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LA LUNA, L’AMICIZIA E I LABIRINTI DEL CUORE

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(1)

a cura di

Anna Dolfi

Notturni e musica

nella poesia moderna

FIRENZE UNIVERSITY

PRESS

(2)
(3)

MODERNA/COMPARATA COLLANA DIRETTA DA Anna Dolfi – Università di Firenze

COMITATO SCIENTIFICO Marco Ariani – Università di Roma III

Enza Biagini – Università di Firenze Giuditta Rosowsky – Université de Paris VIII Evanghelia Stead – Université de Versailles Saint-Quentin

(4)

Firenze University Press

2018

Notturni e musica

nella poesia moderna

a cura di

Anna Dolfi

(5)

Volume pubblicato con un contributo dell’Università degli Studi di Firenze.

Certificazione scientifica delle Opere

Tutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com).

Consiglio editoriale Firenze University Press

A. Dolfi (Presidente), M. Boddi, A. Bucelli, R. Casalbuoni, M. Garzaniti, M.C. Grisolia, P. Guarnieri, R. Lanfredini, A. Lenzi, P. Lo Nostro, G. Mari, A. Mariani, P.M. Mariano, S. Marinai, R. Minuti, P. Nanni, G. Nigro, A. Perulli, M.C. Torricelli.

La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0: https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/legalcode)

This book is printed on acid-free paper CC 2018 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press

via Cittadella 7, 50144 Firenze, Italy www.fupress.com

Printed in Italy

Notturni e musica nella poesia moderna / a cura di Anna Dolfi. – Firenze : Firenze University Press, 2018.

(Moderna/Comparata ; 30)

http://digital.casalini.it/9788864538037 ISBN 978-88-6453-802-0 (print) ISBN 978-88-6453-803-7 (online PDF) ISBN 978-88-6453-804-4 (online EPUB)

(6)

Anna Dolfi (a cura di), Notturni e musica nella poesia moderna, ISBN 978-88-6453-802-0 (print), ISBN 978-88-6453-803-7 (online PDF), ISBN 978-88-6453-804-4 (online EPUB)

© the Author(s), CC BY 4.0, 2018, Firenze University Press

UN SALUTO 13

Luigi Dei

VEDERE, ASCOLTARE LA NOTTE (QUASI UN PRELUDIO) 15

Anna Dolfi

ALONATURE NOTTURNE TRA MUSICA E POESIA

EVOCAÇÃO DA NOITE (1957-1960) 23

Ruggero Jacobbi

a cura di Franzisca Marcetti

O Canto dos Galos 24

Evocação da Noite 24 Os Anjos 25 Poema 26 O pintor 26 Domínio da Inocencia 26 Crise 27 As andorinhas 27 Noturno mínimo 28 Conselho matinal 28 A Tarde 28 Poema geométrico 29 Território 29 SENTIERI DI NOTTE Eugenio De Signoribus Il vialetto 31 Nella dissolvenza 32 Fuggitivi 33

PER UN NOTTURNO DI LUCE 35

Jean-Charles Vegliante

(7)

8 INDICE

MODI, LUOGHI, SPAZI DELLA NOTTE LIMINARITÀ E POROSITÀ DELLA NOTTE. RIFLESSIONI SULL’«ÉTAT

DE NUIT» E SULL’«EFFETTO NOTTE» 41

Anna Dolfi

NOTTURNO E METAPOESIA. «LA NUIT DE MAI» DI ALFRED DE MUSSET 55 Enza Biagini

1. Il notturno in musica 56

2. Le Notti di Alfred de Musset 61

3. Notturno e metapoesia. «Qu’est ce qui de la nuit reste la nuit» nella

«Nuit de Mai»? 68

VARIAZIONI SU MUSICA E POESIA: UNGARETTI, LUZI, BIGONGIARI 75

Teresa Spignoli

GASTON BACHELARD: ETICA E POETICA DELLA NOTTE Riccardo Barontini

1. Implicazioni poetiche e filosofiche del notturno bachelardiano 89 2. Alla ricerca di un’impossibile metafisica della notte 93 3. La poesia e il notturno ai limiti della soggettività 96

LA «TRINITÉ CHARMANTE» DEL NOTTURNO Irene Calamai

1. Premessa 101

2. I romantici e la notte 102

3. «Coincidentia oppositorum»: la berceuse e l’antitesi 104

4. La notte e i suoi moti 110

5. La morte 112

6. Dal trittico alla trinità 118

IN MUSICA, ATTRAVERSANDO LA NOTTE «O NOTTE, ANTICA DEITÀ». I «NOTTURNI» DI PINDEMONTE, LA «REGINA DELLA NOTTE» DI MOZART, IL «FLAUTO MAGICO» DI

BERGMAN 125

Gianni Venturi

LA LUNA, L’AMICIZIA E I LABIRINTI DEL CUORE 153

Vivetta Vivarelli

L’«ALTARE DELLA NOTTE»: RITO E POESIA NEGLI «INNI ALLA NOTTE» 161 Patrizio Collini

(8)

RECEPTION DES NOCTURNES ET THEORIE DU ROMANTISME 169 Béatrice Didier

1. Liberté du nocturne 169

2. Images et subjectivité 170

3. Quel romantisme? 174

PRIMA E DOPO I ROMANTICI. SIMBOLOGIE DELLA NOTTE DA NOVALIS A BAUDELAIRE

Roberto Deidier

1. Luci e ombre della notte. E della poesia 177

2. Prossimità romantiche 182

3. La notte lava la mente 187

NOTTURNI OPERISTICI TRA PARIGI E VENEZIA, ANDATA E

RITORNO. «LA NONNE SANGLANTE» E «MARIA DE RUDENZ» 193

Camillo Faverzani

IL «CLAIR DE LUNE»: UN MOTIVO LETTERARIO E MUSICALE

NELL’OTTOCENTO FRANCESE 221

Michela Landi

1. Il «clair de lune»» in poesia 224

2. Il «clair de lune» in musica 234

CINQUE ‘CLICHÉS’ PER MUSICA IN POESIA. DA LEOPARDI ALLA

TERZA GENERAZIONE 239

Anna Dolfi

1. Qualche antecedente (o meglio ‘cliché’ 1) 242

2. La musica del silenzio (‘cliché’ 2) 246

3. L’inclinazione al canto (‘cliché’ 3) 249

4. Un motivo musicale (‘cliché’ 4) 254

5. Sulle tracce di Orfeo (‘cliché’ 5) 265

«EINE SCHREKLICHE NACHTMUSIK». LA MUSIQUE ET LE TERRIBLE

CHEZ RAINER MARIA RILKE ET PAUL CELAN 269

Guillaume Surin

1. La Musique et le Terrible 274

2. La conversion à la Nuit 280

BRITTEN, NOTTURNI, DA SHAKESPEARE AL ROMANTICISMO 295

Mario Domenichelli

NOTTURNI ITALIANI I UN CRONOTOPO LEOPARDIANO:

SUL NOTTURNO DELLE «RICORDANZE» 309

(9)

10 INDICE

I NOTTURNI DI SALVATORE DI GIACOMO 317

Luciano Formisano

TRA I NOTTURNI DANNUNZIANI. ACCEZIONI, TIPOLOGIE,

CAMPIONI TESTUALI 329

Clelia Martignoni

«COINCIDENTIAE OPPOSITORUM» FONICO-SIDERALI IN ONOFRI 347

Oleksandra Rekut-Liberatore

DAI NOTTURNI DI CAMPANA ALLA NOTTE DI UNGARETTI 359

Maria Carla Papini

LA NOTTE DI DIDONE: FONTI CLASSICHE E MODERNE DEL CORO

III DELLA «TERRA PROMESSA» 367

Francesca Bernardini Napoletano

IN MARGINE AGLI «ACCORDI» DI MONTALE 381

Marco Menicacci

NOTTURNI ITALIANI II

TRA SERA E NOTTE: LE VISIONI DEL GIOVANE SABA 393

Silvio Ramat

I «LASTRICI SONORI» DELLA NOTTE SBARBARIANA

IN «PIANISSIMO» E NEI «TRUCIOLI» VALLECCHIANI 411

Martina Di Nardo

I NOTTURNI DI PENNA 431

Francesca Nencioni

«OGNI COSA, NEL BUIO, LA POSSO SAPERE». NOTTURNO

METAMORFICO NELLA POESIA DI PAVESE 445

Nicola Turi

LA NOTTE ASPETTA LE VOCI. CONTEMPLAZIONE ACUSTICA E INTERTESTUALITÀ IN «ISOLA» DI ALFONSO GATTO

Luigi Ferri

1. La divergenza fra canto e immagine 455

2. Il doppio incipit di «Isola» 459

3. Una lirica. Notte e contemplazione acustica – vv. 1-4 460

4. La morte e la memoria – vv. 5-8 464

5. I notturni di Gatto. Intertestualità interna ad «Isola» 467

(10)

«SFONDARE LA PARETE NERA», FRA LE ELLISSI DEL NOTTURNO

CAPRONIANO 473

Chiara Favati

LUZI E I NOTTURNI DELL’APPENDICE AL «QUADERNO GOTICO» 485

Andrea Giusti

DIVAGAZIONI MUSICALI NOTTURNE NELLA POESIA DI SANGUINETI Francesca Bartolini

1. È il segno, con il suono, che significa 493

2. L’incarnazione di un vecchio fantasma mentale: il «Faust» 494 3. Ho patito le migliori insonnie della mia vita, in queste camere

implacabili di Scholzplatz 498

OLTRANZE NOTTURNE

LA MUSICA DELLA MUSICA E LA MUSICA DELLA POESIA 507

Laura Barile

NOTTURNI CITTADINI E «BARBARE» MELODIE: BLUES E POESIA

TRA AMERICA E ITALIA 521

Nino Arrigo

RUGGERO JACOBBI E I NOTTURNI FRANCO-LUSITANI 537

Franzisca Marcetti

«IO POETA NOTTURNO»: PASOLINI, ROSSELLI E ALTRO NOVECENTO 553

Stefano Giovannuzzi

PARTITURE LIRICHE DI ANGELO MARIA RIPELLINO DA DOBŘÍŠ A PRAGA 565 Andrea Gialloreto

DA UN SETTIMO PIANO A UN’EMPIA STELLA. QUELLE NOTTI IN

VERSI DI GIOVANNI GIUDICI 577

Alberto Bertoni

LE PAROLE DELLA NOTTE NELLE PRIME RACCOLTE DI

ANTONELLA ANEDDA 587

Cecilia Bello Minciacchi

IL NOTTURNO COME PROBLEMA DELLA VISTA IN «ORA SERRATA

RETINAE» 601

(11)

12 INDICE

DECLINARE LA NOTTE

NOTTURNO ALLA RADIO PER I POETI D’EUROPA E D’AMERICA Rodolfo Sacchettini

1. Attraversare la notte a occhi chiusi: la paura 611

2. Poesia per la radio. Prima della guerra 613

3. Dopo la guerra. Poesia alla radio 615

4. Memorie notturne 617

5. «Ritratto di città» di Luciano Berio e Bruno Maderna 620

6. «Under Milk Wood» di Dylan Thomas 621

DE SIGNORIBUS E IL NOTTURNO COME METAFORA DISTOPICA.

NOTTE E MUSICA DA «ISTMI E CHIUSE» A «RONDA DEI CONVERSI» 625

Leonardo Manigrasso

NOTTURNO ELETTRICO. RITMI URBANI NELLA POESIA DI FINE NOVECENTO

Riccardo Donati

1. La musica come contagio 637

2. Canzonette mortali 641

3. Prove di dissipazione 645

I NOTTURNI (POETICI) DI FRANCESCO DE GREGORI E LUCIO DALLA Paolo Orvieto

1. Francesco De Gregori 649

2. Lucio Dalla 657

TENTATIVI DI RIMOZIONE DEL «NOTTURNO». SULLE RELAZIONI TRA POESIA CONTEMPORANEA E CLUB CULTURE

Samuele Fioravanti

1. «Nel breve incrociarsi del tempo retto e del tempo invertito». La

rimozione del «notturno» mediante la rimozione del sonno 671 2. «Empty nothingness». I «notturni» vuoti di Etel Adnan (Nights, 2016) 677 3. «La musica sarà assordante». La rappresentazione del club come

analogo del «notturno» nella poesia italiana contemporanea (2009) 682

IL «NACHTSTÜCK» DI HEINER MÜLLER E IL NOTTURNO 691

Benedetta Bronzini

(12)

Anna Dolfi (a cura di), Notturni e musica nella poesia moderna, ISBN 978-88-6453-802-0 (print), ISBN 978-88-6453-803-7 (online PDF), ISBN 978-88-6453-804-4 (online EPUB)

© the Author(s), CC BY 4.0, 2018, Firenze University Press Vivetta Vivarelli

In questo intervento vorrei prima di tutto proporre alcune considerazioni sulla notte e i pleniluni nella lirica tedesca tra Sette e Ottocento, lasciando da parte il territorio ben più noto e più propriamente romantico di cui tratteran-no i prossimi interventi. L’intento sarà quello di mostrare come alcuni aspetti di queste poesie notturne riaffioreranno in forma più o meno cifrata in alcuni testi del secondo Ottocento, intrecciati con alcuni motivi sia filosofici che musica-li. Prenderò in considerazione alcune poesie che per tradizione, ed è forse que-sto uno dei tratti più caratterizzanti della lirica tedesca, sono state trasposte in musica e sono dunque diventate anche dei Lieder. Francesco Orlando, riferen-dosi alla grande tradizione tedesca di questo genere musicale, aveva parlato del «paradiso unico in Europa, – sono parole sue – d’una letteratura il cui grande patrimonio lirico si trasfuse regolarmente, mediante il genere del Lied, da pura parola a parola e musica; e ciò sull’arco di centocinquant’anni: quanto ai poeti da Klopstock a Trakl, passando per Goethe, Heine, George, quanto ai musicisti da Gluck a Webern, passando per Schubert, Schumann, Wolf»1.

Per quanto riguarda la luna, occorre partire da un presupposto, se si vuole scontato ma significativo. La luna in tedesco è der Mond, dunque è un maschile. Ciò non toglie che talora si faccia riferimento alla tradizione classica: ad esempio Heine nella Nordsee ricorre alla parola latina «luna», mentre Schopenhauer fa ri-ferimento alla castità di Artemide per contrapporre al sole una luna che è sim-bolo di una conoscenza affrancata dagli impulsi oscuri del volere. Ma nella liri-ca tedesliri-ca la luna è essenzialmente l’amico con cui si parla e con cui ci si confi-da nei momenti di tristezza. Gli esempi forse più noti sono poesie di Klopstock (Die frühen Gräber) e di Ludwig Gleim (An den Mond), in cui i poeti si rivolgo-no alla luna con l’appellativo «Gedankenfreund», l’«amico dei pensieri» che ri-desta i ricordi del passato. La luna in poesia si appoggia spesso, anche per ragio-ni di consonanza, alla parola Freund (Mond/Freund). In una delle prime scene

1 Discorso tenuto in occasione dell’ultima lezione di Luciano Zagari alla Facoltà di Lettere

(13)

154 VIVETTA VIVARELLI

del Faust di Goethe, il protagonista vorrebbe fuggire dall’angustia claustrofobi-ca del suo studiolo seguendo il vagabondare dell’astro. Per lui la luna è l’ami-co cupo, malinl’ami-conil’ami-co «trübsel’ger Freund»: l’aggettivo allude alla mestizia ma anche ai vapori che velano l’astro, nella cui rugiada vorrebbe bagnarsi come in una fonte rigenerante («gesund mich baden»): vv. 386-3972. Tutto il capitoletto

è giocato sulla polvere delle pergamene e degli strumenti, l’aridità di un sapere disseccato e, per contrasto, sulla liquidità di tutto ciò che è vitale.

Ma forse il momento culminante e poeticamente più incisivo in questa li-nea di pensiero è una poesia di Goethe del 1781 (ne esistono diverse versioni),

An den Mond, famosa anche perché magistralmente musicata da Schubert: è

qui che compare l’espressione «il labirinto del petto»3. Sembra che Goethe

l’ab-bia scritta dopo il suicidio di una giovane donna (Christel von Lassberg) che nel 1778 si gettò, tenendo stretta una copia del Werther, nelle acque dello Ilm, vicino al casinetto nel parco di Goethe. Goethe le dedica una poesia molto li-quida, che non a caso culmina nei versi che mimano, nelle allitterazioni, il fru-scio della corrente «fliesse fliesse lieber Fluß» «fluisci, fluisci caro fiume»; e poi ancora: «scorri, scroscia, sussurra melodie al mio canto». All’inizio, il «chiaro-re velato» («Nebelglanz») della luna scioglie l’anima come l’occhio di un amico: «Wie des Freundes Auge mild». La luna, contemplata dunque ancora una vol-ta come un amico che con la sua liquidità argentea ristora e conforvol-ta, rimanda all’importanza di un amico in carne e ossa cui confidare le proprie pene affin-ché il dolore non si dilati a dismisura nei labirinti del cuore. Diventa dunque un monito a non colloquiare solo con se stessi e la propria malinconia di fron-te al «Gedanken-Freund», ma a cercare nel seno accoglienfron-te dell’amicizia reale, e non solo immaginata, una vera condivisione dell’angoscia (tra l’altro l’espres-sione «labirinto del cuore» («Labyrinth der Brust») verrà ripresa da Nietzsche in un contesto riguardante la dinamica delle pulsioni nella Genealogia della morale4.

Facciamo ora un salto prima di una, poi di due generazioni, nella prima e nella seconda metà dell’Ottocento, per vedere infine come questa tradizione not-turna riaffiori inaspettatamente in uno dei più bei carteggi sull’amicizia che io conosca e poi, alla fine, in poesie nate da questo carteggio. In una delicata poe-sia di Heine, Lotusblume, il genere maschile della luna si presta a un gioco di se-duzione con un fiore. In questo caso i generi sono invertiti rispetto all’italiano: fior di loto è femminile. Il gioco, anche erotico, col genere si svolge tra un fiore, che è dunque una lei, e una luna che è un lui. Il fiore di loto ha paura del sole e

2 Johann Wolfgang von Goethe, Sämtliche Werke nach Epochen seines Schaffens. Münchener

Ausgabe, München, btb Verlag, 1987, vol. 2.1 (1775-1786).

3 J. W. Goethe, Sämtliche Werke nach Epochen seines Schaffens. Münchener Ausgabe cit., 1987,

vol. 62.1 (1798-1806), p. 546.

4 OFN VI**, p. 287. Le opere e le lettere di Nietzsche sono citate secondo l’edizione italiana

Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Milano, Adelphi,

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attende trepida la notte. La luna /il luno è il suo amante, la risveglia con la sua luce e lei (il fiore) disvela il suo volto devoto dispiegando tutta la sua passione5.

Si tratta di una poesia che, forse grazie anche alla musica di Schumann, incanta il giovane Nietzsche, che la menziona sia nelle lettere che nei diari. Ad esempio in un’annotazione del 16 agosto 1859 (aveva allora 15 anni) scrive: «Quando la sera arrivo nel dormitorio, di solito la luna risplende sul mio letto. È una sensa-zione ben curiosa, e io entro in un singolare stato d’animo. È accertato che esi-ste una singolare corrispondenza tra la luna e lo spirito umano; i nervi vengono stimolati più da una notte di luna che dai più cocenti raggi solari. Chi non co-nosce la deliziosa poesia di Heine: Il fior di loto? –»6. Nietzsche interpreta

dun-que dun-questa poesia come l’ascendente esercitato sull’anima dalla luna, che la in-duce a dispiegarsi come un fiore.

Ancora in una lettera di Nietzsche si fa un velato riferimento a una poesia di Heine in cui la luna non è più un amico, ma il sosia, la proiezione angoscia-ta dell’io lirico. La poesia, noangoscia-ta anche perché musicaangoscia-ta da Schubert, inizia con i versi «Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen»7 («quieta è la notte, riposano

i vicoli») (i vicoli di notte compaiono spesso anche nello Zarathustra). Nella poesia arcana, ambigua di Heine, non priva di una punta d’ironia, un aman-te solitario si torce le mani per l’angoscia e la solitudine. Poi, leggendo ataman-tenta- attenta-mente, si scopre che questo amante è la luna e al contempo lo specchio del po-eta: «Ed ecco ho un moto d’orrore se guardo il suo volto / La luna mi mostra la mia stessa immagine» (Buch der Lieder, Heimkehr n. 208). La luna è dunque

il Doppelgänger, il doppio del poeta, come suggerisce il verso: «O tu mio so-sia! Pallido compagno».

Vediamo ora come Nietzsche, in una lettera all’amico Rohde, smonta e ri-monta i versi di Heine:

E sì caro amico: se per avventura un demone ti menasse, nelle prime ore del mattino […] fino a Naumburg, […] non rimanere di stucco di fronte allo spet-tacolo che ti si presenterebbe. […] vestito da stalliere […] tutto affannato a […] strigliare il ronzino – vedere il suo volto mi terrorizza, è la mia stessa immagine, per la miseria! («mir graut wenn ich sein Antlitz sehe – es ist beim Hund meine eigne Gestalt»)9.

Si noti la parola «demone». Popolano l’intero carteggio questi demoni, pro-babilmente ispirati più dal Manfred di Byron che dall’antichità classica.

5 Heinrich Heine, Sämtliche Werke. Historisch-kritische Gesamtausgabe der Werke.

Düssel-dorfer Ausgabe, vol. 1/1, p. 142.

6 OFN I* (Scritti giovanili 1856-1864). 7 H. Heine, Sämtliche Werke cit., 1/1, p. 230. 8 Ibidem.

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156 VIVETTA VIVARELLI

Il carteggio di cui vi parlo è quello tra Nietzsche e l’amico/compagno di università Erwin Rohde, anche lui filologo irretito da Schopenhauer e che poi, attraverso Nietzsche, diventa fervente wagneriano. Nella lettera appena citata Nietzsche dichiara di rimpiangere «l’amico lontano e il tempo trascorso insie-me a Lipsia nella Selva Boema e nel Nirvana»10, ma soprattutto qualcuno che

«dimostra nella serietà della vita la stessa intensità che io richiedo a me stesso, valuta le cose e le persone quasi secondo le mie stesse leggi, e infine con tutto il suo essere mi ha temprato e reso più forte»11. Nelle loro lettere i due amici si

ri-chiamano spesso alla notte, anche perché entrambi vorrebbero far risorgere una Grecia arcaica, preomerica «dall’oscurità purpurea» del passato (l’espressione viene usata in una lettera di Rohde a Nietzsche del 17 luglio 187112). Questo

proget-to comune è accompagnaproget-to da una serie di immagini faustiane, come ad esem-pio la discesa nella notte misteriosa delle madri, di quel Goethe orfico che pia-ceva a Carlo Bo, menzionato ad esempio nel suo saggio Dell’infrenabile notte13.

Le suggestioni notturne ritornano in diversi passi del carteggio. I due amici sono anime profondamente affini. La certezza di aver trovato in Nietzsche una totale consonanza di interessi e di passioni è espressa da Rohde attraverso l’uso insistito di una terminologia musicale: accordo, unisono, consonanza (Stimmung, Harmonie, harmonirt, Gleichtemperirung14). Rohde si sente estraneo agli altri

«come una melodia sul basso continuo di un canto ritmicamente e armonica-mente diverso»15. «Siamo due motivi musicali», scrive ancora Rohde. Nei suoi

moti di esaltazione Rohde assomiglia a quel Nietzsche che Montinari descrive-va come segue: «Ricordiamocelo com’era allora, tra il venticinquesimo e il tren-tesimo anno della sua vita: egli ci offre lo spettacolo di una giovinezza ancora intatta (vorremmo dire indifesa) nei suoi entusiasmi, nel suo desiderio di agire, nella fiducia totale verso gli amici […]»16.

Rohde, che soggiorna a lungo per i suoi studi in Italia, soprattutto a Firenze e a Roma, in una sua lettera a Nietzsche del 5 novembre 1869 cita versi in ita-liano del Passero solitario del «magnifico Leopardi»: «e te german di giovinezza, amore; Non curo, io non so come»17. La citazione è inserita in un contesto in

cui Rohde asserisce di non provare nostalgia per le passioni d’amore di un tem-po. Subito dopo sembra ricalcare un motivo leopardiano, quello della Sera del

10 Ivi, p. 538. 11 Ivi, p. 539.

12 E. Rohde, Briefe aus dem Nachlass, I (Briefe zwischen 1865 und 1871) a cura di Marianne

Hauboldt, Zurich-New York, Geor Olm Verlag Hildesheim, 2015, p. 204.

13 Carlo Bo, Otto studi, Firenze, Vallecchi, 1939, p. 117. 14 E. Rohde, Briefe aus dem Nachlass cit., I, p. 59. 15 Ibidem.

16 Montinari descrive così il Nietzsche di quegli anni, con il suo contorno di amici e figure

paterne nell’Introduzione al Carteggio Nietzsche-Burckhardt (Torino, Boringhieri, 1961, p. 8).

(16)

dì di festa, quando scrive: «come la notte scorsa, svegliandomi in una

profon-da oscurità, mi sentii stranamente commosso per un canto d’amore triste che di sotto risuonava allontanandosi e mi rammentava, amabile e dolente, le dol-ci sensazioni che – come un suono – andavano spegnendosi». Sembra un ri-chiamo ai famosi versi: «Un canto che s’udia per li sentieri / Lontanando mo-rire a poco a poco, / Già similmente mi stringeva il core»: (il leopardiano «lon-tanando» sembra riecheggiato dal duplice «verklingen» che indica l’affievolirsi e lo spegnersi del suono).

Quasi come in Leopardi è la nostalgia di giovinezza di un giovane, in questo caso di un ventiquattrenne. Lo stesso canto notturno sembra risuonare in una suggestiva annotazione di Nietzsche del 1876-77: «Una vecchia città, chiaro di luna sui vicoli, una voce d’uomo solitaria – abbiamo l’impressione che il passato sia riemerso in carne ed ossa e ci voglia parlare – la ferita insanabile dell’esisten-za, la vanità di tutte le aspirazioni, lo splendore dei raggi intorno, la profonda felicità in ogni desiderio e rimpianto: è questo che ci vuole dire»18. Questa

sen-sazione del passato che ritorna potrebbe apparire una sorta preludio di uno dei cardini della filosofia di Nietzsche, quella teoria dell’eterno ritorno che Nietzsche elaborerà pochi anni dopo.

La nipote di Erwin Rohde, Marianne Haubold, che ho conosciuto trami-te Sigrid Montinari e che sta curando l’edizione delle lettrami-tere, mi ha fatto osser-vare che alcuni motivi di questo carteggio giovanile risuonano in una delle più belle poesie del tardo Nietzsche, inserita dentro il testo autobiografico di Ecce

homo. È una poesia dedicata a Venezia che per lui equivale a musica19,

solitu-dine. Generalmente viene associata al canto dei gondolieri, al «sonante sogno notturno»20 udito in una notte insonne da Wagner e modellato su uno

straor-dinario passo del Viaggio in Italia di Goethe21. Ma questo canto che viene

in-terpretato come il canto di un gondoliere, al quale un altro gondoliere dovreb-be rispondere (doveva essere una sensazione magica di echi nella notte, un po’ come capita di sentire nei canti del muezzin in medio Oriente. Nella poesia di Nietzsche22 è l’eco che manca, il canto di risposta degli altri gondolieri. Ma in

18 F. Nietzsche, Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe, hrsg. von. Giorgio Colli,

Mazzi-no Montinari, München, 1980 vol. 8 (framm. n. 23[83]), p. 433.

19 Cfr. la lettera di Nietzsche a H. Köselitz del 2 luglio 1885: «L’ultima notte sul ponte di

Rialto mi ha recato in dono anche una musica che mi ha commosso fino alle lacrime, un incre-dibile adagio all’antica, come se prima non fosse esistito nessun adagio» (Epistolario V, p. 62).

20 Richard Wagner, Beethoven, in R. Wagner, Gesammelte Schriften und Dichtungen, Leipzig

Fritzsch, 1870, IX, pp. 105 sgg. (tr. it. R. Wagner, Ricordi battaglie visioni, Milano-Napoli, Ric-ciardi, 1955, p. 238).

21 Goethe descrive le suggestive melodie dei gondolieri che accompagnano i versi

dell’Ario-sto e del Tasso, un canto che si «dilata sullo specchio silenzioso» e lo commuove fino alle lacrime: «Fu allora che mi si rivelò il vero significato di quel canto […] È il canto che un’anima solitaria fa sentire da lontano affinchè un’altra anima solitaria mossa dallo stesso sentimento ascolti e risponda» (6 ottobre 1786).

(17)

158 VIVETTA VIVARELLI

realtà la poesia sulla città lagunare è anche qualche cos’altro. Cominciamo con l’espressione «braune Nacht»23, notte bruna, marrone, aggettivo che rammenta

la Sonnambula di Bellini e «l’aer bruno» di Dante ma che è inusuale in tedesco. In una lettera scritta a Rohde venti anni prima Nietzsche aveva scritto: «vo-glio parlare nella tua lingua. Ho letto la tua lettera ed era come se mi risveglias-si all’improvviso, e c’era intorno una profonda notte bruna, mentre da lontano risuonava un suono così nostalgico («klänge ein so sehnsüchtiger Laut») come non lo sentivo da tempo»24 (la lettera dell’11 novembre 1869 èin risposta alla

lettera di Rohde del 5 novembre 1869). Ed ecco quindi che «notte bruna» ap-pare un Nachklang, un’eco lontana, a venti anni di distanza, dello stato d’ani-mo in cui lo aveva calato una bellissima lettera dell’amico. Le parole «braune Nacht», «fernher», riferito al suono/canto che giunge da lontano sono le stes-se. Ma il finale nella poesia del 1888 è ironico o sconfortato: «c’era qualcuno ad ascoltarla?» Ora, in quella che forse è la poesia più poesia e studiata di Nietzsche è l’anima, come una sorta di arpa eolica, che canta segretamente a se stessa una cullante barcarola (tra l’altro Nietzsche amava la barcarola op. 60 di Chopin). Ma oramai non esiste più l’amico che ascolta e col quale l’anima «consuona».

Anche la messa in scena notturna del primissimo annuncio dell’idea dell’eter-no ritordell’eter-no, a ben guardare, potrebbe basarsi su una suggestione di Rohde. L’idea dell’eterno ritorno è sempre partorita dalla profondità della notte, dalla nox

in-tempesta dei latini, quando il tempo esce dai cardini. Questa teoria viene

for-mulata come un’ipotesi nell’aforisma 341 della Gaia Scienza e, nello Zarathustra (nel capitolo sulla Visione e l’enigma come anche nella quarta parte) viene ripro-posta con le stesse presenze arcane: la luna, il ragno, il cane. Nella Gaia scienza l’aforisma è introdotto da una frase ipotetica e da un’allitterazione: «Wie, wenn ein Dämon» («Come sarebbe se un demone […]»)25.

La stessa frase ipotetica e il «demone» comparivano in una lettera di Rohde del 16 marzo 1869: «Wie wäre es, wenn der Dämon […]». Nella lettera, Rohde afferma di sentirsi respinto dalla poltiglia della quotidianità, la byroniana blight

of life e scrive:

Unica consolazione è sapere che in lontananza vive qualcuno che ha lo stesso battito del nostro polso e vede rifrangersi questo strano mondo in un prisma intagliato allo stesso modo. Dato che, come sarebbe se il demone avesse negato a uno questa intensa felicità? Certo il fatto che il destino ci abbia gettato così lon-tani l’uno dall’ altro nei nostri giorni più belli e più caldi, lo vivo ripetutamente

il precipizio. Poesie tedesche sull’Italia (Festschrift per I. Hennemann- Barale) a cura di Bernhard

Arnold Kruse e Vivetta Vivarelli, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 17-22 e 124-133.

23 Friedrich Nietzsche, Opere cit., VI***, p. 300.

24 F. Nietzsche, Epistolario II, p.79. Cfr. H. Däuble, Friedrich Nietzsche und Erwin Rohde, in

Nietzsche-Studien, V, 1976, pp. 334-335.

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con rammarico, se penso come in questo modo dei bei giorni non diventino che onde indistinguibili nel grigio fiume della vita, solo dei mezzi invece di essere fine a se stessi26.

Rohde sembra angosciato dalla possibilità che un demone possa cancella-re o vanificacancella-re gli istanti più belli e intensi della sua amicizia o il loro ricordo.

Forse l’ipotesi/scommessa/sfida dell’eterno ritorno era per Nietzsche anche questo: una risposta segreta alla paura della perdita di significato di quegli istan-ti nella fuga del tempo e nel flusso inarrestabile delle rispetistan-tive esistenze, pau-ra manifestata dall’amico nella lettepau-ra appena riportata e che epau-ra forse una delle più belle. Tanto è vero che Nietzsche in un suo appunto contrapponeva a Marco Aurelio e alle sue ossessioni della caducità il valore inestimabile degli istanti in-ghiottiti dalla voragine del tempo, immaginati come ciottoli e detriti riportati a riva dalle onde del mare (11[94])27.

Ma il Rohde maturo, ormai filologo importante quindi abituato a decifrare i testi, non riconobbe mai o non volle riconoscere queste ripetute allusioni al rim-pianto dell’amicizia di un tempo, come attestano le lettere tiepide e convenzio-nali con cui ogni volta rispondeva alle opere inviategli dall’amico; forse non se la sentiva di leggere con attenzione i suoi scritti, ormai lontani anni luce dall’e-saltazione per Wagner. E il raffreddamento dell’amicizia con Rohde, che fu per Nietzsche molto doloroso, potrebbe essere stato motivato anche da questa in-comprensione e assenza di risposte. La percezione di questo allontanamento è già presente in una dolente lettera del 18 luglio 1876, nella quale Nietzsche ri-sponde all’annuncio del fidanzamento dell’amico con Valentine Framm: Rohde ha finalmente trovato, a differenza di Nietzsche, un giovane cuore e una dedi-zione piena e fiduciosa. Nietzsche accompagna la sua lettera di felicitazioni con una poesia notturna: «stanotte – scrive – mi è venuto in mente di farne una po-esia; non sono un poeta ma tu mi capirai»28 .

In questa poesia, intitolata Es geht ein Wandrer durch die Nacht, viene ripre-so il topos del viandante che non si può fermare, forse con qualche eco della «Winterreise» (ad es. nella parola «Wandersmann»). Anche nel ciclo musicato da Schubert il viandante cammina attraverso la notte e sente come un perico-lo mortale l’invito dell’albero di tiglio a fermarsi e a riposare29. In questa poesia

del 1876 la seduzione della musica, il canto degli uccelli, non può e non deve trattenere il viandante, che continuerà il suo cammino in estrema solitudine.

26 E. Rohde, Briefe aus dem Nachlass cit., I, p. 106. 27 F. Nietzsche, Opere, VIII**, pp. 253-254.

28 F. Nietzsche, Epistolario cit., III, pp. 161-162. Su questa poesia cfr. Claus Zittel, Abschied

von der Romantik im Gedicht Friedrich Nietzsches Es geht ein Wanderer durch die Nacht, in

«Nietzscheforschung», 3, 1994, pp. 193-206.

29 L’ultimo Nietzsche avrà per Schubert parole di grande ammirazione, in particolare per la

sua Fantasia del viandante: «Parola mia, Schubert è un gigante; ma egli non aveva idea della sua grandezza e della sua forza», scrive a Spitteler il 16 luglio 1888 (cfr. Epistolario cit., V, p. 664).

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160 VIVETTA VIVARELLI

E il «Wanderer» diverrà due anni più tardi l’immagine principale dello «spiri-to libero», figura che sancisce il definitivo allontanamen«spiri-to da Wagner e che dia-logherà con la propria ombra. Come osserva Zittel, l’intera poesia non è più un dialogo, oramai è un soliloquio30. Lo dichiara lo stesso Nietzsche alla fine

di questa lettera: «Così ho parlato a me stesso dopo l’arrivo della tua lettera»31.

Esattamente come sarà uno struggente soliloquio la poesia che Nietzsche dedi-cherà a Venezia in Ecce homo.

30 C. Zittel, Abschied von der Romantik cit., p. 206. 31 F. Nietzsche, Epistolario cit., III, p. 162.

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nella poesia moderna

Che cos’è la notte? Come defi nirla e segnarne i limiti? È più o è meno mobile lo sguardo di chi la fi ssa; persiste nella notte la funzione cornice? In che modo la diffi coltà di vedere favorisce l’invenzione artistica, l’interrogazione sull’infi nito e la morte, i quesiti sull’immaginario, il sogno, il ricordo, l’oblio? Da domande come queste è partita Anna Dolfi nell’ideare un libro di grande novità e suggestione che, tra notturni e musica, si chiede come la letteratura, la pittura, il cinema, l’opera lirica, le tradizioni popolari, le canzoni, abbiano parlato di cecità e di visione, di ossessione e paura, di notti «tenere», disperate, sublimi, misteriose, mistiche, di notti di ‘malattia’, di notti riparatrici, di notti bianche e di notti insonni, quando il tentativo è resistere creando, per sfi dare l’approssimarsi dell’alba. L’icona della mozartiana Regina della notte, assieme a quella

di un Pierrot schönberghiano, ha accompagnato come in controluce

una cinquantina di studiosi e giovani ricercatori italiani e stranieri che, partendo dal Settecento, dai canti di Ossian, lungo un percorso notturno europeo sostenuto da teorici (Nietzsche, Bachelard, Jankélévitch…) e musica (Mozart, Chopin, Schubert, Schumann, Fauré, Debussy, Britten…), hanno lavorato su Novalis, Hölderlin, il Romanticismo tedesco, Rilke, Celan, Müller, Hugo, Chenier, Baudelaire, Proust, Cocteau, Bonnefoy…, declinando i notturni italiani dalle elegie cimiteriali di Pindemonte a Leopardi, Di Giacomo, D’Annunzio, Onofri, Campana, Saba, Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Penna, Pavese, Gatto, Caproni, Luzi, Bigongiari, Fortini, Jacobbi, Ripellino, Pasolini, Giudici, Rosselli, Sanguineti, De Signoribus, la Anedda, Magrelli… Aperto da testi inediti portoghesi di Ruggero Jacobbi, da versi e traduzioni di De Signoribus e di Vegliante, il volume, dalla notte di Donizetti arriva a quella dei cantautori (De Gregori, Dalla…), spingendosi al limite di notturni elettrici che rivelano in poesia gli squarci urbani di una tormentata società tra fi ne secolo e inizio millennio.

professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso le Università di Trento e Firenze, è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Tra i maggiori studiosi di Leopardi, di leopardismo, di narrativa e poesia del Novecento, ha progettato e curato volumi di taglio comparatistico dedicati alle «Forme della soggettività» sulle tematiche del journal intime, della scrittura epistolare, di malinconia e malattia malinconica, di nevrosi e follia, di alterità e doppio nelle letterature moderne, e raccolte sul tema dello stabat mater, sulla saggistica degli scrittori, la rifl essione fi losofi ca nella narrativa, il non fi nito, il mito proustiano, le biblioteche reali e immaginarie, il rapporto tra letteratura e fotografi a, tra ebraismo e testimonianza.

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