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L'iperalgesia dopo somministrazione continua di oppioide intra-operatorio: tre metodiche a confronto.

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Sommario

... 2

INTRODUZIONE ... 3

Il dolore dopo l’intervento chirurgico ... 3

GLI OPPIOIDI, FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEL DOLORE. ... 5

Agonisti dei recettori μ ... 6

La morfina ... 6

Codeina ... 14

Oppioidi sintetici μ agonisti ... 16

Fentanil e Sufentanil ... 16

Remifentanil ... 17

Agonisti/antagonisti dei recettori μ ... 19

Buprenorfina ... 19

Antagonisti dei recettori μ ... 20

IL naloxone ... 20

IPERALGESIA ... 21

Meccanismi d’azione dell’iperalgesia ... 22

Studi clinici ... 24

... 36

Iperalgesia da Remifentanil ... 36

STRATEGIE TERAPEUTCHE PER RIDURRE L’IPERALGESIA ... 38

Studi con ketamina ... 39

Studi con gabapentin ... 41

Studi con gli inibitori della ciclo-ossigenasi ... 43

CENNI DI FARMACOLOGIA SUI PRINCIPI ATTIVI UTILIZZATI PER RIDURRE L’IPERALGESIA ... 45

Ketamina ... 45

Gabapentin ... 47

Inibitori delle ciclo-ossigenasi ... 49

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INDICATORI ... 58 RISULTATI ... 59 CONCLUSIONI ... 74 ... 77 BIBLIOGRAFIA ... 77

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INTRODUZIONE

Il dolore dopo l’intervento chirurgico

Il dolore nel post operatorio è strettamente correlato all’insulto chirurgico che provoca infiammazione e attivazione del sistema simpatico. La risposta infiammatoria inoltre attiva i recettori periferici della sensibilità dolorifica che inviano afferenze a livello centrale portando così all’amplificazione della trasmissione e della sensibilità dolorifica attraverso un processo di sensibilizzazione centrale.

Modalità di trasmissione del dolore

Le vie di trasmissione del dolore iniziano dai recettori periferici e attraverso le fibre afferenti giungono alle radici posteriori del midollo spinale. Qui si incrociano e risalgono fino al grigio periacqueduttale del mesencefalo proiettando infine al talamo e alla corteccia celebrale. Le strutture superiori coinvolte nella trasmissione del dolore sono: la corteccia anteriore cingolata, l’area somato-sensoriale, la corteccia prefrontale, l’insula, l’ipotalamo, il talamo, la sostanza grigia periacqueduttale, il cervelletto e i gangli della base. I recettori per gli oppioidi si differenziano in base alla loro funzione: i recettori coinvolti nell’analgesia (μ, δ, e k) si ritrovano nelle corna posteriori del midollo spinale nel grigio periacquiduttale e nel talamo; i recettori coinvolti nella respirazione, tosse, vomito e diametro della pupilla sono a livello dei neuroni bulbari e pontini del tronco encefalico; mentre i recettori coinvolti nel controllo dell’umore si localizzano nelle strutture limbiche. I recettori μ si dividono nel tipo 1

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mediando l’analgesia a tale livello. Inoltre controllano il rilascio della prolattina e il turnover dell’acetilcolina. I recettori μ2 sono invece coinvolti nella respirazione (in particolare danno depressione respiratoria), nella riduzione della motilità gastro-intestinale, nel rilascio dell’ormone della crescita, nel controllo dell’apparato cardio-vascolare e nel controllo dell’appetito. I recettori δ danno analgesia a livello spinale e controllano il turnover della dopamina, il rilascio dell’ormone della crescita e l’appetito. I recettori k invece mediano l’analgesia a livello spinale inibiscono il rilascio di vasopressina e danno sedazione. I recettore ε infine hanno effetti psicomimetici e forse interagiscono con i recettori NMDA. Il sistema recettoriale prevede per la trasduzione del segnale l’accoppiamento dei recettori a proteine G che, inibendo l’adenilato ciclasi, provocano una riduzione dell’c-AMP che a sua volta modifica le correnti ioniche del sodio, del potassio e del calcio producendo una iperpolarizzazione del neurone e bloccando così la trasmissione del segnale dolorifico a livello centrale. L’ inibizione dei canali del calcio e del sodio e l’apertura dei canali del potassio iperpolarizzano il neurone: queste rimangono comunque delle ipotesi. Studi effettuati sui recettori clonati hanno dimostrato che i recettori degli oppioidi possono accoppiarsi ad una schiera di altri sistemi di secondi messaggeri, inclusa l’attivazione delle MAP kinasi e la cascata mediata dalla fosfolipasi C, che porta alla formazione di inositolo trifosfato e diacilglicerolo1(AKIL et al.)

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GLI OPPIOIDI, FARMACI PER IL

TRATTAMENTO DEL DOLORE.

Il termine oppioidi si riferisce in senso ampio a tutti i composti derivati dall’oppio,parola che deriva dal greco opos, cioè succo, essendo il farmaco un derivato del succo del papavero da oppio. Gli oppioidi costituiscono la pietra miliare nel trattamento del dolore moderato e severo. Sono stati utilizzati nel passato prevalentemente per alleviare il dolore acuto e il dolore nei malati terminali di tumore, mentre recentemente hanno trovato largo impiego nella terapia per il dolore cronico non strettamente correlato al cancro. Oggi gli oppioidi sono secondi solo agli anti-infiammatori non steroidei in termini di frequenza di prescrizione per il trattamento del dolore cronico2. Il

primo riferimento certo all’oppio si trova negli scritti di Teofrasto nel terzo secolo a.C . I medici arabi erano molto esperti nell’impiego dell’oppio e i commercianti arabi lo esportarono fino in oriente. Anche nel Medioevo è stato rilevato un uso variegato dell’oppio. Nel 1680 Sydenham scrisse: “tra i rimedi che Dio Onnipotente ha dato all’uomo per alleviare le sue sofferenze, nulla è così universale e efficace come l’oppio”. L’oppio contiene più di 20 alcaloidi differenti. Nel 1806 Serturner riferì di aver isolato una sostanza pura dall’oppio che chiamò morfina da Morfeo, il dio greco dei sogni. Seguì rapidamente la scoperta di altri alcaloidi dell’oppio come la codeina scoperta da Robiquet nel 1832 e la papaverina da Merck nel 1848. Dalla metà del diciannovesimo secolo cominciò a diffondersi nel mondo della medicina l’uso degli alcaloidi puri piuttosto che le preparazioni di

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Agonisti dei recettori μ

La morfina

Il principale oppioide utilizzato è comunque la morfina cioè un alcaloide dell’oppio della classe dei fenantreni, di origine naturale . La sua struttura chimica è fondamentale per il meccanismo d’azione, infatti il gruppo metilico CH3 legato all’azoto in posizione 17,l’ossidrile fenolico in posizione 3 e l’ossidrile alcolico in posizione 6 sono determinanti per l’azione agonista sui recettori degli oppioidi.

Farmacocinetica

La morfina ha una bassa affinità per le proteine trasportatrici,per tanto raggiunge elevate concentrazioni in circolo. Non persiste a livello dei tessuti e 24 ore dopo l’ultima assunzione le sue concentrazioni tissutali sono molto ridotte. La sua emivita è di 2 o 3 ore e l’eliminazione avviene all’85% per via renale e al 15% per via biliare. Nella somministrazione per via orale la morfina è rapidamente assorbita nel tratto gastro-intestinale però subisce un metabolismo epatico di primo passaggio che ne diminuisce la bio-disponibilità quasi del 75%. Però anche la curva tempo/effetto varia a seconda della via di somministrazione, in modo tale che la durata dell’azione è un po’ più lunga in seguito a somministrazione orale. Effettuando quindi un aggiustamento della dose che tenga conto della variabilità del

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metabolismo di primo passaggio e della clearance è possibile comunque raggiungere un’analgesia adeguata. La morfina viene inoltre somministrata per via parenterale ( via sottocutanea, intramuscolare, endovenosa ed epidurale ) by-passando così il matabolismo epatico e mantenendo una dose, biologicamente attiva maggiore. L’arco di tempo, prima dell’inizio dell’effetto analgesico, è di 10-30 minuti per via intramuscolo o endovena e di 15-60 minuti per via epidurale o intratecale. Il picco di effetto analgesico si ha dopo 1-2 ore dalla somministrazione orale con una durata di 4-5 ore, dopo 30-60 minuti dalla somministrazione intramuscolare e dopo 20 minuti dalla somministrazione endovenosa. La durata dell’effetto analgesico è superiore alle 24 ore per la somministrazione peridurale.

Un aspetto molto interessante che merita attenzione è la diversità di efficacia della morfina nei due sessi. In studi condotti su volontari sani è emerso che a parità di dosi somministrate nei due sessi e, a parità di concentrazione ematica dei metaboliti,le donne presentano un più rapido sollievo dal dolore. Le basi biologiche di tale differenza sono da ricercare nella diversità del patrimonio genetico e nella diversa processazione del messaggio algesico nell’uomo e nella donna. Una prima differenza si ritrova nel sistema enzimatico di metabolizzazione dei farmaci (cyt p450 nel sottotipo CY2 e CY3) poi nella regolazione estrogenica dell’espressione dei recettori per gli agenti neuroattivi quali fattori di crescita, encefaline e sostanza p. Infine un’altra diversità si riscontra nella differenza genetica sesso-correlata della risposta agli analgesici endogeni ed esogeni. Inoltre sono di fondamentale importanza, nella somministrazione della morfina le modificazioni che avvengono nei pazienti all’aumentare dell’età: si ha la riduzione del volume di distribuzione della clearance dei farmaci e della concentrazione dell’albumina.

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Queste modificazioni portano ad un aumento della quota plasmatica non legata del farmaco, cioè della parte attiva.

Farmacodinamica

Osservando la curva dose-risposta degli oppioidi si osserva un andamento di tipo sigmoidale: dato uno stimolo dolorifico non si raggiunge l’analgesia finché non si supera un determinato valore soglia di concentrazione ematica del farmaco. Tale valore rappresenta la MEAC cioè la “Minimum Effective Analgesic Concentration”, la più bassa concentrazione di oppioide con la quale il paziente raggiunge l’analgesia. Aumentando il valore della dose oltre tale concentrazione non si assiste ad un miglioramento dell’analgesia ma ad un aumento degli effetti collaterali come sedazione e depressione respiratoria. Il valore della MEAC non è costante e, nel post operatorio decresce nel tempo.

Meccanismo d’azione

La morfina è un agonista dei recettori μ. Tale sistema recettoriale è accoppiato a proteine G, che inibendo l’adenilato ciclasi, provocano una riduzione dell’c-AMP. Questa diminuzione modifica le correnti ioniche di sodio,potassio e calcio, producendo iperpolarizzazione del neurone e quindi riduzione del rilascio di trasmettitori eccitatori (glutammato e sostanza P) e blocco della trasmissione dolorifica a livello centrale. Ciò vale per i recettori μ pre-sinaptici. Mentre per i recettori μ post-sinaptici si ha un aumento della conduttanza del potassio che determina l’insorgenza di potenziali post-sinaptici inibitori con conseguente riduzione della scarica dei neuroni diretti ai centri superiori.

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Effetti farmacologici

Gli effetti farmacologici della morfina sul SNC sono di vario tipo. Produce effetto analgesico, innalzando la soglia del dolore e riducendo la reattività al dolore; effetto psichiatrico sull’umore dando euforia o disforia; sedazione deprimendo il locus coeruleus; depressione respiratoria riducendo la sensibilità dei centri respiratori alla CO2;

riduzione del diametro pupillare stimolando il nucleo di Edinger-Westphal; vasodilatazione cerebrale; aumento della pressione intracerebrale; riduzione della tosse deprimendo il centro della tosse; emesi stimolando il centro del vomito.

Sul sistema neuroendocrino invece la morfina determina aumento della produzione di ADH, prolattina, GH e diminuzione di LH, FSH, ACTH e β-endorfine.

Nell’apparato gastro-enterico dà riduzione della motilità e dell’attività peristaltica, della secrezione biliare, pancreatica e intestinale e aumento dell’assorbimento di acqua.

Sull’apparato genito-urinario determina riduzione del flusso ematico renale, aumento del tono vescicale e uretrale e riduzione del tono della muscolatura dell’utero.

A livello del sistema immunitario la morfina provoca una diminuzione dell’efficacia dei linfociti T e delle cellule natural killer . Un effetto particolare della morfina è quella di provocare il rilascio dell’istamina da parte dei mastociti con meccanismo non mediato dai recettori degli oppioidi. L’entità del rilascio può causare orticaria o prurito nel sito di iniezione o può provocare effetti sistemici gravi, quali bronco costrizione e vasodilatazione generalizzata con conseguente ipotensione.

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Principali effetti collaterali

-Nausea e vomito

Nausea e vomito sono effetti collaterali causata dalla stimolazione diretta dei chemocettori della zona di innesco del vomito, situata nell’area postrema del midollo allungato. Rappresenta uno degli effetti collaterali più frequenti nella pratica clinica dopo un intervento chirurgico. I fattori identificati che aumentano il rischio di nausea e vomito sono: la sede dell’intervento (maggiore incidenza per isterectomia e colecistectomia), il sesso femminile, la condizione di non fumatore, anamnesi positiva per ponv e analgesia post-operatoria a base di oppioidi. Nausea e vomito nel post operatorio vengono indicati col termine PONV: Post Operatory Nausea and Vomit. Per la prevenzione della ponv vengono somministrati nell’intraoperatoio diversi farmaci: antagonisti della serotonina (Ondasetron), cortisonici (desametasone), neuroplegici (droperidolo). Oltre a ciò è stato osservato che l’utilizzo della TIVA che utilizza propofol invece che anestetici volatili e nitrogeno invece che ossido nitrico, rappresenta una buona prevenzione per la ponv. La nausea e il vomito vanno trattati con la profilassi perché quando si verificano dopo l’intervento, senza una precedente prevenzione, l’efficacia del trattamento è molto bassa.

-PRURITO

Dovuto al rilascio di istamina da parte dei mastociti, indotto dalla morfina. Il prurito costituisce una complicanza comune dell’uso di tale oppioide. Può essere provocato sia dalla somministrazione sistemica sia da quella intraspinale, risultando in quest’ultima maggiore. L’effetto sembra in parte essere mediato in parte dai neuroni delle corna dorsali e viene soppresso dal naloxone.

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-IPOTENSIONE

Nei pazienti in posizione supina dosi terapeutiche di morfina non hanno effetti significativi. Tali dosi però causano vasodilatazione periferica e un’inibizione dei riflessi barocettivi. Perciò quando i pazienti dalla posizione supina passano a quella eretta possono verificarsi ipotensione ortostatica e sincope. Diversi meccanismi sono coinvolti nella dilatazione periferica arteriolare e venosa causata dalla morfina. Questa provoca il rilascio di istamina, che può giocare un ruolo preponderante nell’ipotensione. Tuttavia, la vasodilatazione in genere solo parzialmente bloccata da antagonisti H1 ma viene efficacemente contrastata dalla somministrazione di naloxone. LA morfina attenua anche il riflesso di vasocostrizione causato da un aumento della PCO2

-SEDAZIONE/DEPRESSIONE RESPIRATORIA

La morfina deprime la respirazione almeno in parte attraverso un effetto diretto sul centro respiratorio situato nel tronco celebrale, per una diminuita risposta ad anidride carbonica. La morfina deprime anche i centri pontini e bulbari coinvolti nella regolazione del ritmo respiratorio. La stimolazione ipossica dei chemocettori potrebbe mantenersi attiva anche quando la risposta alla CO2 sia stata

diminuita dalla morfina, quindi, l’inalazione di O2 può provocare

apnea. I pazienti dopo dosi elevate di morfina , respirano se gli si ordina di farlo, ma senza istruzioni possono restare in uno stato di relativa apnea. La depressione respiratoria si verifica anche a dosi troppo basse per provocare disturbi della coscienza e aumenta progressivamente all’aumentare della dose. Dosi terapeutiche di morfina nell’uomo deprimono tutte le fasi dell’ attività respiratoria (frequenza respiratoria, volume respiratorio per minuto e scambio

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periodico. La diminuzione del volume respiratorio è dovuto principalmente a una riduzione della frequenza del respiro e con quantità tossiche la frequenza può scendere a tre quattro atti respiratori al minuto. A dosi terapeutiche è comunque raro che si verifichi una depressione respiratoria clinicamente significativa in assenza di una sottostante disfunzione polmonare. Tuttavia la combinazione con altri farmaci come gli anestetici i tranquillanti l’alcool o ipnotici potrebbe produrre un più alto rischio di depressione respiratoria. Il livello massimo di depressione respiratoria si verifica entro cinque dieci minuti dalla somministrazione endovenosa di morfina, entro trenta minuti dopo somministrazione intramuscolare e entro novanta minuti dopo somministrazione sottocutanea.

-DIMINUZIONE DELLA PERISTALSI

Dopo una somministrazione di morfina le onde peristaltiche propulsive a livello del colon subiscono una diminuzione o vengono abolite e il tono viene aumentato fino allo spasmo. Il conseguente ritardo nel passaggio del contenuto intestinale causa una considerevole disidratazione delle feci, che, a sua volta ritarda il loro transito attraverso il colon. Il tono dello sfintere anale è notevolmente aumentato e il rilassamento riflesso in risposta alla distensione del retto è ridotto. Queste azioni combinate con la ridotta sensibilità ala normale stimolo sensitivo per il riflesso della defecazione, dovuta alle azioni centrali del farmaco, contribuiscono alla stipsi causata dalla morfina. Tali effetti sono mediati dai recettori μ e δ presenti nell’intestino. Sebbene si sviluppi una certa tolleranza agli effetti degli oppioidi sulla motilità, i pazienti che assumono cronicamente gli oppioidi restano costipati.

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-CONTRAZIONE DELLO SFINTERE DI ODDI

In seguito alla somministrazione di morfina alcuni pazienti con coliche biliari potrebbero sperimentare un aggravamento piuttosto che un sollievo, per la contrazione dello sfintere di ODDI e per l’aumento della pressione nel dotto biliare. Inoltre si può avere anche un aumento della pressione del liquido all’interno della colicisti producendo sintomi che vanno dal dolore epigastrico alle tipiche coliche biliari. Probabilmente lo spasmo dello sfintere di ODDI è responsabile dell’aumento dei livelli plasmatici di amilasi e di lipasi che si osserva talvolta nel paziente dopo somministrazione di morfina.

-RITENZONE URINARIA

La morfina aumenta il tono e le entità della contrazione dell’uretere e inibisce il riflesso di svuotamento della vescica, aumentando sia il tono dello sfintere esterno sia il volume della vescica. Talvolta somministrazioni di dosi terapeutiche dio morfina possono richiedere cateterizzazione.

Controindicazioni

1) Ipersensibilità alla morfina e ai suoi derivati.

2) Tutte le forme di ileo paralitico:infatti la morfina crea stipsi ostinata resistente ai lassativi.

3) Litiasi biliare: la morfina provoca contrazione dello sfintere di Oddi con aggravamento delle coliche biliari.

4) Patologie ostruttive renali: provoca contrazione dell’uretere e dello sfintere ureterale con difficoltà alla minzione e aggravamento della calcolosi urinaria.

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5) Stati di depressione del SNC e alcolismo acuto:gli effetti depressivi della morfina sono aggravati e prolungati se associata alle fenotiazine, agli inibitori delle monoamino-ossidasi , agli anti-depressivi triciclici e all’alcol. I meccanismi di questi effetti additivi non sono pienamente compresi ma potrebbero coinvolgere alterazioni della velocità di trasformazione metabolica degli oppioidi o alterazioni dei neurotrasmettitori coinvolti nelle azioni degli oppioidi. 6) Patologie renali e epatocellulari gravi: aumenta la biodisponibilità della morfina per diminuita clearance e alterato metabolismo, rispettivamente.

7) Asma bronchiale e stati di ipotensione/ipovolemia gravi: il rilascio di istamina indotto dalla morfina aumenta la broncocostrizione e la vasodilatazione.

8) Traumi cranici e ipertensione endocranica: la depressione respiratori data dalla morfina porta ad avere aumento della CO2 e

quindi ulteriore aumento della pressione endocranica. 9) Insufficienza respiratoria,gravidanza e allattamento.

Codeina

Contrariamente a quanto osservato per la morfina la codeina somministrata per via orale mostra un’efficacia che è circa il 60% di quella ottenibile per via parenterale. La codeina mostra un elevato rapporto tra potenza dopo somministrazione orale e quella parenterale. Ciò è dovuto ad un minor metabolismo di primo passaggio nel fegato. Dopo la codeina e i suoi metaboliti vengono escreti con le urine, in gran parte in forma inattiva. Una piccola frazione, circa il 10%, viene O-demetilata a formare morfina e, in seguito, a dosi terapeutiche di codeina è possibile ritrovarla nelle

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urine sia come morfina libera che coniugata. La codeina ha una bassa affinità per i recettori degli oppioidi e deve la sua attività analgesica al fatto che viene metabolizzata dal fegato in morfina. L’emivita plasmatica della codeina varia da 2 a 4 ore. La conversione della codeina in morfina viene effettuata dal citocromo P450 CYP2D6. Un polimorfismo genetico ben caratterizzato del CYP2D6 porta all’incapacità di convertire la codeina in morfina rendendo in tal modo la codeina inefficace come analgesico in almeno il 10% della popolazione caucasica (EICHELBAUM and EVERT)3. Altri polimorfismi

possono causare un aumento del metabolismo e in tal modo provocano un aumento della sensibilità agli effetti della codeina (EICHELBAUM and EVERT)3. E’ interessante notare che sembra essere

presente una variazione di efficienza metabolica tra i diversi gruppi etnici. Per esempio, i cinesi producono meno morfina dalla codeina di quanto non facciano i caucasici e sono anche meno sensibili agli effetti della morfina rispetto ai caucasici ( CARACO et al)4. La ridotta

sensibilità alla morfina potrebbe essere causata dalla diminuita produzione di morfina-6-glucuronide ( CARACO et al)4. E’ quindi

importante prendere in considerazione la possibilità del polimorfismo degli enzimi metabolici in ogni paziente nel quale la codeina non produca una analgesia adeguata o non si abbia una risposta adeguata in seguito alla somministrazione di altri profarmaci.

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Oppioidi sintetici μ agonisti

Il fentanil e i suoi congeneri come sufentanil, alfentanil e remifentanil sono oppioidi sintetici correlati alle finilpiperidine. Gli effetti analgesici di tali farmaci sono simili a quelli della morfina e altri μ agonisti. Il fentanil è però circa 100 volte più potente della morfina e il sufentanil 1000 volte.

Fentanil e Sufentanil

Fentanil e sufentanil sono usati comunemente come adiuvanti dell’anestesia e somministrati per via epidurale producono analgesia postoperatoria. Una combinazione di oppioidi epidurali con anestetici locali permette una riduzione del dosaggio di entrambi con riduzione degli effetti collaterali sia degli anestetici locali (blocco motorio) sia degli oppioidi.

Assorbimento metabolismo e escrezione

Sono altamente liposolubili e attraversano rapidamente la barriera emato-encefalica:ciò si riflette in una emivita molto breve,circa 5 minuti. I livelli di tali farmaci nel plasma e nel liquido cerebro-spinale diminuiscono rapidamente per la loro ridistribuzione, dai tessuti altamente perfusi agli altri tessuti come quello muscolare e adiposo. Raggiungono il picco di effetto analgesico se somministrati endovena in circa 5 minuti, rispetto ai 15 della morfina, e anche il recupero dagli effetti analgesici si verifica più rapidamente. Fentanil e sufentanil vengono metabolizzati nel fegato e eliminati per via renale. Comunque con l’uso di dosi elevate o infusioni prolungate possono essere utilizzati come farmaci a lunga durata d’azione.

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Effetti sul SNC

Si possono osservare nausea, vomito, sedazione depressione respiratoria come per la morfina. Un aspetto più caratteristico invece di tali farmaci è la rigidità muscolare osservata dopo somministrazione di boli di fentanil e congeneri. La rigidità può essere mitigata evitando di somministrare il farmaco sottoforma di boli, rallentando la somministrazione dei boli o utilizzando, nell’induzione dell’anestesia, il pre-trattamento con un farmaco non oppioide.

Effetti sul sistema cardio-vascolare

Diminuiscono la frequenza cardiaca e possono dare ipotensione. Comunque questi farmaci non inducono il rilascio di istamina e gli effetti deprimenti sul miocardio sono minimi, permettendo così una notevole stabilità cardio-vascolare.

Remifentanil

E’ stato creato con l’intento di dare effetti analgesici dotati di una rapida insorgenza d’azione e un’altrettanta rapida e predicibile fine degli effetti. Viene utilizzato sia in anestesia che come analgesico. La potenza del remifentanil è approssimativamente uguale a quella del fentanil, così come sono simili le sue proprietà farmacologiche. Quando il remifentanil è stato usato per l’analgesia cosciente, in procedure dolorose, è stata riferita la comparsa di nausea, vomito, prurito e cefalea. Mentre le variazioni della pressione intracranica sono minime se la ventilazione è tenuta sotto controllo. Non sono state descritte convulsioni in seguito alla sua somministrazione. Viene utilizzato negli interventi chirurgici per la sua facile maneggiabilità e

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dall’anestesia. Tuttavia il remifentanil da solo è insufficiente a garantire un’analgesia post-chirurgica ecco perché viene affiancato da altri analgesici durante l’intervento come ad esempio la morfina data circa 40 minuti prima della fine dell’intervento. Il remifentanil attualmente non viene usato per via intraspinale poiché la glicina che si trova nella sua formulazione può causare paralisi motoria temporanea. Vista la sua breve durata d’azione è somministrato mediante infusione continua.

Assorbimento metabolismo e secrezione

I suoi effetti analgesici si manifestano in un tempo brevissimo circa un minuto, un minuto e mezzo. Il remifentanil non subisce un metabolismo di tipo epatico ma viene metabolizzato dalle esterasi plasmatiche non specifiche e tissutali. (Burkle et al)5. L’emivita di

eliminazione varia da 8 a 20 minuti. L’età e il peso possono influenzare la sua clearance, richiedendo una riduzione del dosaggio nell’anziano in base alla massa magra. Tuttavia nessuna di questa condizioni crea variazioni importanti della durata dell’effetto. Dopo 3-5 ore di infusione di remifentanil si osserva recupero della funzione respiratoria nel giro di 3-5 minuti con un pieno recupero nel giro di 15 minuti.(Glass et al.)6. Alle dosi raccomandate però il remifentanil può

determinare rigidità muscolare, situazione che è correlata alla dose e alla velocità di somministrazione. Pertanto l’iniezione in bolo del farmaco deve essere somministrata in un periodo di tempo non inferiore a 30 secondi. Tale rigidità viene trattata associando un agente bloccante neuro-muscolare o diminuendo la dose-minuto.

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Agonisti/antagonisti dei recettori μ

Buprenorfina

La buprenorfina è un oppioide lipofilico semisintetico derivato dalla tebaina. E’ un agonista parziale dei recettori μ e un antagonista dei recettori k,con elevata affinità per entrambi. Ma è un debole agonista dei recettori δ. Il suo uso clinico è aumentato recentemente in quanto viene utilizzato come farmaco di mantenimento per i soggetti dipendenti da oppioidi come preparato trans-dermico. La somministrazione per via orale ha lo svantaggio di subire un forte effetto di primo passaggio dal fegato. Data per via sub-linguale ha un’insorgenza abbastanza rapida,circa 30 minuti e una durata d’azione di 6-9 ore. A seconda della dose la buprenorfina può causare sintomi di astinenza in pazienti a cui sono stati somministrati agonisti dei recettori μ per diverse settimane. Antagonizza la depressione respiratoria prodotta da dosi anestetiche di fentanil quasi quanto il naloxone senza eliminare completamente l’analgesia.(Boysen et al.)7.

La depressione respiratoria e altri effetti collaterali possono essere prevenuti dalla somministrazione precedente di naloxone ma tali effetti non vengono antagonizzati rapidamente. Ciò suggerisce che la buprenorfina si dissoci molto lentamente dai recettori degli oppioidi. La sua emivita di dissociazione è di 166 minuti rispetto ai 7 minuti del fentanil. Quindi i livelli plasmatici della buprenorfina potrebbero non essere paralleli agli effetti clinici. Sembra che gli effetti cardio-vascolari, la sedazione, la nausea, il vomito, le vertigine, la sudorazione e la cefalea siano gli stessi degli oppioidi morfino-simili.

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Antagonisti dei recettori μ

IL naloxone

Gli antagonisti degli oppioidi hanno un ruolo ben definito nel trattamento della tossicità indotta da oppioidi, specialmente per quanto riguarda la depressione respiratoria, nella diagnosi della dipendenza fisica da oppioidi e nella terapia dell’uso compulsivo di oppioidi. Resta da stabilire la loro potenziale utilità nel trattamento di shock, infarto miocardico, traumi a livello del midollo spinale o cerebrale e di altri disturbi che possono coinvolgere la liberazione di peptidi oppioidi endogeni.

Assorbimento metabolismo e secrezione

Sebbene venga assorbito rapidamente a livello del tratto gastro-intestinale, il naloxone è quasi completamente metabolizzato dal fegato prima di raggiungere la circolazione sistemica e perciò deve essere somministrato per via parenterale. Il farmaco viene rapidamente assorbito nei siti di iniezione e viene metabolizzato dal fegato mediante coniugazione con acido glucuronico. L’emivita del naloxone è di circa 1 ora, ma la durata d’azione della sua efficacia clinica potrebbe essere più breve. Piccole dosi di naloxone (0.4-0.8mg)somministrate per via intramuscolare o endovenosa prevengono o antagonizzano prontamente gli effetti degli agonisti dei recettori μ. Nei pazienti con depressione respiratoria, è stato osservato un aumento della frequenza respiratoria entro uno-due minuti. Gli effetti sedativi vengono aboliti e la pressione arteriosa, se era diminuita, ritorna alla normalità. La durata degli effetti antagonistici dipende dalla dose ma generalmente si aggira tra 1 e 4

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ore. L’antagonismo degli effetti oppioidi da parte del naloxone è spesso accompagnato da fenomeni di “rimbalzo”. Per esempio,la frequenza respiratoria, depressa dagli oppioidi in modo transitorio, diventa più elevata rispetto al periodo precedente la depressione. Un aumento del rilascio di catecolamine come reazione può causare ipertensione, tachicardia e aritmia ventricolare. In seguito alla somministrazione di naloxone sono stati riferiti anche casi di edema polmonare.

IPERALGESIA

Nonostante l’indiscutibile efficacia clinica e tollerabilità di questi schemi terapeutici, spesso il paziente può andare incontro ad iperalgesia8. L’iperalgesia è un quadro clinico che si verifica quando

una prolungata somministrazione di oppioidi o una esposizione acuta,ad alte dosi, causa un aumento paradossale del dolore che non correla con l’iniziale stimolazione nocicettiva9. Si manifesta

clinicamente sia come iperestesia,cioè un drammatico aumento della sensibilità agli stimoli dolorifici,sia come allodinia intesa come dolore causato da uno stimolo normalmente non doloroso. Tale fenomeno spesso può insorgere su un’area distinta e con una qualità differente rispetto al dolore riferito inizialmente dal paziente10. Dati clinici della

fine del 19esimo secolo sostenevano che l’iperalgesia fosse associata al fenomeno della dipendenza da oppioidi. Altri studi più tardivi suggerivano invece una differenza nelle sensibilità dolorifica tra pazienti con dipendenza da oppioidi e pazienti non dipendenti. Altri autori successivamente fecero rientrare l’iperalgesia nell’ambito della

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studi è emerso che la dipendenza fisica e la sindrome da astinenza non giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi implicati nella genesi dell’iperalgesia11.

Meccanismi d’azione dell’iperalgesia

Dalla letteratura di tutti gli studi effettuati emerge come esistano due tipi di iperalgesia: quella primaria che si verifica proprio a livello dell’insulto meccanico termico o chirurgico e quella secondaria che si ha nella zona sana circostante la parte lesa(Lewis 1935). L’iperalgesia è un esempio della plasticità funzionale del sistema nervoso. Comunque i meccanismi neuronali alla base dei due tipi di iperalgesia sono gli stessi: un coinvolgimento del sistema nervoso centrale12

(DIRKS). Le caratteristiche dell’iperalgesia possono essere riassunte nella diminuzione della soglia del dolore, nell’aumento del dolore per stimoli al di sopra della nuova soglia e nello sviluppo di dolore spontaneo.

Esistono dati in letteratura che indicano il recettore dell’N-metil-D-aspartato come la principale causa di iperalgesia dopo trattamento sia acuto che cronico con oppioidi. Si ha l’attivazione di tali recettori da parte del glutammato attraverso una via protein kinasi-C dipendente. Ciò corrisponderebbe ad una maggiore apertura dei canali e ad un aumento dell’esposizione dei recettori NMDA sulle membrane (CHEN and HUNG)13modificazioni che porterebbero sensibilizzazione dei

neuroni spinali. E’ stato ipotizzato che modificazioni avvengano anche a livello della terminazione afferente in cui si ha un aumento del rilascio del glutammato(Ossido) Inoltre in base anche agli studi condotti da Mao e Ossipov è stato visto che l’utilizzo degli antagonisti di tali recettori limita l’iperalgesia14. In studi condotti da Mao et al è

stato visto che il trattamento cronico con oppioidi causa down-regulation dei trasportatori spinali del glutammato aumentando così

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presumibilmente la disponibilità del glutammato a livello dei rettori NMDA spinali.

In altri studi è stato documentato come l’iperalgesia possa derivare dall’aumento di neurotrasmettitori eccitatori come da colecistokinina (CCK) che amplificano il segnale dolorifico trasmesso dalla periferia causando così una sensibilizzazione di tipo centrale15. La CCK è un

neuro peptide con attività anti-oppioide. L’aumento del rilascio della CCK nel midollo spinale è stato documentato dopo trattamento con morfina sia in vivo che in vitro16. La somministrazione acuta di

morfina inoltre aumenta l’espressione genica e il contenuto tissutale della CCK in regioni dell’encefalo e del midollo spinale. In studi condotti da Malberg17 è emerso anche un coinvolgimento

delle prostaglandine nel meccanismo di genesi dell’iperalgesia, in particolare della prostaglandina E2. Questa molecola stimola il rilascio

di glutammato a livello del midollo spinale e inoltre sensibilizza direttamente il sistema nocicettivo spinale depolarizzando i neuroni del corno dorsale del midollo spinale. E’ stata attribuita inoltre,agli inibitori della ciclo-ossigenasi,la capacità di antagonizzare funzionalmente i recettori NMDA. Le prostaglandine potrebbero mediare in parte l’adattamento neuronale dato dall’attivazione dei recettori NMDA e l’inibizione della produzione delle prostaglandine potrebbe essere utilizzata per diminuire l’iperalgesia oppioide indotta.

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Studi clinici

L’iperalgesia è stata documentata sia in studi sugli animali che sugli uomini18. Sono stati fatti molti esperimenti in cui viene valutata

l’iperalgesia in differenti situazioni, suddivisibili in tre gruppi:

1) pazienti/animali con dose continua di oppioidi e successiva deprivazione

2) pazienti/animali con dosi alte di oppioidi o a dosi crescenti 3) pazienti animali con basse dosi di oppioidi

Primo gruppo

Studio su uomini volontari

Per più di un secolo l’iperalgesia è stata considerata come uno dei sintomi associati alla deprivazione di oppioidi. In un articolo datato al 1880, Rossbach scrisse “when dependence on opioids finally becomes an illness of itself, opposite effect like restlessness sleep disturbance, hyperesthesia, neuralgia and irritability become manifest”. Negli ultimi decenni molti autori si sono interessati allo studio dell’iperalgesia intesa come conseguenza della somministrazione continua o della deprivazione di oppioidi. In contrasto con i primi lavori, recenti studi pongono l’iperalgesia nel contesto della gestione del dolore. L’interesse per l’iperalgesia si è sviluppato in seguito ai tanti studi sugli animali iniziati fin dal 1970 i quali suggerivano che la somministrazione di oppioidi paradossalmente potesse aumentare la sensibilità al dolore e aggravare anche il pre-esistente dolore. In due studi condotti su pazienti sottoposti a chirurgia è stato visto un incremento del dolore e un aumento del consumo di oppioidi nel post operatorio. Tale situazione si è verificata in quei pazienti che durante l’intervento

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hanno ricevuto una dose maggiore di oppioidi19 (GUIGNARD et al).

Ugualmente in uno studio condotto su donne sottoposte a taglio cesareo con anestesia spinale è stato documentato un aumento del consumo post operatorio di oppioidi nelle pazienti a cui era stato precedentemente iniettato un oppioide piuttosto che la soluzione fisiologica20(COOPER DW)

In contrasto con questi lavori, un quarto studio evidenzia invece il mancato incremento nel post operatorio del dolore e del consumo di oppioidi in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico con alte dosi di oppioid21.(CORTINEZ LI) I pazienti valutati in questo studio sono

simili nelle caratteristiche cliniche alla popolazione esaminata da Guignard et al. e i farmaci analgesici sono gli stessi ,la differenza però sta nel fatto che nei suoi studi Guignard utilizza una dose di oppioide intra-operatorio 3.4 volte maggiore rispetto agli studi condotti da Cortinez et al. Ciò indica come la dose di farmaco somministrata sia di rilevante importanza nel determinare l’iperalgesia.

Inoltre sono stati effettuati studi su volontari in cui è stato provocato sperimentalmente dolore per documentare l’iperalgesia:si valuta l’effetto di una breve infusione di oppioidi su una parte di cute lesa precedentemente e resa iperalgesica22,23, (ANGST e KOPPERT).

E’stato osservato un peggioramento della precedente iperalgesia dopo 30-90 minuti di infusione di un oppioide a breve durata d’azione come il remifentanil, tale peggioramento corrisponde ad un ampliamento dell’aria di iperalgesia,precedentemente misurata, di 1.4-2.2 volte. Tale fenomeno è strettamente correlato con la durata dell’infusione e la dose somministrata24,25,26 L’aumento della zona di

iperalgesia rappresenta l’aumento del segnale nocicettivo a livello del midollo spinale.

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Altri due studi sono stati effettuati usando il Remifentanil per valutarne l’effetto sulla sensibilità dolorifica27,28 (ANGST e HOOD). Ma

questi sono stati condotti su cute sana e i risultati si differenziano totalmente dai precedenti:non si verifica alcun cambiamento sulla percezione del dolore prima e dopo somministrazione dell’oppioide suggerendo cosi che il manifestarsi dell’iperalgesia sia differente a seconda della tipologia del dolore.

Altri due studi condotti ancora da Angst e Koppert documentano invece che la co-somministrazione di ketamina abolisce l’iperalgesia indotta da Remifentanil coinvolgendo così il sistema recettoriale del N-metil-D-aspartato. Un altro studio29 (LUGINBUHL M.)riporta,dopo

somministrazione di Remifentanil, il verificarsi di iperalgesia per il dolore evocato da stimoli pressori,situazione che non si verifica invece nei pazienti trattati con placebo.

In conclusione gli studi riguardanti la somministrazione di oppioidi in modo continuo in volontari ha dimostrato l’esistenza di iperalgesia oppioide indotta.

Studi su animali

Per più di 30anni gli studi effettuati sull’iperalgesia sono rientrati nel contesto della dipendenza-astinenza da oppioidi, solo più recentemente l’attenzione si è spostata sul modo di gestire la somministrazione degli oppioidi. Studi condotti sugli animali descrivono la farmacologia, la biochimica e la neuroanatomia funzionale dell’iperalgesia. I metodi nocicettivi utilizzati sono vari comprendono fonti di calore, stimoli meccanici, agenti chimici irritanti che attivano i nocicettori periferici. Solo in uno studio(LI X.) si attua la stimolazione nocicettiva al livello del midollo spinale con l’iniezione intratecale di neurotrasmettitori30.

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Analizzando i dati è emersa una diversa suscettibilità ai differenti stimoli dolorifici,con una predominanza della suscettibilità a stimoli meccanici(pressione con oggetto appuntito) piuttosto che con stimoli termici (fonti di calore).

Alcuni studi hanno provato ad andare oltre usando dei brevi stimoli dolorifici per simulare in modo migliore il dolore clinico: uno studio ha utilizzato l’incisione nella zampa posteriore come modello di dolore post chirurgico. Animali trattati cronicamente con morfina hanno dimostrato una maggiore iperalgesia in risposta all’incisione chirurgica rispetto agli animali non trattati31. I risultati di questi studi

correlano con quelli sugli uomini indicando che i pazienti che ricevono una maggiore dose intraoperatoria di oppioidi rispetto ad una bassa dose o che sono cronicamente trattati con questi farmaci, hanno un maggior aumento del dolore dopo chirurgia e un maggior consumo post operatorio di morfina32,33,34.

Possono essere differenziati due fondamentali modelli che caratterizzano la comparsa e la risoluzione dell’iperalgesia. Il primo modello si osserva dopo una somministrazione sistemica acuta di un oppioide: da una a quattro dosi elevate di oppioide entro un’ora: Morfina Eroina o Fentanyl sono stati somministrati acutamente a gatti e topi ottenendo intensi effetti antinocicettivi seguiti però da un periodo di due o tre ore in cui si verificava iperalgesia35,36,37,38,39. In

alcuni casi si è verificato un prolungamento dell’iperalgesia della durata di cinque giorni dopo una sola dose elevata di Fentanyl40. Il

secondo modello prevede la somministrazione delle stesse alti dosi di Fentanyl seguiti dall’iniezione di carragenina nella zampa posteriore. Ciò ha dimostrato che l’infiammazione ha prolungato l’iperalgesia da due a dieci giorni41.

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Altri studi hanno esposto gli animali ad una somministrazione cronica di oppioide (da tre a dodici giorni) attraverso una via di iniezione subcutanea ripetuta. Ciò è stato possibile grazie all’impianto di pompe subcutanee o tramite l’utilizzo di cateteri intratecali in cui è stato possibile indurre un’infusione continua. In questo modello di infusione continua l’azione antinocicettiva degli oppioidi si è verificata solo il primo giorno. A ciò può far seguito una diminuzione del loro effetto o perfino uno stato di iperalgesia che si prolunga per tutta la somministrazione dei farmaci42,43,44. Alcuni studi ( Li X, Celerier E ,

Davise Mf ) hanno evidenziato che il tempo di risoluzione dell’iperalgesia è simile al tempo necessario per il suo sviluppo. Di particolare interesse è uno studio di Celerer et al. Questo ha documentato, in animali con una normale sensibilità dolorifica riacquisita dopo iperalgesia, una recrudescenza dell’iperalgesia stessa dopo somministrazione anche di un singolo bolo di un altro farmaco agonista o antagonista oppioide. Queste scoperte hanno due importanti applicazioni. La prima è che animali apparentemente guariti dall’iperalgesia rimangono comunque sensibilizzati agli effetti iperalgesici degli oppioidi. La seconda è che questa sensibilizzazione è contrastata da un sistema oppioide endogeno perché l’iniezione di un antagonista oppioide svela l’iperalgesia. Questo implica che l’iperalgesia si risolve attraverso l’up-regulation della via inibitoria la quale si oppone alla via eccitatoria di sensibilizzazione, piuttosto che per la desensibilizzazione della via eccitatoria stessa. In accordo con questo concetto la risoluzione dell’iperalgesia si verifica in seguito ad un nuovo equilibrio dell’attività neuronale divisa tra via eccitatorie e inibitorie. Tale equilibrio però si ottiene a discapito di un aumento della attività neuronale. Tale situazione può portare però a un malfunzionamento che in un contesto clinico si può tradurre in un aumento della vulnerabilità al dolore.

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Atri studi hanno esaminato l’iperalgesia variando il sito di somministrazione degli oppioidi. Somministrazione Periferica Gli oppioidi sono stati somministrati localmente nella zampa posteriore di alcuni roditori. È stato dimostrato che iniezioni locali ripetute di un agonista oppioide selettivo per i recettori μ, seguito dalla somministrazione locale di naloxone causa iperalgesia45,46,47,48,49.

Questo stato di iperalgesia sembra dipendere dall’attività della protein kinasiC così come dalla attivazione della guanosino trifosfato binding proteins.

Somministrazione spinale Mao et al hanno condotto il primo e più

completo studio che ha esaminato il ruolo del midollo spinale nella genesi dell’iperalgesia. Dei ratti hanno ricevuto iniezioni intratecali di morfina per otto giorni, sviluppando iperalgesia e tolleranza suggerendo meccanismi simili di genesi. Gli amminoacidi neurotrasmettitori eccitatori e il sistema recettoriale sono coinvolti, infatti la co-somministrazione di un antagonista del recettore NMDA (MK-801) blocca lo sviluppo dell’iperalgesia e della tolleranza50.

Inoltre Mao et al hanno dimostrato che tali neurotrasmettitori eccitatori e il sistema recettoriale sono implicati non solo nell’iperalgesia sviluppata dalla somministrazione di oppioidi ma anche nell’iperalgesia associata con un quadro clinico di dolore cronico.

Dunbar51 at all hanno dimostrato in studi indipendenti che antagonisti

del recettore NMDA riducono l’iperalgesia causata dalla somministrazione intratecale di morfina. Tale iperalgesia è correlata con un aumento del contenuto di amminoacidi eccitatori del midollo spinale dovuto a una diminuzione dei trasportatori del glutammato, diminuzione anch’essa associata alla somministrazione intratecale di

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Vanderah52 et al. hanno dimostrato che la somministrazione

intratecale di agonisti oppioidi, selettivi per i recettori μ, aumentano l’espressione spinale delle dynorphine suggerendo che il rilascio di tali dynorphine è un punto critico per la propagazione dell’iperalgesia. Le prostaglandine spinali potrebbero essere di grande importanza infatti la somministrazione intratecale di inibitori della ciclo-ossigenasi diminuisce l’iperalgesia. Infine le cytokine spinali e le chemokine potrebbero essere rilevanti anch’esse per lo sviluppo dell’iperalgesia. Comunque il ruolo di tali molecole non è ancora ben compreso e necessita di ulteriori chiarificazioni.

Gli esperimenti discussi fino ad ora utilizzano dati comportamentali a supporto dell’importanza del midollo spinale nella genesi dell’iperalgesia. Esistono comunque studi53,54 (Rohde Ds) che

usufruendo dell’immunocitochimica hanno utilizzato la proteina c-fos per quantificare l’attività neuronale durante la esposizione cronica alla morfina. In tale modo hanno dimostrato che la morfina può sensibilizzare i neuroni del corno dorsale del midollo spinale. Gli antagonisti oppioidi creano nei ratti, cronicamente esposti a morfina, non solo segni fisici di dipendenza ma anche un aumento dell’espressione della proteina c-fos nei neuroni sensoriali del midollo spinale. Somministrazione sistemica tale tipo di somministrazione è stata usata più spesso per studiare l’iperalgesia. La somministrazione sistemica di antagonisti del recettore NMDA (MK-801 o Ketamina) dopo infusione acuta (una iniezione o più iniezioni in un singolo giorno) o cronica (cinque giorni consecutivamente) di oppioidi causa una riduzione dell’iperalgesia oppioide indotta. Inoltre Celerier et al ha dimostrato un ruolo nella genesi dell’iperalgesia della protein-kinasi C intracellulare infatti nei sui studi ha evidenziato lo sviluppo di iperalgesia oppioide indotta in

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gatti selvatici e no in gatti domestici in cui è assente il gene per la protein-kinasi C.

Un gruppo di studi55 (Vanderah Gardell) ha suggerito anche il

coinvolgimento del S.N.C. nella genesi dell’ iperalgesia. Attraverso iniezioni stereotassiche di anestetico locale nel midollo rostrale ventro mediale o attraverso una lesione chirurgica del cordone dorso laterale è stato dimostrato che le vie discendenti della sensibilità dolorifica giocano un ruolo nella genesi dell’iperalgesia.

Considerando i risultati di tutti gli studi che hanno esaminato i differenti siti anatomici e le varie strutture coinvolte nell’iperalgesia è stato rilevato che le principali modificazioni coinvolgono più livelli nel sistema nervoso inclusi i nuclei della base e i neuroni del midollo spinale, la glia e i neuroni afferenti .

Gli oppioidi principalmente utilizzati in questi studi sono agonisti dei recettori μ. Meno studiati risultano gli altri sottotipi. La somministrazione esogena o l’aumento endogeno degli agonisti dei recettori k possono risultare coinvolti sia nello sviluppo dell’iperalgesia che della tolleranza. In alcuni effettuati da HAO e LEIGHTON56,57 l’infusione intratecale di agonisti del recettore k

sviluppa iperalgesia e allodinia in cani e ratti testati in modelli di dolore acuto e cronico. Hamman58 et al. ha visto che micro iniezioni di

k-agonisti nel cervello di ratti causa iperalgesia a livello del mesencefalo ma dà effetti anti-nocicettivi a livello midollo sottostante. Ciò suggerisce la possibile localizzazione a livello mesencefalico dei recettori k che mediano l’aumento della percezione della sensibilità dolorifica59,60. Un ruolo nella genesi dell’iperalgesia dei recettori k è

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risposta alla somministrazione di k-agonisti è però monofasica si verifica cioè analgesia o iperalgesia,contrariamente a come avviene per gli oppioidi μ-agonisti in cui la risposta è bifasica nel tempo,sviluppando prima analgesia e poi iperalgesia.

E’ stato riconosciuto però che le dosi di morfina somministrate negli animali sono in genere più elevate rispetto a quelle utilizzate negli uomini così come il periodo di esposizione risulta complessivamente minore. Ciò suggerisce che possano entrare in gioco,per gli uomini e per gli animali, dei meccanismi differenti nella genesi dell’iperalgesia.

Secondo gruppo

Studi sugli uomini

L’allodinia (un dolore evocato da stimoli che normalmente non lo provocano come ad esempio il semplice toccare) è una rara complicanza in pazienti curati per dolore intrattabile con alte dosi di oppioide62. Nove studi documentano allodinia in ventidue pazienti. In

otto di questi l’allodinia è stata accompagnata anche da mioclonia. I dati elaborati da questi studi evidenziano che la somministrazione sistemica di larghe dosi di morfina possono produrre una sensibilità generalizzata della pelle che rende i pazienti sofferenti anche per un semplice contatto. Aumentando la dose di morfina in pazienti già sofferenti di allodinia oppioide indotta si assiste tipicamente ad un aggravamento dei sintomi 63,64,65. Mentre riducendo la dose di morfina

o sostituendola con un altro oppioide (fentanyl, sufenanyl o metadone) si ha un alleviamento o una sua scomparsa66,67,68,69.

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Alcuni studi non sono completamente coerenti con i concetti sopra esposti. Infatti in due pazienti è stata riscontrata allodinia dopo una dose terapeutica di morfina e no dopo una dose elevata70. Il primo

paziente con dolore cancro-correlato ha riportato allodinia generalizzata dopo una dose di morfina assunta per via orale. Nel secondo paziente è stato riscontrato un dolore di tipo centrale e allodina dopo somministrazione intratecale di morfina. In questo caso non può essere escluso la possibilità che l’iperalgesia segmentale possa derivare dalla formazione di un granuloma intorno al catetere usato per la somministrazione intratecale.

Studi sugli animali

Studi sugli animali hanno documentato che la somministrazione di alte dosi di oppioidi può provocare sia allodinia che iperalgesia facendo luce sui possibili meccanismi di genesi.71,72,73,74 In studi

condotti Woolf e Yaksh, dei ratti hanno ricevuto una dose di morfina intratecale dieci volte superiore rispetto a quella richiesta per produrre l’effetto antalgico. Questi hanno dimostrato un comportamento molto aggressivo e un’estrema avversione al tatto, nei dermatomeri in vicinanza del sito di inoculazione. Però un coinvolgimento del sistema dei recettori degli oppioidi nel produrre questa allodinia e iperalgesia è improbabile perché il fenomeno è : 1) non reversibile dalla somministrazione di un oppioide antagonista 2) non prodotto da tutti gli oppioidi agonisti testati ad alte dosi75,76.

Recenti studi suggeriscono comunque che l’iperalgesia e l’allodinia osservati in concomitanza con la somministrazione di alte dosi di oppioidi sono mediati dal sistema recettoriale NMDA75,76.

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E’ importante considerare che dai vari studi si può evidenziare che non tutti gli oppioidi dati ad alte dosi producono allodinia e iperalgesia74. Yaksh et al. ha evidenziato che gli oppioidi, per

produrre allodinia e iperalgesia, necessitano delle seguenti caratteristiche: 1) la presenza di un gruppo fenantrene, 2) Un Idrogeno in posizione quattordici, 3) La presenza di un gruppo metilico legato all’azoto, 4) il gruppo OH libero in posizione tre, coniugato con glucoronide / solfato.

In conclusione la somministrazione di alta dose di oppioide può produrre allodinia e possibile algesia. Tali situazioni cliniche non sono reversibili dalla somministrazione di un oppioide antagonista e possono essere aggravati quando la dose dell’oppioide somministrato venga aumentato. Non appena si sospetti uno stato di allodinia e iperalgesia il primo passo da effettuare è diminuire la dose del farmaco in causa o sostituirlo con un altro tipo di oppioide. A questo riguardo evidenze sperimentali hanno suggerito che passare da un farmaco con un gruppo fenantrene come la morfina ad un farmaco piperidina derivato come il sufentanil-fentanyl è una valida strategia.

Terzo gruppo

Studi sugli uomini

Esistono pochi studi sperimentali sugli uomini che analizzano la somministrazione di “ultra – low doses” di oppioide. Un singolo studio datato al 1940 riporta l’evidenza di una singolare risposta bifasica,di sette pazienti su cinquantasette, alla somministrazione di morfina. Questi 7 pazienti diventarono fortemente iperalgesici alla più bassa dose di oppioide mentre ebbero analgesia a dosi più alte77. Alcuni

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molto basse di oppioidi possono causare iperalgesia. Questi studi però hanno testato il concetto inverso cioè che la somministrazione di una dose molto bassa di oppioidi antagonisti potesse bloccare l’effetto eccitatorio degli agonisti, aumentando così l’effetto analgesico ottenuto con dosi usate normalmente. I primi studi clinici infatti fornirono alcuni importanti supporti all’idea che gli oppioidi antagonisti potessero esercitare effetti analgesici a basse dosi e aggravassero invece il dolore a dosi più alte78 . Due studi in pazienti

sottoposte a isterectomia suggerirono che la co-somministrazione di un oppioide antagonista a dosi molto basse potesse ridurre il dolore post operatorio e di conseguenza il consumo di oppioidi nel post operatorio79,80. Però studi seguenti in pazienti sottoposti a chirurgia

non confermarono queste scoperte quindi il ruolo degli oppioidi antagonisti rimane ancora controverso81.

Studi sugli animali

La somministrazione di agonisti del recettore μ a dosi minori rispetto a quelle terapeutiche causa una risposta iperalgesia negli animali. Kayser83. Misurò gli effetti sistemici della morfina in ratti con patologia

artritica. Alla somministrazione di una dose mille volte minore di quella utilizzata a scopo antinocicettivo si verificò un aumento paradossale della sensibilità dolorifica a degli stimoli pressori a livello dell’arto leso. Risultati simili furono ottenuti da Crain84. il quale

utilizzò un test dolorifico con stimoli nocicettivi termici applicati sui gatti. Aggiungendo una piccola dose di sufentanil, un’agonista dei recettori μ, la risposta emodinamica rilevata per gli stimoli dolorosi risultò aumentata. Ciò suggerì che il sistema degli oppioidi poteva rientrare nelle cause dell’iperalgesia. Shen e Crain85. suggerirono che

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oppioidi della radice dorsale spinale. Secondo questa teoria i recettori oppioidi provocherebbero una cascata di segnali eccitatori se esposti a una bassa dose di agonisti oppioidi e attiverebbero invece le vie inibitorie se esposti a concentrazioni più elevate. Tale concetto è supportato dell’osservazione che basse concentrazioni di oppioidi antagonisti produrrebbero effetti antinocicettivi, mentre alte concentrazioni l’iperalgesia86,87. Gli effetti antinocicettivi osservati

nelle basse concentrazioni degli antagonisti sono ugualmente mediati dai recettori oppioidi perché questi mostrano cross-tolerance agli effetti antinocicettivi evocati da più alte concentrazioni di oppioidi agonisti88.

Iperalgesia da Remifentanil

La principale caratteristica del remifentanil è la sua rapida insorgenza d’azione e un’altrettanta rapida e predicibile fine degli effetti.

Da vari studi è emerso come il Remifentanil possa indurre iperalgesia in particolar modo a livello peri-incisionale (Joly) attraverso vari meccanismi:internalizzazione/inattivazione dei recettori μ degli oppioidi89; up-regulation della via eccitatoria C-AMP dipendente90 e

attivazione dei recettori NMDA91. In accordo con tali ipotesi che il

Remifentanil attiva differenti subunità dei recettori NMDA cioè le subunità NR1A/2A e NR1A/2B92. Esistono vari studi in è stata

analizzata l’iperalgesia indotta dal Remifentanil. Singler93 nei suoi

studi ha analizzato 15 volontari in salute che sono stati randomizzati in uno studio a due braccia più il gruppo controllo. Sono stati

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sottoposti ad uno stimolo elettrico transcutaneo ad alta intensità in modo da indurre dolore acuto e un’area stabile di iperalgesia. Tali valori cioè l’intensità del dolore e l’area di iperalgesia sono stati misurati prima durante e dopo un’infusione di 30minuti di propofol e remifentanil ,sia da soli che insieme. Da ciò è emersa una interazione sinergica tra propofol e remifentanil nel diminuire il dolore, ma soprattutto è stata evidenziata l’attività sensibilizzante del remifentanil soprattutto dopo la sua sospensione. Vinik et al.94 hanno

documentato la comparsa di iperalgesia in volontari dopo 60-90 minuti di somministrazione continua di remifentanil. Chia e Guignard95,96 hanno osservato nei loro studi che un’esposizione ad

ampie dosi di remifentanil nell’intra-operatorio corrispondeva, nel post-operatorio,ad un dolore maggiore e a un più alto consumo di oppioidi. Hansen97 in un suo studio ha valutato 50 pazienti, sottoposti

a chirurgia addominale maggiore. Sono stati randomizzati nel ricevere remifentanil o placebo in aggiunta all’anestesia di base combinata(generale epidurale). Nelle 24 ore seguenti l’intervento i pazienti hanno usufruito della PCA a base di morfina. Da tale studio è emerso che 21 pazienti hanno ricevuto remifentanil e 18 placebo mentre 11 sono usciti dallo studio per cause non specificate. Dalla valutazione con scala VAS è stato riscontrato un aumento significativo del dolore nei pazienti con remifentanil rispetto al gruppo controllo. Ciò si è verificato nelle prime due ore dall’intervento poi i valori si sono uniformati. In un altro studio condotto da Guignard cinquanta pazienti adulti sono stati sottoposti a chirurgia addominale maggiore e divisi in due protocolli anestesiologici: il gruppo remifentanil e il grippo desfluorano. A tutti i pazienti è stato dato un bolo di morfina pari a 0.15mg/kg 40 minuti prima della fine dell’intervento. Nelle 24 ore successive i pazienti hanno usufruito di una pompa PCA a base di

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in maggior quantità l’uso di morfina rispetto ai pazienti del gruppo desfuorano.

In uno studio condotto da Hood98, è stato valutato l’eventuale

insorgenza di iperalgesia con l’infusione di remifentanil in dieci volontari sani che avevano ricevuto applicazione di capsaicina pomata, per sensibilizzare la cute e produrre un area di iperalgesia e di allodinia, ed esposizione a fonti di calore a 40°C per 5 minuti ogni 40 minuti. Il remifentanil è stato infuso ad una concentrazione plasmatica target a livello della quale si ottiene una riduzione del dolore del 70%. Le aree di iperalgesia e di allodinia sono state misurate durante e dopo la somministrazione di remifentanil. . durante l’infusione le due aree subiscono una diminuzione del 33% e del 65% rispettivamente. Mentre risultano entrambe aumentate di circa il 180% dopo sospensione del remifentanil.

In una valutazione globale di questi studi si evince che dosi relativamente elevate di remifentanil nell’intra-operatorio aumentano il dolore e il consumo di oppioidi nel post-operatorio: il remifentanil induce quindi iperalgesia.

STRATEGIE TERAPEUTCHE PER RIDURRE

L’IPERALGESIA

In base agli studi effettuati su volontari e animali riguardo al verificarsi dell’iperalgesia, ai suoi meccanismi di genesi e di prevenzione è emerso il ruolo fondamentale svolto da farmaci come la ketamina il gabapentin e gli inibitori della ciclo-ossigenasi. Su tali

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farmaci quindi sono stati svolti numerosi studi con l’intento di dimostrarne la reale efficacia.

Studi con ketamina

Studi condotti su animali e volontari hanno mostrato che l’uso di antagonisti del recettore NMDA come la ketamina inibisce la sensibilizzazione centrale e previene l’iperalgesia oppioide indotta. L’uso di piccole dosi di Ketamina è un utile adiuvante nell’anestesia basata sul Remifentanil, diminuendo l’uso intra-operatorio di remifentanil e il consumo di morfina nel post-operatorio99. In uno

studio condotto da Joly100 con 65 pazienti sottoposti a chirurgia

addominale maggiore sono stati randomizzati nel ricevere:1)basse dosi di Remifentanil 2)alte dosi di Remifentanil 3) alte dosi di Remifentanil più Ketamina: 0.5mg/kg all’induzione, 5μg/kg-min nell’intra-operatorio fino alla chiusura della ferita e 2μg/kg-min per 48 ore. Il dolore e il consumo della morfina sono stati misurati per 48 ore nel post-operatorio. Da tale studio è emerso come larghe dosi di remifentanil intra-operatorio aumenti l’iperalgesia e come l’uso di Ketamina sia invece in grado di prevenirla.

In uno studio condotto da Angst101 dei volontari sono stati sottoposti a

dolore sperimentale evocato da stimoli termici applicati a cute integra e da stimoli puntori applicati su cute resa iperalgesia da stimolazione elettrica intradermica. L’intensità del dolore e l’area di cute iperalgesia vengono misurate durante e dopo una breve infusione di remifentanil. L’effetto della ketamina viene studiato in co-somministrazione con remifentanil. Vengono inoltre valutati l’infusione di Ketamina senza remifentanil e l’infusione di soluzione salina. E’ stato osservato che la zona di cute precedentemente

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dell’infusione del remifentanil. La co-somministrazione di ketamina invece non provoca tale aumento. La risposta dolorifica nella area di cute sana non mostra invece differenze prima e dopo somministrazione di remifentanil evidenziando come ci sia una differente suscettibilità nei diversi tipi di dolore nel dare iperalgesia. Tale studio dimostra quindi come una breve somministrazione di oppioidi,seguita dalla loro sospensione, possa dare iperalgesia e evidenzia l’importanza del sistema recettoriale NMDA nella sua genesi.

In un altro studio condotto da Aveline102 sono stati valutati 69 pazienti

operati per ernia al disco a livello lombare che sono stati randomizzati in tre gruppi con tre differenti tipi di analgesia iniziati prima dell’intervento:1)solo morfina 2)solo ketamina 3)morfina più ketamina. La terapia analgesica nel post-operatorio è stata effettuata con morfina e per ogni paziente è stata registrata la quantità di farmaco richiesta. Da tale studio è emerso che il più alto consumo di morfina e la maggior intensità di dolore si sono verificati nel gruppo con solo Ketamina mentre un soddisfacente controllo del dolore si è verificato nel gruppo con ketamina più morfina.

Altri studi invece hanno riportato risultati contrari. In uno studio condotto da Becke103,trenta bambini,sottoposti ad interventi di

chirurgia urologica maggiore con TIVA,sono stati randomizzati in due gruppi da quindici pazienti ciascuno. Il primo gruppo,gruppo ketamina, ha ricevuto un bolo iniziale di ketamina seguito poi dalla sua somministrazione in infusione continua. Il secondo gruppo, gruppo controllo, invece ha ricevuto la somministrazione di soluzione salina. Dopo l’intervento,per 72 ore, sono stati registrati l’intensità del dolore con scala NRS e il consumo totale di morfina. Da tale analisi è emerso che non esistono significative differenze tra i due gruppi nelle 72 ore analizzate,tranne nella prima ora del post

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