CONCLUSIONI
La tavola che si trova a Palazzo Reale, facente parte della collezione Schiff-Giorgini, rappresenta un santo vestito dei panni dell’ordine agostiniano con tunica scura con cappuccio e cintura in vita e con la tonsura propria dell’ordine, al centro nell’atto di sorreggere due uomini impiccati, posti simmetricamente di tre quarti, ai suoi lati, aventi il torace e le gambe nude. Ai lati della tavola si trovano quattro persone, due per parte: una di queste è un armigero di guardia alla forca, le altre non sembrano avere una specifica funzione, sono vestite con abiti non moderni, a differenza dell’armigero, che sembrano risalire al periodo classico romano. Sullo sfondo si apre un paesaggio di collina, attraversato da una luce soffusa che dà serenità. (fig. 98)
Il riferimento riconoscibile è il miracolo compiuto da San Nicola che salva dalla morte i fratelli Mizulo e Vanni da Osimo accusati ingiustamente.
Il miracolo narra che i due fratelli durante un viaggio nel territorio de L’Aquila vennero accusati ingiustamente di omicidio, arrestati e condannati all’impiccagione. Uno dei due fratelli, Vanni, subì per primo la condanna e si salvò grazie all’intervento di Nicola che lo sostenne per quattro giorni.
La tradizione racconta, quindi, che venne impiccato solo uno dei due fratelli, Vanni, salvato dall’intervento di Nicola e che questo intervento portò alla liberazione di entrambi i fratelli che furono graziati.
Molte immagini riportano il miracolo seguendo la tradizione, come ho già esposto nella parte riguardante l’iconografia.
La versione dei due impiccati, però, è rintracciabile nel racconto che si trova in una vita di
San Nicola, quella di Giorgi. Si può leggere: “ Il nostro mirabil difensore dell’innocenza
fece pure sfoggio del suo potere eziandio nella città di Foligno, dove due uomini della stessa
città vennero denunziati come rapitori di un paio di bovi, che di vero non avevan rubato. E
poiché dai costituti non risultava la confessione del loro supposto furto, furon messi alle
prove de consueti barbari tormenti, finchè in mezzo a questi non reggendo più loro l’animo
ed il coraggio, decisero di dichiararsi rei tuttoché incolpevoli, al fine di trovare uno stato in
tanto spasimo. Laonde condannati alla forca subirono rassegnati sì ingiusta sentenzia. Prima
però di salire al patibolo altro non fecero che raccomandare la propria causa al valentissimo
loro avvocato San Nicola, fidenti in lui, come unico suo patrocinatore, che valesse a
scamparli dagli artigli di morte sì ignomignosa. E per certo tanta confidenza, fede sì animata
non fallì nei suoi effetti. Conciossiachè erano già tre giorni, da che i miseri pendevano estinti su quei patiboli, ove il carnefice gli aveva giustiziati. In sullo spirare del terzo giorno transitava per di là un Cavaliere, il quale, giunto vicino a que’ patiboli, soffermassi alla inattesa voce degli infelici, che da quelli pendevano, imploravano soccorso.…godiamo per la vita istessa per la grazia di Dio e per i meriti di San Nicola da Tolentino, il quale da noi pregato con fede animata a rendersi mallevadore della nostra innocenza, ci sorresse vivi fin qui; reggendoci nei piedi con le sue portentose mani medesime; tanto che neppure sentimmo dolore di sorta nell’atto di essere giustiziati...:”
1Significativamente, quindi, il miracolo aveva, accanto alla tradizione dominante, un’altra versione a cui aveva attinto il Giorgi e che poteva essere quella conosciuta dall’autore della tavola. Devo sottolineare, però, che non ho rintracciato nessun’altra immagine che descriva il miracolo in questo modo.
Il quadro in questione è oggetto di studio e ricerca da parte della critica, che non è riuscita a dargli una collocazione definitiva per quanto riguarda l’autore e la provenienza.
Le notizie si fermano al sequestro relativo alla collezione Schiff Giorgini di cui ho trattato.
Purtroppo tra i documenti della famiglia rinvenuti presso l’archivio di Firenze e di Milano non è stato rintracciato niente relativo all’acquisto: anzi, in nessun documento viene fatto cenno all’opera in questione.
Una notizia ce la fornisce direttamente la tavola che, sul retro, apporta un cartellino relativo ad una Mostra d’Arte Italiana che si era svolta a Roma in Palazzo Venezia nel 1945 a cura dell’Associazione Nazionale per il Restauro dei Monumenti Danneggiati dalla Guerra (fig.
99) e Caleca informa che il catalogo di quella esposizione, un fascicoletto di 36 pagine non numerate, propone al n. 76 l’opera con riferimento alla pala di Città di Castello e con riferimento a due altri quadri che si trovano a Detroit presso il Detroit Institute of Arts.
Si tratta di due tavole (inventario 175 e 176) rappresentanti due miracoli compiuti in vita da San Nicola, il miracolo delle pernici e la resurrezione del bambino Puccio di Angelo da San Ginesio (figg. 100-101).
La tavola con il miracolo delle pernici viene acquistata dal museo di Detroit da una collezione privata italiana nel 1925; la tavola con la resurrezione di Puccio di Angelo, dal 1923 in una collezione parigina, viene acquistata nel 1927 a New York da Ralph H. Booth che la dona al Museo di Detroit.
La tavola con il miracolo delle pernici raffigura il santo seduto in un letto imponente, a
baldacchino, elevato rispetto al resto della scena perché posto su due gradini, attorniato da
frati agostiniani e da tre altre figure vestite con abiti classici, che compie il miracolo di riportare in vita due pernici che gli erano state servite per pranzo.
L’ultima tavola, quella che narra del miracolo della resurrezione del bambino Puccio di Angelo, mostra il santo sulla destra piegato nello sforzo di trarre dalle acque di un fiumiciattolo un bambino. A sinistra una donna, forse la madre, in preghiera davanti al compimento del miracolo e, dietro di lei, un casolare fuori del quale si trovano due uomini che parlano tra loro e un cavallo bianco. A destra, in primo piano, si trovano altre due figure vestite con abiti classici. All’orizzonte si profila un paesaggio collinare in cui si intravedono figure di uomini al lavoro.
La tavola con il miracolo degli impiccati misura cm. 26x52, quella con il miracolo delle pernici cm. 29x54 e quella con la resurrezione del bambino cm. 27x52. Quindi le tre tavole sono di dimensioni e formato quasi identico, eseguite con la stessa tecnica ad olio su tavola e hanno lo stesso tema iconografico, quello dei miracoli compiuti da San Nicola da Tolentino. Anche stilisticamente le tre tavolette sono congruenti.
Vediamo che in tutte e tre le tavole vi sono le stesse figure vestite con abiti classici, che non si sa che attinenza abbiano con le storie; sembrano avulse dal contesto anche per il loro atteggiamento quasi distratto, eccetto che nell’ultima tavola dove sembrano attente al salvataggio del bambino.
Si può notare inoltre che i paesaggi delle due tavole dove la scena si svolge all’aperto sono paesaggi collinari, molto simili anche come luminosità e le tre rappresentazioni di San Nicola sono molto vicine stilisticamente, vedi il panneggio delle vesti, la struttura dei piedi e delle mani e l’insieme della figura in generale.
Nel 2005, per la mostra su San Nicola da Tolentino tenutasi a Città del Vaticano, le tre tavole sono state poste una accanto all’altra: questo ha creato come l’impressione della ricomposizione di un tutt’uno. L’unica diversità riguardava la cornice del quadro di Pisa che risulta non essere l’originale.
La sequenza in cui sono state composte le tavole andava dalla tavola con il miracolo degli
impiccati a quella con il miracolo delle pernici e da questa alla tavola con il salvataggio del
bambino; praticamente ai lati erano poste le tavole che illustravano i miracoli compiuti dopo
la morte ed al centro quella che illustrava un miracolo compiuto in vita. (fig. 101/a). La
disposizione può essere legata anche al formato delle tavole; infatti le due tavole ai lati
misurano tutte e due 52 cm. di larghezza mentre la tavola posta al centro è un pochino più
larga, misura 54 cm.
Sull’appartenenza delle tre tavole ad uno stesso complesso la critica appare concorde. Meno unanime è l’attribuzione della predella alla pala di Città di Castello.
Un’altra argomentazione su cui la critica appare concorde è il peruginismo che si trova nelle opere.
Il Perugino, come ho già esposto nel primo capitolo, era un artista molto conosciuto ed apprezzato, soprattutto in area umbro-marchigiana e svariati artisti assumevano le sue opere a modello e cercavano di ricalcarne lo stile. Lo stesso Raffaello, come ho ricordato, subì moltissimo l’ influenza dell’artista più anziano.
Possiamo in effetti riscontrare una somiglianza tra la tavola che racconta il miracolo delle pernici e la predella del polittico di S. Maria Nuova a Fano con la “Natività della Vergine”
del Perugino in cui la Vergine si trova seduta in un letto a baldacchino elevato da un gradino contornata da donne indaffarate ad accudire lei ed il nascituro. Nelle due tavole il letto a baldacchino e la posizione dei protagonisti, nonché il clima che viene creato dalle figure poste intorno, sono molto simili (fig. 8). Anche Caleca
2ipotizza un’ispirazione a modelli perugineschi riferendosi però alla predella che si trova al Louvre e che è stata attribuita dalla critica a Pietro Perugino, precisamente nella tavola con il San Girolamo che risana il cardinale Andrea. Qui al centro è rappresentata una figura che troneggia su un letto a baldacchino come nella tavola di Pisa.
Un riferimento peruginesco di Raffaello Caleca lo individua anche in un’altra tavola della predella succitata e precisamente in quella con il Miracolo di San Girolamo e i pellegrini impiccati. Anche qui il santo è rappresentato frontalmente al centro della scena nell’atto di sorreggere due impiccati nudi posti ai suoi lati. Sempre secondo Caleca il passaggio dal formato quadrato della predella peruginesca a quello rettangolare del quadro di Palazzo Reale a Pisa ha creato problemi di riempimento, risolti aggiungendo personaggi non previsti nella scena.
La qualità delle opere risulta essere non molto alta e questo, per una parte della critica, esclude la mano di Raffaello. Alcuni studiosi, quali lo Gnoli ed il Berenson, ne hanno attribuito la paternità a Eusebio da San Giorgio, proprio per il peruginismo che vi si può riscontrare; altri, quali lo Scarpellini ed il Marabottini allo stesso Perugino. Un’altra parte della critica sostiene la tesi di appartenenza delle tavole alla pala di Raffaello per Città di Castello, come ad esempio il Valentinier che, per primo, nel 1927, ha sostenuto la tesi di attribuzione a Raffaello delle due tavole di Detroit
3, o il Venturi che vede nei frammenti di
predella de La crocifissione Mond gli stessi alberi con le foglie a raffi e il paese similissimo all’altro che si vede nel quadro del salvataggio del fanciullo
4, o il Volpe e il Caleca.
Quest’ultimo nota un divario stilistico che c’è tra le varie parti delle opere. Egli attribuisce a Raffaello la figura del santo e dei personaggi a lui contigui, mentre ipotizza la collaborazione di Evangelista da Pian di Meleto per le parti marginali. Di quest’ultimo pittore, come ho già esposto nella parte riguardante Raffaello, non si hanno opere certe e quindi non si può avere un punto di riferimento per valutare il suo stile e paragonarlo alle tavole in questione. Certo era un pittore modesto, un buon artigiano ed infatti nel contratto per la Pala di Sant’Agostino il suo nome segue quello del più giovane pittore, anche se a entrambi viene dato l’appellativo di magistri. Caleca, esaminando in particolare il quadro di Palazzo Reale a Pisa, ha ipotizzato la mano di Raffaello per la parte centrale del quadro, e cioè per la figura del santo, degli impiccati, della forca e per la parte centrale del paesaggio e la mano di Evangelista per le parti laterali. Anche il Marabottini
5vede nelle tavole di Detroit mani diverse ma, anche se dello stesso ambiente umbro-peruginesco e certo provenienti da un unico complesso, egli nega l’appartenenza di queste tavole alla pala di Raffaello perché non vi riscontra nulla di raffaellesco e ritiene che molti altri altari furono dedicati fra Umbria e Marche in quegli anni a Nicola da Tolentino.
Sembra però che l’unica pala dedicata al Santo in un periodo di tempo circoscrivibile dalla seconda metà del XV sec. alla prima metà del XVI sec., di dimensioni tali da poter far supporre l’esistenza di una predella, sia quella di Raffaello se si eccettua la testimonianza dell’esistenza di una pala del Signorelli andata perduta dedicata a San Nicola da Tolentino a cui apparteneva una predella con storie del santo nella chiesa di Sant’Agostino ad Arezzo, risalente al 1470-1480. Tale notizia la riporta il Vasari ed è assodato dalla critica che l’opera fosse sempre presente nella chiesa aretina nel 1759 e che poi andasse dispersa a causa dell’invasione napoleonica.
Comunque la mano del Signorelli credo non possa essere accostata alle tavole in trattazione perché lontana dal suo stile.
Potrebbero essere esistite altre opere dedicate a Nicola da Tolentino, andate perdute, e di cui non ci resta testimonianza alcuna. In effetti il periodo in analisi doveva essere pervaso da un grande fervore religioso nei confronti del Santo che induceva gli artisti alla sua raffigurazione ed infatti, come ho illustrato, le opere dedicate al santo sono moltissime ma
4 A.Venturi in L’arte, 1940
5 A.Marabottini in Raffaello giovane a Città di Castello, Città di Castello 1984
molte sono quelle disperse di cui ci resta documentazione ed io penso che sia ipotizzabile anche la dispersione di opere sconosciute.
Se osserviamo i disegni preparatori della pala con l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino di Raffaello, di cui ho già trattato nella parte riguardante Raffaello, possiamo notare alcune figure che non hanno attinenza con la pala. Caleca sostiene che nel foglio inv. 504v dell’Ashmolean Musem di Oxford la figura poco delineata sotto la mano di Sant’Agostino che regge la corona, sia uno studio per San Nicola che salva il bambino Puccio di Angelo dalle acque del fiume; quindi uno studio per la tavola di Detroit con la storia di questo miracolo dove il Santo appare squilibrato sulla sinistra, come nel disegno.
Non esistono altri accostamenti dei disegni alle tavole in esame se non questo proposto da Caleca. In effetti non sembra molto facile rintracciare qualche riferimento concreto in tali schizzi; la figura è tracciata in maniera molto sommaria e quindi non è di facile identificazione. Anche la veste più che un saio agostiniano potrebbe sembrare una tunica classica e quindi, semmai, accostabile alle figure in abiti classici , non identificabili, che appaiono in tutti e tre i dipinti: accostamento, comunque, molto aleatorio.
Non ho rinvenuto nessuna testimonianza della presenza di una predella per la pala di Raffaello con l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino. Alcuni scritti e cronache citano la pala di Raffaello in Sant’Agostino come ad esempio quella del Certini
6e del Conti
7che citano la pala di Raffaello nel descrivere la chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello.
Anche il Vasari parla dell’esistenza della pala senza però farne purtroppo nessuna descrizione. Il Lanzi invece, oltre a citarla ne fa una descrizione che ho già riportato ma che reinserisco perché, essendo l’unica descrizione arrivata fino a noi della pala andata distrutta, la ritengo molto importante:“Udii in Città di Castello che in età di diciassette anni dipingesse il quadro di San Nicola da Tolentino agli Eremitani. Lo stile fu peruginesco ma la composizione non fu la usata di quel tempo: un trono di N.D. con dei Santi ritti all’intorno. Quivi rappresentò il Beato a cui Nostra Signora e Sant’Agostino velati in parte da una nuvola cingono le tempie d’una corona: due Angioli e man destra e due a sinistra, leggiadri è in mosse diverse, con cartelle variamente piegate, ove leggonsi alcuni motti in lode del Santo Eremitano: al di sopra è il Padre Eterno fra una gloria pur di Angioli, maestosissimo. Gli attori sono come in un tempio, i cui pilastri van fregiati di minuti lavori alla mantegnesca e nelle pieghe dei vestimenti rimane in parte l’antico gusto, in parte è
6
corretto: così nel demonio che giace sotto i piedi del Santo, è tolta quella capricciosa deformità che vi poneano gli antichi, e ha volto di vero etiope”
8Dunque nemmeno il Lanzi cita la predella.
La presenza di una predella con storie del Santo, come era uso nell’esecuzione di pale per altari, è ipotizzabile ma non certa.
Alle dimensioni della pala in questione, che presumibilmente, come appare dalla ricostruzione della Bèguin, la ricostruzione più recente e più attendibile perché nata dopo l’ultimo ritrovamento, quello dell’angelo oggi al Louvre, erano di 2,30 metri di larghezza e 3,90 metri di altezza, ben si adattano le dimensioni dei quadri che potrebbero essere stati tre, intervallati da spazi vuoti o decorati fino al raggiungimento delle dimensioni della pala, o cinque posti uno accanto all’altro senza interruzioni, per un totale di 2,60 metri circa.
Ricapitolando questa analisi il quadro di Palazzo Reale a Pisa faceva parte sicuramente di un più vasto complesso smembrato insieme ai due quadri sopraccitati ubicati nel Museo di Detroit. In particolar modo si doveva trattare di una predella di una pala di vaste dimensioni dedicata a San Nicola da Tolentino di area umbro-marchigiana risalente al XV-XVI sec. e, come ho detto più sopra, l’unica pala d’altare da noi conosciuta, dedicata a San Nicola da Tolentino di tali dimensioni, circoscritta all’epoca a cui dovrebbero risalire le tavolette, è quella di Città di Castello.
Purtroppo le cronache dei visitatori della chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello, risalenti al periodo anteriore all’incendio che ha danneggiato la pala, non ci aiutano a far luce perché, accanto alla pala, non citano mai la predella.
La mano di Raffaello, del creatore delle meravigliose Madonne, dell’innovatore delle Stanze vaticane, del genio conosciuto in tutto il mondo non è ravvisabile in queste tavolette. Ma qui non stiamo parlando di un artista completo, che dopo contatti, esperienze, contaminazioni, aperture al nuovo, aveva preso coscienza della propria forza e aveva tracciato il proprio percorso artistico in maniera personalissima e d’impatto tale da rompere gli schemi preesistenti; qui stiamo parlando di un ragazzo di diciassette anni che, anche se dotato di talento fuori dal comune e vissuto da sempre respirando aria di bottega, era alla ricerca della propria voce e, non avendo ancora preso consapevolezza della propria forza artistica, si affidava a strade già tracciate. Come ho esposto nel primo capitolo l’imitazione del Perugino era palese nelle opere del giovane Raffaello a partire da La Crocifissione Gavari fino alla Sposalizio della vergine che segna l’apice di avvicinamento al collega più anziano.
La pala con l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino rientra in questo periodo di
8 Lanzi-Storia pittorica-1789 Bassano