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Il riconoscimento del valore del paesaggio agrario nella Politica agricola comune

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collana Sistema della Conoscenza. Working Paper

IL RICONOSCIMENTO DEL VALORE

DEL PAESAGGIO AGRARIO NELLA

POLITICA AGRICOLA COMUNE

di Manuela Scornaienghi

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Il riconoscimento del valore

del paesaggio agrario nella

Politica Agricola Comune

di Manuela Scornaienghi

ROMA, INEA 2014 WORkINg pApER

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Il volume è stato realizzato nell’ambito del progetto INEA “Promozione della cultura contadina” finan-ziato dal Mipaaf, (DM n. 5659 dell'11/12/2012) coordinato da Francesca Giarè e Sabrina Giuca Coordinamento Editoriale: Benedetto Venuto

Segreteria di redazione: Roberta Capretti

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sommArIo

Introduzione 5

Dal trattato di Roma ai primi interventi di tutela paesaggistica 6

Verso il riconoscimento del paesaggio agrario 13

Conclusioni 16 Bibliografia 19

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Introduzione

Il disinteresse per il paesaggio che ha caratterizzato la storia del ’900 italia-no è frutto, in primo luogo, di quella che Walter Benjamin1 chiamava

“inconsape-volezza ottica”, una percezione superficiale e automatica dei luoghi che ignora e/o sorvola sul fatto che essi siano il prodotto, storicamente determinato, di relazioni sociali, economiche e culturali.

Riguardo, in particolare, al paesaggio agrario, a sedimentare tale perce-zione hanno contribuito vari fattori tra cui l’affermaperce-zione di un modello culturale che considera il mondo rurale secondario rispetto a quello urbano e l’attuazione di dinamiche economiche di immediato vantaggio e poco lungimiranti che, da una parte, hanno consentito il sacrificio di elementi caratteristici dei territori agricoli a vantaggio di un’agricoltura specializzata e intensiva (da più parti considerato ne-cessario), dall’altra hanno provocato una distruzione degli elementi caratteristici di molte aree rurali a beneficio di una urbanizzazione (industriale, commerciale e residenziale) che ha portato a quella devastazione o banalizzazione paesaggistica facilmente riscontrabile in numerosi contesti territoriali italiani. In questo modo elementi estranei ai paesaggi agricoli tradizionali (colturali, architettonici ecc.) sono stati acquisiti dalla nostra percezione come familiari, e quindi accettati, più o meno inconsapevolmente come fatalmente determinati.

Mentre in alcune aree rurali italiane, dove l’elemento sociale mantiene un legame significativo col territorio, le condizioni del paesaggio, pur nella loro in-dispensabile evoluzione, mantengono caratteristiche estetiche piacevoli, tanto da rappresentare in alcuni casi un valore aggiunto per l’economia dei territori stessi, le distorsioni paesaggistiche presenti in altri contesti risultano essere il prodot-to di processi in cui l’elemenprodot-to sociale appare poco influente e/o quasi estraneo, inconsapevolmente alleato di coloro che di quei processi sono artefici attivi. per questo motivo sarebbe incompleto spiegare l’attuale condizione estetica dei terri-tori rurali italiani senza conoscerne il percorso sociale ed economico, culturale e quindi politico che ha generato quella realtà.

In quest’ottica il presente lavoro intende, attraverso una breve analisi, riper-correre l’evoluzione di quella politica che, dagli anni ’50 in poi, ha maggiormente inciso sull’assetto agricolo europeo: la politica agricola comune (pAC) che, dall’i-niziale disinteresse verso le conseguenze ambientali ed estetiche provocate dalle sue scelte è, nel tempo, giunta alla consapevolezza della necessità di reintrodurre

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strumenti di salvaguardia e ripristino di elementi paesaggistici dei territori rurali che anche i suoi interventi hanno contribuito a eliminare o ridimensionare. Sullo sfondo le trasformazioni economiche e sociali che hanno investito la società italia-na a partire dalla seconda metà del IX° secolo. Lo scopo è di contribuire al dibattito sulle nuove sfide in materia di sviluppo dei territori rurali in cui il paesaggio agra-rio appare, finalmente, come indispensabile risorsa da salvaguardare e sulla quale investire, soprattutto in quei territori non immediatamente associati a contesti di particolare pregio estetico e, dunque, maggiormente a rischio, ancora una volta, di essere sacrificati in nome di uno sviluppo economico poco equilibrato e distratto rispetto alle conseguenze da esso provocato.

Dal Trattato di roma ai primi interventi di tutela paesaggistica

Nel 1957 fra i traguardi indicati dal Trattato di Roma, con il quale furono de-finiti gli obiettivi generali di politica agraria, comparivano, tra gli altri, l’incremento della produttività in agricoltura e il raggiungimento di un sufficiente livello di au-toapprovvigionamento dei prodotti agricoli; nella seconda metà del decennio suc-cessivo iniziava a delinearsi quella tendenza, la gestione delle eccedenze produt-tive, diventata in seguito problema da risolvere. Un intervento pubblico strutturale a sostegno dei prezzi dei prodotti sul mercato e la garanzia del collocamento della produzione in eccedenza, associato all’introduzione delle tecnologie e della mec-canizzazione nel settore primario, avevano determinato un aumento dei livelli di produzione alimentare e di beni agricoli mai registrato in precedenza. Tra le con-seguenze di questa “produzione di ricchezza” si registrò, tra l’altro, una drastica diminuzione degli addetti del settore2 che provocò un vero e proprio esodo di

lavo-ratori agricoli verso le città e oltreconfine, con inevitabili ripercussioni sugli assetti sociali e, quindi, paesaggistici di molte aree rurali italiane. per capire la portata del fenomeno basta confrontare i dati dei censimenti3: nel 1951 in Italia gli occupati

in agricoltura risultavano essere il 42,2%, dieci anni più tardi il 29,9%. Sempre nel 1951 nell’Italia centrale il contratto di mezzadria interessava dal 70 all’80% delle terre coltivate, solo in Toscana il 62% degli occupati in agricoltura erano mezzadri e in Veneto fra il 18 e il 20% (g. Biagioli, 2012). Con l’esodo di questi lavoratori

2 Nel 1951 per produrre un quintale di grano nel Mezzogiorno d’Italia occorrevano trenta ore di la-voro, nel 1981 erano sufficienti circa trenta minuti, cioè un dispendio sessanta volte inferiore (p. Bevilacqua 1997).

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(mezzadri, braccianti, piccoli proprietari) e delle loro famiglie verso migliori e le-gittime condizioni di vita, si svuotarono case e borghi rurali, furono abbandonati stalle, poderi, giardini mediterranei e altri edifici collegati alle coltivazioni, in altre parole iniziava la scomparsa del tipico paesaggio agrario pre-bellico italiano la cui complessità estetica era generata dalla varietà dell’assetto fondiario, delle tipolo-gie e del tipo di conduzione aziendale (R. pazzagli, 2011).

Al suo posto, nelle zone montane e di alta col-lina, meno produttive, inizia un consistente fenomeno di riforesta-zione dovuto all’ab-bandono, nelle aree pianeggianti e di bassa collina, più adatte all’u-tilizzo di macchinari e all’aumento della resa agricola, si delineano gli elementi di un tipo di paesaggio meno com-posito, in cui fossati, muretti divisori, siepi, alberi da frutto, fino ad allora elementi essenziali di un’agricoltura tipicamente policolturale e di sussistenza, non essen-do utili sono rimossi o contenuti, per accogliere coltivazioni di carattere intensivo, più rispondenti alle esigenze del mercato, dove l’importanza del capitale finanzia-rio aumenta a discapito di quello umano e del suolo, perché occorre investire in macchinari, fertilizzanti, innovazioni tecnologiche. Si afferma il paesaggio della ricchezza agricola di cui, paradossalmente, una buona parte della popolazione ru-rale ha potuto godere solo rinunciando alla propria identità, trasformandosi da altre parti, per altri settori produttivi in una nuova realtà sociale4. Un paesaggio

della ricchezza agricola caratterizzato, di contro, da una povertà di elementi esteti-ci che diventerà caratteristica di molte realtà agricole italiane: predominanza degli elementi orizzontali, monocromia, costruzioni lineari.

Era forse un percorso inevitabile, le esigenze materiali impellenti, i proble-mi econoproble-mici da risolvere enorproble-mi e lo sviluppo socio-culturale tale che

difficil-4 Tra il 1951 e il 1963 si registra uno spostamento di madodopera dal settore agricolo a quello indu-striale e terziario di oltre 3 milioni di lavoratori e in generale 6-7 milioni di italiani si spostano dalle campagne alle città (V.Zamagni 1992).

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mente un’altra strada, capace di evitare un tale spreco di conoscenze e di bellezza poteva essere percorsa. In un paese, tra l’altro, compromesso dalle distruzioni e dal degrado provocati dalla guerra dove, negli stessi anni, su una SAU (superficie agricola utilizzabile) di 23 milioni di ettari si utilizzavano circa 27.000 trattori, oltre il 70% dei quali nell’Italia settentrionale; ma anche un paese dove la necessità di costruire, contribuiva all’affermazione di quella pianificazione urbanistica di prima generazione in cui spesso le aree di pregio ambientale e pae-saggistico erano destinate ad accogliere la nuo-va edilizia pubblica e prinuo-vata5.

L’aumento della produzione agricola (Tab. 1) continua nei decenni successivi in seguito all’in-troduzione nel 1962 delle Organizzazioni comuni di mercato (OCM) attivate allo scopo di regolare la produzione e il commercio dei prodotti agri-coli e alimentari all’interno dell’UE. Viene quindi fissato un sostegno ai prezzi di-rettamente proporzionale alla capacità produttiva dell’azienda, ma di entità non uniforme. Come già in passato risultano privilegiati i cereali (frumento e mais) e i seminativi, foraggere soprattutto, rispetto alle colture mediterranee che, pur rap-presentando il 25% della produzione agricola della Comunità, ricevono il 12% del totale della spesa (Fanfani, 1990).

Sono questi gli anni durante i quali agli olmi e agli aceri, tradizionali soste-gni delle viti (sostegno vivo) della “piantata padana” si sostituiscono pali di legno e cemento; alla sistemazione a cavino, caratteristica, ad esempio, della bassa pia-nura veneta, si preferisce il cosiddetto “sistema alla larga” caratterizzato dall’as-senza di alberi (che rimangono solo a delimitare i confini degli appezzamenti) o dei filari di vite. Le sistemazioni degli appezzamenti, che devono rispondere alle accresciute esigenze idriche, dovute alle scelte colturali e ai sistemi adottati, e adattarsi a una meccanizzazione sempre più presente, si caratterizzano per una ulteriore semplificazione estetica che elimina quegli elementi di diversificazione paesaggistica (soprattutto verticali) che sono punti di riferimento importanti della percezione visiva e rispetto ai quali gli abitanti si identificano con i propri territori.

5 A Napoli, ad esempio, nel 1958 fu presentato un piano regolatore generale che, malgrado la disap-provazione dell’allora Consiglio dei lavori pubblici, consentiva l’edificabilità di aree ricadenti nelle zone agricole del territorio comunale, fino ad allora, tra le più fertili e coltivate d’Italia.

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Tabella 1 - Produzione media delle principali coltivazioni agricole - Anni 1957-2967 (in quintali per ettaro)

Anni Frumento Riso Granoturco Patata Pomodoro Barbabietola Vite Olivo Arancio Pesco Melo Pero

1951 14,7 48,0 21,7 73,9 148,7 300,6 48,1 17,4 135,0 62,7 107,5 73,2 1952 16,8 53,4 18,8 69,2 135,4 265,9 44,2 8,4 144,5 78,3 116,6 74,7 1953 19,0 53,2 25,3 79,8 152,4 296,3 52,9 16,8 153,4 80,6 99,2 78,6 1954 15,3 48,8 23,2 80,7 160,6 294,0 51,0 13,3 140,7 76,3 91,1 60,9 1955 19,6 52,2 25,9 86,5 167,8 357,4 55,3 9,4 146,4 84,8 123,4 87,7 1956 17,8 48,1 27,2 88,2 170,3 311,1 63,7 9,8 128,6 55,1 138,0 64,9 1957 17,3 50,6 27,9 81,7 179,2 293,6 45,8 17,9 138,4 80,5 95,9 62,5 1958 20,3 54,8 30,1 95,4 212,6 310,6 65,9 12,5 156,3 85,3 183,8 115,2 1959 18,2 55,6 32,5 103,2 189,0 399,9 64,1 13,4 149,4 119,8 198,3 129,5 1960 14,9 48,3 32,1 100,9 206,0 316,3 52,3 17,4 147,8 114,8 199,8 136,5 1961 19,1 56,8 32,9 103,8 210,7 311,5 53,1 18,2 137,5 129,8 219,8 154,6 1962 20,8 56,0 29,1 94,5 212,5 317,0 69,4 13,2 118,5 130,1 224,8 174,0 1963 18,5 49,0 32,9 113,6 224,3 343,4 54,1 23,3 144,5 146,3 234,0 180,3 1964 19,5 52,2 36,9 107,4 240,7 344,8 64,5 15,4 147,3 150,8 240,8 200,8 1965 22,8 40,2 32,3 101,9 250,7 322,0 69,2 17,7 136,0 140,8 208,9 156,2 1966 22,0 46,9 35,5 111,1 261,2 377,7 66,4 14,8 154,0 146,0 255,3 234,4 1967 23,9 51,8 38,0 118,2 266,0 391,1 77,6 21,1 157,6 118,1 213,7 172,5

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Nei decenni successivi, a fronte di un aumento di produzione sempre più consistente, continua, inesorabile, l’esodo dalle campagne mentre, dal punto di vista paesaggistico, il sostegno alle colture continentali intensifica gli effetti già emersi dopo il Trattato di Roma e si associa alle prime conseguenze della perdi-ta di appartenenza al territorio che l’emigrazione e l’abbandono delle attività tra-dizionali comportano. Infatti, all’aumento degli appezzamenti coltivati a cereali e seminativi senza soluzione di continuità (tipici del paesaggio continentale) soprat-tutto nel Nord Italia, corrisponde nelle regioni centrali il declino della policultura tipica della mezzadria (la legge 756 del 1964 vieta la stipula di nuovi contratti). Ini-ziano ad affermarsi le coltivazioni specializzate (viti e olive soprattutto) a discapito di quelle tradizionali e autoctone che trovano scarsa collocazione sul mercato6 e

per le quali elementi caratteristici dei paesaggi collinari come i terrazzamenti e i muretti a secco vengono sostituiti con sistemazioni del terreno più congeniali alle operazioni colturali delle nuove produzioni. L’assenza della necessaria manu-tenzione inoltre, spesso a presidiare il territorio rimangono solo anziani non più adatti all’impegno fisico richiesto, e la perdita di conoscenze idrauliche, agrarie e costruttive, funzionali ai diversi metodi di sistemazione dei territori, provoca un diffuso degrado e accomuna i paesaggi agrari di molte aree dell’Italia tra cui quelle del Mezzogiorno dove l’introduzione delle OCM si inserisce in un sistema agricolo in cui il 40% delle terre assegnate con la Riforma agraria (1950) era stato ab-bandonato (p. Bevilacqua, 2006) e il tessuto sociale definitivamente compromesso dall’emigrazione che fra gli anni ’60 e ’70 nelle regioni meridionali assume le ben note dimensioni (Tabella 2).

In tali condizioni socio-economiche la cultura identitaria dei luoghi, il senso di appartenenza a essi, che un ruolo fondamentale hanno nelle dinamiche paesag-gistiche, saranno irrimediabilmente compromessi. In questa fase storica, il bene paesaggio è ancora interpretato in senso puramente artistico, come realtà estetica indipendente dalle dinamiche economiche e sociali da cui è generato.

Negli stessi anni, in altre aree agricole del paese, non interessate da pro-cessi migratori di grande portata, il calo degli occupati in agricoltura determina l’emergere del fenomeno del pendolarismo per ragioni lavorative. Inizia a deline-arsi quella tendenza, oggi consolidata, che vede il luogo di residenza nel territorio rurale diverso da quello lavorativo; occorre spostarsi per lavorare, per far circolare

6 Alla fine del XIX secolo, in Italia si coltivavano circa 8.000 qualità di frutta. oggi non si raggiungono le 2.000 (solo della mela, le qualità, dall’inizio del ’900 a oggi, si sono ridotte di quasi un terzo), Ascani, 2007.

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le merci ma anche per andare in vacanza, spesso tornando nei luoghi di origine7;

occorre farlo con mezzi veloci, autonomi per i quali sono necessarie infrastrutture viarie funzionali.

Tabella 2 - Tasso migratorio interno delle regioni meridionali - Anni 1952-1971

Anni Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria

1952 -1,9 … -2,9 -1,7 -3,3 -3,4 1953 -2,8 … -1,5 -1,7 -3,2 -4,1 1954 -3,8 … -1,3 -2,3 -4,3 -4,7 1955 -4,7 … -2,0 -4,0 -5,6 -5,0 1956 -5,5 … -1,6 -5,5 -6,9 -5,3 1957 -5,7 … -2,0 -8,6 -7,8 -6,5 1958 -6,0 … -2,4 -7,0 -8,5 -7,2 1959 -7,3 … -3,1 -7,7 -9,3 -7,8 1960 -7,8 … -3,7 -10,3 -13,7 -11,2 1961 -11,8 … -7,3 -16,3 -20,0 -18,8 1962 -6,4 … -6,8 -10,9 -19,6 -16,6 1963 -6,0 … -5,9 -7,4 -19,2 -18,6 1964 -4,2 -1,9 -3,7 -3,7 -12,8 -13,1 1965 -1,9 -1,3 -1,9 -2,0 -8,0 -5,2 1966 -2,4 -1,1 -2,9 -3,5 -8,2 -6,5 1967 -3,2 -1,4 -4,6 -6,5 -13,3 -9,8 1968 -3,3 -1,5 -5,4 -7,0 -16,3 -11,2 1969 -3,0 -1,8 -6,5 -7,5 -18,5 -12,7 1970 -2,7 -1,1 -6,8 -7,4 -32,0 -12,8 1971 -2,2 -1,9 -5,0 -5,4 -22,8 -10,3

Dati ISTAT Serie Storiche

Un altro tributo richiesto al paesaggio agrario furono, a cominciare dagli anni ’60, le nuove strade di comunicazione fra città e campagna, fra aree indu-striali e rurali, fra Nord e Sud del paese per le quali, ancora una volta, elementi dei paesaggi tradizionali vengono eliminati o adattati alle nuove esigenze. Ma

l’en-7 Fra il 1948 e il 1960 la domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc.) registra un incremento annuo del 10,9% (V. Zamagni 1990).

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nesimo sacrificio paesaggistico consente anche l’affermazione di un altro modo di vivere i legami con il territorio di origine: risiedere in aree rurali, ritornarvi quando possibile consente. in alcuni contesti, di continuare a far vivere un territorio, di presidiarlo attraverso le relazioni sociali, consuetudini e tradizioni che spesso per questi motivi vengono mantenute.

Con l’avvio nel 1972 della politica strutturale per l’agricoltura, finanziata dal Feoga Orientamento, l’indirizzo comunitario non sembra cambiare direzione. In-fatti, gli incentivi previsti a sostegno degli investimenti per l’ammodernamento dei processi produttivi (Dir.72/159 CEE) insieme a quelli per disincentivare le piccole aziende poco competitive (Dir. 72/160 CEE), tipiche delle aree mediterranee e di grande importanza paesaggistica, sembrano mirati al consolidamento del model-lo di produzione industriale intensiva delle grandi aziende agricole delle zone più ricche e sviluppate d’Europa e in contraddizione con il sostegno all’agricoltura di montagna e delle aree svantaggiate (Dir. 75/268 CEE) dove “storicamente” sono localizzate le piccole aziende.

gli anni ’80 si caratterizzano per il primo abbozzo di politica di tutela pa-esaggistica in ambito europeo; infatti, mentre continuano i fenomeni di rimbo-schimento dei terreni agricoli non produttivi8, l’aumento delle colture in serra e

i problemi di dissesto idrogeologico e, con l’aumento delle aree periurbane dovu-to all’inurbamendovu-to delle campagne emerge il fenomeno del consumo del suolo, una importante novità è rappresentata dall’approvazione del Regolamento (CEE) n. 797/85 in cui era previsto che “… gli Stati membri sono autorizzati, al fine di contribuire all’introduzione o al mantenimento di pratiche di produzione agricola compatibili con le esigenze della protezione dell’ambiente naturale, ad istituire re-gimi speciali nazionali in zone particolarmente sensibili dal punto di vista ambien-tale, zone cioè che rivestano particolare interesse sotto il profilo ecologico e del paesaggio”. per la prima volta un provvedimento comunitario contiene un esplicito riferimento al paesaggio e benché la norma non prevedesse interventi specifici di tutela e/o salvaguardia paesaggistica rappresenta la prima tappa di un percorso in questa direzione (Antonelli, Viganò 2007). È importante inoltre sottolineare che l’adozione del regolamento come provvedimento legislativo, per sua natura imme-diatamente vincolante per gli Stati membri rispetto alla direttiva, indica la direzio-ne più marcata che la Comunità europea intende imprimere ai nuovi provvedimenti di politica ambientale.

8 Dal 1951 al 1981 la superficie boschiva italiana aumenta di oltre 1000 (migliaia di ettari) Dati ISTAT (serie storiche)

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Intanto, in Italia, il dibattito intorno ai temi paesaggistici, si intensifica anche in concomitanza all’approvazione della Legge 431 (Legge galasso) che introduceva per le Regioni l’obbligo di redazione di piani paesistici o urbanistici territoriali e stabiliva sanzioni penali per le eventuali violazioni. Si tratta della prima normativa in cui il paesaggio è inteso come prodotto estetico dell’intervento umano sul terri-torio, non distinto dal contesto sociale e produttivo di riferimento.

Verso il riconoscimento del paesaggio agrario

La successiva riforma dei Fondi strutturali del 1988 (Reg. (CEE) n. 2052/88) conferma il nuovo indirizzo europeo in materia paesistico-ambientale. La politica di sviluppo rurale si ispira adesso a una logica integrata e territoriale articolata su obiettivi di intervento che, pur non producendo effetti rilevanti dal punto di vista strettamente paesaggistico, hanno contribuito a una ridefinizione delle funzioni del settore primario in chiave di salvaguardia ambientale e sviluppo locale integra-to, che ha visto nella Iniziativa Comunitaria Leader9 uno dei prodotti più innovativi

della politica europea. Il Leader (1991-1993) avvia una nuova impostazione in ma-teria di sviluppo rurale in quanto presuppone un approccio dal basso capace di sti-molare la partecipazione delle comunità rurali nell’individuazione di soluzioni per lo sviluppo dei territori. Benché nella prima edizione, l’iniziativa non abbia contri-buito in maniera sostanziale alla diffusione delle politiche di tutela e salvaguardia del paesaggio, i piani di Sviluppo Locale (pSL) rappresentano un primo esempio concreto di condivisione e partecipazione dei vari attori del territorio rurale alla gestione delle risorse locali, valido per affrontare le dinamiche alla base delle re-altà paesaggistiche.

È con le misure di accompagnamento della pAC introdotte nei primi anni ’90 della Riforma Mac Sharry che la politica agricola comunitaria intraprende una direzione più decisa in materia di salvaguardia ambientale e paesaggistica. In particolare, il Regolamento (CEE) n. 2078/92 attraverso il sostegno all’impiego di metodi produttivi compatibili (misura D) e alla cura dei terreni agricoli o forestali abbandonati (misura E) prevedeva specifici interventi per la tutela del paesaggio agricolo. I dati relativi al periodo 94-97 sugli interventi attivati all’interno delle sud-dette misure dalle regioni italiane nei rispettivi programmi agroambientali mo-strano il notevole successo delle misure che con il coinvolgimento di oltre 27.000

9 L’I.C. Leader (Liaison entre actions de développement de l’économie rurale) si è sviluppata in tre fasi: 1989 -1993 (Leader); 1994-1999 (Leader II); 2000-2006 (Leader+)

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aziende, per un totale di 526.000 ettari, raggiunse il traguardo definito in sede di programmazione, anche se con differenze notevoli tra Nord e regioni meridionali. Con l’attivazione di queste misure si afferma l’importanza dell’attività agricola nel-la creazione di servizi complementari utili alnel-la collettività, in cui il mantenimento del paesaggio agrario assume rilievo importante, poiché costituisce la cornice ide-ale per lo svolgimento di tali esternalità (INEA, 2000). Questo indirizzo sta alla base delle successive scelte attuate dall’Unione europea in materia di politica ambien-tale che porteranno all’approvazione di Agenda 200010,documento in cui tra

l’al-tro avviene il riconoscimento ufficiale della multifunzionalità del settore primario. Con il Regolamento (CE) n. 1257/99 sullo sviluppo rurale, secondo pilastro della pAC, accanto alle politiche di mercato le Regioni, oltre a quelli previsti dalle misure agroambientali, hanno la possibilità di attivare specifici interventi di salvaguardia paesaggistica come la realizzazione/conservazione di elementi tipici del paesaggio rurale, la cura dei terreni agricoli abbandonati e la realizzazione/conservazione di prati/pascoli. Nello specifico, quest’ultimo intervento, insieme ad altri più generici di natura agroambientale, è risultato avere maggiore successo rispetto ad altri più specifici legati a emergenze proprie del territorio regionale, segno di una ancora scarsa conoscenza dei problemi paesaggistici del territorio e di un mancato coor-dinamento con le istituzioni locali preposte.

Il paesaggio agrario è ora “ufficialmente” riconosciuto dalla pAC come re-altà umana, economica, culturale ed emotiva da tutelare nel suo insieme; le pro-blematiche a esso riferite sono affrontate non solo all’interno della vasta politica ambientale, ma con un approccio più specifico, merito anche del dibattito che por-tò nell’anno 2000 all’approvazione della Convenzione europea del paesaggio.

Nel 2003 con la riforma di medio termine (RTM) o Riforma Fischler (Rego-lamento (CE) n. 1782/2003) i princìpi di disaccoppiamento (introduzione del paga-mento unico per azienda disaccoppiato dalla quantità prodotta), modulazione (raf-forzamento dello sviluppo rurale, in termini finanziari, attraverso il trasferimento di risorse dal primo al secondo pilastro della pAC) e condizionalità (vincoli che gli agricoltori devono rispettare per accedere ai pagamenti diretti) entrano a far parte della politica agricola europea che risulta, inoltre, sempre più caratterizzata da una forte sussidiaretà nei riguardi degli Stati membri. Rispetto alle problematiche paesaggistiche, si affermano i concetti di esternalità positiva della pratica agricola e di paesaggio come bene comune, entrambi accolti e sviluppati nella

programma-10 programma d’azione adottato dalla Commissione europea il 15 luglio 1997 sull’allargamento dell’Unione a Est, sulla riforma delle politiche comunitarie e sul quadro finanziario da applicare nel periodo 2000-2006).

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zione successiva accanto all’introduzione dei Criteri di gestione obbligatori (CgO) e delle Buon pratiche Agronomiche e Ambientali (BpAA).

In seguito al completamento della Riforma Fischler, avvenuto con la valu-tazione dello stato di salute della pAC (Healt check), in applicazione del Regola-mento (CE) n. 73/2009, le aziende agricole per poter ricevere i sostegni finanziari della politica Agricola Comune hanno l´obbligo di rispettare la condizionalità. Dal punto di vista della tutela paesaggistica soprattutto le BCAA11 rappresentano le

novità potenzialmente più rilevanti; tra di esse quelle più direttamente collegate alla tutela del paesaggio riguardano il mantenimento dei terrazzamenti (norma non obbligatoria) e la conservazione degli elementi caratteristici del paesaggio compresi siepi, stagni, fossi, alberi in filari, in gruppi o isolati e ai margini dei cam-pi; inoltre, tra gli adempimenti previsti c’è il rispetto dei provvedimenti regionali di tutela degli elementi paesaggistici che appare importante alla luce di una po-litica locale di gestione dei beni comuni, la più indicata nelle dinamiche relative al paesaggio soprattutto in Italia, dopo l’introduzione dei piani paesistici regiona-li e l’approvazione del Codice dei beni culturaregiona-li e paesaggistici nel 200412 che, in

materia di territori agricoli, risulta lacunosa. Il nuovo codice infatti, da una parte introduce una definizione di paesaggio originale rispetto ai precedenti interventi normativi, condensata all’art. 131 in cui tra l’altro si legge “… per paesaggio si in-tende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identita-rie percepibili” dall’altra, si limita a trattare specificamente del paesaggio agrario solo all’articolo 135 dove invita le Regioni e lo Stato, nella redazione a quattro mani dei piani paesaggistici, a porre particolare attenzione alla salvaguardia delle aree agricole (Ferrucci 2012). L’obbligo di rispettare la condizionalità si estende anche alle aziende che decidono di aderire ad alcune misure dei programmi Regionali di Sviluppo Rurale (pSR) della nuova programmazione 2007-2013 (Regolmento (CE) n. 1698/2005) la quale, oltre alle misure già presenti nel periodo 2000-2006,

preve-11 Norme riguardanti le condizioni ottimali in cui dovrebbero essere tenuti i terreni agricoli: gestione minima delle terre che rispetti le condizioni locali specifiche; Copertura minima del suolo; man-tenimento dei terrazzamenti; gestione delle stoppie e dei residui colturali; avvicendamento delle colture; uso adeguato delle macchine; protezione del pascolo permanente; evitare la propagazione di vegetazione indesiderata sui terreni agricoli; manutenzione degli oliveti e dei vigneti; Manteni-mento degli elementi caratteristici del paesaggio.

12 Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; modifiche introdotte con il Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 157.

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de interventi destinati a migliorare la qualità della vita nelle aree rurali attraverso la conservazione e valorizzazione del paesaggio, non solo dal punto di vista della tutela del suolo e/o dell’attenzione al tipo e alle modalità di coltivazioni, ma anche rispetto al patrimonio immobiliare, alle sistemazioni urbanistiche, alle produzioni tradizionali collegate. Si tratta di una novità importante, di ispirazione “Leaderisti-ca” perché si tenta di intervenire sul paesaggio in maniera integrata, coinvolgendo gli attori delle dinamiche che in esso confluiscono in una chiave locale, per cui diventa fondamentale considerare le istanze presenti sul territorio.

Il loro successo, in termini di interventi effettuati e di spesa sostenuta, può essere indicativo riguardo al grado di consapevolezza e di sensibilità riguardo alle tematiche paesaggistiche nelle varie Regioni italiane; a riguardo, una breve rico-gnizione dello stato di avanzamento della spesa pubblica13 delle misure

diretta-mente collegate alla tutela e/o al recupero degli elementi caratteristici dei paesag-gi rurali italiani, rivela che l’avanzamento di spesa, a dicembre 2013, per la misura 216 “investimenti non produttivi nel settore agricolo” si attesta quasi al 70% con oltre 160 milioni di euro di spesa pubblica sostenuta; per la 323 “investimenti non produttivi nel settore forestale” la percentuale sfiora il 50% e raggiunge gli oltre 126 milioni di euro. più contenuta risulta la performance della misura 323 “Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale” per la quale risulta che a fronte degli oltre 157 milioni di euro di spesa pubblica programmati, la spesa effettuata non ha rag-giunto il 50%. In particolare, le Regioni italiane dal 2008 hanno pubblicato oltre 72 bandi, la maggior parte dei quali inerenti specifiche azioni per la ricostruzione o il recupero di elementi tipici dei paesaggi agrari dei territori di riferimento (muretti a secco, siepi, fasce tampone, boschetti). Si tratta del consolidamento di un indirizzo che mira a ridurre gli effetti negativi dei sistemi produttivi agricoli intensivi e di grande impatto paesaggistico-ambientale finanziati nei decenni precedenti dalla stessa pAC e rendere economicamente possibile per il conduttore una gestione compatibile dell’attività agricola.

Conclusioni

In questo lavoro si è voluto descrivere brevemente le trasformazioni del pa-esaggio agrario italiano, causate soprattutto dalle conseguenze degli effetti inne-scati dall’attuazione della politica agricola comune.

13 Stato di avanzamento per misura della spesa pubblica complessiva aggiornato al 31 Dicembre 2013 - Rete Rurale Nazionale, Febbraio 2014

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partendo dalla forte spinta all’industrializzazione delle colture della secon-da metà degli anni ’50, necessaria per far fronte alle necessità urgenti di un paese in difficoltà economica e prostrato da una guerra, sono stati ripercorsi i mutamenti paesaggistici dovuti alla dismissione di pratiche agricole tradizionali e all’adozione di colture più redditizie che nel tempo hanno ridisegnato il territorio (affermazione delle monocolture, eliminazione di caratteristici elementi verticali, adozione del sistema alla larga, ecc.) e modificato il tessuto sociale produttivo, economico (mi-grazione, meccanizzazione, competizione dell’uso del suolo). In seguito sono state brevemente ripercorse le varie tappe che, terminata l’emergenza, hanno portato al riconoscimento dei limiti del modello produttivo adottato e orientato la stessa pAC a intraprendere un nuovo indirizzo, orientato verso una politica di salvaguardia ambientale e paesaggistica che ha portato dall’ introduzione delle Buone pratiche Agronomiche Ambientali (BpAA ) e alla condizionalità fino a giungere, con il Re-golamento (CE) n. 1698/2005, all’introduzione di misure specifiche per la conser-vazione e valorizzazione del paesaggio agrario a cui è riconosciuta un’importanza fondamentale per la qualità dell’ambiente, della biodiversità, della salvaguardia del territorio sia dal punto di vista culturale che fisico.

Nonostante il mutato contesto politico, il nostro paese negli ultimi quindici anni ha perso più del 25% del suo paesaggio agricolo, segno che invertire la rotta è diventato ormai difficile malgrado, da più parti, promuovere uno sviluppo che oltre a creare sviluppo sia rispettoso dell’ambiente e degli interessi delle comunità lo-cali sia riconosciuto come una priorità. In tal senso sembra orientata la futura pro-grammazione 2014 – 2020 che si pone tra gli obiettivi principali da raggiungere per l’Europa: una produzione agricola più forte e di qualità, una maggiore protezione delle risorse naturali e il mantenimento dell’attività agricola in tutti i territori. per il raggiungimento di tali obiettivi, gli interventi previsti sono orientati allo svilup-po di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; alla promozione di metodi produttivi più efficienti sotto il profilo delle risorse che permettano, al con-tempo, un alto tasso di occupazione e favoriscano la coesione sociale e territoriale. Una delle novità più importanti riguarda i pagamenti diretti ed è rappresen-tata dal greening (30% della dotazione nazionale)14. Il greening si applica a tutte

le aziende che ricevono pagamenti disaccoppiati, con l’esclusione delle aziende biologiche, di quelle che aderiscono al regime semplificato per i piccoli agricoltori e delle aziende ricadenti in zone Natura 2000. per accedere a tale pagamento, gli

14 “Il dibattito sul greening e l’agricoltura italiana” Agriregioneuropa anno 8 n. 29 giugno 2012 pag. 3 (http://www.agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/29/il-dibattito-sul-greening-e-lagri-coltura-italiana)

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agricoltori devono rispettare sui loro ettari ammissibili tre misure di base bene-fiche per il clima e l’ambiente: il mantenimento dei prati permanenti; la diversi-ficazione delle colture; il mantenimento delle aree di interesse ecologico” (EFA – Ecological Focus Area).

Altre novità riconducibili alle tematiche paesaggistiche riguardano lo svi-luppo rurale (II pilastro), per il quale ogni Stato membro è tenuto a riservare il 30% degli stanziamenti e decidere quali interventi porre in campo per raggiungere gli obiettivi fissati, in base a sei priorità generali tra le quali, la numero 4 “ripristinare, tutelare e migliorare gli ecosistemi” e la 6 “promuovere l’inclusione sociale, la ri-duzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali”. In entrambe i casi si tratta di novità importanti intorno alle quali si è sviluppato un intenso dibattito e sono emerse diverse criticità, in particolare per quanto riguarda l’applicazione concreta del greening a causa delle esenzioni previste per molte tipologie azienda-li e dell’appesantimento degazienda-li oneri burocratici. In ogni caso l’impianto della nuova pAC tiene conto delle esigenze emerse in questi decenni sui temi di tutela del pa-esaggio e sembra, in parte, puntare a un’agricoltura non limitata alla produzione di materie prime a scopo alimentare, ma indirizzata a farsi carico di altre funzioni e servizi a beneficio dell’intera società.

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ISBN 9788881454341

collana Sistema della Conoscenza. Working Paper

IL RICONOSCIMENTO DEL VALORE

DEL PAESAGGIO AGRARIO NELLA

POLITICA AGRICOLA COMUNE

a cura di Manuela Sornaienghi

INEA 2014

L’area Sistema della conoscenza in agricoltura sviluppa e realizza attività di studio e sup-porto alle amministrazioni centrali e regionali su tre filoni principali: il sistema ricerca nelle sue componenti principali e in relazione ai livelli istituzionali che lo promuovono (europeo, nazionale, regionale); i servizi di sviluppo regionali con particolare riferimento agli interventi previsti dalle politiche europee; gli aspetti sociali e culturali dell’agricol-tura quali fattori per lo sviluppo di nuovi percorsi produttivi e di attività di servizio alla collettività.

Le iniziative di ricerca e consulenza vengono realizzate secondo un approccio olistico e relazionale che prende in considerazione l’apporto di tutte le componenti classiche del sistema della conoscenza (ricerca, servizi di assistenza e consulenza, formazione, tessuto imprenditoriale e territoriale) e coniuga il tema dell’innovazione quale obiettivo trasversale da perseguire per il miglioramento del sistema agricolo e rurale.

Figura

Tabella 1 - Produzione media delle principali coltivazioni agricole - Anni 1957- 1957-2967 (in quintali per ettaro)
Tabella 2 - Tasso migratorio interno delle regioni meridionali - Anni 1952-1971

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