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Della Pieve di Gavi

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Academic year: 2021

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Giovanni siasi valso del Riccomanni (col quale non raro trovasi in società) nel san Giorgio di mezzo rilievo, scolpito a gt an cura e superbo di molte figure che lo corteggiano. Di che spiegherebbonsi le sembianze di stile toscano onde s’ im- piontano le singole parti del mezzo rilievo medesimo; mo­ sti andosi il Riccomanno per l’ appunto discendente da quella scuola che dietro

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’ orma d’ Jacopo della Quercia ristorò l’ ita­ liana scultura.

Discorre inoltre il Preside per quali occasioni si innalzasse da. Giacomo e Matteo del Fiesco la cappella che è in Duomo e viene dai Fieschi denominata ; e rammenta il contratto del 1465 dove il detto Matteo si accorda al Bissone per l’ o­ pera dei marmi, e come Giovanni fornisse i modelli al gra­ zioso lavoro, nel quale pur sentesi lo stile del Riccomanno.

Il nome dei Bissoni conduce poi

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’ Alizeri alla descrizione della cappella del Precursore in Duomo, avendo appunto il già detto Pier Domenico ideata ed eseguita, forse unitamente al nipote Elia, quell’ opera sì ricca e mirabile, nella quale i due artefici meglio che un decennio si travagliarono.

XI.

Se z io n e di Ar c h e o l o g i a. Tornata del 3 A p rile 1875.

Tresidenxa del Preside avv. Pie r Co st a n t in o Re m o n d in i. Il socio prof. Santo Varni legge la seguente monografia

Della Pieve di Gavi.

Questa antichissima chiesa intitolata a santa Maria, e della quale io intesi parlare per la prima volta nel 1854 (trovan­ domi in Gavi), a proposito della scoperta di una ampolla vitrea onde toccherò in appresso, sorge a ponente un tre quarti d’ ora distante dal detto paese, in una penisola sulla

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sponda sinistra del Lem m e, lungo la strada che riesce a Castelletto d’ Olba. Essa era tuttavia molto fiorente nel se­ colo X IV , giacché nell’ atto onde a favore di papa Urbano V I furono colpite di una tassa straordinaria tutte le chiese sog­ gette all’ Arcivescovato di G enova, santa Maria di Gavi figura tra quelle che vennero maggiormente imposte. Al contrario, nel 1582 era già poco meno che abbandonata, con- ciossiacchè monsignor Francesco Bosio, visitatore apostolico, disponeva a riguardo della medesima : ^Altare maius solidum

jia t , alia duo lateralia diruantur. Ecclesia semper clausa reti­ neatur, praeter certis diebus quibus populi devotione ad eam est concursus ( 1 ) . A l presente però anche questa usanza, ia quale,

era intesa a celebrare il di della consecrazione, e si mantiene tuttora viva rispetto alla vicina Pieve di N ovi, è perduta. Bensì la chiesa col terreno circostante continua nella dipen­ denza, o meglio nel possesso dell’ arcipretura di Gavi ; ma ridotta ad usi agrarii, è tutta ingombra di carri, di botti e somiglianti.

Lo scorso anno poi, avendo io disegnato alcune sculture longobarde ed altre antichità cristiane, ripensai ancora a questa Pieve ; e ricondottomivi quindi impresi anzitutto ad esaminare la sua costruzione, non trascurando di visitare i cascinali e fenili circonvicini, nella cui muratura si vedono appunto ben di frequente impiegati dei materiali tolti all’ edificio della Pieve medesima, non esclusi alcuni ornamenti.

La facciata è di una struttura semplicissima, e guasta in qualche parte, come sarebbe nello ingresso di mezzo, di cui non si rileva più la forma originale. È poi decorata da sei lesene sporgenti 8 centimetri, e diverse l’ una dall’ altra quanto è della larghezza, le quali rinchiudono cinque spazi poco

( 1 ) V ed . Synodi diocesanae et provinciales etc. S. Geriuensis Ecclesiae, pag. 242.

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rispondenti anch essi l’ uno all’ altro nel fatto delle dimensioni, forse a motivo di qualche non bene inteso ristauro. I due pi imi a destra, uscendo dalla chiesa, sono larghi cent. 98 ; gli altri due a sinistra hanno invece una larghezza minore di cent. 94; e percio tutta la estensione della facciata, com­ preso lo spazio di mezzo, misura 8 metri e cent. 38. Le due lesene inoltre che sono all’ estremità si elevano all’ altezza di 5 metri; le altre seguitano l’ andamento del timpano, che si innalza fino a metri 8 e cent. 90, ed è coperto di una in­ tavolatura e di tegoli. Finalmente negli anzidetti spazi che 1 imangono fra le lesene corrono due archetti di tutto sesto, assai rozzi e disuguali nella giustezza della forma ; e cinque invece ne girano in quello di mezzo superiormente all’ in­ gresso decorato da un piccolo occhio; oltrecchè siffatti spazi erano anche adorni di pitture, delle quali in più acconcio luogo terrò quindi ragionamento. Si conosce pure come tutto all intorno della fabbrica girasse uno imbasamento dell’ altezza di circa 75 centimetri.

L ’ intero edificio è poi costrutto di grosse pietre alternate con ciottoli del sottostante fiume Lemme ; e ve ne ha di tir.ta rossastra e variata bellissimi, mentre i più sono di color ver­ dognolo e di un calcare durissimo. Bensi le lesene ed i co­ ronamenti degli archi nella parte esterna che prospetta il fiume sono composti di grossi embrici d’ argilla molto scura e di assai forte cottura, aventi una larghezza di cent. 46 circa per cent. 7 di spessore.

Alla porta d’ ingresso è poi sovrapposto un grande arco tutto di mattoni ; il quale da terra alla curva totale misura metri 6,30 d’ altezza, esso s’ imbasa sulla lesena a destra, e per una metà solamente su quella a sinistra, la quale tronca nel mezzo. Di che si rileva che tale arco è lavoro di un epoca posteriore alla costruzione della chiesa; e si conferma anche col riscontro di un altro arco girato egualmente sovra la

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porta medesima, ma nella parete interiore dell’ edificio, il quale oltre all’ essere di minor dimensione e regolare, rimar­ rebbe ad un’ equa distanza fra le due lesene e riuscirebbe proprio nel centro della fabbrica.

A l lato destro della chiesa è addossato un casolare di con­ tadini; il sinistro prospetta verso Gavi, ed ha una estensione di metri 19,50, compresi metri 3,50 occupati dallo sporto del-

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’ abside. Esso è affatto privo d’ intonaco, e lascierebbe così osservare la sua struttura in tutta la propria integrità, se in parte non la ricoprissero foltissime edere. L ’ ornano poi quattro arcate corrispondenti a quelle dell’ interno ; le tre prime sono alte metri 2,08 per 1,63 , mentre la quarta lo è soltanto metri 1,9 8 ; e distano metri 1,40 l’ una dall’ altra. L ’ arco è composto di grossi mattoni e pietruzze, e rinser­ rato da una costruzione, come dicesi, di calcestruzzo; e ri­ spetto alla terza arcata è da notare come vi si scorga innestata una colonna di mattoni, pezzi di tegoli, ecc., parendo che sovr’ essa s’ imbasasse un altro arco, il quale non si sarebbe elevato da terra che circa metri 1,56.

Vedonsi pure a breve distanza dai detti archi alcuni avanzi di costruzioni, i quali diconsi residui del cimitero che doveva essere contiguo alla chiesa ; e difatti riseppi da un villico es­ sersi ivi rinvenuta non lieve copia di ossa.

Seguita

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’ abside, il quale, come tuttor si rileva, è ornato da otto pilastri sporgenti quanto quelli della facciata, cioè circa 10 centimetri; i quali si dipartono dal menzionato im­ basamento, e variano anch’ essi alquanto così nella larghezza

come nella distanza, che riesce di circa cent. 88. Nel giro della curva ed in mezzo alle ridette lesene, sono tre finestre . a feritoia, sulla foggia delle costruzioni longobardiche. Del resto poi i mentovati pilastri si innalzano fino alla estremità del coronamento ; e fra l’ uno e l’ altro capiscono due archetti di tutto sesto, come quelli della facciata, costrutti di pietre e

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mattoni, e finienti con un semplice modiglione o mensola di pietra nostrana (i).

Due ordini di mattoni sporgenti

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’ uno sopra

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’ altro for­ mano quindi il coronamento, cui si addossa la copertura di tegoli; e siccome sono dipinti diagonalmente di bianco sulla estremità, formano così una specie di ornato.

L altezza dell’ abside da terra al coronamento è di metri 4 e cent. 42.

Interno della chiesa.

La chiesa nel suo interno è di forma semplice e quadri­ lunga; ed ha metri 15 di lunghezza e metri 5,65 di larghezza, non compreso lo sfondo dell’ abside che è lungo metri 3,87, largo metri 4,40 ed alto metri 5,79. Al qiAle abside gira in­ torno una fascia larga circa cent. 25. I tre finestrini poi che abbiamo già detto, sono 'di tutto sesto; hanno l’ altezza di cent. 97 e la larghezza di cent. 48 nella loro apertura interna, che poi finisce all’ esterno in soli cent. 18.

Lungo le pareti dei due fianchi inoltre si vedono praticati quattro sfondi semicircolari per ognuna di esse, corrispondenti agli accennati del fianco esterno ; e sovr’ essi apronsi altret­ tanti finestrini egualmente foggiati a feritoia, ma non corri­ spondenti ai vivi degli archi medesimi, i quali sfondano cent. 54. Solo è da ritenere quanto ho diggià avvertito, che gli ultimi due sono di minore altezza (2).

In qual modo poi le dette finestre fossero riparate contro 1’ aria esterna, io non rinvenni alcuna traccia per giudicarne. Certo esse non lo erano col mezzo di vetri, il cui uso non . sì generalizzò che negli ultimi cinque secoli ; ma forse sa­

ranno state difese da tele inoliate, in quella guisa che più comunemente si praticò nei secoli anteriori. Potrebbesi

(r) Ved. T avo la I, num. 1.

(z) V edasi la pianta dell’ edificio, nella T a v . I , num . 2.

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anche sospettare che fossero otturate con lastre di marmo specolare, giusta il costume orientale adottato in Italia nel- 1’ undicesimo secolo ( i ) ; ma la povertà del luogo ci par che tolga fondamento a questo sospetto.

Nello spessore del muro si vedono due tozze colonne ; P una delle quali intonacata di stucco ed avente il capitello coperto dalla muratura. Esso, come già dissi, è di cotto; ed è abbastanza ben conservato trovandosi al riparo dalle intem­ perie. Sembra vi fosse pure una base ottagona, ma è cosi frantumata che non se ne può indagare la forma. Corre poi all’ intorno d’ ogni arco una fìnta costruzione di pietre a scacchi bianchi e neri, come si costumava in ispecie nel secolo X V .

La copertura dell’ edificio era di legno , ma oggi è inte­ ramente perduta ; di guisa che le travature vennero supplite i da tronchi d’ albero.

T)i alcuni avanci d’ ornato e della mensa.

Dei diversi ornamenti, scolpiti nella consueta arenaria del del paese, che dovettero un tempo fregiare questa chiesa, og­ gidì rimangono appena pochissimi avanzi. Il primo di essi si incontra adoperato nella costruzione di un pilastro esterno del- 1’ abside, ed è una treccia la quale crederei che decorasse in origine tutto all’ intorno

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’ abside stesso (2). Similmente nello interno dell’ edificio, e del pari nell’ abside, si ha un altro avanzo di treccia; ma è più ricca correndole al di sotto un meandro a doppi giri (3).

Cinque altri avanzi trovai quindi murati nelle cascine e nei fenili vicini, oltre una targa di un’ epoca posteriore ed un fram­ mento di capitello in marmo ornato d’ ovoli, baccelli e fuse- ruole (4).

( 1 ) Be r t i, Cenni storico-artistici ecc. di San Miniato al Monte, pag. 88. (2 ) V e d . T a v . I I , num . 7.

(3) Q u esto pezzo è alto cent. 20, e lungo cent. 35. (4 ) V e d . T a v . I I , num . 6.

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"V i ha pure la pietra che già servì di mensa all’ altare, avente lo spessore di centimetri 11, lunga metri 1,60 e larga metri 1 ,1 0 ; e sono da osservare al proposito due eguali pietre, le quali vedonsi prodotte l’ una dal Bosio e

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’ altra dal Boldetti come esistenti nei cimiteri di Priscilla e dei santi Marcellino e Pietro (1). Soggiunge anzi il Martigny di aver veduto egli stesso nel cimitero di Callisto le traccie di quattro pilastri, i quali doveano sostenere un altare non dif­ ferente al certo da quello del Boldetti medesimo (2). Dirò ancora che uno dei predetti cinque avanzi faceva parte cer­ tamente del paliotto sottostante alla mensa, come si riscontra in altri antichi monumenti ; ed è composto di un intreccio a più giri con croci ed altri simboli cristiani (3). Ne abbiamo parecchi esempi in frammenti di antiche scolture che ci riman­ gono, e tra gli altri uno a santa Maria di Castello. Altri esi­ stevano in san Domenico e vennero distrutti ; altri se ne incentrano nelle chiese delle nostre riviere ; ma più frequenti assai occorrono tuttora nelle antiche costruzioni venete e lon­ gobarde. Aggiungerò che un paliotto di tal genere vedesi ri­ tratto in uno dei bassirilievi che ornano 1’ atrio della chiesa di san Martino in Lucca ; e che un altro può . eziandio ri­ scontrarsi nella miniatura di un evangeliario del IX secolo, prodotta per fac-simile dal Gazzera, laddove è espresso Vara- mundo vescovo d’ Ivrea (4).

(2) B o s i o , ‘lIonia sotterranea e c c .; Bo l d e t t i, 'Osservazioni -sopra i cimiteri de’ santi martiri ed antichi cristiani di Roma, p a g . 35 , n u m . 2.

(2) Ma r t ig n y, ‘Dictionnaire des antiquités chrétiennes e tc., p ag. 58. (3) Riproduco tre di questi fram m enti ai num eri 3 6 4 d e lla T a v . I , e num ero 5 della T a v . II. Il num. 3 rappresenta q u e llo che o rn a v a la mensa.

(4) G a z z e r a , Delle iscrizioni cristiane antiche del Piemonte, ecc. E stra tto dalle Memorie della CR_. Jiccademia delle sciente di Torino, S e rie II, tom o X I ; pag. 77, tavola IV .

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D i un vaso vitreo che era murato sotto la mensa.

Ma ciò che riesce di maggior interesse è una ampolla, la quale vedeasi già murata con calce sotto la mensa predetta, appunto in quella guisa che ne’ secoli primitivi si usò collo­ care i vai,i e le ampolle nei cimiteri. Io 1’ ebbi in dono, fino dal 1854, dal contadino conduttore della cascina parrocchiale.

Essa è di vetro bianco e di forma rotonda, con largo collo, ornata all’ intorno da sei bolle di colore dello smeraldo, e sospese a somiglianza di quanto si vede nel libro dei sette sigilli ; mentre il collo è ornato anch’ esso da linee dello stesso colore, le quali producono sul fondo bianco un risalto bellissimo. Il piede poi è formato da un orlo

(i)-Quanto alla forma, io oserei dirla non punto comune, se . J 1

vogliasi riscontrare con quelle mólte che sono riportate a Buonaroti, dal Bosio, dal Boldetti, ecc., 0 che si trovano rap­ presentate nelle agapi. Soltanto essa ha qualche rassomiglianza con uno di quei vasi vitrei destinati a contenere il sangue dei martiri e riferito dall’ Uggeri, benché sia baccellato all in­ torno e privo di ogni ornamento (2). Sibbene esso è identico ad un vaso del Museo cristiano del Vaticano, il quale si ^ede prodotto in una importantissima raccolta fotografica (3) > nonché a cinque lampade che si osservano in una pittura greca esprimente la sepoltura di san Pietro, sospese a ~or

doncini raccomandati a piccole anse (4). Donde si deduce la pluralità degli usi cui' tali vasi poteano venir destinati. E si^ milmente s’ incontrano adoprati all’ uso medesimo in uno dei bassirilievi della porta in bronzo della cattedrale di Pisa, che

( 1 ) V ed. T a v . I I , num. 8.

(2) Ug g e r i, Journées pittoresques dans les environs de Rome; tav. XVIII-(3) V ed . Antiquités chrétiennes photographiées par m. Ch. S inietti* R om a, 1 8 7 0 ; tav. 59.

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si attribuisce a Bonanno ; nonché in altre delle storie che or­ nano quelle del Duomo di Monreale. Riguardo poi alle bolle, o sigilli che dir si vogliano, io inclinerei a credere che essi aver debbano qualche mistico significato, massimamente se si riguardi a quei vasi prodotti dai più volte citati Bosio e Boi- detti , nonche dal D’ Agincourt (1) e dal Ferrario (2) , i quali appunto di palme, di colombe, d’ agnelli, o d’ altra latta simboli del pari veggonsi decorati. Aggiungerò che gli scultori avanti il risorgimento dell’ arte si mostrarono an­ eli essi imitatori fedelissimi, ritraendoci cotali vasi e simboli nelle loro composizioni; secondo che ce lo confermano alcuni accessorii posti sovra le mense, e che io trovo identica­ mente ripetuti in più monumenti. Fra essi, ad esempio, io incontro sempre un’ ampolla assai larga di collo ed allungata nel fusto ; e la riveggo eziandio fra le mani di un san Gio­ vanni battezzante espresso in un piccolo marmo il quale ser­ viva d’ imposta d’ arco, e serbasi ora nella mia privata col­ lezione (3). Dirò ancora che di tali simboli od animali sim­ bolici e simili si componevano ancora gli stessi arredi sacri, esprimendo lotte d’ animali ecc. Ma un bell’ esempio, sotto questo rispetto, ci viene offerto dal T exier, laddove ri­ ferisce un ciborio del secolo XII, foggiato a guisa di co­ lomba e proveniente dalla chiesa di Raincheval (4). Un altro pure ne riferisce il Piot nel Cabinet de l’amateur (5). Del resto soggiunge il Texier che fino alla rivoluzione del secolo

( 1) D ’ Ag in co u rt, Storia dell’ arte, ecc., vo l. I.

(2) Fe r r a r io, Monumenti sacri e profani della Basilica di s. ^Ambrogio in Milano.

(3) L o comprai diversi anni or sono, e m i fu detto ch e p ro ve n iva d alle parti di Albenga. Il suo stile parmi che si avvicini a q u ello d e ll’ arca m arm orea del Battista, la quale serbasi nel nostro D u om o.

(4) Te x ie r, ‘Dictionnaire d’ orfèvrerie etc., col. 454, 14 7 0 e 14 8 0 . (5) Années 186 1 et 1862, pag. 15 7 .

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che ci ha precorsi, quest’ usanza e questa forma di conserva­ zione della Eucaristia fu osservata da un gran numero di

chiese, e principalmente nei monasteri ( i) .

Ma rifacendomi ora alla nostra ampolla, noto pure che nello interno della medesima era riposta una piccola idria di legno di bella forma lavorata al tornio, munita di coperchietto e decorata al di fuori da ornamenti o linee a colori, di cui si vedeano ancora le traccie (2). Ed anche questa io m ebbi dal contadino summentovato ; il quale per ultimo mi mostrò una piccola pergamena a guisa di nastro che si rinvenne chiusa nell idria medesima, ma eh’ egli avea incautamente lavata pei modo da farne scomparire ogni traccia di scrittura. Ceito e però che la pergamena dovea serbar memoria della consecu­ zione della Pieve ; si come una piccola pergamena chiusa in un vasetto consimile serbava ricordo della consecrazione del nostro Duomo avvenuta l’ anno 1 1 1 8 per l’ opera di PaPtl Gelasio II ( 3 ) . È noto d’ altronde che siffatte memorie erano per 1 appunto iscritte assai, d’ ordinario su piccole striscie o pezzetti di pergamena.

Delle Pitture.

La parte che riguarda i dipinti è meno antica delle altre fin qui discorse, e perciò l’ abbiamo rimandata a questo luogo. E prima di tutto rifacendoci alla facciata, osserviamo negli spazi interposti fra le lesene un qualche segno di colore e qualche graffiatura che sono appunto indizio di dipinti. Nti due riparti poi che fiancheggiano l’ ingresso ne rimangono

( 1 ) T e x i e r , col. 454. (2) V ed . T avola I I , num. 9.

(3) Q uesto vasetto con la pergamena, nonché 1’ ampolla della Pieve di G a v i, furono con più altre reliquie di sacra antichità da me ritratti nei disegni che giovarono alle nuove tarsie eseguite nel Coro del nostro

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tuttoia degli avanzi. Difatti in quello che resta a manca del riguardante mirasi una Nostra Donna col Divin Figlio in brac- cio ( i) ; ed appena è se ancora si conosca la parte superiore della composizione, di che nondimeno mi riuscì cavare un lu­ cido. La Madonna ha il capo cinto di una corona foggiata a punte, come si riscontra nelle miniature greche e latine dei secoli X e X I, e che pur costumarono i pittori del X V , come ad esempio vale a convincercene la tavola del Crivelli prodotta dal D’ Agincourt (2). Nella sottoveste poi si scor­ gono ancora le traccie di un panno rabescato, come i lavori dei quattrocentisti ed anche dei cinquecentisti. Il Bambino, del quale potei a grave stento rilevare il contorno, è affatto ignudo, e posto in atto di benedire. Dal lato destro invece veggonsi solamente i piedi di una figura, la quale, a giudicare dalle proporzioni dei medesimi, deve essere stata rappresentata di una grandezza oltre 1’ ordinario ; e ciò posto insieme con la esistenza di alcuni pesci i quali vedonsi tracciati in prossimità del piè destro, io mi induco a credere che il pittore abbia quivi espresso un san Cristoforo. Ad avvalorare la qual con- ghiettura concorre pur grandemente il ricordo di alcuni rami ed avorii esprimenti il detto santo, ai cui piedi guizzano appunto dei pesci, ed il sapere il medesimo venerato assai in quelle cir­ costanze dove hanno titolo dal suo nome un villaggio ed una chiesa. Stando poi alla forma del dipinto, questo si direbbe non tanto di antica data quanto di un poco valente autore.

Nel mezzo poi. dell’ abside, il campo del quale è tutto se­ minato di stelle fiammeggianti, mirasi ritratta sovra uno spesso strato di intonaco una Nostra Donna di forme gigantesche , seduta sopra di un trono, in quella foggia nella quale si vede

(1) Lo spazio occupato dalla dipintura è di cent. 90 di larghezza per cent. 80 di altezza.

( 2 ) D’A g i n c o u r t , Stona ecc., tav. C X X X V III. — V eggasi il busto di questa immagine al num. 10 della Tavola II.

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in presso che tutte le antiche cattedrali non solamente in opere di dipinto ma eziandio di mosaico rappresentato 1’ E- terno Padre. Il trono è colorito di giallo, e per la torma si accosta a quelli che usarono in ispezial modo gli artefici lom­ bardi cosi frequenti pel secolo X V nella Liguria marittima e montana.

La Beata Vergine tiene colla destra il Divin Figlio, e reca al petto la sinistra ; ha il capo coperto da una specie di nimbo e cinto da una corona a punte, finienti come in un trifoglio ; la quale corona, al pari di quella del Bambino, cam­ peggia sovra una grande aureola. Un manto di tinta rossa annodatole sul dinanzi, ricopre quasi tutta la persona, lasciando scorgere soltanto porzione della tunica bianca ; e nei piedi ha calzari scuri, come appunto si riscontra nelle antiche pitture. Il Bambino indossa una tonaca di lacca scura, strettagli ai fianchi da una larga fascia color verde ; la qual foggia si ri­ scontra pure nel dipinto della Beata Vergine che si venera nella chiesa di santa Maria di Valle presso Gavi, e vedesi adoprata sì da varii pittori (fra i quali è Guido da Siena) e sì da veneti scultori.

Intorno all’ autore del dipinto io non oserei nè saprei pro­ nunciarmi ; dirò solo che non vi trovo alcuna rassomiglianza con le pitture dello esterno sovra accennate, nè colle altre sparse per quei dintorni, delle quali pur vidi un buon numero come già accennai in una mia descrizione della gran pala di Manfredino da Castelnuovo, onde anche mi occorse notare che recano ben di frequente l’ impronta (i). Della testa della Madonna (2), siccome di una mano e d’ un piede del Putto, ho potuto a stento cavare un lucido ; ma non riuscii a spiegare a me stesso perchè mentre le teste sono disegnate con una

( 1 ) V ed i il giornale Michelangelo, num. 12 (21 aprile 1855). (2) V ed . T a v . I I , num. 1 1 .

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