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Guarda Piero Borzini, Non fare troppe domande. I classici della narrativa distopica per una discussione sulla libertà.

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I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended

N. 17 – 05/2017 258

Piero Borzini,

Non fare troppe domande.

I classici della narrativa distopica per una

discussione sulla libertà

(Milano, Ledizioni, 2016, 177 pp., ISBN 978-886-7954374)

di Paolo Caponi

Difficile farne a meno, di utopia e distopia, soprattutto da un punto di vista narrativo. Distesi sul divano del dottor Freud, impegnati in libere associazioni, a distopia assoceremmo Nineteen Eighty-Four, e a utopia Tommaso Moro, ma guai a pensare che sia finita lì. Esiste una striscia di narrazioni uto- e disto-piche che potrà anche avere in Moro una pietra fondativa, e in Orwell una tappa fondamentale, ma è una striscia long and winding, con curve e digressioni, in cui si congiungono oriente e occidente oltre che i totalitarismi di varie latitudini. Ci aveva già pensato, come sempre, anche lo Shakespeare della Tempesta, quando affidava al vecchio consigliere di corte Gonzalo una disquisizione su di un possibile commonwealth in cui tutto funzionasse al contrario e il commercio, finalmente, fosse abolito. Era, quella in cui Gonzalo si trovava e disquisiva, un’isola, manco a dirlo, l’isola incantata di Prospero.

Ma che differenza c’è, in primis, tra utopia e distopia? In effetti la differenza ci sarebbe, ma verrebbe da rispondere, come suggeriva Davide Bigalli durante la presentazione del volume di Piero Borzini presso la libreria Odradek di Milano, che in fondo l’utopia già contiene in sé anche i germi della distopia – spesso, anche se non sempre volentieri. Non è forse vero che ciò che è utopia per me potrebbe essere

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distopia per te, e viceversa? In questo libro di Borzini – medico ematologo con all’attivo pubblicazioni sulla filosofia delle scienze e un gradevole studio biografico su William Bateson: l’uomo che inventò la genetica (Biblion Edizioni, 2015) – la striscia viene seguita in alcune sue ramificazioni, passando attraverso le uto/distopie più note, come appunto quella orwelliana, ma anche attraverso quelle meno praticate, come L’anno 3000: sogno (1897), di Paolo Mantegazza, medico ottocentesco la cui Fisiologia del piacere (1880) tanto era piaciuta a Piero Chiara al punto di farne uno dei volumi presenti nell’essenziale biblioteca dell’immortale impiegato del catasto Emerenziano Paronzini. Mantegazza, come ben ci spiega Borzini, è utopico anche nella forma: trattasi, Anno 3000, di narrazione profondamente meta-letteraria, “racconto di un racconto che racconta se stesso” (p. 142) e che costituisce, dell’esangue panorama fantascientifico italiano, un precoce esempio. (Un altro potrebbe essere Le meraviglie del Duemila di Salgari, sempre ricordato da Borzini, oltre a uno strampalato romanzo, Oltre l’Apocalisse, di tale Delta Billy, al secolo Santi Paladino, più noto per aver voluto assegnare in pieno fascismo a Shakespeare – ancora lui – un’origine italiana). Maria e Paolo, in Anno 3000, compiono un lungo viaggio verso un “luogo-non luogo nel tempo-non tempo” (p. 143), che è occasione per Mantegazza per discutere i principi del socialismo, autentica bête noire della tranquillità borghese di cui Mantegazza è vessillifero ma che a suo tempo non gli impedì, sia detto per inciso, di votare da deputato del Regno italico contro l’iniqua tassa sul macinato. E poi per discutere, mentre ci si dirige verso il supremo Consesso delle scienze, della pericolosa deriva scientista del positivismo ottocentesco che ha già portato alla vertiginosa velocità degli “aerotachi” (capaci di raggiungere gli impossibili 150 km/ora di fine secolo) e soprattutto allo “psicoscopio”, con cui il buon medico leggerà il pensiero altrui:

Quando noi tutti sapremo, che chiunque può leggere nel nostro cervello, faremo sì che pensieri e opere non si contraddicano, e noi saremo buoni nel pensiero, come cerchiamo di esserlo nelle opere. È da sperare che col psicoscopio la menzogna sarà bandita dal mondo… (2016: 159).

Fondamentale è il dilemma, per Borzini, tra libertà individuale e necessità collettiva, le Scilla e Cariddi di ogni sogno uto/distopico. Come districarsi? La risposta, ci dice subito l’autore, esserci non c’è. Ma avendo Borzini passato gran parte della sua vita, come medico, a studiare la rigenerazione dei tessuti, qualche dritta il libro ce la potrà fornire onde provare a rammendare, con qualche speranza, quello che rimane dopo le piccole lacerazioni distopiche del nostro privato.

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Paolo Caponi

Università degli Studi di Milano paolo.caponi@unimi.it

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