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La tutela della libertà personale dell'imputato minorenne nel sistema delle misure precautelari e cautelari

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1 CAPITOLO 1 – L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA EUROPEA E

INTERNAZIONALE SULLA CONDIZIONE DELL’IMPUTATO

MINORENNE

1.1 Il diritto sovranazionale

La protezione giuridica dei minori è stata a lungo competenza esclusiva di ciascuno Stato. Le istanze internazionali si sono preoccupate molto presto delle questioni relative alla protezione dei diritti del bambino: così come la Dichiarazione dei diritti del minore adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959 e ispiratasi alla Dichiarazione di Ginevra del 1924.

Ma bisognerà attendere gli anni ’80 prima che la questione della giustizia minorile sia affrontata su scala mondiale.

Nel 1985 le Nazioni Unite hanno elaborato le “ Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile ”, conosciute come le “Regole di Pechino”. Questo documento costituisce la fonte internazionale cui si sono ispirati i moderni legislatori di procedura penale minorile e rispecchia in parte la scelta, operata a livello internazionale, di superare gli schemi ideologici del passato.

La Scuola Classica optava per una concezione che aveva come punto di partenza la constatazione della diminuita capacità del minore di apprezzare il disvalore del fatto compiuto, percepiva il minore come una “frazione di adulto” e per questo giungeva alla conclusione che la risposta sanzionatoria dovesse essere semplicemente ridotta rispetto a quella dell’adulto. La Scuola Positiva proponeva invece un modello correzionalistico, spostava l’attenzione sul soggetto e sulla prevenzione speciale, e aveva come fine il recupero o la neutralizzazione del soggetto.

Di fronte all’ incapacità di queste due concezioni di apprezzare le peculiarità di un procedimento penale che si svolgesse nei confronti di un minore, si è cercato un altro “modello di responsabilità”. “Ne sono

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irrinunciabili capisaldi: il tendenziale riconoscimento all’imputato minorenne dei diritti e delle garanzie assicurati all’ imputato adulto; la maggiore responsabilità del minorenne accompagnata da una prioritaria considerazione per le sue esigenze psico-sociali; la riduzione dell’intervento giurisdizionale al minimo indispensabile; la predisposizione di un ampio catalogo di misure giudiziarie fondato sul principio educativo; il ricorso a restrizioni della libertà personale, sia in via cautelare sia in esecuzione di pena, soltanto come extrema ratio; un recupero del ruolo della vittima del reato, attraverso i meccanismi di mediazione e di conciliazione, funzionali a coltivare la logica educativa nei confronti dell’imputato minorenne; l’ introduzione di un’ età penale minima ( in genere, collocata tra dieci e quattordici anni ) e massima ( in genere, ravvisata negli anni diciotto ).”1 Questo approccio ha trovato in parte traduzione normativa nelle Regole di Pechino e alcune parti della normativa Onu possono evidenziarlo:

- 5. (Obiettivi della giustizia minorile). - Il sistema di giustizia

minorile deve avere per obiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti dei giovane sia proporzionale alle circostanze del reato e all'autore dello stesso.

- 6. (Scopo del potere discrezionale). - In considerazione

delle speciali esigenze del minore così come della varietà delle misure applicative, è previsto un potere discrezionale appropriato a diversi livelli dell'amministrazione della giustizia minorile, sia nell'istruttoria che nel processo e nella fase esecutiva.(…)

- 7. (Diritti dei giovani). Devono essere assicurate sempre

garanzie procedurali di base quali la presunzione di innocenza, il diritto alla presenza del genitore e del tutore, il diritto alla notifica delle accuse, il diritto al confronto e all'esame incrociato dei testi, il diritto a non rispondere e il diritto di appello.

1

Così sintetizza le linee-guida accolte a livello di normativa sovranazionale G. Giostra, Per uno

statuto europeo sull’ imputato minorenne, a cura di G. Giostra, Milano, Giuffrè Editore, 2005,

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3

- 13. (Custodia preventiva). - La detenzione preventiva può

essere una misura usata come ultimo mezzo e la sua durata deve essere la più breve possibile.

Ogni volta che si può, la custodia preventiva deve essere sostituita da altre misure alternative quali la sorveglianza, un aiuto molto attento o l'affidamento ad una famiglia, a un istituto o ad un focolare educativo.

I minori in custodia preventiva devono beneficiare di tutti i diritti e garanzie previste dall'insieme delle regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti.

I minori in custodia preventiva devono essere separati dagli adulti e detenuti quindi, in istituti separati, o in una parte distinta di un istituto che ospita anche gli adulti.

Durante la detenzione preventiva, i minori devono ricevere cure, protezione e ogni assistenza individuale - sul piano sociale, educativo, professionale, psicologico, medico e fisico - che possono essere necessari per la loro età, sesso e personalità.

- 17. (Princìpi guida per il giudizio e la sentenza). - La

decisione dell'autorità competente deve ispirarsi ai seguenti principi:

a) la decisione deve essere sempre proporzionata non soltanto alle circostanze e alla gravità del reato, ma anche alle condizioni e ai bisogni del soggetto che ha delinquito come anche ai bisogni della società;

b) le restrizioni alla libertà personale del minore sono adottate solo dopo un'attenta valutazione e sono limitate al minimo indispensabile;

c) la privazione della libertà individuale viene applicata se il minore è giudicato colpevole di un reato di violenza nei confronti di altra persona o per recidiva e se non vi sia altra idonea soluzione;

(4)

4 d) la tutela del minore deve essere il criterio determinante nella

valutazione del suo caso. (…)2

Le disposizioni delle Regole minime per l’ amministrazione della giustizia minorile sono state incorporate nella Convenzione Internazionale dei diritti del bambino, adottata a New York il 20 novembre 1989, che contiene un elevato numero di norme applicabili al minore coinvolto in procedimenti giudiziari e che afferma nel suo art. 40 un insieme di garanzie processuali: riconosce al minore il “ diritto alla presunzione di innocenza ”, di “ essere informato del tenore dell’accusa ”, di “ beneficiare dell’ assistenza legale ”, di “ difendersi davanti ad un giudice terzo e imparziale in un processo equo ”, il “ diritto al rispetto della sua vita privata ”.

L’organizzazione delle Nazioni Unite ha poi completato e precisato le Regole di Pechino in due testi successivi del 1990: i “ Principi di Riyad ” che dettano disposizioni, a monte, in tema di prevenzione della delinquenza minorile, e le “Regole dell’Avana” che si occupano, a valle, della protezione dei minori sottoposti a misure privative della libertà.

Il primo di tali documenti afferma che la prevenzione della delinquenza minorile è essenziale per la prevenzione del fenomeno delinquenziale generale; è necessario dunque che la società nel suo complesso si adoperi per favorire uno sviluppo armonioso di infanzia e adolescenza. A tal fine, la pubblica amministrazione deve disporre piani di prevenzione con la collaborazione del potere centrale e dei poteri locali. Per quanto riguarda la procedura, si raccomanda ai governi di approvare leggi che tutelino i minori, tenendo conto della loro specifica condizione, e di evitare mezzi di correzione duri e degradanti.

Nelle “ Regole dell’Avana ” si afferma che la giustizia minorile deve “promuovere il benessere fisico e morale dei minori”. Anche questo documento sottolinea che la pena privativa della libertà per i minori deve essere l’ultima possibilità, nonché una misura riservata a casi

2

Per il testo completo delle Regole di Pechino:

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5

eccezionali. Inoltre, sono previste una serie di garanzie riguardanti le modalità di accoglimento e i requisiti che devono possedere gli istituti3.

1.2 Il diritto dell’ Unione europea

Facendo riferimento alla disciplina europea sul processo penale minorile non si possono che menzionare fonti eterogenee, che possono essere raggruppate in due poli distinti: il diritto dell’ Unione europea e quello del Consiglio d’ Europa.

Il rispetto e la tutela dei diritti umani sono state materie che per lungo tempo l’Unione europea ha demandato al Consiglio d’Europa, da qui il ritardo del diritto comunitario ad occuparsi direttamente della materia. Ritardo che ha visto il tentativo di essere colmato dall’approvazione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.

Il Trattato è stato sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004; l’anno successivo il processo di ratifica ha trovato il “no” di Francia e Belgio, da qui il blocco dell’entrata in vigore della Costituzione che è stata successivamente (nel 2007) in gran parte recepita dal Trattato di Lisbona (che modifica il trattato sull’ Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009).

Nel testo della Costituzione europea non vi erano riferimenti espliciti al processo penale minorile, tuttavia la tutela della libertà personale trova preciso riferimento nell’ art. II-66 Cost. eur. che dispone che “ ogni

persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza ”.

“Il legislatore europeo si è avvalso della peculiare tecnica normativa fondata sulla “ clausola di equivalenza fra i diritti fondamentali

corrispondenti ” per cui “ laddove la presente Carta ( la Cost. eur. )

contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione

3

I Principi di Riyad sono i “ Principi guida delle Nazioni Unite per la prevenzione della delinquenza minorile ” adottati dall'Assemblea generale nella sua risoluzione 45/112 del 14 dicembre 1990; le Regole dell’Avana sono le “ Regole delle Nazioni Unite per la protezione dei minori privati della libertà ”adottate dall'Assemblea generale nella sua risoluzione 45/113 del 14 dicembre 1990.

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6

europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione” ( art. II-112 comma 3 Cost. eur. ). Considerato che art. II-66 Cost. eur. ha una formulazione identica all’incipit di art. 5 C.e.d.u., nell’individuazione degli specifici contenuti del diritto alla libertà personale, l’interprete è chiamato a fare riferimento alle ulteriori disposizioni racchiuse nell’articolata struttura dell’art. 5 C.e.d.u., senza trascurare l’interpretazione delle disposizioni stesse fornita dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo che ormai rappresenta un vero e proprio “ diritto vivente ” integrativo del dettato normativo della C.e.d.u. ”4

.

Inoltre è da osservare che nel quinto capoverso del Preambolo alla parte II della Cost. eur., il legislatore dispone che “ la presente Carta riafferma (…) i diritti derivanti (…) dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali (…) nonché dalla giurisprudenza (…) della Corte europea dei diritti dell’ uomo. ”. Questo a conferma e supporto del fatto che la clausola di equivalenza dei diritti corrispondenti contenuta nell’ art. II-112 Cost. eur. produce l’effetto di incorporare nel testo costituzionale non solo i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione europea, ma anche l’interpretazione che degli stessi ha offerto il giudice preposto a garantirne il rispetto.

La disciplina della libertà personale contenuta nel Trattato costituzionale si risolve in un sostanziale e complessivo rinvio all’esperienza maturata in seno al Consiglio d’ Europa, coerente con l’atteggiamento sempre tenuto dall’ Unione europea in tema di protezione dei diritti umani.

Il sostanziale disinteresse mostrato dal diritto comunitario per le particolari garanzie richieste dal processo a carico di imputati minorenni trova conferma anche nella normativa “ secondaria ”: il tema del processo penale minorile affiora solo incidentalmente e indirettamente in alcune proposte di legge europea. In particolare: la Proposta di Decisione

4

(7)

7

Quadro sulle garanzie procedurali (2004) menziona all’ art. 10 il “ diritto ad un’ attenzione particolare ” per soggetti che possono avere difficoltà nella comprensione del processo e, a titolo esemplificativo, fa espresso riferimento ai minori; il Libro verde sulle garanzie procedurali (2003). In entrambi i lavori, che sono prodromici all’adozione di una futura normativa, non si fa espresso riferimento ai problemi connessi alla tutela della libertà personale sebbene ci sia la consapevolezza che gli imputati minorenni sono soggetti che meritano di un’“ attenzione particolare ”.

“L’analisi della legislazione comunitaria fornisce, dunque, risultati deludenti”5

.

1.3 Il diritto del Consiglio d’ Europa

1.3.1 La C.e.d.u.

Più soddisfazioni circa le attenzioni da riservare ad imputati minorenni si possono ritrovare dal lavoro del Consiglio d’Europa.

Il principale testo normativo a nostra disposizione è sicuramente la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali” (C.e.d.u.), firmata a Roma il 4 novembre 1950, il cui art. 5 consacra il diritto alla libertà personale.

L’ art. 5 C.e.d.u.6, rubricato “ Diritto alla libertà e alla sicurezza ”, dispone al suo comma 1: “ Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi

seguenti e nei modi previsti dalla legge ”; il comma prosegue elencando i

vari casi in cui una persona può essere sottoposta a restrizione della libertà personale, e alla lettera d) fa esplicito riferimento alla tematica processuale minorile disciplinando il caso “ della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo di sorvegliare la sua educazione oppure

5

O. Mazza, Per uno statuto europeo sull’ imputato minorenne, cit., pag. 139

6

Per l’analisi dell’art. 5 C.e.d.u. O. Mazza, Per uno statuto europeo sull’ imputato minorenne, cit., pagg. 139 ss.

(8)

8 della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’ autorità

competente ”.

La detenzione dell’ imputato minorenne rappresenta solo uno dei casi in cui un soggetto può essere privato della libertà personale nel rispetto di tutte le garanzie previste dall’ art. 5 C.e.d.u. ( infatti il comma 1 riporta 6 distinti casi suddivisi in lettere dalla a) alla f) e l’ articolo si divide in 5 commi che riconoscono altrettante garanzie ). Non è necessario fare riferimento al principio di sussidiarietà per affermare che l’intero articolo è applicabile alla privazione della libertà personale subita dall’imputato minorenne.

Ne deriva dunque che ogni forma di detenzione, compresa la custodia cautelare disposta nel processo penale minorile, deve rispondere alla duplice condizione disposta dal comma 1 art. 5 C.e.d.u.: essere disciplinata dalla legislazione interna ed essere riconducibile ai casi tassativamente elencati7.

L’art. opera immediatamente un rinvio “ ai modi previsti dalla legge ”, per cui si erge a precondizione del rispetto della Convenzione la legalità, sia dal punto di vista sostanziale che dal punto di vista processuale, nell’adozione o nel mantenimento di una misura privativa della libertà personale.

In ogni caso però, l’osservanza pedissequa della normativa nazionale potrebbe non essere garanzia del rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione; eventuali violazioni del diritto fondamentale della libertà personale potrebbero trovare una legittimazione formale in una legislazione nazionale non particolarmente attenta alla protezione effettiva dei diritti individuali8. Per questo il giudice della Corte e.d.u. si attribuisce il duplice compito di controllare dapprima il concreto rispetto delle normative nazionali e poi, se del caso, i contenuti della normativa applicata.

7 Questo orientamento è confermato anche dalla Corte e.d.u. in: sez. I, 25 settembre 2003,

Vasileva c. Danimarca; e, sez. I, 10 luglio 2003, Grava c. Italia

8

G. Ubertis, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, pag. 76

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9

La lett. d) del comma 1 dell’art. 5 C.e.d.u. parla, nella sua seconda parte, della detenzione regolare di un minore “ al fine di tradurlo dinanzi all’ autorità competente ”.

Il mancato impiego dell’aggettivo “ giudiziaria ” per connotare l’autorità competente evidenzia come la locuzione non corrisponda perfettamente a quella contenuta nell’art. 5 comma 1 lett. c) C.e.d.u.9

: questa lettera si occupa della privazione della libertà al fine della traduzione del soggetto davanti all’ autorità giudiziaria e la sua portata è circoscritta alla detenzione provvisoria dell’ imputato maggiorenne in attesa di giudizio. La differenza non sembra avere un significato precettivo, in quanto non ci sono dubbi sul fatto che la lett. d) comprenda nel suo raggio d’azione anche la custodia cautelare adottata nell’ambito di un processo penale minorile e allo stesso tempo non è ravvisato lo scopo di introdurre altre forme di detenzione per la traduzione davanti ad un’autorità diversa da quella giudiziaria.

Il confronto fra le due lettere citate evidenzia anche come la custodia cautelare per gli imputati maggiorenni sia più ricca di contenuti: sono infatti specificate le condizioni di applicabilità ( “plausibili ragioni di

sospetto ” ) e le esigenze cautelari connesse al pericolo di fuga o di

commissione di reati. Questo però non deve portare a conclusioni affrettate circa l’ interpretazione della lett. d): bisogna cioè evitare di credere che l’applicazione di custodia cautelare ai minorenni possa essere sconnessa dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico o dalla ricorrenza di esigenze cautelari. È quindi preferibile un’interpretazione che estenda le condizioni di applicabilità della lett. c) anche alla custodia cautelare adottata nell’ ambito del procedimento penale minorile.

Accanto alla custodia cautelare la lett. d) include tra le eccezioni alla libertà personale anche la detenzione del minore “ allo scopo di

sorvegliare la sua educazione ”. La reclusione a fini educativi si presenta

9

Pisani, Commento all’art.5, in Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti

dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di Bartole-Conforti-Raimondi, Cedam, Padova,

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10

come un istituto non direttamente rilevante in ambito processuale e riferibile a misure di carattere lato sensu preventivo dirette a fronteggiare forme accentuate di disagio giovanile. Questa lettura è confermata da un caso deciso dalla Corte e.d.u. nel 2002 riguardante un minore che, dopo aver scontato la condanna a pena detentiva, era senza fissa dimora nel momento della scarcerazione. Il giudice aveva allora ordinato la prosecuzione della detenzione per fornire un’ educazione sorvegliata presso un diverso istituto penitenziario. Secondo la Corte di Strasburgo il minore, pur non essendo accusato né sospettato di ulteriori reati, era stato condotto in una struttura carceraria che in concreto non appariva idonea al conseguimento delle finalità educative, con conseguente violazione dell’ art. 5 comma 1 lett. d) C.e.d.u.10

.

In una più risalente pronuncia della Corte e.d.u., la detenzione a fini educativi viene invece ricondotta nell’alveo della custodia cautelare, determinandone una pericolosa ibridazione delle finalità. Nel caso di specie, il minore era stato arrestato e posto in detenzione presso una struttura carceraria in quanto sospettato di aver commesso reati; il processo non fu poi celebrato ma il giudice europeo considerò la privazione della libertà come disposta a fini educativi, sebbene in istituti non adeguati allo scopo perseguito e quindi in violazione dell’ art. 5 comma 1 lett. d) C.e.d.u.11.

Risulta difficile giustificare la scelta di privare della libertà personale un minore per sorvegliarne l’educazione, a maggior ragione se questa privazione avviene in istituti carcerari. La stessa Corte europea sembra essersi resa conto dell’inadeguatezza della detenzione rispetto ai fini educativi, condannando Paesi che utilizzano strutture carcerarie per privare della libertà soggetti che non sono né imputati in attesa di giudizio né detenuti in esecuzione di pena. Ancor più inadeguata appare l’eterogenesi dei fini della custodia cautelare che non può mai trasformarsi in detenzione ai fini educativi. Anche la Corte Costituzionale

10

Corte e.d.u., sez. III, 16 maggio 2002, D.G. c. Irlanda

11

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11

aderisce a questa interpretazione in una sentenza del 1992, dove afferma che le misure coercitive “ mantengono inalterata la loro funzione cautelare, restando quindi del tutto estranea al tema la possibilità di un loro impiego con finalità di sostegno per il minore ”12

.

Il minore privato della libertà personale si vede riconosciuti anche gli altri diritti enunciati dall’ art. 5 C.e.d.u..

Il comma 2 garantisce il diritto, anche per il minorenne detenuto in attesa di giudizio, alla conoscenza tempestiva e in una lingua a lui nota “ dei motivi dell’ arresto e di ogni accusa formulata a suo carico ”. Nonostante il riferimento testuale all’ arresto, è più opportuno interpretare il termine in senso atecnico a favore della comprensione in esso di ogni provvedimento incidente sulla libertà personale.

Il comma 3 garantisce il diritto, per l’indiziato sottoposto a custodia cautelare in carcere, di essere tradotto al più presto dinanzi a un giudice, di essere giudicato entro un termine ragionevole o di essere posto in libertà durante la procedura. Tale disposizione, inoltre, fa esplicito richiamo alla lett. c) del comma 1, ma è corretto ritenerlo operativo anche in riferimento ad imputati minorenni, considerato anche il fatto che risultano essere soggetti ancor più vulnerabili. È da non sottovalutare, comunque, il fatto che la reale efficacia del rapporto diretto tra minorenne e giudice è condizionata dalla presenza e partecipazione di soggetti in grado di fornire adeguato supporto psicologico al detenuto e di porsi come intermediari fra i soggetti principali.

Il comma 4 riconosce anche all’imputato minorenne in custodia cautelare il diritto di rivolgersi ad un giudice per ottenere, in tempi brevi, una pronuncia sulla legalità della privazione della libertà ed eventualmente per chiedere la scarcerazione. Il giudice adito non può limitarsi ad un controllo meramente formale della legalità processuale, ma deve concentrarsi anche sulla legalità sostanziale. Inoltre, il procedimento deve svolgersi nel rispetto delle regole fondamentali del processo equo, come ad esempio il rispetto del contraddittorio, dell’onere

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della prova, del diritto dell’imputato di essere sentito personalmente: ovviamente occorre adattare questi principi alle peculiarità del processo minorile, essendo ancora una volta fondamentale la mediazione fra i tecnicismi processuali e la ridotta capacità del minorenne di essere pienamente consapevole degli avvenimenti di cui è protagonista.

Il comma 5, infine, sancisce il diritto alla riparazione imponendo ai singoli Stati di prevederne i meccanismi già nel loro diritto interno per il caso in cui la privazione della libertà venuta in essere sia in conflitto con le disposizioni dell’articolo.

1.3.2 La Raccomandazione N.R. (2003)20

I lavori del Consiglio d’Europa, e in particolare del Comitato dei Ministri, sono iniziati parallelamente alle iniziative delle Nazioni Unite e sono poi confluiti nella Raccomandazione N.R. (2003)20 intitolata “ Nuovi metodi di trattamento della delinquenza minorile ed il ruolo della giustizia penale dei minori ”.

Questa elaborazione era stata preceduta da testi essenzialmente relativi alla protezione del minore vittima13 e da una prima Raccomandazione del 17 settembre 1987 dedicata alle “ reazioni sociali alla delinquenza minorile ”, la N.R. (87)20. Questo provvedimento affermava nel suo testo che “ i giovani sono degli esseri in divenire e che tutte le misure assunte nei loro confronti dovranno avere carattere educativo ” e che “ il sistema penale dei minori deve continuare a caratterizzarsi per il suo obiettivo d’educazione e di reinserimento sociale ”. Il progetto della raccomandazione si occupava innanzitutto della prevenzione, auspicando una politica globale che favorisse il reinserimento dei giovani; poi invitava gli Stati ad incentivare procedure che consentono di mantenere il minore al di fuori della giustizia penale; infine, il testo sviluppava principi in tema di giustizia penale minorile e la

13

In particolare, Raccomandazione N.R. (79)17 in materia di protezione da trattamenti crudeli e Raccomandazione N.R. (85)4 relativa al problema della violenza familiare.

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13

risposta penale veniva considerata come ultima risorsa. I principi ispiratori del lavoro miravano a conferire alla giustizia penale minorile un carattere prevalentemente derogatorio rispetto a quella applicabile ai maggiorenni. Il Consiglio d’ Europa, dopo quindici anni, ha ritenuto necessario sviluppare la raccomandazione. Queste le osservazioni del Comitato dei Ministri: “ di fronte alle trasformazioni della delinquenza minorile e alle forme più acute di asocialità, le risposte delle istituzioni competenti (giustizia dei minori, servizi sociali e educativi, ecc.) sono spesso inadatte. La conseguenza è che la giustizia dei minori è oggetto di rielaborazione in diversi Stati membri, sia a causa dei tempi eccessivamente lunghi sia a causa della sua incapacità di far fronte al fenomeno della delinquenza minorile. Da allora, diventa sempre più difficile per la stessa giustizia minorile e per i servizi educativi e sociali che collaborano con essa applicare i principi enunciati nei testi internazionali, come la raccomandazione N.R. (87)20 sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile”.

Allora, nel 1999, il Comitato europeo per le questioni criminali ha istituito un Comitato di esperti responsabile di individuare le nuove modalità di trattamento della delinquenza giovanile e della giustizia minorile.

In conseguenza a questi lavori, il Comitato dei ministri ha elaborato prima una raccomandazione N.R. (2000)20 sul “ ruolo dell’ intervento psico-sociale precoce nella prevenzione dei comportamenti criminosi ”, per poi giungere all’adozione del progetto di raccomandazione redatto dal

Comitato d’esperti, il 24 settembre 2003, confluito nella

Raccomandazione N.R. (2003)20.

Il mandato al Comitato di esperti era relativo all’analisi dei seguenti aspetti: le trasformazioni della delinquenza giovanile e le risposte della giustizia minorile; il funzionamento, e l’eventuale disfunzione, della giustizia minorile, anche in un ottica di miglioramento della sua efficacia; le misure d’intervento per far fronte alla delinquenza minorile.

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La Raccomandazione è priva di efficacia obbligatoria, sebbene la Corte e.d.u. vi faccia continuo riferimento14, ed è piuttosto un decalogo rivolto agli Stati membri affinchè migliorino la legislazione processuale minorile per adeguarla a quel livello minimo di garanzie ritenuto inderogabile dal Consiglio d’Europa.

Essa si colloca in una linea di continuità rispetto ai lavori precedenti, sia internazionali che europei, in quanto espressamente afferma che tiene di conto “delle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa n.R(87)20 sulle reazioni sociali alla delinquenza giovanile,n. R(88)6 sulle reazioni sociali al comportamento delinquenziale dei giovani provenienti dalle famiglie migranti, Rec (2000)20 sul ruolo dell’intervento psicosociale precoce nella prevenzione dei comportamenti criminosi;” nonché “della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, dell’insieme delle Regole delle Nazioni Unite concernenti l’amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino) dei Principi basilari delle Nazioni Unite per la prevenzione della delinquenza giovanile (Principi basilari di Riyad), e delle Regole delle

Nazioni Unite per la protezione dei minori privati della libertà”.

La continuità emerge anche dal corpo della Raccomandazione.

In primo luogo, il Consiglio d’Europa vuole evidenziare che la giustizia minorile non è che un aspetto del trattamento della delinquenza giovanile e che deve evitare, finchè sia possibile, l’ utilizzo di metodi repressivi per concentrarsi invece su educazione e reinserimento, favorendo anche interventi compiuti per quanto concesso a stretto contatto con l’ambiente di vita naturale del minore; i minori devono beneficiare delle stesse garanzie procedurali concesse agli adulti e la detenzione deve essere considerata come ultima risorsa. Inoltre, non meno importante è comprendere l’indispensabilità di una giustizia penale minorile specializzata: “ il sistema di giustizia penale tradizionale non può, come tale, offrire soluzioni adeguate in materia di trattamento dei giovani delinquenti, i cui bisogni educativi e sociali differiscono da quelli degli

14

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15

adulti ”. Il Consiglio ribadisce anche che “le misure prese nei confronti

della delinquenza giovanile dovrebbero fondarsi su modalità di intervento multi-disciplinari e multi-istituzionali ed essere concepite in maniera tale da permettere un trattamento contestuale dei fattori che giocano un ruolo a differenti livelli della società: individuale, familiare, scolare e

comunitario ”.

Tra le diverse espressioni della volontà di confermare, specificare o meglio chiarire, con la Raccomandazione N.R.(2003)20, le indicazioni che derivavano dalla precedente Raccomandazione del 1987, si riportano alcuni esempi:

- preferenza di mantenere i giovani delinquenti al di fuori del sistema di giustizia penale; idea da prendere anche come punto di partenza per sviluppare una serie di misure alternative alle consuete azioni giudiziarie;

- nei casi in cui sia impossibile evitare il ricorso alla giustizia penale, questa deve intervenire nei confronti dei minori diversamente da come farebbe nei confronti degli adulti: quindi specificità dell’intervento. Il Consiglio d’Europa raccomanda inoltre di sviluppare misure e sanzioni applicate in comunità che siano innovatrici e più efficaci;

- confermare l’esigenza di una giustizia minorile più celere, che eviti durate irragionevoli per non inibire la funzione educativa;

- i giovani adulti minori di anni 21 possono essere trattati alla stessa stregua degli adolescenti, in considerazione del fatto che la maggiore età legale non necessariamente coincide con la maturità.

La Raccomandazione N.R.(2003)20 ha anche dei profili di variazione rispetto a quella del 1987. Come primo esempio, nel 1987 si raccomandava di “ evitare, finchè possibile, il ricorso all’arresto o al fermo di minori ”; nel 2003 invece, la raccomandazione ammette la possibilità di arresto e fermo dei minorenni ( punto 15 ), ma prevede altresì che in tali evenienze “ occorrerà prendere in considerazione la loro condizione di

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minori, la loro età, la loro vulnerabilità e il loro grado di maturità ” e che saranno necessari termini di durata limitati ( massimo 48 ore, diminuito per i più giovani ); il punto 15 fa riferimento anche ad un’informativa dettagliata e comprensibile dal minore circa i suoi diritti e le sue garanzie e dispone anche la necessità della presenza di un genitore, un tutore legale o altra figura adulta adatta nel caso di interrogatorio da parte della polizia .

Come secondo esempio di variazione rispetto al passato, la raccomandazione del 2003 ammette il ricorso alla misura della detenzione cautelare dei minore ( punti 16 e 17 ), però affiancandola a precisi termini di durata ( massimo 6 mesi, salvo circostanze eccezionali ) e considerandola come ultima risorsa quando diverse soluzioni, come collocamento presso parenti, famiglie o altre forme controllate, risultino inadeguate; è sancito inoltre il divieto assoluto di impiegare la detenzione cautelare per scopi impropri, come sanzione o forma di intimidazione o come sostituta di misure di protezione per il minore o di cure per la salute mentale.

Il punto 18 attiene alla fase applicativa della custodia cautelare. Quando essa viene in essere a scopo preventivo, il giudice ha il dovere di procedere ad una valutazione approfondita dei rischi, basandosi su informazioni dettagliate e attendibili circa la personalità e la situazione sociale dell’ interessato.

I punti 19 e 20 sembrano più riguardare una eventuale fase esecutiva della pena che non la privazione della libertà dell’ imputato in via cautelare, in quanto riferiscono dell’opportunità di stabilire programmi e misure idonei a favorire il reinserimento sociale dopo la scarcerazione15.

15

Per i contributi sui lavori del Consiglio d’Europa circa l’arrivo alla Raccomandazione N.R. (2003)20 e l’analisi della raccomandazione stessa, M. Dalloz Le direttive europee in materia di

giustizia penale minorile in Dove va la giustizia penale minorile? – Confronto tra l’esperienza francese e i progetti di riforma italiani, a cura di E. Zappalà, Giuffrè editore, Milano, 2005, pagg.

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17 1.4 Linee di fondo della disciplina europea

La disciplina europea sulla libertà personale nel processo minorile è piuttosto scarna, modellata semplicemente sulla fissazione di standard minimi di garanzia che ogni ordinamento può in teoria accrescere, anche se la prospettiva dell’armonizzazione legislativa da sempre avvertita a livello europeo rende auspicabile un’omogeneità delle legislazioni.

L’impegno prioritario degli Stati membri deve essere quello di non adottare o mantenere un ordinamento processuale minorile che collida con le garanzie inderogabili stabilite in sede europea.

Nel suo complesso, la disciplina ha sia aspetti positivi che aspetti negativi; questi ultimi sono soprattutto riconducibili ad una normativa così importante come l’art. 5 C.e.d.u. che, in primo luogo, non dà particolari attenzioni ai problemi sollevati dalla detenzione di un imputato minorenne, e che, in secondo luogo, legittima la detenzione di un minore disposta a fini educativi collidendo con un sistema che si regge sulla presunzione di innocenza e sulla protezione dell’individuo dall’arbitrio. La stessa Corte europea, nelle poche decisioni pronunciate a riguardo, mostra imbarazzo e cerca almeno di escludere che il perseguimento di questi presunti scopi educativi possa trovare applicazione in strutture carcerarie.

Sicuramente apprezzabili i tentativi di evitare la custodia cautelare al di sotto di una soglia minima di età, fissata nei 16 anni dal Progetto di risoluzione approvato al termine del Colloquio preparatorio al XVII Congresso internazionale di diritto penale.

Positivo anche che, in sede europea, sia netta l’opzione di contenere il più possibile il ricorso alla privazione della libertà personale del minorenne, che si ritrova nell’attenzione dedicata al profilo della riduzione dei tempi di detenzione.

In questa linea di intervento si colloca anche la “ Risoluzione del Parlamento europeo del 21 giugno 2007 sulla delinquenza giovanile: il ruolo delle donne, della famiglia e della società ” (2007/2011(INI)). Al

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punto 1 evidenzia che, “ per combattere in modo efficace la delinquenza giovanile, è necessario prevedere una strategia integrata a livello nazionale ma anche europeo, che combini misure incentrate sui tre principi guida seguenti: misure di prevenzione, provvedimenti giudiziari e

extragiudiziari e misure di inclusione sociale di tutti i giovani ”.

A tal fine si rivolge, in primo luogo, alle politiche nazionali: al punto 18 sottolinea, “ nel quadro della lotta contro la delinquenza giovanile, l'importanza di sviluppare negli Stati membri misure che prevedano pene alternative alla reclusione e di carattere pedagogico e dando ampia scelta al giudice nazionale, come ad esempio l'offerta di un lavoro socialmente utile, il risarcimento e l'intermediazione con la vittima nonché corsi di formazione professionale, in funzione della gravità del delitto,

dell'età del delinquente, della sua personalità e maturità ”; prosegue al

punto 19 invitando “ gli Stati membri ad adottare nuovi provvedimenti innovativi di approccio giudiziale ”, ed inoltre, al punto 20, ricorda che, “ in materia di delinquenza giovanile, lo svolgimento della procedura giudiziaria e la sua durata, la scelta della misura da adottare nonché la sua esecuzione ulteriore devono essere guidati dal principio dell'interesse superiore del bambino e dal rispetto del diritto procedurale di ciascuno Stato membro; sottolinea, a tale riguardo, che qualsiasi misura di carcerazione deve avvenire solo in ultima istanza ed essere eseguita in infrastrutture adeguate ai minori delinquenti ”.

La Risoluzione si rivolge, in secondo luogo, agli Stati membri nel loro insieme: al punto 22 raccomanda loro “ di procedere con urgenza, in cooperazione con la Commissione, all'elaborazione e all'adozione di una serie di norme minime e di principi guida comuni a tutti gli Stati membri in materia di delinquenza giovanile, incentrati sui tre pilastri fondamentali: in primo luogo, la prevenzione, in secondo luogo, provvedimenti giudiziari e extragiudiziari e, in terzo luogo, la riabilitazione, l'integrazione e il reinserimento sociale, sulla base dei principi sanciti a livello internazionale nelle "regole di Pechino" e nelle "direttive di Riyad", nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo nonché in altre

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19 convenzioni internazionali adottate in tale settore”; prosegue individuando al punto 21 l’obiettivo di un approccio europeo comune, che deve “consistere nel definire modelli di intervento volti a fronteggiare e a gestire la delinquenza giovanile, mentre il ricorso a misure detentive e a sanzioni penali dovrebbe avvenire solo in ultima istanza e quando ciò sia

giudicato assolutamente necessario ” ed infine, per quanto interessa in

questa sede, ribadisce al punto 24 “che l'interessamento e la partecipazione dei giovani a tutte le questioni e decisioni che li concernono sono indispensabili per reperire soluzioni comuni che siano coronate da successo ”.

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