il sistema endocrino-nervoso coinvolto;

o Sufficientemente diverso da altri costrutti della personalità risultando un’aggiunta di valore alla comprensione della personalità umana e del suo comportamento;

o Misurabile con validità convergente e discriminante.

Secondo Boyatzis e Sala, dalla definizione di intelligenza emotiva si crea una struttura teorica per la definizione di una teoria della personalità.

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17

La teoria della personalità è stata descritta da McClelland (1951) come la relazione tra le motivazioni inconsce di un individuo e i comportamenti osservabili. Boyatzis ha definito più tardi il modello di interazione dinamica (1982), descritto in precedenza, in cui la competenza si sviluppa su più livelli, a partire dalle motivazioni e tratti, per passare a immagine di sé e ruolo sociale, infine alle skill. Al livello più esterno si trovano i comportamenti adottati dal soggetto.

Successivamente Goleman ha condotto degli studi sull’intelligenza emotiva (1995) e sull’intelligenza sociale (2006), introducendo il livello fisiologico della personalità.

Di conseguenza, Boyatzis, sulla base degli studi sopra descritti, definisce una teoria della personalità (2008), basata su:

o Circuiti neurali e processi ormonali;

o Motivazioni e tratti (disposizione inconsce); o Valori e filosofie operative;

o Specifiche competenze osservate; o Clusters di competenze.

È un modello che offre una visione ampia e integrata dell’individuo, che coinvolge il livello psicologico, quello comportamentale e quello fisiologico (

Figura 1.5).

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18

Per analizzare l’effetto delle competenze sulla performance in quest’ottica, è necessario valutare con quale frequenza il soggetto manifesta un dato comportamento, segno del possesso di una correlata competenza. Per fare questo si valuta il tipping point o punto critico di ciascuna competenza che, laddove superato, permette di riconoscere un best performer.

1.5

L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Il termine “intelligenza emotiva” è stato coniato da Salovey e Mayer nel 1990, che l’hanno definita come “una forma di intelligenza sociale che coinvolge la capacità di monitorare i propri sentimenti e le proprie emozioni, di discriminarle tra loro e di utilizzare le informazioni raccolte per guidare il pensiero e l’azione”. Da qui, in particolare in seguito alla pubblicazione del libro dell’autore Daniel Goleman, altri studiosi si sono occupati di questo tema è l’intelligenza emotiva è stata riconosciuta come elemento importante in ambito lavorativo.

La ricerca non riconosce nel quoziente intellettivo (QI) una buona misura per le performance lavorative. Hunter e Hunter (1984) hanno dimostrato che il QI rappresenta solo il 25% della varianza delle prestazioni, tesi confermata nello studio di Snarey e Vaillant (1985) i quali hanno dimostrato la scarsa influenza del QI sulle capacità di 450 ragazzi coinvolti nello studio. Lo studio di Feist e Barron (1996) si aggiunge alle dimostrazioni riguardo alla bassa rilevanza del QI nella determinazione del successo individuale, svolto sttraverso valutazioni su 80 dottorati sottoposti a test durante il periodo di studi, i cui risultati sono stati collegati a valutazioni successive sui successi conseguiti dagli stessi.

L’importanza dell’intelligenza emotiva e la sua influenza in ambito lavorativo è stata dimostrata in diversi studi, tra i quali troviamo lo studio di Bachman (1988), il quale ha dimostrato che leader più caldi, espressivi e socievoli risultano più efficaci. In merito a questo stesso tema, l’Università di Yale (1998) ha effettuato un esperimento su un gruppo di volontari. I soggetti, divisi in gruppi, dovevano ipotizzarsi nel suolo di manager, riunitisi per conferire bonus ai propri subordinati. Tra di loro c’era un attore, che ha sempre parlato per primo, mostrandosi a un gruppo entusiasta, ad un altro rilassato, a chi depresso e ad altri irritabile. È stato dimostrato che le emozioni dell’attore hanno influenzato le decisioni dei

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diversi gruppi, tra i quali quelli che hanno percepito emozioni positive hanno dimostrato maggior collaborazione e una distribuzione equa dei premi.

Rosenthal (1977) ha dimostrato che l’empatia, elemento dell’intelligenza emotiva, è caratteristica di soggetti che ottengono successi sul lavoro. Un ulteriore studio ha dimostrato che acquirenti al dettaglio apprezzano venditori che dimostrano empatia (Pilling & Eroglu, 1994).

Sia Goleman (1998) che Mayer e Salovey (1998) affermano però che l’intelligenza emotiva di per sé non è sufficiente a spiegare il successo sul lavoro degli individui. Essa fornisce la base per le competenze necessarie ad avere buone performance.

Goleman ha individuato una differenza tra IE e competenze emotive, definendo queste ultime come “le abilità personali e sociali che portano a prestazioni superiori nel mondo del lavoro”.

1.6

MODELLI PER LA MISURAZIONE DELL’IE

Definita l’importanza dell’intelligenza emotiva, diventa necessario individuare degli strumenti di misurazione della stessa.

Esistono diversi approcci allo studio dell’IE, in particolare si possono evidenziare due tipi differenti di modelli. Ci sono modelli di abilità, o Mental ability model, in particolare quello di Mayer e Salovey, che si basano sul concetto definito dagli stessi autori, secondo cui l’IE è un’intelligenza pura, definita da capacità cognitive della persona assieme alle emozioni. Altri modelli sono definiti, invece, misti, o Mixed model, tra i quali si trovano il modello di Bar-On e quello di Goleman. Questo secondo tipo di modelli considera l’IE non solo come la capacità di gestire le emozioni, ma la collega anche ad aspetti della personalità.

 IL MENTAL ABILITY MODEL

Il Mental ability model di Salovey e Mayer (1990) considera l’IE come un insieme di aspetti emotivi e cognitivi, senza l’interazione di elementi della personalità o della motivazione dell’individuo.

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Il modello, rivisto nel 19971, propone la distinzione di 16 abilità legate all’intelligenza emotiva, le quali vengono raggruppate in 4 diversi livelli: percezione ed espressione delle emozioni, utilizzo delle emozioni, comprensione delle emozioni ed infine gestione delle emozioni.

I passaggi descritti rappresentano delle fasi sequenziali di sviluppo delle abilità, ciascun soggetto deve seguire il processo secondo questo senso per poter sviluppare l’intelligenza emotiva, partendo dai processi psicologici di base per arrivare a processi più integrati.

I primi due livelli rappresentano elementi della sfera esperienziale dell’individuo, gli ultimi due si riferiscono invece alla sfera strategica, che richiede processi più complessi.

La percezione delle emozioni, che è il primo step importante tra le abilità dell’IE, richiede di saper identificare le emozioni proprie ma anche quelle degli altri. Il soggetto deve saper riconoscere le emozioni, anche attraverso segnali non verbali come ad esempio il linguaggio del corpo, imparando dapprima a capire ciò che prova, per comprendere poi chi si trova davanti. Imparare ad esprimere le proprie emozioni permette anche di scoprire come manifestare i bisogni ad esse correlati.

La seconda fase richiede di saper utilizzare le emozioni nell’affrontare una decisione. Le emozioni possono facilitare il pensiero del singolo, aiutandolo a dare priorità a ciò che merita attenzione e migliorando la capacità di problem solving.

Nella terza fare si affronta la comprensione delle emozioni, la capacità, cioè, di distinguere tra un’emozione e un’altra, per poterle riconoscere e descrivere. È importante anche analizzare l’evoluzione delle emozioni nel tempo per poter comprendere gli effetti che provocano.

Nell’ultima fase si guarda alla gestione delle emozioni, capacità cruciale che prevede che il soggetto riesca ad avere padronanza delle emozioni proprie e altrui. Gestire le emozioni permette di moderare quelle negative e mantenere invece quelle positive, coinvolgendo aspetti della personalità per raggiungere dei dati obiettivi.

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L’intelligenza emotiva è una forma di intelligenza appunto, di conseguenza può essere sviluppata e migliorata ma anche misurata. Mayer e Salovey (1997) hanno sviluppato un metodo di misurazione dell’IE come abilità, la MEIS (Multifactor Emotional Intelligence Scale). È una scala di misurazione delle abilità composta di 402 item e per questo ritenuta troppo complessa.

Per rendere il test più facilmente applicabile, nel 2002 è stato proposto un nuovo modello, la MSCEIT (Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test), scala che valuta l’intelligenza emotiva di un individuo sulla base della performance ottenuta in determinati compiti lavorativi. La MSCEIT si compone di 102 item, che consistono in compiti da portare a termine o problemi emotivi da risolvere. Questo test fornisce una valutazione della performance emotiva del soggetto, al quale viene richiesto di confrontarsi con situazioni relative alle quattro aree individuate da Mayer e Salovey. Pur ottenendo successo in diversi contesti di applicazione, il modello risulta lungo da sottoporre (30-45 minuti).

 I MIXED MODEL

I modelli misti si differenziano per la diversa concezione di intelligenza emotiva sulla quale sono basati. In particolare, a differenza del modello appena descritto, considerano alcuni attributi della personalità, quali ottimismo, motivazione e capacità relazionali, oltre alla pura intelligenza emotiva.

Revenue Bar-On è uno psicologo noto per delle novità che ha apportato in termini di intelligenza emotiva, ha per esempio coniato il termine di EQ, Emotional Quotient, legato alla misurazione dell’IE. Egli ha, inoltre, rilevato l’importanza, in egual misura, sia della sfera emotiva sia di quella cognitiva come impattanti sulle potenzialità di un soggetto.

Egli definisce l’IE con un’ottica multifattoriale, come una serie di capacità, competenze e abilità non cognitive, fondamentali per la capacità di un soggetto di riuscire a far fronte alle esigenze e alle pressioni di un ambiente lavorativo. L’IE è quindi un elemento importante per il raggiungimento di performance superiori.

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Bar-On ha introdotto il concetto di Emotional-Social Intelligence (ESI), che egli stesso definisce come un insieme interrelato di competenze, abilità e facilitatori, emotivi e sociali, che determinano l’efficacia con cui un soggetto comprende ed esprime sé stesso ma anche gli altri, per relazionarsi con loro ed affrontare situazioni quotidiane (Bar-On, 2006).

L’ESI permette all’individuo di avere consapevolezza di sé, di riuscire a relazionarsi con altri e di gestire con successo le diverse sfide che gli si presentano davanti. Tale capacità richiede l’intervento della sfera emozionale, che si interseca con tratti della personalità.

Il modello di Bar-On prevede l’articolazione dell’intelligenza emotiva e sociale in 15 fattori specifici, raggruppati a loro volta in cinque diverse componenti composte:

 Intrapersonale, costituita da considerazione di sé, consapevolezza emotiva, assertività, indipendenza e autorealizzazione. Questa dimensione riguarda la consapevolezza e la comprensione delle proprie emozioni, nonché la capacità di esprimerle.

 Interpersonale, in cui si trovano empatia, responsabilità sociale e relazioni interpersonali. Essa è relativa alla capacità di un soggetto di comprendere le emozioni altrui, per creare relazioni durature nel tempo.

 Gestione dello stress, costituita da tolleranza dello stress e controllo degli impulsi. Questa dimensione riguarda la capacità di affrontare situazioni cariche di stress, mantenendo il controllo delle proprie emozioni che da essa derivano.

 Adattabilità, che si compone di esame della realtà, flessibilità e problem-solving. Questa dimensione si riferisce alla capacità di modificare le proprie emozioni e quelle altrui, per adattarle a seconda dell’ambiente dinamico esterno.

 Umore generale, composto da ottimismo e felicità. Esso comprende la capacità di affrontare le situazioni con ottimismo e motivazione, riuscendo a beneficiare della presenza degli altri.

Il modello di Bar-On dell’intelligenza emotivo-sociale può essere scomposto in due parti fondamentali. La prima è la concettualizzazione del costrutto individuata nel modello concettuale di Bar-On, mentre la seconda è relativa all’aspetto psicometrico del modello, cioè alla misurazione dell’intelligenza emotivo-sociale.

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A partire dal suo modello, l’autore ha ricavato un indice di autovalutazione, l’EQ-i ovvero Emotional Quotient Inventory (Bar-On, 1997). Questo strumento è stato sviluppato in un contesto clinico, per valutare le qualità personali che hanno permesso ad alcuni soggetti di raggiungere un “benessere emotivo” (Cherniss Cary, 2000).

Il modello di Bar-On definisce un soggetto emotivamente e socialmente intelligente quando egli è in grado di comprendere gli altri ed esprimere sé stesso in modo efficace, comprendere e relazionarsi bene con gli altri per far fronte con successo ai diversi bisogni, alle sfide e alle pressioni quotidiane. A livello interpersonale, l’intelligenza emotiva e sociale si manifesta nella capacità di riconoscere le emozioni, i sentimenti, cogliere le necessità degli altri, stabilire e mantenere relazioni reciprocamente produttive.

L’EQ-i permette di misurare comportamenti rilevanti dal punto di vista dell’ESI, contiene 133 item sotto forma di affermazioni utili ad indagare la presenza delle caratteristiche dell’intelligenza emotiva. Il test richiede al candidato di esprimere dei giudizi relativamente alla frequenza con cui svolge determinati comportamenti e il risultato fornirà informazioni in merito a componenti emotive, sociali e tratti della personalità. Critiche a questo strumento sostengono che esso risulti poco affidabile, proprio perché è un metodo di autovalutazione. Un altro modello misto, che ricalca quindi le basi sostenute da Bar-On, è quello di Goleman. Goleman ha dimostrato, tramite gli studi effettuati, che l’intelligenza emotiva è un indice più forte del quoziente intellettivo nella determinazione delle capacità e potenzialità di un individuo (Cherniss e al., 2006).

L’intelligenza emotiva, per Goleman, è una condizione necessaria ma non sufficiente per la manifestazione delle competenze, ciò significa che un soggetto con intelligenza emotiva dispone delle massime potenzialità per apprendere le competenze ma non si può dare per certo il fatto che le acquisirà (Goleman, 1998).

L’autore afferma che le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nell’elaborazione delle informazioni utili a definire il processo decisionale, d’altra parte, però, il pensiero razionale permette al singolo di riuscire a gestire tali emozioni generate (Goleman, 1997).

Goleman individua dapprima 25 competenze che raggruppa in 5 cluster, successivamente rivede il modello per semplificarlo, andando ad individuare quelle competenze che sono più comunemente utilizzate.

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Nel 2002 lo stesso autore sviluppa un ulteriore modello con 18 competenze, raggruppate in 4 diverse dimensioni dell’intelligenza emotiva (Goleman, Boyatzis, McKee, 2002):

 Consapevolezza di sé, in cui si trovano:

 Consapevolezza emotiva, che consiste nel controllo dei propri sentimenti e nel riconoscimento degli effetti che provocano, elementi fondamentali per comprendere sé stessi è prendere decisioni;

 Accurata autovalutazione, cioè la capacità di riconoscere le proprie abilità ma anche di avere percezione delle proprie qualità e debolezze;

 Fiducia in sé stessi, il fatto di avere fiducia nelle proprie capacità e avere percezione del proprio valore, così da mantenere le decisioni anche contro pareri esterni discordanti.

 Gestione di sé, composta da:

 Gestione delle emozioni, cioè la capacità di gestire le proprie emozioni e controllare gli impulsi negativi;

 Trasparenza, che riguarda la capacità di essere onesti e affidabili nella propria posizione;

 Adattabilità, quindi la capacità di adattarsi alle circostanze dell’ambiente in cui ci si trova, per superare le difficoltà e i cambiamenti con flessibilità;

 Orientamento al risultato, sta ad indicare che, guardando all’obiettivo che gli viene posto, il soggetto ha la capacità di superare i propri limiti per raggiungere la massima performance;

 Iniziativa, che indica la capacità di cogliere nuove opportunità, mostrandosi aperti verso il cambiamento; ottimismo, cioè il fatto di riuscire a guardare all’aspetto positivo delle situazioni, senza farsi abbattere dagli ostacoli che si possono incontrare.

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 Consapevolezza sociale, di cui fanno parte:

 Empatia, che è la capacità di comprendere le emozioni di chi ci si trova davanti, per creare un ambiente positivo, di comprensione e lavorare in sintonia;

 Consapevolezza dell’organizzazione, che indica la capacità di un soggetto di riconoscere l’esistenza di rapporti di potere e reti sociali interne ed esterne;  Assistenza, cioè la capacità del soggetto di essere orientato verso il cliente e verso

i suoi collaboratori, preoccupandosi di soddisfare i bisogni altrui.  Gestione delle relazioni interpersonali, che comprende:

 Leadership ispiratrice, che consiste nella capacità di guidare gli altri con una strategia di leadership che può essere d’ispirazione, stabilendo per esempio obiettivi comuni;

 Influenza, che individua la capacità di un soggetto di essere persuasivo con gli altri;

 Catalizzazione del cambiamento, cioè la capacità di mantenere un’apertura al cambiamento, riuscendo allo stesso tempo a trasmetterla agli altri;

 Gestione del conflitto, che riguarda la capacità del soggetto di risolvere eventuali divergenze attraverso la comunicazione;

 Collaborazione e lavoro in gruppo, che consistono nel partecipare a lavori in team creando cooperazione tra i membri che lavorano per obiettivi condivisi;

 Promozione dello sviluppo altrui, cioè la capacità di occuparsi dello sviluppo delle potenzialità degli altri.

Goleman individua due gruppi in cui inserisce queste categorie di competenze dell’intelligenza emotiva. Le prime due categorie sono relative alla sfera di competenze personali, si occupano, infatti, della gestione di sé e delle proprie emozioni. Le ultime due riguardano la sfera di competenze sociali, che si occupa di riconoscere e gestire le emozioni degli altri.

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Le competenze che l’autore ha individuato sono dotate di alcune caratteristiche, esse sono indipendenti, poiché ciascuna di esse contribuisce in modo unico alla prestazione lavorativa del soggetto, sono anche interdipendenti, in quanto sono presenti delle interazioni tra le competenze. Le competenze sono inoltre caratterizzate da un ordine gerarchico, infatti, sono elencate in modo tale da risultare fondate le une sulle altre. Esse sono necessarie ma non sufficienti al manifestarsi delle stesse competenze in campo pratico, infine sono generiche, descritte cioè in un contesto generico e perciò applicabili in svariate situazioni lavorative (Goleman, 2002).

Le competenze sopra descritte richiedono di essere utilizzate assieme per l’ottenimento di prestazioni di successo.

Goleman, sulla base del suo modello misto di intelligenza emotiva, si pone l’obiettivo di individuare uno strumento utile a misurare l’IE, valutandone tutte le competenze ad essa correlate.

Utilizzando come riferimento un questionario sviluppato da Boyatzis nel 1991, noto come Self-Assessment Questionnaire, lo stesso autore, assieme a Goleman e Rhee, sviluppa uno strumento di misurazione delle competenze dell’intelligenza emotiva e sociale. Applicabile in una qualsiasi situazione lavorativa, questo strumento permette la valutazione delle competenze di un soggetto (Boyatzis, Goleman, Rhee, 2000). Tale questionario, denominato Emotional Competence Inventory (ECI-1) viene criticato per l’eccessiva lunghezza e per questo sostituito da una nuova versione 2.0, l’ECI-2.

Il modello consiste essenzialmente in un questionario a 360°, che prevede una parte di autovalutazione seguita da un’altra valutazione effettuata da soggetti esterni, quali collaboratori o superiori. Il questionario è composto da 72 item utilizzati per la valutazione di 18 competenze, organizzate in 4 cluster, i quali sono definiti come: awarness, self-management, social awarness, relationship management (Tabella 1.1).

La valutazione degli item si effettua su una scala da 1 (se il soggetto non manifesta mai il comportamento) a 6 (quando il soggetto lo manifesta frequentemente), necessaria ad indicare il livello di presenza di un dato comportamento per un individuo. Ciascuna competenza riceve due valutazioni, quella data dal soggetto a sé stesso e la media delle valutazioni che gli vengono assegnate da soggetti esterni.

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Tabella 1.1: Emotional Competency Inventory ECI-2 (FONTE: Wolff, 2005)

Nel 2008 Boyatzis e Goleman, alla ricerca di un metodo di diversificazione delle competenze personali e sociali, sviluppano un ulteriore modello, l’Emotional and Social Competency Inventory (ESCI). L’ESCI è anch’esso un modello a 360°, che prevede un’autovalutazione accompagnata da una valutazione effettuata da soggetti esterni, vicini all’individuo.

È proprio la vista a 360° che permette una valutazione dei comportamenti che differenziano i soggetti eccellenti da quelli medi.

L’ESCI si compone di 4 cluster, nei quali si sviluppano 12 competenze, valutate attraverso 68 item (Tabella 1.2). Il modello in particolare si sviluppa su questi cluster:

o Consapevolezza di sé, che implica la comprensione delle proprie emozioni, delle preferenze, dei propri punti forti e punti di debolezza.

È composto da: Consapevolezza emotiva

o Gestione di sé, che prevede di saper gestire le proprie emozioni, le reazioni, le potenzialità.

Si compone di: Autocontrollo, Adattabilità, Orientamento al Risultato, Ottimismo. o Consapevolezza sociale, che richiede il riconoscimento e la comprensione delle

emozioni degli altri, dei loro sentimenti e delle loro necessità. È composto da: Empatia, Consapevolezza organizzativa.

o Gestione delle relazioni: che riguarda la capacità di relazionarsi con gli altri sul lavoro, guidando, ispirando, motivando il gruppo, anche risolvendo possibili difficoltà.

Al suo interno troviamo: Sviluppo degli altri, Leadership ispiratrice, Influenza, Gestione dei conflitti, Lavoro in team.

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Gli autori in seguito hanno sviluppato una versione specifica per gli studenti universitari e la loro valutazione delle competenze. Tale versione del modello prende il nome di ESCI-U e si differenzia da quella classica per l’aggiunta di un ulteriore cluster:

o Ragionamento analitico, che si riferisce alla capacità di comprendere eventi complessi e quella di riconoscere relazioni presenti tra eventi o situazioni.

È composto da: Pensiero sistemico, Riconoscimento di schemi.

Tabella 1.2: Emotional and Social Competence Inventory, ESCI (FONTE: Boyatzis, Goleman, 2011)

Il modello ESCI è utile per misurare l’intelligenza emotiva di leader e professionisti, sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso feedback efficaci, concentrare il coaching in azienda sullo sviluppo di capacità cruciale, valorizzare individui singoli e team.

 ULTERIORI MODELLI

Sono stati sviluppati altri modelli per la misurazione dell’intelligenza emotiva.

Uno di questi è il Genos Emotional Intelligence Inventory (Genos EI), che non misura l‘intelligenza emotiva di per sé ma prevede una misurazione basata sul comportamento degli individui. È un modello sostenuto da una serie di ricerche ed è presente sia in formato di autovalutazione sia in formato di valutazione a 360°. È disponibile in lingue diverse e viene utilizzato oggi in diverse aziende multinazionali.

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Il modello Genos EI fornisce una valutazione sulla base della frequenza con la quale il soggetto mette in pratica determinati comportamenti di intelligenza emotiva sul posto di lavoro. Tali comportamenti vengono valutati dai collaboratori del soggetto stesso, che lavorano a contatto con lui.

I risultati della misurazione vengono forniti sotto forma di testo libero relativamente a ciascuna competenza valutata, da cui ne risultano dei feedback per il soggetto valutato. I risultati vengono confrontati sia internamente alle aziende, sia globalmente con norme definite.

Genos EI può essere completato online, grazie a una piattaforma sicura che crea gruppi di sondaggi, monitora i progressi e raccoglie i risultati in report completi.

Il modello valuta 6 competenze dell’intelligenza emotiva, quali:  Consapevolezza di sé

 Consapevolezza degli altri  Autenticità

 Ragionamento emotivo  Gestione di sé

 Influenza positiva

Genos Ei permette di considerare abilità ed esperienze dei soggetti sottoposti a valutazione, attraverso la misurazione di comportamenti che prevedono le prestazioni lavorative di ciascuno.

Tra i modelli di valutazione dell’IE si trova poi il GEC, Group Emotional Competence Inventory. È un modello nato dagli studi di Druskat e Wolff, i quali si sono concentrati sull’applicazione dei concetti di competenza emotiva a livello di gruppo.

Gli autori hanno dimostrato che le norme GEC producono un miglioramento dell’efficacia del gruppo, attraverso la creazione di capitale sociale.

Il modello individua 9 norme di gruppo, in merito alle quali fornisce un feedback, utile al gruppo stesso per l’individuazione dei punti di forza e debolezza. L’applicazione del modello si pone l’obiettivo di individuare per il gruppo delle aree di miglioramento, attraverso la valutazione di elementi a livello individuale e di team.

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Un ulteriore modello da prendere in considerazione è il Profile of Emotional Competence (PEC). Tale modello, sviluppato da Brasseur e Mikolajczak, risulta da 10 anni di ricerche sull’intelligenza emotiva. Esso misura le 5 competenze emotive fondamentali, valutando separatamente quelle relative all’intra-personale, cioè alle proprie emozione, e quelle relative all’io inter-personale, cioè alle emozioni degli altri. Le aree dell’IE valutate sono l’identificazione, la comprensione, l’espressione, la regolazione e l’utilizzo delle emozioni. Il modello fornisce un punteggio complessivo sull’intelligenza emotiva del soggetto, accompagnato da punteggi specifici dei fattori.

Esiste, inoltre, un questionario sviluppato da Petrides, il Trait Emotional Intelligence Questionnaire (TEIQue). Questo strumento è parte di un ampio programma di ricerca scientifica, condotto nell’University College di Londra.

Relativamente al TEIQue è stata creata sia una forma completa, sia la forma breve, a seconda che si voglia una misurazione più o meno specifica. Per entrambe esiste un modello di auto-valutazione oppure la valutazione a 360° con il coinvolgimento di soggetti esterni. Nell’analisi dei modelli dell’intelligenza emotiva, si trova il WEIS (Wong's Emotional Intelligence Scale). Questo è un modello di auto-valutazione sviluppato da Wong (2007) ed è basato su 4 dimensioni dell’intelligenza emotiva:

o Valutazione ed espressione delle proprie emozioni o Valutazione e riconoscimento delle emozioni degli altri o Regolazione delle proprie emozioni

o Utilizzo delle emozioni per facilitare le prestazioni

Il WEIS è composto di due parti, nella prima vengono presentati all’individuo 20 scenari ipotetici, relativamente ai quali gli viene richiesto di individuare un’indicazione che più rappresenta la sua situazione in quello scenario. Nella seconda parte, invece, vengono presentate 20 coppie di capacità e l’intervistato dovrà scegliere, per ciascuna, l’abilità che più rappresenta i propri punti di forza nel lavoro.

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Esiste un ulteriore metodo di auto-valutazione, noto come WEIP (Work Group Emotional Intelligence Profile). Questo modello è pensato per misurare l’IE di soggetti che lavorano in team. La misurazione si basa su una scala di valutazione che varia tra 1 (fortemente in disaccordo) e 7 (fortemente d’accordo).

Gli elementi rispetto ai quali si richiede una valutazione si suddividono in due gruppi, il primo è relativo alla capacità di gestire le proprie emozioni, tra cui troviamo la capacità di riconoscere, di discutere o gestire le proprie emozioni. Il secondo gruppo si basa sulla scala sviluppata da Jordan e altri (2002) e valuta la capacità di gestire le emozioni degli altri attraverso, ad esempio, la valutazione dell’abilità nel riconoscere le emozioni degli altri.

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CAPITOLO 2

2.1

INTRODUZIONE

Esaminati i modelli esistenti per la valutazione delle competenze, in questo capitolo si procede con un’analisi della letteratura relativa a cinque competenze, individuate a priori. L’analisi della letteratura è stata svolta con il fine di verificare la sussistenza delle relazioni con determinate variabili relative agli individui, per andare poi a verificare ulteriormente questi aspetti tramite un’analisi empirica.

L’elaborato si concentra sulle competenza trasversali, divenute fondamentali in un contesto dinamico e sempre più globalizzato, in cui le aziende si trovano a confrontarsi con i competitor. In un sistema che dà importanza alla valutazione delle competenza trasversali dei lavoratori, è interessante occuparsi anche di quelle che sono le variabili che influenzano il possesso di queste competenze. Si tratta di variabili legate ad aspetti demografici, quali genere, età o livello di istruzione. Caratteristiche, queste, che impattano sulle competenze. Basti pensare che a seconda dell’età di un individuo e del suo percorso scolastico variano le esperienze che si è trovato ad affrontare, le quali possono aver migliorato alcune delle sue competenze. Ci si aspettano, inoltre differenze di genere, dal momento che soggetti di sesso maschile e femminile sono portati verso comportamenti a volte differenti.

L’analisi della letteratura si sofferma poi sui tratti della personalità, elementi spesso innati della persona che producono effetti sulle competenze degli stessi soggetti. Si considerano poi legami con variabili legate al mondo del lavoro e possibili connessioni esistenti tra competenze.

Nel capitolo vengono presentate le cinque competenze scelte, accompagnate dalla relativa analisi della letteratura.

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2.2

LE COMPETENZE OGGETTO D’ANALISI

Per quanto riguarda le competenze approfondite in questo elaborato, si tratta di soft skills legate alla sfera sociale degli individui.

In particolare vengono analizzate le seguenti competenze:

- Networking, cioè la capacità di creare, mantenere e utilizzare relazioni personali per raggiungere obiettivi;

- Conflict management, che indica la capacità di risolvere conflitti tra individui;

- Customer focus, intesa come la capacità di comprendere altre persone e in particolare le loro necessità, prestando attenzione alla soddisfazione degli altri; - Developing others, che consiste nella capacità di incoraggiare, supportare e fornire

risorse per il miglioramento e la crescita altrui;

- Leadership, nota come la capacità di condurre un gruppo di soggetti, ispirando e motivando i membri.

2.3

NETWORKING

Il networking è la capacità di creare una rete di relazioni professionali che si mantengono nel tempo e che si basano sulla fiducia reciproca. Fare networking significa instaurare con queste persone una relazione di reciprocità, grazie alla quale si genera uno scambio di idee, consigli, informazioni e contatti.

Fare network, creare rapporti, è una competenza cruciale per avere successo nel mondo del lavoro perché permette ai soggetti di sviluppare una rete di contatti, riuscendo poi a sfruttare un insieme di connessioni, grazie alla relazione con soggetti che hanno sviluppato a loro volta una rete di rapporti con altri.

Fare network permette di diffondere la propria reputazione, assieme alle proprie abilità e capacità. Scambiarsi informazioni porta a vantaggi per entrambi i soggetti coinvolti nella relazione.

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Con la tecnologia la possibilità di fare network si è notevolmente evoluta. Attraverso i social network e le piattaforme di networking (es. Linkedin), risulta più facile entrare in contatto con altre persone. Internet ha cambiato il modo in cui le persone si connettono, interagiscono, si scambiano informazioni e, soprattutto, lavorano.

 IL RAPPORTO CON VARIABILI DEMOGRAFICHE

Per quanto riguarda le variabili demografiche, analizziamo da subito il rapporto tra genere e networking, ossia il fatto che tra uomini e donne possa variare la facilità di coinvolgimento in comportamenti di rete.

Storicamente, in una cultura definita maschilista, si è sempre pensato che gli uomini avessero più risorse da offrire rispetto al genere femminile in un contesto lavorativo. Potremmo per questo essere portati a pensare che gli uomini, ancora oggi, abbiano maggiori probabilità di impegnarsi in comportamenti di rete rispetto alle donne, anche se ci troviamo in un periodo storico in cui si sta combattendo attivamente per la parità di genere.

Uno studio di Forret e Dougherty del 2001 analizza le possibili correlazioni tra caratteristiche, personali ma anche lavorative, e comportamenti di networking. Per verificare nello specifico quali sono le possibili correlazioni appunto, gli autori hanno intervistato soggetti con una laurea in economia e un età media di 38 anni. Lo studio considera come variabile dipendente i comportamenti di networking, suddivisi nello specifico in cinque sotto dimensioni (mantenimento di contatti, socializzazione, coinvolgimento in attività professionali, partecipazione alla chiesa e alla comunità e per finire aumento della visibilità interna) e come variabili indipendenti alcune caratteristiche personali e lavorative, le cui correlazioni analizzeremo in seguito.

Tale studio dimostra che il genere non presenta correlazione con il coinvolgimento in comportamenti di rete. Si ammette che, in passato, gli uomini potessero essere coinvolti in comportamenti di rete più frequentemente delle donne, ma dal momento che il genere femminile ha sviluppato una maggior consapevolezza riguardo all’importanza del networking nella carriera lavorativa, le donne hanno cominciato a impegnarsi in questo tipo di comportamenti con lo stesso sforzo dei colleghi uomini.

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