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I taccuini ungheresi di Adolfo Venturi : indagine critica

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

...1

Parte 1

1.

Adolfo Venturi e l'Ungheria, scambi e relazioni: il carteggio...3

2.

I Taccuini: descrizione fisica, datazione, contenuti...7

3.

Dalla visione al testo: l'uso dell'appunto di viaggio...12

4.

Cenni sulla storia del Museo e delle collezioni...16

Parte 2

1.

Trascrizione Taccuino Europeo...21

2.

Trascrizione Taccuino Budapest – Zagabria... 34

3.

Trascrizione Taccuino Pittorico...39

Parte 3

1.

Catalogo...44

Appendice

1.

Identificazione opere...175

2.

Trascrizione carteggio...186

Bibliografia

...212

(2)

Introduzione

L'idea di trascorrere qualche mese a Budapest presso il Museo di Belle Arti nacque ben prima del progetto di tesi sui taccuini ungheresi di Adolfo Venturi. Nell'aprile 2012, in occasione di uno studio da me effettuato su una tavola di scuola sartesca, la Madonna con

Bambino e San Giovannino conservata presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola

(Genova), mi ero recato personalmente a Budapest per vedere, a scopo di confronto, la

Sacra Famiglia con San Giovannino attribuita a Pier Francesco Foschi dello

Szépmüvészeti Múzeum. In quell'occasione ebbi la fortuna di conoscere Vilmos Tátrai, conservatore del Museo, col quale intrapresi in seguito una fruttuosa corrispondenza. Il fascino suggestivo della capitale ungherese, l'importanza della collezione permanente del Museo e l'amichevole disponibilità dimostratami da Vilmos e dalla direttrice della Pinacoteca Antica, Dora Sallay, mi convinsero nell'inviare nell'estate 2013, una richiesta formale al direttore László Baán per intraprendere un tirocinio presso l'istituzione museale da lui diretta. Fu solo un caso, dunque, che, quando al principio del settembre 2013 proposi al Professor Pellegrini di seguirmi nel percorso di tesi, questi mi suggerisse l'argomento di studio che è oggetto della presente trattazione, ovvero i taccuini di viaggio ungheresi di Adolfo Venturi conservati presso il Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore di Pisa. La sorte non avrebbe potuto serbare destino migliore.

Il primo passo fu naturalmente quello di recarmi a Pisa munito di macchina fotografica per poter consultare le carte oggetto del futuro studio e procurarmene una riproduzione fotografica. Successivamente ero pronto per partire e alla metà dell'ottobre 2013 ebbe avvio il mio soggiorno a Budapest. La mia ricerca prese le mosse direttamente dall'indagine dei taccuini e risulta, naturalmente, banale, ma necessario sottolineare come la visione diretta delle opere, l'aiuto di storici dell'arte esperti e ben disposti ad aiutare un giovane studioso e l'accesso agli archivi del Museo abbiano non solo facilitato ma inverato i risultati della presente ricerca.

Questo studio si sostanzia in tre sezioni principali. La prima parte, di stampo discorsivo, serve da introduzione all'argomento trattato e si articola in quattro punti: gli scambi e le relazioni intrattenute da Adolfo Venturi con il mondo culturale ungherese, analizzate sostanzialmente attraverso il carteggio, anch'esso conservato presso l'Archivio della Scuola Normale di Pisa; la presentazione dei taccuini, ovvero descrizione fisica, proposte di datazione e resoconto generale dei contenuti trattati; la funzione e l'utilizzo dell'appunto

(3)

di viaggio nella metodologia di Venturi; la storia del museo e delle varie raccolte che andarono a costituire nel corso del tempo la collezione permanente.

Seguono, nella seconda parte, le trascrizioni dei taccuini, mentre la terza è costituita da un catalogo ragionato che prende in rassegna tutte le opere menzionate da Venturi, in ordine di numero di inventario. Nelle schede l'attenzione si appunta su tre aspetti principali. Anzituttto vi è la questione attributiva, ovvero ci si chiede: cosa dice Venturi in merito all'attribuzione? La sua opinione è in linea con quella degli altri storici dell'arte a lui contemporanei (con particolare attenzione ai pareri di Cavalcaselle, Morelli e Berenson)? E ancora: come è cambiata l'attribuzione dai tempi di Venturi? Cosa si dice oggi? In secondo luogo, l'attenzione si è concentra sull'analisi delle note di viaggio relativamente all'opera in esame, per poi spostarsi, infine, sull'eventuale confronto tra le annotazioni e i testi editi. Non sempre tuttavia questo è possibile dal momento che non tutte le opere appuntate da Venturi nei taccuini saranno poi oggetto di studio nelle pubblicazioni scientifiche.

In Appendice, infine, si è ritenuto opportuno inserire un elenco delle opere identificate in ordine di apparizione nei taccuini, carta per carta; segue la trascrizione del carteggio1.

(4)

Parte 1

1 . Adolfo Venturi e l'Ungheria, scambi e relazioni: il carteggio.

I rapporti tra Adolfo Venturi e la città di Budapest furono intensi e coinvolsero numerose personalità appartenenti all'ambito culturale ungherese, non solo direttori e vari funzionari del Museo Nazionale e, successivamente, del costituito Museo di Belle Arti, ma anche critici, mercanti, fotografi e funzionari del Regio Consolato d'Italia in Ungheria.

Un resoconto di tutte queste relazioni ci viene restituito dal carteggio conservato presso il Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore di Pisa e costituito da trentacinque missive, scritte principalmente in italiano, ma anche in francese e tedesco, che si dipanano lungo un arco di tempo a partire dall'anno 1879 fino al 1937. Generalmente si tratta di scambi di informazioni e fotografie, piuttosto che di richieste di consulenze e semplici scambi di cortesia. Passiamo brevemente in rassegna i documenti.

La prima missiva2, in francese, risale, come detto, all'anno 1879: il mittente è Ferenc de

Pulszky (1814 - 1897), padre del futuro direttore del Museo Karoly Pulszky (1853 - 1899), il quale ricopriva in quel periodo il ruolo di “Inspector general de Musees et Biblioteques du Royamme”, l'oggetto è l'invio di informazioni richieste da Venturi “sur le selles d'ivoire du Musées de Budapest” a cui segue poi l'invio delle relative fotografie da parte del fotografo Georg Klöesz il 13 maggio dello stesso anno3. Allora Venturi,

impegnato nella stesura del Cataogo della Regia Galleria Estense, non era ancora lo storico dell'arte famoso e stimato in tutta Europa che diventerà in seguito e questo dimostra quanto siano precoci gli scambi tra il giovane studioso e l'Ungheria.

Dal 1879 si fa un salto di otto anni per arrivare al 1897, momento in cui la posizione di Venturi era invece già internazionalmente riconosciuta, quando troviamo una missiva scritta su carta intestata del Regio Consolato Generale d'Italia in Ungheria4. Il mittente è

il funzionario V. A. Tattay il quale scrive a Venturi: "Eccole una lettera del Conte Nigro pel Principe Clary, mediante la quale ella otterrà sicuramente le facilitazioni assicurate". Si tratta, questa, di un'informazione molto importante dal momomento che 2 Cfr Trascrizione carteggio, n. 1, 09/04/1879.

3 Cfr Trascrizione carteggio, n. 2, 13/05/1879. 4 Cfr Trascrizione carteggio, n. 3, 24/08/1897.

(5)

dimostrerebbe che, come il Nostro dichiara nelle Memorie Autobiografiche5, egli fu

effettivamente a Budapest per la prima volta nell'estate del 1897. Un'altro passo della missiva risulta interessante, dove Tattay scrive a chiusura: "P. s. mi permetto di ricordare il promessomi invio dei regolamenti in vigore per l'esportazione degli oggetti d'arte"; era questa, infatti, una questione che stava molto a cuore a Venturi6.

Al 1900 risale la prima missiva inviata da Simon Meller, storico dell'arte ungherese impiegato dal 1901 presso il Gabinetto delle Stampe e dei Disegni della Galeria Nazionale, la cui corrispondenza con Adolfo Venturi si spinge fino all'anno 1921; si tratta per lo più di scambi di informazioni e materiale fotografico7 ma anche di lettere di

raccomandazione8. Risulta di una certa rilevanza, infine, l'ultima missiva inviata a

Venturi da Meller il 15 giugno 19219 in cui si legge: "Mi dispiace infinitamente che non

sarò a Budapest durante la Sua visita [...]. Ho avvertito il Signor Sándor Lederer [...]. Nel Museo nostro ho avvertito il Signor Dott. De Petrovics, direttore generale del Museo, che spera d'aver l'onore di fare la Sua conoscenza e che Le farà vedere tutto che Lei desidera [...]". Nel giugno del 1921, dunque, Venturi fu a Budapest e in quell'occasione conobbe il direttore Elek Petrovics; lo conferma anche una lettera di Sándor Lederer del 16 giugno dello stesso anno10 in cui si legge: "In ogni caso mi

presenterò sabato mattina alle ore 9 (a. m.) nell'albergo Hungaria, e mi ritengo fortunato d'essere a' suoi ordini".

Al 1901 risale l'unica missiva inviata da Josef Hampel11, funzionario presso il

dipartimento archeologico del Museo Nazionale, relativa ad uno scambio, già accennato in una lettera di Meller12, "fra la sezione archeologica del museo naz. ed il museo delle

Terme". In particolare: "Il nostro museo darebbe una serie di fogli rappresentanti oggetti della nostra epoca, detta della migrazione in cambio per le fotografie fatte dele antichità di Castel Trosino ecc"13.

5 Venturi [1927] 1991.

6 Si pensi alla vicenda del polittico degli Erri, cfr Agosti 1996.

7 Cfr Trascrizione carteggio, n. 4, 31/12/1900; n. 5, 26/03/1901; n. 7, 25/11/1901; n. 9, 06/03/1902. 8 Cfr Trascrizione Carteggio, n. 13, 25/10/1919: "Mi prendo la libertà di presentarLe la Signorina Margherita Baracs che s'occupa di storia dell'arte e pensa di completare i suoi studi a Roma. Ella è studente della nostra Università e diligentissima nella scienza nostra."; n. 14, 28/10/1919: "Le raccomando caldissimamente la Baronessa Ida Kohner, figlia del B. A. Kohner il di cui magnifica collezione Lei ha forse veduto qui. La Signorina Baronessa è pittrice distintissima e pensa restare più tempo a Roma, dove vorrebbe vedere le collezioni pubbliche e private".

9 Cfr Trascrizione carteggio, n. 16, 15/06/1921. 10 Cfr Trascrizione carteggio, n. 17, 16/06/1921. 11 Cfr Trascrizione carteggio, n. 6, 20/04/1901. 12 Cfr Trascrizione carteggio, n. 5, 26/03/1901.

(6)

Ad un altro funzionario del regio consolato d'Italia in Ungheria, Guglielmo Finger, appartengono rispettivamente due missive, una del 190214 e l'altra del 190415. Nella

prima Finger fa riferimento ad un "quadretto, attribuito a Giorgione" facente parte della collezione Pulszky che, a quanto pare, Venturi era interessato ad acquistare. Tuttavia "Il curatore della successione [...] dubitando che si tratti di una cosa di molto valore, non vuole sobbarcarsi alla responsabilità di cederlo sotto mano [...]. Egli intende perciò comprendere quell'oggetto nella pubblica asta che allestirà per vendere, al miglior offerente, gli oggetti ancor esistenti."; Finger, infine, si impegna ad avvertire Venturi "con debita anticipazione , del giorno che sarà fissato per l'asta in questione, affinchè Ella possa, se crede, approfittarne". Nella stessa missiva Finger menziona l'avvocato Bene, "ch'è il curatore", con il quale "la S. V. Ill.ma ebbe pure occasione di intrattenersi in proposito". Alla luce di queste osservazioni possiamo con tutta ragionevolezza suppore che il piccolo quadro attribuito a Giorgione a cui si fa riferimento nella missiva sia proprio quello, non identificato, ampiamente descritto nel Taccuino Budapest –

Zagabria (cc. 50 - 53) che Venturi vide presso il "Dr Bene Ödön ägyvéd. / Casa

dell’avv. del Pulzk. / Budapest, akadémia - utcza 14 sz" (c. 50) definendolo "cosa finissima che mi pare proprio Giorgione" (c. 50). Anche la seconda lettera di Finger datata 1904 risulta interessante, dal momento che vi è scritto: "Al Hôtel London dove mi ero tosto recato, mi dissero che Ella fosse già partito fin dal 30 settembre n. s.". Venturi fu dunque a Budapest nel settembre del 1904.

Un altro importante interlocutore del Nostro fu il famoso storico dell'arte ungherese Sándor Lederer; la sua prima missiva risale all'anno 1906, mentre l'ultima si data al 1924. Si tratta per lo più di scambi di cortesia16, raccomandazioni17, scambi di fotografie

e informazioni18.

Della corrispondenza con il critico Gyorgy Gombosi il carteggio della Scuola Normale conserva, invece, unicamente due lettere19 concernenti scambi di materiale fotografico.

Di scarso rilievo anche le missive inviate da Elek Petrovics, direttore del Museo,20 e dal

14 Cfr Trascrizione carteggio, n. 8, 06/02/1902. 15 Cfr Trascrizione carteggio, n. 10, 05/10/1904.

16 Cfr Trascrizione carteggio, n. 11, 30/03/1906, n. 20, 29/02/1924.

17 Cfr Trascrizione carteggio, n. 15, 01/11/1919: "Approfitto dell'occasione, che mia parente si rende a Roma, per salutarla di tutto cuore [...]. Dunque mi permetta di raccomandare alla sua amabile accoglienza la Signorina Baronessa Ida Kohner porgitrice di questa. / Le sarei infinitamente grato per ogni attenzione, che avrà la bontà di recare alla mia raccomandata [...]".

18 Cfr Trascrizione carteggio, n. 18, 07/07/1921.

19 Cfr Trascrizione carteggio, n. 21, 30/06/1924; n. 32, 17/06/1936.

20 Cfr Trascrizione carteggio, n. 22, 09/05/1925; n. 24, 15/11/1927; n. 25, 17/01/1928; n. 26, 20/09/1929; n. 27, 25/08/1930; n. 28, 17/11/1933; n. 29, 20/11/1934.

(7)

conservatore Gabriel de Terey21.

Si conservano, inoltre, richieste di perizie e consulenze inviate da mercanti d'arte, quali John Hahn22 e Martin Porkay23, ma anche da privati, come la già mentovata Desiré de

Fürst24.

L'ultima missiva in ordine cronologico inviata da Budapest a Venturi è datata 1938; il mittente è il restauratore italiano Mauro Pelliccioli che dice di trovarsi a Budapest "per lavori affidatimi dal Governo Ungherese e per istruire artisti ungheresi nell'arte del restauro" e che risponde ad una richiesta di invio di materiale fotografico da parte di Venturi25.

Le relazioni intrattenute a distanza con questo nutrito gruppo di corrispondenti, insieme ai ripetuti viaggi a Budapest compiuti da Venturi, gli permisero di rimanere sempre aggiornato rispetto alla realtà culturale ungherese e agli eventi della vita artistica più significativi, di cui furono sempre prontamente informati anche i lettori dell'«Arte»26.

21 Cfr Trascrizione carteggio, n. 23, 24/09/1925. 22 Cfr Trascrizione carteggio, n. 30, 25/09/1935. 23 Cfr Trascrizione carteggio, n. 31, 23/05/1936. 24 Cfr Trascrizione carteggio, n. 33, 10/12/1936. 25 Cfr Trascrizione Carteggio, n. 35, 03/02/1938.

(8)

2. I Taccuini: descrizione fisica, datazione, contenuto.

I taccuini di viaggio di Adolfo Venturi, conservati presso il Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore di Pisa, nei quali è possibile rintracciare riferimenti ad opere viste e analizzate da Venturi nella capitale ungherese sono tre: il Taccuino

Budapest – Zagabria, il Taccuino Europeo e il Taccuino pittorico27.

In realtà solo il primo può essere considerato propriamente un taccuino poiché si tratta di un piccolo blocchetto di dimensioni 12,8 x 6,8 cm rilegato attraverso una costola rigida nera applicata su uno dei lati corti, alla quale corrisponde una tratteggiatura per permettere l'eventuale strappo delle carte; i restanti tre bordi delle pagine sono dorati. Il taccuino, che risulta mutilo delle prime carte, la cui perdita è stata probabilmente favorita dalla tratteggiatura, è attualmente costituito da ottantasei fogli (non numerati da Venturi), di cui ottantacinque ancora attaccati alla costola e uno (c. 1) ora sciolto, ma un tempo parzialmente adeso e, dunque, riconducibile con assoluta certezza ad esso. Altre due carte, poi, denominate 'carta sciolta 1' e 'carta sciolta 2' nella trascrizione del taccuino disponibile online sul sito Studi di Memofonte28, sono state ricondotte ad esso,

si dice, “in base al contenuto”. Verificando tale informazione, però, è stato rilevato che la 'carta sciolta 2' è effettivamente riconducibile al Taccuino Budapest – Zagabria, contenendo informazioni relative ad un dipinto conservato nella Galleria di Budapest (n. inv. 73), ma lo stesso non si può dire in riferimento alla 'carta sciolta 1'. In essa si fa riferimento a vari dipinti accomunati dalla presenza del “cappello alla bersagliera”; anche grazie ai disegni che accompagnano le note si pensa qui di poter identificare la “Venere del museo del Louvre” e la “figura della Gall. Borghese” rispettivamente con la

Venere conservata al Museo del Louvre di Lucas Cranach il Vecchio e la Venere della

Galleria Borghese dello stesso maestro. Alla luce di questo si può presumere che anche le tre opere numerate (“19. Lucrezia col capello di velluto rosso”, “49. Altra Giuditta”, “121. Anche una delle tre Grazie”) siano opere di Cranach in cui, come nelle due Veneri citate, appare il tema del cappello alla bersagliera. Nessuna di questa tre opere però può essere identificata con dipinti conservati presso il Museo di Belle Arti di Budapest, che pure conserva alcuni capolavori del maestro tra cui il Matrimonio Mistico di Santa

Caterina (n. inv. 133) e la Salomè con la testa di San Giovanni Battista (n. inv. 132).

27 Si utilizzano qui le denominazioni dei taccuini utilizzate da Pellegrini 2011.

28 www.docart900.memofonte.it/fonte/show/oggetto_id/4587/cursor_fonte/7/query/venturi, ultima consultazione 04/11/2013.

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Risulta incerto inoltre a quali “fotografie esposte” faccia riferimento Venturi in cui “il cappello alla bersagliera si vede ai n. 225, 222, 221 rapp.ti Giuditta”.

Tornando al Taccuino, delle ottantasei carte sicuramente ascrivibili ad esso sette sono lasciate bianche (cc. 28, 58, 82 – 86) mentre altre sette (cc. 75 – 81) sono dedicate alla Galleria Strossmayer di Agram (Zagabria) e sono state qui trascritte ma non studiate. Le note sono riportate con inchiostro nero o a matita e, ad eccezione di poche carte (cc. 3, 4 5, 6, 19) le quali presentano annotazioni e disegni anche sul verso, per la maggior parte sono vergate solo su un lato del foglio.

Per quanto riguarda il Taccuino Europeo, non si tratta di un vero e proprio taccuino fisicamente organico, bensì di una raccolta di fascicoli di dimensioni diverse, riuniti in un secondo tempo da Venturi attraverso una rilegatura oggi quasi del tutto saltata, che contengono la descrizione di opere viste in molteplici località europee. Questa raccolta, lacunosa in alcune sue parti, è attualmente costituita da 159 carte (non numerate da Venturi) tutte scritte su entrambe i lati, ad eccezione della c. 30 v. lasciata bianca. Ciascuna opera è stata numerata progressivamente da Venturi con una matita rossa e a conclusione del taccuino troviamo un indice autografo dove vengono elencate in ordine alfabetico tutte le località visitate e, per ciascuna, gli estremi numerici delle opere ivi vedute; dall'indice apprendiamo che quelle che fanno riferimento alla capitale ungherese sono comprese tra i numeri 535 e 651, ma, a causa di una lacuna, possiamo oggi apprezzare solo le descrizioni delle opere a partire dalla n. 599.

Anche per quanto riguarda il Taccuino Pittorico non si può parlare propriamente di taccuino, trattandosi nuovamente di una raccolta di fascicoli, successivamente ricomposti, facenti riferimento a viaggi effettuati in più località, sia italiane che europee. In questo caso Venturi ha piegato i fogli in due ottenendo dei blocchetti delle stesse dimensioni (15 x 20), non rilegati, di cui utilizza per lo più solo la pagina destra, vergando le note con inchiostro seppia, per la maggior parte, e blu e con la matita. Qui il Nostro non numera le singole opere come nel Taccuino Europeo, ma ciascuna carta in alto a destra utilizzando la solita matita rossa dalla n. 1 alla n. 843, anche se si riscontrano alcune lacune. Le carte in cui Venturi fa riferimento ad opere viste a Budapest sono quelle comprese tra la 814 (in alto a sinistra è scritto “Budapest”) e la 821.

Per quanto riguarda il Taccuino Budapest – Zagabria e il Taccuino Europeo Federighi29

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l'anno a cui risale il primo soggiorno di Venturi a Budapest, come racconta egli stesso nelle Memorie Autobiografiche30 e come sembrerebbe confermare una missiva del 24

agosto 1897 inviata a Venturi da V. A. Tattay, funzionario del Regio Consolato Generale d'Italia in Ungheria, dove si legge: “Eccole una lettera del Conte Nigro pel Principe Clary, mediante la quale ella otterrà sicuramente le facilitazioni assicurate.”; si fa qui riferimento, dunque, ad una sorta di raccomandazione che sarebbe dovuta servire a Venturi per essere ricevuto da detto Principe una volta arrivato a Budapest. Il termine

ante quem, invece, è costituito dall'anno di pubblicazione dei due testi, I quadri di scuola italiana nella Galleria Nazionale di Budapest (Venturi 1900a) e La Galleria Crespi in Milano. Note e raffronti (Venturi 1900b), in cui ricorrono regolarmente frasi

ed espressioni riprese puntualmente dai taccuini. In particolare Federighi mette in evidenza che le note del Taccuino Budapest – Zagabria ricorrono con più frequenza nell'articolo dell'«Arte», mentre quelle del Taccuino Europeo maggiormente nel catalogo della Galleria Crespi. Per le ragioni suddette appare del tutto ragionevole suppore una datazione dei taccuini intorno agli anni 1897 e 1899.

Federighi, inoltre, pospone la datazione del Taccuino Budapest – Zagabria all'anno 1899 proponendo una posteriorità cronologica rispetto al Taccuino Europeo. Tale ipotesi si fonda su due osservazioni: la prima consiste nel fatto che il Ritratto d'uomo di Sebastiano del Piombo (n. inv. 1384) e le quattro teste di angeli attribuite dubitativamente allo Spagna (n. inv. 1200 - 1203) di cui Venturi tratta nel Taccuino

Budapest – Zagabria, non figurano nei cataloghi del Museo del 1897, ma

rispettivamente compaiono in quelli del 1898 e del 1901. Tale motivazione non appare qui del tutto stringente dal momento che il solo fatto che le opere non fossero esposte non significa necessariamente che Venturi non potesse vederle, al contrario egli fa spesso menzione, sia nei taccuini che nel saggio dell'«Arte», di opere non esposte facendo supporre che esistessero già a quel tempo dei depositi e che lui ne avesse accesso31. La seconda osservazione, più convincente rispetto alla precedente, ma non

30 Venturi [1927] 1991.

31 Ess.: in riferimento al San Rocco curato dall'angelo di Moretto da Brescia (n. inv. 1253) Venturi scrive nel saggio dell'«Arte»: "Di questo maestro v'è, pure tra i quadri non esposti, un enorme San Rocco seduto sotto un albero [...]"; della Sacra Famiglia con San Giovannino (n. inv. 1032) ascritta a Marco Palmezzano si legge: "Del Palmezzano esiste sì nella raccolta ungherese un quadro di una Sacra Famiglia, ma non è esposto al pubblico nelle sale della pinacoteca [...]"; di una Madonna con Bambino ascritta a Cima da Conegliano (n. inv. 98) afferma: "Tutto è un po' grosso per il Cima, tanto da farci pensare ad un suo imitatore, a quel tale che in un'altra Madonna [n. inv. 1247], non esposta, della Galleria stessa si firma [...]"; e ancora nel Taccuino Budapest – Zagabria (c. 56) si fa riferimento ai due quadri raffiguranti la Cattura di Cristo (n. inv. 1230) e l'Andata al calvario (n. inv. 1231) come il "seguito della predella di cui un pezzo è nella Galleria [la Flagellazione, n. inv. 1161]".

(11)

risolutiva, riguarda il San Giovanni Evangelista (n. inv. 99) che viene attribuito a Mocetto nel Taccuino Europeo e che compare nei cataloghi del 1897 e 1898 con tale attribuzione, mentre nel Taccuino Budapest – Zagabria l'opera viene ascritta a Girolamo da Santacroce, attribuzione con il quale figura nel catalogo del 1901.

Per quanto rigurda il Taccuino Pittorico, anche in questo caso abbiamo dei termini che ci aiutano a circoscrivere i limiti cronologici della datazione. Abbiamo un sicuro termine post quem: nonostante sappiamo che Venturi fu a Budapest nel settembre 190432

possiamo escludere con certezza che sia questa la data a cui ascrivere il taccuino poichè in esso la numerazione delle opere non corrisponde a quella d'inventario utilizzata negli altri taccuini, ma coincide con quella adottatata da Gabriel Térey, curatore dell'allestimento in occasione dell'apertura del nuovo Museo di Belle Arti (dicembre 1906). Come termine ante quem, invece, si può ragionevolmente pensare che a causa della malattia agli occhi che colpì Venturi nel 1912 e per la quale fu operato l'anno dopo e del seguente scoppio della Grande Guerra nel 1914, gli ultimi viaggi possano risalire non oltre all'anno 1911. In questo arco di tempo (1906 – 1911) Federighi spinge la datazione del taccuino intorno agli anni 1910 – 1911 sulla base della presenza di alcuni volumi nella biblioteca di Venturi, in particolare il catalogo della mostra della collezione Nemes tenutasi al Museo di Belle Arti nel 1910, un manuale di viaggio dell'Austria - Ungheria del 1911 e sulla base di un riscontro tra alcune annotazioni su un'opera attribuita a Giovanni Santi (c. 818, n. 85) e un passo del saggio Il primo maestro di

Raffaello (Ventturi 1911).

Nel Taccuino Europeo troviamo la descrizione di una sessantina di opere viste da Venturi a Budapest; esse appartengono per la maggior parte al Quattro e Cinquecento italiano. Tre sono le opere del Seicento citate: i Giuocatori e bari di Regnier (n. inv. 610), la Franciulla dormiente (n. inv 609) e la Parabola dei ciechi (n. inv. 627) ascritte a Domenico Fetti; mentre quattro appartengono al Settecento: il San Giacomo maggiore di Tiepolo (n. inv. 649), le due vedute di Bellotto (nn. inv. 645, 647) e l'Orazione di San

Paolo ad Atene di Giovanni Paolo Panini (n. inv. 669). Infine sono citate sei opere di

maestri spagnoli, o ritenute tali: l'Incontro di Anna e Gioacchino (n. inv. 766) ora ascritto a Bernardo Cavallino, la Donna con anfora (n. inv. 760) e L'arrotino (n. inv. 763) di Francisco de Goya, il Ragazzo con cani (n. inv. 782) di Pedro Nuňez de Villavicencio, l'Uomo con spada (n. inv. 793) ora riferito ad ambito nord italiano, e il 32 Nella missiva inviata a Venturi da Finger del 5 ottobre 1904 si legge: "Al Hôtel London, dove mi ero

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San Tommaso (n. inv. 788) attualmente attribuito al Maestro del Giudizio di Salomone.

Nel Taccuino Budapest – Zagabria sono descritte una settantina di opere, molte delle quali già presenti nel Taccuino Europeo, che spaziano, anche in questo caso, dal Quattro e Cinquento, per la maggior parte, al Seicento (Giovanni Biliverti, Domenico Fetti, Giulio Carpioni) fino al Settecento (Bernardo Bellotto, Giovanni Battista Tiepolo, Francesco Zuccarelli, Francesco Guardi).

Risultano non identificati due dipinti appartenenti a collezioni private. Il primo, visto presso il "Dr Bene Ödön ägyvéd. / Casa dell’avv. del Pulzk. / Budapest, akadémia - utcza 14 sz." e corredato da disegni e da un'ampia descrizione (cc. 50 – 53), raffigura "un vecchio con una clessidra nella destra" e "un giovane vestito di bianco che suona una viola" immersi in un paesaggio al crepuscolo. È quella "Cosa finissima che mi pare proprio Giorgione", dice Venturi, che sarà oggetto di discussione della missiva inviata da Guglielmo Finger ad Adolfo Venturi il 6 febbraio del 190233. Del secondo, invece,

scrive (c. 66): "Presso il Sig. Petrovich / Madonna col B. (uso bizantino) / + Angelus. Bizamanus. Candidus. / PIXIT AOTROTO."

Le opere che figurano nel Taccuino Pittorico, circa una settantina, appartengono tutte a maestri del Quattrocento, ad eccezione del Ritratto di uomo del Romanino (n. inv 1254), dei Giocatori e bari di Regnier (n. inv. 610) e delle sei opere di quelli che Venturi definisce "Vedutisti romani": Johann Christian Roos (n. inv 427 (747)), Matthius Meyvogel (n. inv 369 (344)), Abraham de Cooghe (n. inv. 322 (349)), Hendrick Mommers (n. inv 310 (348)), Willem van Nieulandt the Younger (n. inv. 207 (357)), Jan Baptist Weenix (n. inv 232 (409)).

Opere non identificate sono un Lorenzo di Creti visto nella Primaziale di Gran (c. 814) e quella che venturi identifica nel seguente modo (c. 816): “79. Sodoma. Madonna assunta. Bagnacavallo??”. Non risulta chiaro, inoltre, a quale opera debba riferirsi il commento che figura nel margine sinistro della c. 814: "Sandor Lederer: Michele da Verona".

(13)

3.

Dalla visione al testo: l'uso dell'appunto di viaggio.

La metodologia di Adolfo Venturi, unanimamente riconosciuto come il padre della disciplina storico – artistica in Italia, si fonda su due concetti chiave: la ricerca filologica, ovvero l'indagine documentaria rispetto la storia dell'oggetto artistico e la sua provenienza, e l'analisi stilistica dell'opera basata sulla sua osservazione diretta. È proprio quest'ultimo punto ad interessare la nostra trattazione, giacchè il viaggio rappresentò per il Nostro una pratica di lavoro imprescindibile che gli pemetteva di vedere e rivedere dal vivo le opere studiate.

L'appunto di viaggio consiste per Venturi non solo in un supporto alla memoria delle opere viste nei Musei visitati in Italia e in Europa, ma rappresenta un reale punto di partenza per la stesura dei testi editi. Renato Barilli, nel suo saggio Adolfo Venturi e il

linguaggio della critica d'arte34 per spiegare la metodologia venturiana prende

efficacemente in prestito le teorie dello storico dell'arte Erwin Panofsky. Il critico tedesco rilevava tre livelli nello stadio interpretativo dell'opera d'arte: il primo, quello elementare, legato alla percezione sensoriale dell'oggetto artistico, un secondo costituito dall'indagine formale dei contenuti rappresentati (iconografia) e, infine, un terzo basato sull'analisi dei significati delle forme contestualizzandole all'interno dell'ambito culturale di riferimento (iconologia), fine ultimo della ricerca storico – artistica. Sulla base di questa premessa Barilli osserva che Venturi non va oltre al primo stadio di questa scalata ascensionale, ovvero si ferma ad una descrizione dell'opera meramente legata all'impressione visiva di essa. Questo dato rende immediatamente chiaro quanta importanza rivestissero, nella metodologia venturiana, quelle note veloci appuntate sui taccuini, che registravano le impressioni "a caldo" legate alla visione dal vivo dell'opera.

Solitamente, ma non sempre, i dipinti sono identificati con numero di inventario, nome dell'autore e soggetto; ogni tanto il numero di inventario è mancante, oppure è errato. Anche il nome dell'autore spesso non è d'aiuto nell'identificazione dell'opera, dal momento che la magggior parte delle volte le attribuzioni sono cambiate nel corso del tempo. Ciò che segue non sono vere e proprie descrizioni, ma piuttosto brevi note appuntate velocemente e spesso sintatticamente incomplete che registrano dettagli cromatici piuttosto che peculiarità stilstiche e formali che colpiscono l'occhio di Venturi e che, secondo lui, caratterrizzano l'opera in questione o, più generalmente, la mano

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dell'autore presunto.

Anche le questioni attributive sono motivo di breve disquisizione nei taccuini. Spesso le attribuzioni proposte dai cartellini del Museo o quelle avanzate da altri storici dell'arte (in particolare Berenson e Morelli) vengono messe in discussione per proporne di nuove35.

Solitamente le attribuzioni avanzate nei taccuini coincidono con quelle proposte nei testi editi, ma sono state rilevate alcune eccezioni36. Il fatto che Venturi a volte non

riproponga nelle pubblicazioni le ipotesi avanzate nel taccuino può essere legato a due motivazioni: o egli, semplicemente, ha riveduto successivamente la sua posizione, o, magari, il fatto che esse non fossero supportate da nessun'altro studioso lo persuasero dal renderle pubbliche. Vi sono anche alcuni casi in cui attribuzioni proposte in testi editi precedenti vengano aggiornate nei taccuini37 o altri in cui le ipotesi attributive

anvanzate per un'opera cambino da un taccuino all'altro. Questo dato è molto significativo poichè mette in luce una pratica fonadante del metodo venturiano, ovvero vedere e rivedere l'opera d'arte più volte e continuare a riflettere in merito alla sua attribuzione, tornare sempre anche su opere già studiate, ma a cui non si è data una risposta definitiva, in un'indagine inarrestabile e continua.

In generale possiamo comunque rilevare che le attribuzioni avanzate da Venturi sono sostanzialmente in linea con quelle del Berenson.

Compaiono anche qui dati riguardo alla provenienza delle opere, ad esempio nei casi in 35 Ess.: cfr Taccuino Europeo c. 23 r., n. 599: "Bernardino Licinio? / E questo è il ritratto di cui parla Morelli e che è ascritto dal Berenson a Giorgione"; Taccuino Pittorico, c. 816: "Amico di Sandro dice il Berenson. / Ma qui in tutto è l'arte di Filippino ridotta"; ibid., c. 817: "62. Pinturicchio (secondo il Berenson) [...] Francesco di Giorgio Martini secondo il cartellino. Mai Pinturicchio fu così [?pittorico?]. Brutissimo senese."; ibid: "Sano di Pietro [...] Berenson la dà per errore a Benvenuto di Giovanni". 36 Ad esempio si pensi al San Giovanni Evangelista (n. inv. 63) relativamente al quale Venturi propone sia nel Taccuino Europeo (c. 24 v. - 25 r., n. 608), sia nel Taccuino Pittorico (c. 817) la mano del Pagani, ipotesi che però non viene avanzata nei testi editi dove Venturi parla piuttosto di Ercole Grandi (Venturi 1900a), Ercole de' Roberti (Venturi 1914) o di un ignoto seguace di questi (Venturi 1933); al Ritratto di giovane uomo (Ippolito d'Este) di Raffaello (n. inv. 72) per il quale Venturi propone dubitativamente un'attribuzione a Piero di Cosimo nel Taccuino Europeo (c. 23 v., n. 601) che non viene, però, riportata sull'«Arte» (Venturi 1900a) dove il Nostro si limita a giudicare severamente la qualità dell'opera senza avanzare nomi; alla Madonna col Bambino, copia da Giovanni Bellini (n. inv 73), avvicinata a Jacopo da Valenza nel Taccuino Europeo (c. 29 r., n. 636), ma citata nell'articolo dei dipinti della Galleria di Budapest (Venturi 1900a) come Quirizio da Murano; all'Artemide ed Orione di scuola emiliana (n. inv. 171) per il quale Venturi propone il nome dell'Orbetto nel Taccuino Europeo (c. 30 r., n. 639) mentre sull'«Arte» (Venturi 1899) si limita a smentire l'attribuzione a Giulio Romano.

37 Si pensi ad esempio al Ritratto del Doge Agostino Barbarigo (n. inv. 102), del quale Venturi si limita a criticarne il pessimo stato di conservazione sull'«Arte», mentre nel Taccuino Pittorico (c. 820) intuisce una corretta vicinanza con Marco Basaiti, in particolare nel paesaggio (l'attribuzione al Basaiti sarà poi quella unanimamente accettata in seguito); alla Sacra Conversazione di maniera verrocchiesca (n. inv. 1386), riferita ad “un verrocchiesco meschino” nel saggio edito (Venturi 1900a) e in seguito ascritta con certezza a Cosimo Rosselli nel Taccuino Pittorico (c. 816).

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cui Venturi abbia già visto i dipinti precendentemente, magari in collezioni private38;

confronti con opere viste in altri Musei39, anche questa un'attività imprescindibile per il

conoscitore il quale deve mettere in connesione le opere viste in vari luoghi per rilevare corrispondenze e similarità ed, eventualmente, giungere ad una comune paternità; commenti sullo stato di conservazione40 o su precedenti restauri subiti dalle opere41.

Venturi, infine, non si esime dall'esprimere giudizi sulla qualità esecutiva delle opere, sia positivi ("Pezzo Bellissimo", "Elegante tutto", "Meraviglioso", "Cosa finissima"), ma spesso anche molto severi ("Misera cosa", "maestraccio", "debole", "Brutto", "Piattissimo", "Grossolano", "La più gran bestemmia che si potesse dire", "Campagnolo", "pesantone", "tarda arida brutta composizione", "da poco", "non buona"), che rinnova, poi, senza remore, nei testi editi

Il linguaggio descrittivo risulta particolarmente efficace nell'uso di aggettivi ed espressioni inusuali e di metafore evocative, utilizzate con valore rafforzativo ed enfatico e con la funzione di restituire nella maniera più efficace e diretta possibile le impressioni ottiche della visione ("Volto di legno", "luce di fiamma", "Bellissima cosa, di porcellana", "biancastre" "Carni alabastrine", "I capelli pioventi giù come roridi"; "Carni scure ammaccate", "aggranciato pittore", "le vesti come onde a pasta", "Il verde con ornati d'oro che sembrano di fili o lastrine di ottone", "un rosso vivo, di brage", "ombre paonazze"; "Bianchi lumacciosi", "liscio Cristo e smorto", "Vesti come d'erba, di stuoia"; "Carni Giallette con arrossate guance"; "di carta colorata", "ombre di seppia").

Le note scritte, inoltre, sono integrate, non sempre, ma molto spesso, da disegni che registrano un particolare (una testa, una mano, un paesaggio) o, in alcuni casi, anche l'intera composizione.

Dall'analisi delle carte qui prese in esame risulta chiaro come Venturi considerasse la nota di viaggio un reale punto di partenza per l'elaborazione dei suoi studi scientifici: non solo semplici aggettivi, ma intere espressioni vengono, infatti, mutuate di sana 38 Cfr Taccuino Budapest – Zagabria, c. 74: "49. e l'altro che gli è vicino devono essere gli angeli che vidi a Bologna in casa Malvezzi".

39 Ess.: cfr Taccuino Budapest – Zagabria, c. 31: "La composizione di Vienna, ma invece dell'agnello c'è il Bambino [...]"; ibid., c. 63: "Ricorda il paese del Palma nella gallera Borghese"; ibid., c. 69: "Come quello di Venezia"; Taccuino Pittorico, c. 816: "corrispondente al quadro del Louvre ispirato a questo che è suo"; ibid., c. 817: "come ne' due quadri di Dresda".

40 Ess.: Taccuino Budapest – Zagabria, c. 7: "Quasi tutto guasto"; ibid., c. 14: "Tutto ridipinto"; ibid., c. 15: "Ingiallito"; ibid., c. 30: "Tempera guasta dall'olio"; ibid., c. 41: "La parte a destra della guancia e del profilo è la più guasta, così il collo a destra"; ibid., c. 61: "Molto rifatta. Ora si vede come dietro un vetro giallo".

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pianta dalle note e riportate, spesso anche rielaborate e o ampliate, nei saggi editi e nelle pubblicazioni. Le eventuali corrispondenze tra le annotazioni dei tacuini e i testi editi sono state analizzate caso per caso nel Catalogo, qui risulta comunque interessante sottolineare che non tutte le opere che Venturi annota e descrive nei taccuini saranno poi oggetto di studio nelle pubblicazioni scientifiche; si pensi ad esempio ai quattrocentisti senesi, alle opere del Sei e Settecento, a quei maestri che Venturi definisce "Vedutisti romani", o ancora alle opere spagnole di cui mai Venturi si occupò nei saggi editi. Le motivazioni di queste estensioni nei taccuini ad opere che non costituiscono oggetto di studio da parte di Venturi sono certamente molteplici e non saranno indagate in questa sede. Qui basti evidenziare che probabilmente Venturi, nonostante desse la precedenza ad altre scuole (ad esempio quella ferrarese), non era, tuttavia, disinterassato a ciò che non era suo precipuo oggetto di studio, anzi.

Il metodo venturiano, così incentrato sulla descrizione dell'opera legata alla sua percezione sensoriale, costituisce contemporaneamente il limite e il punto di forza della sua opera e, se da una parte possiamo concordare che il suo contributo nella formulazione di nuovi concetti di categorie e generi artistici è praticamente nullo, dall'altra, tuttavia, le sue descrizioni, legate ad un approccio "primitivo" all'opera, restano pur sempre tra le più affascinanti di tutta la storia dell'arte.

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4. Cenni sulla storia del Museo e delle collezioni.

Sebbene l'inaugurazione dell'edificio che attualmente ospita il Museo di Belle Arti di Budapest risalga a tempi relativamente recenti, anno 1906, non è certo altrettanto recente la storia delle numerose collezioni e raccolte che vi confluirono, andando a costituire quella che è ora la collezione permanente del Museo.

La storia del collezionismo di opere d'arte in Ungheria ha radici antiche: già nel XV secolo re Mattia I Corvino (1440 – 1490) aveva costituito nel suo castello di Buda una notevole collezione d'arte e una grandissima biblioteca. Egli soleva invitare artisti alla sua corte e commissionare opere e sappiamo, inoltre, che i sovrani italiani inviavano al re magiaro oggetti d'arte dal Bel paese, ad esempio Lorenzo de' Medici dei bassorilievi in bronzo del Verrocchio e Ludovico Sforza una Madonna del suo miglior pittore, probabilmente Leonardo da Vinci. Di questi oggetti non è rimasto nulla se non tracce nelle fonti poiché andarono distrutti o dispersi, insieme alla biblioteca, dopo la morte del Re.

Il primo nucleo della collezione Esterházy nacque due secoli più tardi quando il Principe Pál (1635 – 1712) raccolse intorno ai castelli di Frakno e Kismarton una raccolta variamente costituita, conformemente allo spirito delle allora diffuse Kunst –

und Wunderkammern, da oggetti d'arte applicata, ritratti di famiglia ma anche opere

d'arte di una certa rilevanza. L'inventario di Kismarton del 1721 elenca circa ottocento dipinti ma senza descrizioni né indicazioni più precise, di modo che l'identificazione di quegli oggetti risulta a tutt'oggi impossibile; è verosimile, tuttavia, ritenere che parte di essi confluì poi nella Pinacoteca Esterházy, e quindi nel Museo di Belle Arti.

Nel 1770, intanto, l'imperatrice Maria Teresa d'Austria fece trasferire un gruppo di dipinti nel castello reale di Pozsony (ora Bratislava) per abbellire la residenza governatoriale dell'arciduchessa Maria Cristina e di suo marito, l'arciduca Alberto. Di queste pitture abbiamo un elenco datato 1781, anno in cui, a seguito del trasferimento degli arciduchi nei Paesi Bassi, una parte di quei dipinti tornò a Vienna; come apprendiamo da un altro elenco dello stesso anno, però, i dipinti rimpatriati furono subito sostituiti da una nuova spedizione. A partire dal 1784, poi, gli oggetti d'arte che si trovavano nella residenza di Poszony furono trasferiti nel castello di Buda come decorazione degli appartamenti reali.

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il Magnifico, il quale costituì nella sua nuova residenza di Esterháza (oggi Fertod) una vera e propria Pinacoteca nella quale fece confluire circa trecentocinquanta opere d'arte prelevate dai vari castelli di famiglia. La raccolta fu incrementata dal nipote, il principe Miklós II Esterházy (1765 – 1833), grazie a preziosissimi acquisti effettuati durante i suoi soggiorni in Italia e in Austria di capolavori assoluti dell'arte provenienti dalle più prestigiose collezioni quali le raccolte dei principi Borghese, Doria – Pamphili, Barberini. Stiamo parlando di opere quali la Madonna del latte del Correggio (n. inv. 55), l'Adorazione dei pastori del Bronzino (n. inv. 161), il Ritratto di giovane di Raffaello (n. inv 72).

Nel 1804 le raccolte costituitesi intorno alle residenze di Kismarton ed Esterháza vennero trasferite nel castello di Pottendorf andando a formare un'unica grande quadreria di cui fu nominato ispettore l'incisore austriaco Josef Fischer (1769 - 1822). Da lì, però, nel 1812 le opere furono evacuate e ulteriormente trasportate nel castello di Laxenburg (Bassa Austria) a causa dell'avvicinarsi delle truppe napoleoniche. Qui Fischer redasse un primo catalogo a stampa della collezione, pubblicato in tedesco e francese.

Nel 1813 l'intera raccolta fu trasferita a Vienna, nell'ex palazzo Kaunitz, e ivi aperta al pubblico. Intanto gli acquisti dei principi Esterházy non si arrestarono: nel 1810 Miklós acquistò a Parigi, in cambio di un vitalizio, la raccolta di disegni del Cavaliere Antonio Cesare Poggi, di cui facevano parte due disegni a gesso di Leonardo per la Battaglia

d'Anghiari, la Psiche di Raffaello, sette studi di Rembrandt, disegni di Nicolas Poussin,

Claude Lorrain ecc.; nel 1819 il principe Pál acquistò a Londra ventidue dipinti della collezione di Edmund Bourke, ex ambasciatore danese in Spagna, e due anni dopo i restanti ventisei quadri della stessa collezione, tra cui opere di Tintoretto, Tiepolo, Murillo, Alfonso Cano. In questo modo i Principi Esterhàzy gettarono le basi della collezione di arte spagnola in Ungheria.

Nel 1802 venne fondata, per volere del conte Ferenc Széchényi e finanziata con una sottoscrizione nazionale, la prima raccolta pubblica dell'Ungheria, il Museo Nazionale, destinato a conservare le memorie storiche del Paese. L'edificio, progettato in stile neoclassico da Mihaly Pollack, ospitava, inoltre, una sezione dedicata alle opere d'arte costituitasi grazie a donazioni, lasciti e acquisti.

Tra il 1832 e il 1836 confluì in questa pinacoteca la raccolta del collezionista ungherese Miklós Jankovich che comprendeva, oltre a memorie storiche dell'Antichità e dell'Ungheria, anche dipinti e sculture di maestri ungheresi ed europei tra cui il Ritratto

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d'uomo di Tintoretto, un'immagine di Dio Padre di Giandomenico Tiepolo (n. inv. 641)

e la statua di Madonna di Andrea Pisano.

Nel 1836 è il turno della raccolta dell'arcivescovo di Eger, János Lászlo Pyrker, comprendente centonovantadue dipinti acquistati per lo più in Italia durante il suo soggiorno da patriarca veneziano (1820 – 1827), tra cui il Ritratto di Caterina Cornaro di Gentile Bellini (n. inv. 1019), il Ritratto di giovane di Giorgione (n. inv. 94), l'Allegoria di Venezia di Veronese (n. inv. 105), la Vergine con sei Santi di Gian Battista Tiepolo (n. inv. 651) e molte altre. Tale collezione, lasciata per testamento al Museo Nazionale, fu esposta al pubblico a partire dal 1846 e a quell'anno risale il primo catalogo a stampa della Pinacoteca redatto dal direttore Gábor Mátrai.

Nel 1848, inoltre, il governatore dell'Ungheria Lajos Kossuth fece trasferire dal castello di Buda al Museo Nazionale settantotto dipinti; si trattava di quelle opere che l'imperatrice Maria Teresa aveva a sua volta fatto trasportare nella residenza di Pozsony e di cui facevano parte l'Apollo addormentato di Lorenzo Lotto (n. inv. 947) e il Ritratto

di fanciulla di Palma Vecchio (n. inv. 939).

Nel 1865 la quadreria Esterházy, già a Vienna, viene trasferita a Pest nel palazzo dell'Accademia Ungherese delle Scienze. Le pressioni dello stato congiuntamente alla situazione economica critica della famiglia fecero sì che due anni dopo il Principe Miklós ne proponesse l'acquisto allo stato ungherese. Mentre già una parte della raccolta custodita nel castello di Pottendorf veniva messa all'asta nel 1967, finalmente nel 1870 lo stato ungherese firmò un contratto di 1.300.000 fiorini per l'acquisto dell'intera collezione, comprendente seicentotrentasette quadri, circa tremilacinquecento disegni e cinquantunomila opere grafiche. Nel 1871 venne costituita così la Pinacoteca Nazionale che, in mancanza di una sede più adeguata, rimase ospitata nel Palazzo dell'Accademia delle Scienze.

Intanto altre raccolte continuarono a confluire nella collezione nazionale: nel 1872 Arnold Ipolyi, vescovo e storico dell'arte ungherese, donò sessantaquattro dipinti, per lo più italiani, tedeschi e ungheresi, acquistati principalmente a Colonia nel 1869 all'asta della collezione del pittore Johann Anton Ramboux, tra i quali si annoverano le pale d'altare di Spinello Aretino e Ambrogio Lorenzetti, opere di Giovanni di Paolo, del Sassetta, di Sano di Pietro e la Musa Thalia di Michele Pannonio (n. inv. 44).

Nel 1875 le opere d'arte custodite presso la Pinacoteca del Museo Nazionale confluirono anch'esse nella Pinacoteca Nazionale e dal 1884, con il direttorato di Karoly

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quello fatale, il Ritratto di gentiluomo di Sebastiano del Piombo (n. inv. 1384).

A fine secolo la crescita della collezione e la mancanza di spazio resero necessaria una sistemazione più appropriata delle opere e nacque così il progetto di un Museo di Belle Arti. Nel 1896 il Parlamento, riunito a festeggiare il Millennio dello Stato ungherese, approvò con una legge il progetto di costruzione di un nuovo edificio che ospitasse tutte le collezioni nazionali di Belle Arti e, a questo scopo, venne finanziata una somma di 3.200.000 fiorini, di cui 1.200.000 destinati alle spese di costruzione di un grande complesso museale allo sbocco dell'allora Sugár út (“via dritta”, ora Andrassy út). Nel settembre 1898 fu bandito un concorso per il progetto della nuova istituzione nazionale e, su giudizio di una giuria internazionale, i lavori furono affidati agli architetti Albert Schickedanz e Philipp Herzog. La cstruzione durò sei anni, dal 1900 al 1906, anno in cui il grandioso edificio in stile eclettico fu solennemente inaugurato alla presenza dell'imperatore e re Francesco Giuseppe.

La crescita della collezione non si arrestò e nuove acquisizioni, lasciti e acquisti continuarono ad arricchire la collezione permanente del nascente Museo di Belle Arti: tra il 1908 e il 1913 viene acquistata la collezione di Antichità di Paul Arndt, primo nucleo importante del dipartimento di antichità del museo; nel 1912 confluisce il lascito del conte János Pálffy, costituito da centoventuno opere antiche e cinquantasei opere del XIX secolo (tra le opere italiane il Ritratto del Doge Trevisan di Tiziano (n. inv. 4223), il Ritratto d'uomo di Veronese (n. inv. 4228), opere di Luca Giordano e del Guercino); nel 1914 è il turno della collezione dello scultore ungherese István Ferenczy (1792 – 1856), costituita da ottantatre opere, molte delle quali acquistate durante il periodo di studio dell'artista a Roma tra il 1818 e il 1824, tra cui il Ratto d'Europa di Andrea Riccio, il Putto col Delfino della bottega del Verrocchio e il Cavallo attribuito a Leonardo; nel 1821 il collezionista ungherese Marcell Nemes dona al Museo di Belle Arti la Maddalena penitente di El Grego, mentre altre opere provenienti dalla sua collezione (tra cui altre cinque di detto artista) entrarono al Museo per il tramite della collezione M. Lipót Herzog; nel 1922 il collezionista ungherese Jeno Boross dona al Museo alcuni dipinti importanti quali L'andata al Calvario di Jacopo Bassano (n. inv. 51.2944).

Nel 1934 come compenso per le opere d'arte ungheresi trasportate in Austria e a seguito di una Convenzione firmata a Venezia, vengono donate al Museo alcune opere, tra le quali l'Ercole ed Onfale di Tintoretto (n. inv. 6706). Nello stesso anno Pál Majovsxky, consigliere ministeriale, dona la sua collezione di disegni acquistati prevalentemente a

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Parigi, dietro consulenza dello storico dell'arte ungherese Simon Meller; ne facevano parte disegni di Maestri dell'Otto e Novecento tra cui studi di Manet, Degas, Renoir e Cézanne.

Nel 1951 confluiscono nel Museo di Belle Arti alcuni pezzi della raccolta della collezione di György Rath, che era stata amministrata dal Museo nazionale di Arti Applicate dal momento della sua morte (1905), tra i quali il Ritratto di Fanciulla di Sebastiano del Piombo (n. inv. 51.2879).

Nel 1953, infine, il Museo incorpora la Pinacoteca Zichy, custodita dall'Amministrazione comunale della capitale come lascito del conte Jeno Zichy; questa collezione comprendeva principalmente opere pittoriche fiamminghe, tedesche ed austriache dei secoli XVII e XVIII, ma anche capolavori italiani come il trittico di Taddeo di Bartolo (n. inv. 53.500) e il Ritratto di uomo (Jacopo Foscarini?) di Giovanni Battista Moroni (n. inv. 53.501).

Nel 1957 esigenze di spazio fecero sì che la collezione di opere d'arte ungheresi fossero trasferite e una nuova istituzione, la Galleria Nazionale Ungherese, fu istituita a questo scopo e ospitata dapprima nel Palazzo dell'ex - Corte Suprema, poi, dal 1973, nel ricostruito Castello reale di Buda dove è a tutt'oggi conservata.

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Parte 2

1. Trascrizione Taccuino Budapest – Zagabria

[carta sciolta 1]

Nelle fotografie esposte il cappello alla bersagliera si vede ai n. 225, 222, 221 rapp.ti Giuditta. / 19. Lucrezia col capello di velluto rosso come quello della figura della Gall. Borghese. / 49. Altra Giuditta c.s. / 121. Anche una delle tre Grazie. / È pure nella Venere del museo del Louvre.

[carta sciolta 2]

73. Quirizio da Murano. Madonna col B. / Sopra un parapetto, # I # il B. con la testa sopra un bianco cuscinone e steso sopra un tappeto persiano (uso persiano) ricco di colori: la Vergine lo adora. / Veduta nel fondo di un pezzo di laguna e dietro le montagne azzurre con luci bianche./ Mal costruita la testa della Vergine, la sua mano destra. / Grossolano pittore. / L’acqua sta attorno come ad una lunga ritorta coda.

[1]

98. Cima da Conegliano. Madonna col B., il quale porta al mento della Vergine carezzevole la sinistra sollevata, mentre par che le parli e le confidi i pensieri. / È molto grosso per il Cima. / Le mani sono mal disegnate, molto scuro il fondo senza la luminosità del Cima. / Anche le nubi non formano bei cumuli luminosi. / Il rosso della veste della Vergine è scurissimo. / Grosso per il Cima. / Gli ornati dello scollo non sono ageminati. / Il risvolto del manto verde è di un lilla. / Pare di un imitatore.

[2]

99. (Girol.o da S. Croce.) / Hieronymus? Così è scritto sul cartellino, perché a destra del quadro si legge HIERO. Deve essere Girol.o da S. Croce. C’è il suo verde chiaro nel manto del # Redentore # S. Giovanni, un colore # ? # violaceo della tunica. / E’ una figura diritta, statuaria questa del Redentore. / Poca luce nel cielo. / Terra sparsa di ciotoli tondi come ova. / Erbe segnate calligraficamente con segni gialli. / # Il Redentore # S. Gio. Battista tiene una mano al petto e con l’altra la croce. / Fondo un campo: a

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destra: filari d’alberi nel lontano monti d’un azzurro che tira al verde.

[3]

103. Marco Basaiti. S. Caterina. / Delle sue opere prime. / Colore tirato a fatica. / Ombre nericcie. / Graziosa figurina: manto d’un bel rosso. / Carni chiare. / Fine ne’ particolari. / Il paese è studiato dal vero nella parte anteriore, ma è scuro. / Lunga la macchiettina del fondo. / Tiene il libro sulla destra come per giuoco, par che debba cadere. / La palma pare una scimitarra. / Pieghe larghe profonde.

[3v]

Le montagne che chiudono il piano. / Alcune casette del piano hanno il tetto scuro: palizzate innanzi alle case, biancheria sciorinata. / Insomma un tentativo di paese vero.

[4]

100. Scuola Veneziana. Madonna col B., il quale sta conversando con S. Giovannino, che lo ascolta con le mani poggiate l’una sull’altra e sul petto e tutto intento. La Vergine guarda al frate domenicano che sta a destra, tiene la sinistra poggiata sopra un libro poggiato sul ginocchio s. / Il frate domenicano sta a mani giunte adoranti. Il B. mette la mano destra sulla testa, tra i riccioli di S. Giovannino, e par che con l’altra stia per prendergli il mento.

[4v]

È opera tutta nell’arte di Palma Vecchio. / Bello il fondo luminoso con alberi che staccano sul cielo dorato con foglie grosse. / Colore della Vergine abbronzato scuro. / Bambino dal nasino corto, ritondetto in punta. / Stoffa scura. / Occhi della Vergine incantati. / In un rombo dorato del libro della Vergine sta scritto: IO FILIO DEI. / Carni chiare trasparenti del B.

[5]

1384. Seb.no del Piombo. / Nelle mani c’è già l’influenza di Michelangelo, nelle mani squadrate, nelle dita rettangolari della mano che poggia sur una base. Anche l’altra la destra è michelangiolesca nello studio complesso de' muscoli e nella larghezza sua. / La testa pure con la canna squadrata del naso, mostra l’influsso michelangiolesco.

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[5v]

È stato restaurato dall’Hauser. / Anche la grandiosità della figura è michelangiolesca. / Tipo d’un Cristo. / Lunghe sopracciglia. / Occhi grandi a mandorla. / Larghissimo petto.

[6]

1384. Il fondo architettonico semplice, tiene pure del michelangiolesco, ma c’è qui ancora il colore veneziano nella bella bianca camicia, nella pelliccia, e nel fondo con luce di tramonto sopra azzurrissime colline con castelli merlati, un edificio a semicerchio, reminiscenza di Giorgione; e altre case che paiono fatte di legno raggruppate. / Curiosa una macchiettina azzurra delle vesti, come le montagne del fondo. / C’è anche una macchietta d’un cavaliere a gran trotto con luci vivissime, come lampi, reminiscenza di Giorgione.

[6v]

Le nubi di tramonto caldo, nubi che scolorano mano mano che s’allontanano dalla fonte. / Un effetto di sole splendido all’orizzonte.

[7]

80. Seb.no del Piombo. / Giorgione. / Segni guasti sulla fronte. / Fondo spelato. / Pugno chiuso fortemente quasi tutto guasto. / Il resto si può recuperare

[8]

80. Sulla tenda verde questa figura spicca col suo colore acceso; co’ suoi grandi occhi sdegnosi e le labbra grosse che sembrano mandar sarcasmi. / La mano destra chiusa sul petto par che dica la veemenza dello spirito dell’uomo; la destra è tranquilla e poggia sulla costola d’un libro. / Il berrettone di velluto nero. / I capelli castani scuri. / Il rosso della veste col nero vellutato del manto e i bianchi vivi danno alla figura un effetto fantastico.

[9]

80. Il nero e il rosso formano un contrasto forte, un effetto potente, fantastico: rotto il rosso dalla trinciatura della veste. / Che cosa tiene mai in mano la potente figura. / La mano bassa ha pure avuto de’ restauri specie al principio delle dita. / I capelli sono stati spelacchiati ma si vedono ancora alcuni segni fini. / Vernice screpolata. / Il fondo

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azzurro, un ponte, un edificio, una collina: luce vivida all’orizzonte, calda.

[10]

79. Scuola veneziana. Madonna col B. e S. Francesco che apre le braccia al Bambino che le stende aperte a lui. / Il S. Francesco rammenta G. B. Moroni nelle carni annebbiate. / E certo è scuola di Moretto da Brescia.

[11]

79. Fondo.

La testa delle Vergine è stata sporcata. / Il B. non è quello del Moretto. / Terra a pezze. / Curve verdi e rossiccie. / G. B. Moroni? / Una fotografia basterebbe a determinarlo.

[12]

82. Bonifacio Veronese. / Sacra Conversazione. / S. Giuseppe – Santa Caterina – Madonna col B. – S. Franc.o / Si avvicina piuttosto a Palma Vecchio, è un seguace di Palma Vecchio: non Bonifacio. / Un seguace che arrotonda il segno e non ha più le carni alabastrine di Palma. / Antica copia forse. / C’è un’opacità che non è nel Palma.

[13]

81. Bonifacio Veronese II. Madonna. / Grossolano. / Imitazione.

[14]

84. Palma il Vecchio. / La seduttrice. / Qui non ci sono i V nel parapetto. / Tutto ridipinto. / Era una imitaz.ne. / Bella la stoffa argentina. / Il colore si è sgranato, si vede quasi la tela. / Le pieghe della manica a d. brutte pieghe.

[15]

87. Palma il Vecchio. / Molto ridipinto. / Ingiallito ma poteva essere un Palma. / Pare un frammento. / Il colore de’ capelli è scomparso. / Appena se ne vede la massa bionda.

[16]

90. Lorenzo Lotto. / Testa china sull’omero a s. / La mano par che additi al cielo un bisognoso che sta più in giù della figura. / Capelli cadenti in giù come bagna. / Tinta

(26)

Torbido? / Sarà il Lotto, ma in una forma inconsueta, se si tolga lo spirito della testa china sull’omero a s. / Gli occhi guardano in alto imploranti. / Maniera franca del Lotto. / I capelli pioventi in giù come roridi.

[17]

94. Giorgione. / Le mani tonde all’estremità sono proprie di Bern. Licinio. / Anche la prop.ne della testa è del Licinio. / Orecchia informe. / Nari tracciate duramente con nero. / Abito di seta imbottita a scacchi. / #ALFONSUS# ANTONIVS BROCKARDUS MART….

[18]

94. Nel parapetto tre teste femminili: rose – spiche – grappoli – melagrane e alloro. / Mano con le dita aperte e come tronche per il rotondeggiare in vetta. / Dito pollice tanto più basso dell’indice, corto, deforme la mano. /Luci livide sulle carni gialliccie. / Colpetti di rosso nelle orecchie e qua e là nelle mani!

[19]

91. Bern. Licinio. Donna con un libro sul parapetto. / Mano grossa, dita grosse, rotonde in punta. / Pieghe rosse, scure negli addentramenti. / Secca, dura pittura, tagliata ne’ contorni. / Pare una donna di Palma Vecchio mal copiata, senza il modellato del m.o.

[19v]

[Disegno]

[20]

95. Giorgione. / La più gran bestemmia che si potesse dire!

[21]

108. Giac.o Bassano. / Testa di un S. Gerol.o? / Ritrattone di vecchio con abito rosso. / Sopracciglia con peli bianchi come spine. / Alto cranio. / Collo forte. / Sguardo severo. / Fierissimo vecchio. / Fondo scuro. / Grande barba di profeta.

[22]

(27)

Anche la mano coll’indice e il medio disgiunti ad angolo 1/2 retto. / Tutto ridipinto.

[23]

113. Tiziano. Madonna adorante il B. e Santo Vescovo (Luigi). / È lo stesso m.o di Vienna dell’acc. Intendo. Polidoro Lanzani. / Carni rosse. / Natura di pittore un po’ grossa. / Anche gli scuri del rosso nerastri, e il verde con luci d’oro sono gli stessi colori di Vienna.

[24]

110. Franc.o Torbido. / Madonna e S. Michele, il B., S. Giovannino e S. Elisabetta. / No, Torbido. / Un brutto scolaro di Paolo.

[25]

112. Tiziano Vecelli mïhelyéböl. / Sì è della scuola di Tiziano. / Bella testina dagli occhi azzurri, dalle guance rosate, dai capelli biondi, dalla veste bianca.

[26]

117. Il Veronese. La Deposizione. / Pare lo Zelotti. / Figure lunghe, carni annerite! / La Maddalena in piedi lunga, che sembra avere il corpo [?dorato?]. / Alta la croce. / Carni scure ammaccate. / Forza de' colori del Veronese attenuata.

[27]

37. Niccolò da Foligno. / Il solito S. Bernardino. / Forse per uno stendardo con poco colore. / Ma è l’aggranchiato pittore.

[28]

[Carta bianca]

[29]

1200. – 1201. – 1202. – 1203. Spagna? / Quattro pignatozzi, zucche sopra delle ali variopinte # ? #.

(28)

SACELLO. / Tempera guasta dall’olio. / Scuola senese. / Il m.o delle fronti a triangolo sferico. / Così le lascia vedere il collo. / Nella cornice la scritta è apocrifa.

[31]

479. Lelio Orsi. / La composiz. di Vienna ma invece dell’agnello c’è il B. dormiente sulla [?manella?]. / Sfumato che non so # nel # in Lelio.

[32]

609. Domenico Feti. / Giovane dormiente, poggia sulla mano destra. / Testa di paesana bella. / Al solito le vesti come onde a pasta. / Tappetto.

[33]

622. – 623. Carpioni. / Baccanali.

[34]

* 645. Bellotto. / Piazza della Signoria.

647. Bellotto Bern. Veduta dell’Arno a Firenze. #651#

[35]

651. Tiepolo. Maria Concetta! / [?] meraviglioso.

[36]

650. Franc.o Zuccherelli. / Pecorai al Passaggio d'un ponte. 652. Francesco Zuccherelli. / Paese.

Sempre a s. due alberi ritorti. Uno tronco in vetta.

[37]

629. – 640. Franc.o Guardi. / Vedute de’ dintorni di Venezia.

[38]

649. San Fernando. / Grandioso alfiere sul cavallo bianco dalla criniera nera. / Zuffa fra mori e non mori. / Tiene la bandiera svolazzante bianca e rossa. / Abbassa la spada verso la testa d’un moro.

(29)

[39]

649. La scimitarra è caduta a’ piedi del Re moro che sembra cada in ginocchio impaurito. / Il cavaliere dal gran pallio bianco porta lo stendardo, che par la vela gonfia della vittoria. / E guarda in alto mentre abbassa la spada come salutando il cielo che dà la vittoria.

[40]

66. Andrea del Sarto. / # La # Veste rosea # della # la Madonna. / Tunica azzurra. / Drappo violetto cadente sulle spalle. / Corpi rosei. / Questo mazzo di fiori sulla grigia rupe, grigio cielo.

[41]

1384. Seb.no del Piombo. / La parte a d. della guancia e del profilo è la più guasta, così il collo a destra. / Figura solenne nella grigia semplice architettura, si appoggia ad una base, come un oratore che stia per parlare al popolo e lo domini con lo sguardo, con la persona potente. / Nella destra tiene una carta, che sembra un ventaglio chiuso.

[42]

79. Madonna col B. che apre le braccia verso S. Franc.o / Carni del B. molto rosee, guancia [?rosalina?], testa del B. lunga e corta. Madonna con un drappo d’argento in capo. / Parmi caratteristico l’albero nel p.o: anche a destra un altro albero dal verde ingiallito.

[43]

77. Andrea Previtali. Madonna. / Previtali. Tra le nuvole bianche e il verde si vede questo gruppo: e fa l’effetto d’un papavero, d’un bouton d’or in un campo.

[44]

76. Scuola Cremonese. Busto di Santa Martire su fondo rosso. / Deve essere il fiacco Aleni.

(30)

pizzica il liuto, Cupido appresso con una corona d’alloro intorno al polso.

[46]

103. Marco Basaiti. / Par che il libro le stia per incanto sulla palma della destra. / Albero a destra con rami contorti, come un alto sterpo.

[47]

113. Si noti il verde con ornati d’oro che sembrano di fili o lastrine di ottone.

[48]

119. Iacopo da Ponte d.o il Bassano. / Pastore dormiente – cavallo bianco – fanciullo del mandriano – asino – cane – pecore al secchio per abbeverarsi – buoi – pecore. / Animali studiati. / Belli gli animali. / Senza le intensità eccessive degli altri quadri, nell’insieme.

[49]

76. Chiare le carni. / Giallo con righe azzurre. / Viola chiaro.

[50]

Dr Bene Ödön ägyvéd. / Casa dell’avv. del Pulzk. / Budapest, akadémia - utcza 14 sz. / Che tramonta il sole. / Nubi aranciate. / [?alberi alberi?] / Un vecchio con una clessidra nella destra. / Un giovane vestito di bianco che suona una viola. / Cosa finissima che mi pare proprio Giorgione.

[51]

Piccole tracce d’oro nel cappuccio del vecchio. / La veste del vecchio di un rosso-violetto, rosso svanito. / Bel bianco, belle pieghe nella veste dell’angelo con la testa in ombra. / Monti azzurrini tendenti al verde. / [?] di colore stragrande. / Finissimo. / Luci gialle ai piedi dei monti e in un castello. / Alberi con luci nell’interno nel cerchio delle chiome. / Testa d’angelo capigliatura castana. / Testa soffusa nell’ombra col vivo colore trasparente nell’ombra. / Presso l’angelo sta accasciato un cervo. / Tranquillità del crepuscolo.

(31)

Niello di Nicolò Machiavelli. / Scritto al rovescio. / Niello bellissimo.

[53]

Forma delle montagne. / Del bel rosso del ritratto di Berlino.

[54]

79. Ritratto di giovane di G. B. Moroni. / Magazzeni.

[55]

9. S. Girol.o del Basaiti. / Grande il paese. / E c’è la firma: Marcus Baxaiti.

[56]

Due quadri del # Signorelli # Sodoma, seguito della predella di cui un pezzo è nella galleria. / Cristo che porta la croce. / Il bacio di Giuda.

[57]

174. Andrea Sabbatini. / Morte della Vergine. / Mi ricorda qui Cola dell’Amatrice. / Mani brevi. / Teste quadrate arricciolate.

[58]

[Carta bianca]

[59]

79. Scuola Veneziana. Madonna. / Moroni? / Tutta la luce nel corpo del B. che avanza, tutta l’ombra nel S. Franc.o.

[60]

80. Seb.no / Oh! quel rosso che si strappa fuor dal nero di velluto, un rosso vivo, di brage.

[61]

(32)

98. Cima. / Risvolto del manto della Vergine rosa - violetto con ombre paonazze.

[63]

400. Quanto è bella la luce in questo quadro dietro quei monticelli caldi fra le rade grosse foglie autunnali che spiccano nel cielo. / Ricorda il paese del Palma nella galleria Borghese.

[64]

62. Pinturicchio. / Madonna col B. su fondo d’oro. / No, testa troppo tonda della Vergine e del B. / Angioli esialati. / Luci nelle carni con rosa. / Puntolini bianchi ne’ lacrimatoi, nell’angolo dell’occhio: nel canalino sopra il labbro superiore. /Nella carne a tratti sul fondo verde contorni neri de' lineamenti.

[65]

44. Michele Pannonio. / Bianchi lumacciosi.

[66]

Presso il Sig. Petrovich / Madonna col B. (uso bizantino) / + Angelus. Bizamanus. Candidus. / PIXIT AOTROTO.

[67]

Moretto da Brescia. / S. Rocco seduto sott’un albero e un angiolo che gli cura le ferite. / S. Rocco, sembra dormiente, ma non è che addolorato per la piaga. L’angiolo ha un ferretto da chirurgo. / Il cane sta accasciato con un pane in bocca. / Berretto rosso al bastone e un bel drappo bianco svolazzante. / Tempo tardo forme grosse.

[68]

Madonna col B. tutta tutto nell’arte di Cima da Conegliano. / Nel cartellino: 1495 antonius mori & de charpi pinxit. / Forse quello della galleria è di questo m.o

[69]

32. Cristo alla colonna. / Scuola di Antonello da Messina. / Come quello di Venezia. / PETRVS MESSANEVS PINXIT. / (Questo liscio Cristo e smorto può far ritenere per Pietro il S. Seb.no di Berlino).

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