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La condizione umana. Un libero adattamento cinematografico dei racconti di Primo Levi

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

2

I.

Primo Levi

7

La vita e le opere ... 7

II.

Il mondo di Primo Levi

27

La memoria e il tempo …... 30

La morale …... 37

Il doppio …... 41

Il lavoro …... 44

Il fantascientifico …... 49

I sogni …... 53

III.

Il fabbricante di specchi

57

IV.

Adattamenti dei testi di Primo Levi 66

La condizione umana

73

Esempi di scena

128

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Introduzione

Primo Levi è l'autore del racconto dal quale ho tratto l'adattamento cinematografico dal titolo La condizione umana. È noto al grande pubblico soprattutto per essere reduce da uno dei più terribili lager nazisti ed aver descritto questa drammatica esperienza in uno dei suoi libri più conosciuti, letti e discussi:

Se questo è un uomo. L'etichetta di testimone della Shoah però nel suo caso è

limitante e alquanto riduttiva, l'attività di testimonianza resterà una costante importante lungo tutto il corso della sua vita, ma va tenuto presente quanto in realtà Levi sia un autentico intellettuale: può essere considerato tra i maggiori scrittori europei del secondo novecento, un autore che ha saputo impegnarsi su questioni politiche e letterarie e produrre un vero e proprio pensiero.

Uomo versatile, è stato un appassionato lettore, un chimico, uno scrittore, un poeta, un romanziere, un narratore, un drammaturgo, un saggista e infine un traduttore e prefattore (onore che spetta a colui che ha già una buona fama). Appassionato – tra le tante cose – di antropologia, linguistica e zoologia, ha saputo esplorare la scrittura spaziando tra vari generi e forme, dall'autobiografico al fantascientifico, dal romanzo al racconto, dalla poesia al saggio. Primo Levi è stato un autorevole testimone (riconosciuto come tale dalla nostra cultura, fino a essere diventato, in certe occasioni, un'icona) e uno scrittore che per la precisione linguistica, la complessità e ricchezza della sua produzione letteraria è da considerarsi tra i più completi.

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linguistica (ho sempre apprezzato il suo modo chiaro e conciso di esprimersi, senza amplificazioni o retorica, e la sua vena sarcastica e pungente), tematica, ma anche intellettuale. Mi sono accostata alla sua opera, come molti della mia generazione, leggendo Se questo è un uomo tra i banchi di scuola, e mi ha colpito il suo alto livello morale, il fatto che sia rimasto sempre lucido e pacato, che non abbia permesso che l'odio per i suoi aguzzini offuscasse il suo sguardo e il suo giudizio. Così sono cresciuta leggendo e approfondendo grande parte della sua produzione letteraria, e come molti dei suoi fedeli lettori ed estimatori lo considero una guida, un autore che sa regalare conoscenza ed emozioni. Mi sembra importante, per diverse ragioni, riscoprire la parte meno nota e discussa di questo grande autore: la sua produzione di narrativa breve.

Tutti i suoi libri sono fondati sull'acuta osservazione dei comportamenti umani, i suoi racconti non fanno eccezione. Sono storie che non hanno perso lo smalto con gli anni, ci parlano ancora di noi, affascinano e colpiscono, divertono e inquietano, ma soprattutto ci insegnano qualcosa. Le affinità con l'attualità sono molte: nei suoi racconti Levi ci parla dell'accelerazione dei processi tecnologici, dell'uso di intelligenze artificiali, del sottosviluppo, delle alterazioni dell'equilibrio ambientale, dei mass media e della pubblicità; e non meno importante, della percezione della propria immagine, un tema di strettissima attualità nell'epoca del culto dell'immagine quale è la nostra.

Ho scelto di dare all'adattamento cinematografico un titolo diverso rispetto al racconto originale dal quale è tratto (Il fabbricante di specchi), perché in parte è diventato qualcos'altro: il racconto di Levi rimane il nucleo, la base sulla quale è

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poggiata la storia, che poi sviluppandosi prende una sua strada personale, ma mai slegata dal racconto e dal “mondo narrativo” di Primo Levi. Il legame infatti si allarga, abbracciando temi, echi, atmosfere e personaggi presenti nella sua opera, in special modo nelle opere di narrativa breve. L'adattamento non è quindi la fedele trasposizione cinematografica di un singolo e breve racconto, al suo interno si trovano riferimenti e collegamenti diretti o indiretti con molti dei suoi racconti e dei suoi scritti, in alcuni casi persino con elementi biografici.

Ho scelto di chiamarlo La condizione umana per due motivi: in primo luogo non volevo che il titolo avesse funzione descrittiva o esplicativa, ma che mantenesse un certo mistero, come usava fare con le sue opere figurative René Magritte. Nello stesso tempo volevo avesse un collegamento reale con l'argomento trattato e con l'autore originale, in questo senso credo sia innegabile l'importanza dell'apporto di Levi allo studio della condizione umana, infatti, tutti i suoi libri sono fondati sull'osservazione acutissima dei comportamenti dell'essere umano.

In secondo luogo il titolo è una citazione di un'opera di un artista che amo molto, il sopracitato René Magritte. La sua Condizione umana fa parte di una serie di quadri (tutti raffiguranti un cavalletto posto davanti una finestra, il cui dipinto rappresenta esattamente la porzione di paesaggio nascosta alla vista del quadro), in cui l'autore gioca con la percezione della realtà. Trovo che il tema dell'opposizione realtà/illusione abbia molte affinità con la storia che ho cercato di raccontare e quindi mi sembrava calzasse perfettamente.

Quella del titolo non è l'unica citazione diretta estranea al mondo di Levi, all'interno del mio adattamento, vi ricompare Magritte (di cui mi hanno ispirato le

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parole: «[...] e io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero»1), ma anche

altri autori letterari quali Tolstoj2 e i Wu Ming3.

La tesi si compone principalmente di due parti. La prima è un percorso attraverso l'opera di Primo Levi: la vita, la produzione letteraria, l'analisi di temi, echi, atmosfere e personaggi ricorrenti. Il mio obiettivo principale è stato quello di illustrare e descrivere un cammino, quello di Levi, che non è stato lineare, ma ha piuttosto un andamento ciclico e circolare, fatto di riprese e ritorni, segnato dalla compresenza di temi e motivi ricorrenti.

La seconda parte è la realizzazione di un adattamento cinematografico legato fortemente alla produzione narrativa di Levi, e in particolar modo al racconto dal titolo Il fabbricante di Specchi.

Per capire Primo Levi e la sua opera e poterla approfondire è fondamentale conoscerne la vita e il lavoro, per questo nel primo capitolo mi sono soffermata raccontando chi fosse attraverso i principali avvenimenti biografici e la sua produzione letteraria. Ho ritenuto di avvalermi spesso delle parole dello stesso scrittore, riprese da varie fonti (in special modo dai suoi racconti e dalle interviste rilasciate), in quanto la sua estrema semplicità e chiarezza, unita alla straordinaria efficacia espositiva – che sfocia spesso in forme di autoanalisi – rendevano, in certi casi, superfluo un mio intento interpretativo.

Circa la scelta tematica che ho affrontato nel secondo capitolo, ho ritenuto di non parlare del Levi ebreo e deportato, di alcuni temi importanti legati alle sue opere

1 R. Magritte, citazione in Magritte, D. Quaranta (a cura di), Milano, Rizzoli-Skira (Ed. speciale per il Corriere della Sera), 2004, p. 168

2 L. Tolstoj, Anna Karenina, Torino, La Stampa Editrice, 2003.

L. Tolstoj, La sonata a Kreutzer, Roma, L'Espresso (Gruppo Editoriale), 2011. 3 Wu Ming, 54, Torino, Einaudi, 2008.

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più famose, ma di concentrarmi su alcuni argomenti presenti nei suoi racconti, che ho cercato poi di trasferire nel mio adattamento. La scelta per ovvi motivi non può considerarsi esaustiva.

Negli ultimi due capitoli della prima parte, l'attenzione si concentra sul racconto Il

fabbricante di specchi e su alcuni riferimenti ai vari adattamenti (radiofonici,

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I

Primo Levi

La vita e le opere

Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919 nella casa dove abiterà poi per il resto della vita. La sua è una famiglia borghese di origini ebraiche (Levi descriverà il carattere e le tradizioni dei suoi antenati nel racconto di apertura de Il sistema

periodico, Argon). Il padre, Cesare, è un ingegnere elettronico curioso di ogni

forma di cultura e appassionato di letteratura, musica e filosofia, materie coltivate in tutti i momenti lasciati liberi dal suo lavoro che lo porta spesso a viaggiare anche all'estero. Levi ricorda il padre come un uomo estroverso, moderno per i suoi tempi, amante del buon vivere e accanito lettore (si era fatto preparare un cappotto con delle tasche interne capaci di ospitare almeno tre libri di diversa taglia), ma poco curante delle cose di famiglia; ammette che tra lui e il padre non c'è mai stata gran comprensione. Anche la madre è un'appassionata di letteratura e assidua lettrice, in questo clima familiare particolarmente fervido dal punto di vista intellettuale Levi cresce avido di conoscenza. Il padre sarà molto importante per la sua formazione culturale, poiché lo indirizza nel campo della scienza regalandogli libri quali quelli dell'astronomo francese Camille Flammarion,

Astronomie populaire e Les étoiles et les curiosités du ciel (capaci di dargli le

prime inquietanti sensazioni della misteriosa profondità dell'universo) e il testo del premio Nobel per la Fisica (1915) William Bragg, L'architettura delle cose. Il

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giovane Levi si invaghisce delle cose chiare e semplici che vi trova descritte e decide che sarebbe diventato un chimico. A Ferdinando Camon racconta:

Io ho scelto di interessarmi di Chimica che ero un bambino, avevo 14/15 anni; perché mi appassionava il parallelismo tra la formula scritta sulla carta e quello che avviene in provetta: mi sembrava già allora qualcosa di magico e la chimica mi sembrava la chiave principale per aprire i segreti del cielo e della terra, e aver letto allora che uno spettroscopio permette di conoscere la composizione chimica di una stella, mi sembrava uno dei massimi poteri dell'uomo.4

Nel 1938 il governo fascista emana le prime leggi razziali, agli ebrei non è più consentito frequentare le scuole pubbliche, tuttavia chi è già iscritto all'Università può proseguire negli studi. Levi, che dopo il liceo si è iscritto alla facoltà di Chimica di Torino, spiega nel racconto Ferro la passione crescente per la chimica:

Incominciammo a studiare fisica insieme, e Sandro fu stupito quando cercai di spiegargli alcune delle idee che a quel tempo confusamente coltivavo. Che la nobiltà dell'Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele. Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l'universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime!5

4 F. Camon, Conversazione con Primo Levi, Milano, Garzanti, 1991, p. 69 5 P. Levi, Il sistema periodico, in Tutti i racconti, Torino, Einaudi, 2005, p. 399

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La chimica quindi come studio della materia (dal latino “mater” che significa madre, ed è il fondamento di cui tutti siamo fatti), fatta di formule e di ordine, vista come chiave interpretativa dell'universo avvolto da oscuri ed affascinanti significati, ma anche come «qualcosa di magico»; è vita, poesia, etica e persino una sorta di scuola politica, l'antidoto naturale al regime, perché abitua al rigore ed è mossa dall'amore per la verità, Levi infatti prosegue:

[…] lui, [Sandro] ragazzo onesto ed aperto, non sentiva il puzzo delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un'ignominia che ad un uomo pensante venisse richiesto di credere senza pensare? Non provava ribrezzo per tutti i dogmi, per tutte le affermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi?Lo provava: ed allora, come poteva non sentire nel nostro studio una dignità e una maestà nuove, come poteva ignorare che la chimica e la fisica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé vitali, erano l'antidoto al fascismo che lui e io cercavamo, perché erano chiare e distinte e ad ogni passo verificabili, e non tessuti di menzogne e di vanità, come la radio e i giornali?6

Levi si laurea nel 1941 a pieni voti e con lode, è in cerca affannosa di un lavoro perché il padre è morente a causa di un tumore e la famiglia è a corto di mezzi. Trova un impiego semi-legale nel laboratorio di una cava d'amianto nei pressi di Lanzo, è incaricato di isolare il nichel che si trova in modeste quantità nei materiali di scarto (esperienza raccontata poi in Nichel, altro racconto de Il

sistema periodico). È il periodo in cui comincia a sperimentare con le prime

poesie e ipotizza i primi racconti. L'anno seguente trova una sistemazione

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migliore presso un'azienda svizzera con sede a Milano – la Wander – produttrice di estratti ormonali, impegnata nella ricerca di un prodotto farmaceutico capace di costituire un rimedio efficace contro il diabete. A Milano vive con un gruppo di amici torinesi, insieme riescono a costruire un'allegra e provvisoria comunità solidale in un'Italia che si avvia verso l'armistizio dell'8 settembre. L'architetto Eugenio Gentili Tedeschi, che faceva parte di questo gruppo, ricorda che Levi impressionava i suoi amici per la qualità della sua fantasia, tutti gli pronosticavano un brillante avvenire di scienziato e ripetevano ammirati: «Primo sa tutto».7

Nel 1943 entra nel Partito d'Azione clandestino e poi si unisce a un gruppo partigiano che opera in Val d'Aosta, ma l'esperienza dura poco, all'alba del 13 dicembre è arrestato con altri due compagni e deportato nel campo di detenzione di Carpi-Fòssoli. Nel febbraio del 1944 viene trasferito, in quanto ebreo, nel campo di sterminio di Auschwitz III- Monowitz, vi rimarrà undici mesi, fino alla liberazione del campo da parte dell'esercito sovietico il 27 gennaio 1945.

Levi attribuisce la sua sopravvivenza a una serie di circostanze fortunate: in primo luogo il fatto che la deportazione sia avvenuta all'inizio del '44, in un periodo in cui i tedeschi per carenza di manodopera rallentarono il ritmo del sistema di sterminio. Fondamentale è stata la sua conoscenza sufficientemente estesa del tedesco, che gli ha permesso di capire gli ordini e di avere un orientamento necessario in quella babele di disperati. Provvidenziale è stato poi l'incontro con Lorenzo, il muratore civile italiano che lavorava in cantiere e gli ha procurato per

7 Citazione tratta da E. Ferrero (a cura di), Introduzione, in Primo Levi: un'antologia della critica, Torino, Einaudi, 1997, p.XI

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sei mesi una razione in più di cibo che Levi divideva col suo compagno ed alter-ego Alberto. Il suo aiuto non è stato solo materiale, grazie a Lorenzo, Levi ricorda che esiste anche un mondo giusto, fatto di persone generose, estranee all'odio e alla paura; il suo contatto gli rammenta di essere ancora un uomo (l'importante figura di Lorenzo ci viene raccontata da Levi sia in Se questo è un uomo che nel bellissimo racconto pubblicato in Lilìt e altri racconti, Il ritorno di Lorenzo). Anche il suo mestiere di chimico gli viene in soccorso, sostenendo un esame di ammissione Levi riesce a lasciare l'inutile lavoro di fatica ed avere accesso al laboratorio chimico che lo riparerà dal gelo dell'inverno, ma non dalla scarlattina, ultima e decisiva fortuna di Levi narrata nel racconto Pipetta da guerra. Levi si ammala infatti, nel momento in cui i tedeschi in fuga dall'Armata Rossa evacuano il campo con tutti i prigionieri in grado di camminare, la maggioranza, compreso Alberto, morirà durante il lungo tragitto. Levi, abbandonato con gli altri malati in infermeria, riesce a gestire la sopravvivenza per dieci disperati giorni in cui ritrova la capacità di gestire le emergenze e l'inventiva per far fronte alle prime necessità. A Ferdinando Camon confida che ad Auschwitz gli sembra di aver imparato a conoscere la sostanza di cui sono fatti gli uomini: è stata quella la sua vera università e, nonostante tutto, ne ha tratto un arricchimento. Proprio perché ha vissuto un'esperienza perversa, ai limiti dell'immaginazione, si attiva in lui la predisposizione naturale che è propria dell'analista e del testimone: sceglie di osservare, memorizzare e ricordare i minimi dettagli. Il dovere della testimonianza e del racconto, ma anche la paura di non essere ascoltato o creduto, sono i sentimenti che lo tormentano. È da questa necessità che comincia a scrivere: lo

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farà già all'interno del lager, pur sapendo di non poter conservare quei foglietti con le sue impressioni, se non a rischio di punizioni estreme. Continuerà una volta tornato a casa, dopo un viaggio assurdo e interminabile attraverso l'Europa dell'est devastata dalla guerra. È nel racconto Cromo che descrive questa intensa attività:

[...]Ma io ero ritornato dalla prigionia da tre mesi, e vivevo male. Le cose viste e sofferte mi bruciavano dentro; mi sentivo più vicino ai morti che ai vivi, e colpevole di essere uomo, perché gli uomini avevano edificato Auschwitz, ed Auschwitz aveva ingoiato milioni di esseri umani, e molti miei amici, ed una donna che mi stava nel cuore. Mi pareva che mi sarei purificato raccontando, e mi sentivo simile al Vecchio Marinaio di Coleridge, che abbranca in strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi. Scrivevo poesie concise e sanguinose, raccontavo con vertigine, a voce e per iscritto, tanto che a poco a poco ne nacque poi un libro: scrivendo trovavo breve pace e mi sentivo ridiventare uomo, uno come tutti, né martire né infame né santo, uno di quelli che si fanno una famiglia, e guardano al futuro anziché al passato.8

Il ventiseienne chimico viene assunto all'inizio del 1946 in una fabbrica di vernici, la Duco di Avigliana, senza che gli venga affidata una vera mansione. Durante tutto questo tempo libero quindi continua a scrivere: «Io, vacante come chimico ed in stato di piena alienazione […] scrivevo disordinatamente pagine su pagine di ricordi che mi avvelenavano, ed i colleghi mi guardavano di sottecchi come uno squilibrato innocuo».9 In realtà molti anni dopo, in un'intervista con Germaine

Greer ammetterà di aver costruito una leggenda intorno alla composizione

8 P. Levi, Il sistema periodico, in Tutti i racconti, cit., p. 501 9 Ivi.

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frenetica e spontanea di Se questo è un uomo, come sottolinea anche Ernesto Ferrero: «Non v'è mai nulla di disordinato, improvvisato, approssimativo in Levi. La scrittura così vicina alle pratiche quotidiane dell'artigianato, in cui non è concesso barare, è per lui un atto sommamente consapevole. “Gira” mentalmente il suo film a scene separate, ma presiede con attenzione al montaggio».10

È dopo l'incontro con Lucia Morpurgo, che lo sposerà nel 1947, che comincia a percepire in maniera diversa quello che diventerà il suo secondo “mestiere”:

In poche ore sapemmo di appartenerci, non per un incontro, ma per la vita […] mi ero sentito nuovo e pieno di potenze nuove, lavato e guarito dal lungo male, pronto finalmente per entrare nella vita con gioia e vigore; altrettanto guarito era ad un tratto il mondo intorno a me, ed esorcizzato il nome e il viso della donna che era discesa agli inferi con me e non ne era tornata. Lo stesso mio scrivere diventò un'avventura diversa, non più l'itinerario doloroso di un convalescente, non più un mendicare compassione e visi amici, ma un costruire lucido, ormai non più solitario: un'opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s'industria di rispondere ai perché. Accanto al sollievo liberatorio che è proprio del reduce che racconta, provavo ora nello scrivere un piacere complesso, intenso e nuovo […]. Era esaltante cercare e trovare, o creare, la parola giusta, cioè commisurata, breve e forte […]. Paradossalmente il mio bagaglio di memorie atroci diventava una ricchezza, un seme; mi pareva, scrivendo, di crescere come una pianta.11

Contemporaneamente a questa presa di coscienza Levi si licenzia e prova per un breve periodo quella che si rivela una frustrante esperienza di lavoro autonomo

10 E. Ferrero, Primo Levi: la vita, le opere, Torino, Einaudi, 2007, pp. 26-27 11 P. Levi, Il sistema periodico, in Tutti i racconti, cit., p. 503

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(come “consulente chimico”) con un amico. Poi si sposa (con Lucia avranno due figli) e trova lavoro in una piccola fabbrica di vernici a Settimo Torinese – la Siva – in pochi anni percorre una brillante carriera aziendale, diviene prima direttore tecnico e poi direttore generale, incarico che manterrà fino alla pensione (1975).

Se questo è un uomo, la testimonianza della sua detenzione ad Auschwitz, viene

inizialmente rifiutato da Einaudi e stampato in poche copie dalla piccola casa editrice De Silva nel 1947, in un periodo in cui tutti intorno a lui cercano soltanto di dimenticare la sua opera passa, inevitabilmente, quasi del tutto inosservata. Ma il contagio della scrittura non abbandona Levi che continua a scrivere pagine che più tardi confluiranno nelle raccolte di racconti.

Nel decennale della liberazione di Auschwitz afferma:

A 10 anni dalla liberazione dei lager, è triste e significativo dover constatare che, almeno in Italia, l'argomento dei campi di sterminio, lungi dall'essere diventato storia, si avvia alla più completa dimenticanza. […]

Dei lager, oggi, è indelicato parlare. Si rischia di essere accusati di vittimismo, o di amore gratuito per il macabro, nella migliore delle ipotesi; nella peggiore, di mendacio puro e semplice, o magari di oltraggio al pudore.12

Verso la fine degli anni cinquanta il clima cambia, il rinnovato interesse per i testimoni del lager lo riporta alla casa editrice Einaudi che, nel 1958 pubblicherà nella collana dei “Saggi” un'edizione rinnovata della sua opera prima. Levi è un

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autore singolare fin dal suo esordio, Ernesto Ferrero osserva:

[Levi] rende conto di quell'esperienza in toni francamente inusuali: nessun accenno di retorica o vittimismo, nessuna enfasi sulle proprie sofferenze personali, nessun tentativo di impressionare il lettore ricorrendo agli artifici retorici deputati alla commozione e al sentimento. Colpivano in lui il tono oggettivo di un referto che assumeva il distacco di una relazione antropologica, l'assoluta equanimità, la strenua volontà di capire piuttosto che di condannare.13

Le critiche più attente alla dimensione letteraria di Se questo è un uomo mettono in luce che lo stile dell'autore è chiaro e preciso. Ma sottolineano che è anche estremamente complesso e che sarebbe un errore ridurre la chiarezza alla semplicità e alla trasparenza. Il positivo riscontro lo spinge a mettere su carta i racconti del complicato e avventuroso ritorno a casa, fatti oralmente così tante volte agli amici, e ogni volta affinati e abbelliti in base all'effetto che poteva verificare sul loro volto. Scrive per lo più la sera e nei giorni liberi dal lavoro in fabbrica. Nasce così La tregua, pubblicato da Einaudi nel 1963, arriverà tra i finalisti del premio Strega e vincerà la prima edizione del premio Campiello. Quest'opera può essere considerata una continuazione di Se questo è un uomo, i primi due capitoli e l'inizio del terzo infatti, si svolgono ancora ad Auschwitz. Il tono generale però è decisamente più leggero, meno angosciato rispetto al precedente; Levi descrive con grande senso dell'umorismo alcuni episodi divertenti e figure indimenticabili, cariche di energia, che sono il sintomo della

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riconquista della vita e di un ritorno della speranza.

L'autore stesso – che continua a considerarsi uno “scrittore d'occasione” – ne ammette la maggiore letterarietà rispetto al precedente, certi critici vi rilevano l'influenza di Tolstoj e Isaak Babel, Calvino che ne scrive il risvolto di copertina vi ritrova Puškin e Gogol'. Il successo del libro segna anche l'inizio della progressiva fortuna di Se questo è un uomo, che da allora conoscerà una ininterrotta serie di ristampe, sino a diventare uno dei libri più letti del dopoguerra.

Parallelamente alla stesura de La tregua Levi pubblica alcuni dei racconti che è andato scrivendo in quegli anni su periodici e quotidiani. Nel 1966 li riunisce nella raccolta Storie naturali che però pubblica, sempre con la Einaudi, sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Lo scrittore viene convinto ad adottare questo stratagemma dall'editore, secondo il quale non si può far uscire un libro di racconti di fantascienza attribuendoli allo stesso autore che ha parlato di Auschwitz. Questa perplessità viene espressa dallo stesso Levi nella quarta di copertina del libro:

[…] io sono entrato (inopinatamente) nel mondo dello scrivere con due libri sui campi di concentramento; non sta a me giudicarne il valore, ma erano senza dubbio libri seri, dedicati a un pubblico serio. Proporre a questo pubblico un volume di racconti-scherzo, di trappole morali, magari divertenti ma distaccate, fredde: non è questa frode in commercio, come chi vendesse vino nelle bottiglie dell'olio? Sono domande che mi sono posto all'atto dello scrivere e del pubblicare queste “storie naturali”. Ebbene, non le pubblicherei se non mi fossi accorto (non subito, per la

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verità) che fra il Lager e queste invenzioni una continuità, un ponte esiste […].14

Per lo scrittore piemontese sia i racconti che i testi memoriali nascono dal piacere di raccontare, dirà che le storie inventate sono, in fondo, una sorta di estrapolazione, di prolungamento fantastico di vicende effettive, di fatti, di incontri, di personaggi reali. Nella costruzione di questi racconti Levi ha dato forma a quella che definisce «un'intuizione»,15 la percezione di una smagliatura

nel mondo in cui vive, di un «vizio di forma», una falla nel “sistema” della nostra società o del nostro universo morale; il collegamento con i primi due lavori appare chiaro se si pensa che la stessa esistenza di Auschwitz non è altro che una falla all'interno della storia della nostra civiltà, un errore nel tessuto ordinato del cosmo, qualcosa che non dovrebbe accadere, «il più minaccioso dei mostri generati dal sonno della ragione».16

Il secondo volume di racconti si chiamerà appunto Vizio di forma, pubblicato nel 1971 col suo vero nome, nasce dalla stessa ispirazione che lo ha portato a scrivere e poi raccogliere i primi racconti. Questa volta Levi ha raccolto venti testi scritti tra il 1968 e il 1970, quindi più omogenei rispetto alla raccolta precedente. In entrambe le raccolte molti racconti sono legati al mondo della tecnologia avanzata e agli effetti negativi che questa può avere, emergono anche preoccupazioni per la possibile disumanizzazione dell'uomo, sempre più dipendente dalle macchine, distratto dal consumismo e poco attento agli effetti che la sua “distrazione” può causare alla natura. Ci appare un Levi curioso di tutto, interessato a tutti gli aspetti

14 P. Levi, citazione da Note ai testi, in M. Belpoliti (a cura di), Opere / Primo Levi, cit., vol. I, pp. 1434-1435

15 Ivi. 16 Ivi.

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dell'esistenza, ricco di immaginazione e di fantasia. Un autore dallo spiccato senso dell'umorismo che si diverte e si prende poco sul serio, in cui però, va ricordato, affiora quasi sempre una vena di amarezza e pessimismo.

La critica, come previsto dal suo editore, non apprezza, è disorientata; in quegli anni la fantascienza in Italia viene percepita come un genere minore, da adolescenti. I racconti non vengono letti per quello che sono, finiscono per apparire come simpatiche stravaganze, peraltro veniali in un autore che aveva dato tali prove della sua tempra morale.

Il 1975 è l'anno della pensione, Levi finisce per lasciare il suo primo mestiere alla Siva e dedicarsi esclusivamente a quello di scrittore. La produzione letteraria comincia a crescere in maniera esponenziale. In aprile pubblica con Einaudi Il

sistema periodico. Neanche quest'opera sfugge alla regola dei lunghi tempi di

gestazione dell'autore: sin da prima della guerra Levi confida agli amici l'intenzione di raccontare in chiave epica la storia di un atomo di carbonio. All'indomani della pubblicazione de La tregua Levi dichiara di aver concluso con l'argomento concentrazionario e di volersi dedicare alla scrittura di racconti sul suo mestiere, ma è solo agli inizi degli anni '70 che comincia a prendere corpo concretamente l'idea di riunire una serie di racconti entro la “cornice chimica” della tavola periodica di Mendeleev (ognuno dei 21 racconti assume il titolo da un elemento chimico abbinatogli per affinità metaforica). La raccolta è una sorta di autobiografia attraverso la chimica, anche se lo stesso scrittore, all'inizio del racconto Carbonio precisa che, più di un'autobiografia si tratta della «storia di un mestiere e delle sue sconfitte, vittorie e miserie, quale ognuno desidera raccontare

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quando sente prossimo a conchiudersi l'arco della propria carriera [...]».17 In questi

racconti, cresciuti gradatamente uno dopo l'altro in tempi anche molto lontani tra loro (alcuni hanno un'epoca di elaborazione che risale all'inizio degli anni '40) e poi opportunamente perfezionati, Levi affina la sua capacità di scrittore, vi racconta di sé stesso, degli altri e del lavoro di chimico che è paragonabile a quello del cacciatore: costantemente alla ricerca dei perché. È nel Sistema

periodico stesso che chiarisce le sue intenzioni riguardo la stesura di quest'opera:

Gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e d'altri, che volevo schierare in mostra in un libro, per vedere se mi riusciva di convogliare ai profani il sapore forte ed amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere. Gli dissi che non mi pareva giusto che il mondo sapesse tutto di come vive il medico, la prostituta, il marinaio, l'assassino, la contessa, l'antico romano, il congiurato e il polinesiano, e nulla di come viviamo noi trasmutatori di materia; ma che in questo libro avrei deliberatamente trascurato la grande chimica, la chimica trionfante degli impianti colossali e dei fatturati vertiginosi, perché questa è opera collettiva e quindi anonima. A me interessavano di più le storie della chimica solitaria, inerme e appiedata, a misura d'uomo, che con poche eccezioni è stata la mia: ma è stata anche la chimica dei fondatori, che non lavoravano in équipe ma soli, in mezzo all'indifferenza del loro tempo, per lo più senza guadagno, e affrontavano la materia senza aiuti, col cervello e con le mani, con la ragione e la fantasia.18

Il libro si lega ed emerge in tutta la sua coerenza attraverso un tema caro a Levi: quello della sfida alla materia inerte e difficilmente penetrabile o avversa; non ci

17 P. Levi, Il sistema periodico in Tutti i racconti, cit., p. 569 18 Ivi., p. 549

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sono risparmiate le sconfitte che, secondo l'autore, servono a rendere la sfida più gustosa.

Il sistema periodico è la sintesi mirabile di tutte le precedenti esperienze di Levi,

della sua cultura, dei suoi interessi enciclopedici. Ci viene confermata l'immagine di uno scrittore dotto, che usa continui richiami alla mitologia, agli autori classici italiani e stranieri (come ad esempio Dante, Mann, Conrad e Melville), e che utilizza un'ampia varietà di registri linguistici: dal gergale, all'aulico senza dimenticare l'ironico.

Nello stesso anno (1975) Levi decide di raccogliere in volume le poesie scritte fino ad allora, il titolo, L'osteria di Brema, rimanda ad un testo poetico di Heine in cui si parla di un uomo che, raggiunto un porto si concede un momento di tregua (ritorna questo tema), perché «Non teme né spera né aspetta | Ma guarda fisso il sole che tramonta».19

Il successivo passo è un romanzo d'invenzione, La chiave a stella - come spesso è già accaduto allo scrittore - ha una fonte di ispirazione orale. Il primo racconto,

Meditato con malizia, compare su «La Stampa» nel marzo del 1977, nel

successivo anno e mezzo lo scrittore completa un romanzo fatto di racconti collegati tra loro, ma che possono essere letti autonomamente. Uscirà nella librerie nel 1978 vincendo il Premio Strega l'anno successivo. La chiave a stella è la storia di un operaio montatore piemontese, Libertino Faussone, che gira il mondo costruendo ponti e tralicci e racconta ad un amico scrittore, incontri, avventure e difficoltà quotidiane del proprio mestiere (Philip Roth lo definisce uno

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«Shahrazad operaio»).20 Faussone è la sintesi di vari tipi di operai specializzati

incontrati da Levi durante i suoi viaggi di lavoro, specialmente quelli conosciuti nei cantieri di Togliattigrad dove degli specialisti costruivano i capannoni della Zigulì. È una sorta di personaggio epico che lotta contro le forze della natura con il solo bagaglio delle esperienze e delle sue abilità. Il volume costituisce una novità anche sotto l'aspetto linguistico, Levi vi sperimenta una lingua impregnata di dialetto piemontese frammisto all'idioma della Fiat. È sicuramente uno dei suoi lavori più ottimisti, in cui dimostra una straordinaria fiducia nell'uomo e nelle sue potenzialità. Il grande etnologo Claude Lévi-Strauss (di cui Levi ha tradotto alcuni libri) ha apprezzato molto il romanzo, considerandolo una sorta di trattato di antropologia, lo studio del nomade moderno, che non si sposta più a piedi nei suoi lunghi viaggi, ma in aereo, da un capo all'altro del mondo.

Nel 1981 su idea di Giulio Bollati, Levi prepara per Einaudi un'antologia personale, ovvero una scelta di autori che sono stati particolarmente importanti per la sua formazione culturale, o che semplicemente ha sentito come affini. Il volume esce con il titolo La ricerca delle radici. Grazie alle singolari scelte – Levi affianca accanto ad autori classici quali Omero e Lucrezio, testi scientifici di Darwin, Gatterman, Thorne e ci indica una serie di scrittori all'apparenza molto lontani da lui, ma nondimeno significativi quali Rabelais, Porta, Belli e D'Arrigo – si dimostra un lettore onnivoro e disordinato.

Nel novembre di quell'anno raccoglie in un terzo volume Lilìt e altri racconti. Sono storie composte tra il 1975 e il 1981 che hanno argomenti e toni molto

20 P. Roth, L'uomo salvato dal suo mestiere, in M. Belpoliti (a cura di), Conversazioni e interviste 1963-1987 / Primo Levi, Torino, Einaudi, 1997, p. 87

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diversi. Levi decide, infatti, di suddividerlo in tre sezioni: in “Passato prossimo” rientrano i racconti legati al lager, sono un'estensione dei primi due libri, vi appaiono episodi e personaggi che non avevano trovato posto nei libri precedenti. Vi troviamo, però, anche un collegamento con un libro che uscirà qualche anno più tardi. Alla fine di questa prima sezione si trova il racconto Il re dei Giudei, che sarà un punto di partenza per un capitolo cruciale (La zona grigia), cuore teorico de I sommersi e i salvati. Nella sezione chiamata “Futuro anteriore” confluiscono i racconti fantastici che hanno un legame con le due raccolte Storie naturali e

Vizio di forma; in “Presente indicativo” troviamo invece situazioni attuali,

“indicative” del nostro tempo, sono storie che rinviano, almeno in parte, alla novella italiana del primo Novecento. Se il primo gruppo di racconti si riferisce alle due opere concentrazionarie e il secondo ha come antecedenti le due raccolte di racconti, il terzo gruppo ha dei legami con Il sistema periodico (si veda La

sfida della molecola o il racconto autobiografico Fine settimana) e con La chiave a stella (L'anima e gli ingegneri avrebbe potuto essere uno dei racconti di

Faussone).

Levi ritrova fra le sue carte alcune annotazioni relative a un gruppo di ebrei russi che avevano dato vita a una banda partigiana e con le armi in pugno avevano attraversato l'Europa per approdare provvisoriamente in Italia. Decide di dar forma romanzesca alla vicenda, affrontando così la narrativa pura. Dopo essersi documentato accuratamente per un anno, pubblica nel 1982 Se non ora, quando? Il romanzo, benché inventato, è basato su fatti storicamente accaduti: per Levi era importante riscattare tutti quegli ebrei che si sono ribellati durante il conflitto e

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smentire il cliché dell'ebreo remissivo, che si lascia condurre allo sterminio senza alzare la testa. Se non ora quando? è il suo libro più lungo ed il solo che l'autore etichetti apertamente come romanzo. Avrà un buon successo di pubblico e critica vincendo rispettivamente il premio Viareggio e il premio Campiello.

Nello stesso anno visita per la seconda volta Auschwitz: questa volta il gruppo è ristretto e l'emozione più profonda. In autunno, quando Israele invade il Libano, prende posizione contro i massacri nei campi palestinesi di Sabra e Chatila.

Su invito di Giulio Einaudi inizia la traduzione del Processo di Kafka che uscirà nel 1983. La seconda raccolta di poesie, Ad ora incerta, viene pubblicata da Garzanti nel 1984, vi sono comprese le ventisette liriche già pubblicate nel 1975, più altre trentaquattro apparse sul quotidiano «La Stampa». Il titolo in questo caso è tratto da un verso della Ballata dell'antico marinaio di Coleridge, ed è un'immagine d'incubo, il puntuale ritornare di un'agonia. Già prima della pubblicazione di questa raccolta Levi aveva dichiarato con insistenza di riconoscersi nella figura del Vecchio Marinaio che «abbranca per strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi».21 Nello stesso

anno l'edizione americana de Il sistema periodico riceve accoglienze entusiastiche. Grande risonanza assume il giudizio di Saul Bellow: «Siamo sempre alla ricerca del libro necessario. Dopo poche pagine mi immergevo nel

Sistema periodico con piacere e gratitudine. Nulla vi è di superfluo, tutto in questo

libro è essenziale».22 Il suo consenso insieme a quello di altri critici americani

promuove una lunga serie di traduzioni dei libri di Levi in vari paesi.

21 P. Levi, citazione da E. Ferrero, Primo Levi: la vita, le opere, cit., p. 75

22 S. Bellow, citazione da E. Ferrero (a cura di), in Primo Levi: un'antologia della critica, cit., p. 404

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Nel 1985 raccoglie in volume L'altrui mestiere, una cinquantina di scritti saggistici usciti prevalentemente su «La Stampa» tra il 1964 e il 1984. La sua premessa, al solito autoriduttiva, riprende il discorso sulla sua doppia natura già fatto tante volte: «Troppo chimico, e chimico per troppo tempo, per sentirmi un autentico uomo di lettere; troppo distratto dal paesaggio, variopinto, tragico o strano, per sentirmi chimico in ogni fibra».23

Il suo ultimo, grande libro, viene pubblicato da Einaudi nel 1986, I sommersi e i

salvati riprende il titolo di un capitolo di Se questo è un uomo, e la problematica

morale di tutto il libro. Il testo, che può essere considerato il suo testamento intellettuale, è la summa delle riflessioni nate dall'esperienza del lager, che toccano i nodi più profondi della responsabilità morale dell'uomo, anche al di là dell'esperienza della deportazione e dello sterminio.

Con gli anni l'esigenza di capire le motivazioni che hanno permesso una delle massime mostruosità perpetrata dall'uomo contro i suoi simili, diventa sempre più scrupolosa e assillante. Racconta Ferrero:

Levi mette in discussione anche e soprattutto se stesso. Non si perdona nulla, i piccoli furti della sopravvivenza o la goccia d'acqua negata a un compagno. Non giudica gli altri, ma con se stesso è quasi spietato. Torna ad analizzare fino in fondo il sentimento di vergogna che provano i sopravvissuti; riafferma il concetto già tante volte espresso che «sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della “zona grigia”, le spie», che il Lager può essere raccontato solo da chi l'ha sperimentato fino in fondo. Smonta e rimonta i meccanismi della memoria per denunciare la loro intrinseca debolezza. Gli sembra di non essere mai abbastanza 23 P. Levi, citazione da E. Ferrero, Primo Levi: la vita, le opere, cit., p. 110

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imparziale […]. 24

Il libro, la cui stesura ha richiesto dieci anni, viene rapidamente tradotto in tutto il mondo e riconosciuto come un'acuta opera sulla natura del male e dell'uomo. Qualche mese dopo l'Editrice «La Stampa» raccoglie in volume le sue collaborazioni (dal 1977 al 1986) sotto il titolo Racconti e Saggi; sarà però solo nel 1999 che tutti i racconti dell'ultimo decennio di vita di Levi, sparsi nelle varie sedi (riviste, quotidiani ecc...) verranno riuniti nell'opera postuma a cura di Marco Belpoliti, L'ultimo Natale di Guerra.

L'uscita de I sommersi e i salvati coincide con l'avvento, a livello mondiale, della polemica sul cosiddetto “revisionismo”, ovvero la tendenza storiografica venata di palese antisemitismo che tende a ridimensionare o addirittura negare l'esistenza dei campi di sterminio. A tal proposito Levi pubblica nel gennaio del 1987 sul quotidiano «La Stampa» un intervento duro e lucidissimo, dal titolo molto eloquente: Buco nero di Auschwitz. Levi vuol rispondere a quegli storici che negano la specificità del genocidio ebraico, paragonando la strage nazista a molte altre stragi avvenute nel mondo, come quella ad esempio stalinista. L'autore si oppone a questa lettura deformante della storia, che non tiene conto della sua singolarità. Nella Germania di Hitler l'uso della tecnologia e di un impianto industriale è spinto, per la prima volta nella storia moderna, alle conseguenze più estreme, ne è un esempio lampante l'innovazione che fu la camera a gas.

Primo Levi viene trovato morto alla base della tromba delle scale della sua casa di Torino la mattina dell'11 aprile 1987.

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Biografi, critici e testimoni hanno accennato a crisi depressive, alla paura della sofferenza fisica (sua e dei suoi cari), o al mai sopito senso di colpa del sopravvissuto. Sulla sua fine rimane il dubbio, anche se l'ipotesi del suicidio resta la più plausibile.

Nel raccontare la sua vita e la sua opera Ernesto Ferrero si congeda dal lettore con queste parole:

Siano rese grazie al Giusto che «sapeva tutto»: testimone, poeta, narratore, saggista, storico, scienziato, chimico, analista, moralista, antropologo, zoologo, linguista, amico discreto e generoso che ci ha insegnato a ragionare e a distinguere, a conoscere i segreti dell'incredibile bellezza della materia vivente, a fissare l'orrore senza disperare […].25

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II

Il mondo di Primo Levi

Nel corso della sua vita Primo Levi ha pubblicato tre raccolte di racconti: Storie

naturali, Vizio di forma e Lilìt e altri racconti (L'ultimo Natale di guerra uscirà

postumo). Basandoci sulle sue dichiarazioni, la vocazione di narratore breve risalirebbe al periodo precedente la deportazione ad Auschwitz. Intorno ai vent'anni infatti, Levi aveva progettato di scrivere alcuni racconti e persino un romanzo; ne Il sistema periodico sono presenti due racconti Piombo e Mercurio che lo scrittore indica come scritti prima della guerra. Marco Belpoliti, il curatore della sua opera, esprime dei dubbi al riguardo:

[…] da un esame della scrittura e dello stile c'è da dubitare che siano stati interamente scritti prima della deportazione; il pastiche narrativo e la «maniera» stessa di questi due racconti dimostrano un livello narrativo così raffinato da farci supporre che Levi li abbia riscritti a partire da un materiale già esistente […]. 26

In compenso sappiamo con certezza che il primo racconto scritto dopo il ritorno dal campo di sterminio è del 1946 e s'intitola I mnemagoghi, una storia sulla memoria tra il realistico e il fantastico che apre il volume Storie naturali.

Per quanto Levi sia conosciuto dal grande pubblico come testimone della Shoah,

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in realtà è principalmente uno scrittore di racconti.

Dal 1946 fino al 1987, come si può osservare dai precedenti cenni biografici, non ha mai smesso di scrivere e pubblicare quei racconti a cui dà via, via differenti sbocchi editoriali. Anche il suo primo libro, Se questo è un uomo, è costruito attraverso brevi capitoli, frammenti narrativi perfettamente compiuti in se stessi, che l'autore ha collocato all'interno di una cornice (il primo e l'ultimo capitolo), in una successione che non corrisponde alla cronologia degli eventi, ma piuttosto a una sequenza tematica che testimonia la mentalità del giovane chimico-scrittore. Il successivo, La tregua, è composto da microstorie, brevi racconti organizzati in macro sequenze, che ruotano intorno a personaggi e singoli episodi.

I libri narrativi di Levi sono tutti costituiti di brevi testi, a volte pensati o scritti in momenti diversi della sua vita e poi montati seguendo un disegno generale (l'esempio più evidente è quello de Il sistema periodico, il libro di racconti finemente intessuto di chimica ed elementi biografici).

Definire quale tipo di narratore breve sia Levi non è semplice, dal momento che nell'arco della sua attività sperimenta vari tipi di racconto: dal realistico al fantastico, dal fantascientifico e fantabiologico alla detective-story, dall'exemplum alla parabola, dalla novella drammatica allo “scherzo” o il rifacimento dichiarato. E spesso all'interno di uno stesso brano le varie forme narrative si alternano o coesistono, andando a creare degli ibridi difficilmente classificabili. I caratteri comuni ai racconti di Levi sono: «la brevità; l'unità dell'evento raccontato; la conclusione che sfrutta sino in fondo le premesse; la vocazione morale».27 Levi è

uno scrittore la cui essenza è fortemente pedagogica: cerca di persuadere senza

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commuovere. Fornisce al lettore un concentrato di pensieri e di attente osservazioni, gli lascia una serie di insegnamenti derivanti spesso direttamente dal suo esempio, fa riflettere su tematiche che riguardano l'uomo e la relazione con l'altro, evita il più possibile l'uso della retorica e non gioca mai la carta dei sentimenti. Educare significa tirare fuori dal soggetto i suoi valori, chi legge ha dunque un ruolo attivo nella riflessione e nella sua crescita come persona che ha o che matura idee, pensieri, valori. Levi è un autore che punta decisamente sull'intelligenza del suo lettore e lo spinge a porsi delle domande, in particolare di natura etica e morale.

L'origine del suo racconto è soprattutto orale: ha raccontato spesso ai suoi interlocutori di come la stesura del suo primo libro (ma poi anche dei successivi), era stata preceduta da racconti fatti prima a parenti e amici, poi a sconosciuti e occasionali compagni di viaggio, in treno, in tram, in luoghi pubblici, ovunque. Domenico Starnone ha osservato che Levi è di «quelli che scrivono lasciando dentro la scrittura un po' di voce. Chi comincia a leggere si sente ascoltatore invece che lettore».28

Levi è un autore attento allo sperimentalismo, alle innovazioni, in particolare alle tecniche narrative, unisce qualità narrative e letterarie molto diverse, è insomma un ibrido come i suoi stessi testi.

I suoi racconti contengono spesso qualcosa di inquietante, che ci appare in tutta la sua evidenza quando parla di creature fantastiche, cambiamenti di stato, metamorfosi, bizzarre invenzioni dagli esiti più singolari: quelle che riproducono la vita, che dilatano o contraggono il tempo, che misurano la bellezza o quelle che

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fanno materializzare i propri desideri segreti.

L'opera narrativa di Levi è ricca di legami visibili e sotterranei, tra molti dei suoi racconti c'è un gioco di rinvii, di simmetrie e ribaltamenti più o meno consapevoli. Il tema delle ali ad esempio è raccontato come qualcosa di divino e straordinario in La grande mutazione mentre, al contrario, in Angelica farfalla diventa un esperimento mostruoso e pericoloso. La stessa storia è raccontata da due punti di vista opposti, accade in Recuenco: la nutrice e Recuenco: il rafter, il ribaltamento del punto di vista corrisponde ad un cambiamento di genere. Ci sono esempi di storie cicliche o parte di un ciclo di racconti come quelli contenuti all'interno di

Storie naturali che vedono come personaggio ricorrente il Signor Simpson,

rappresentante dei portentosi marchingegni della NACTA.

Levi ritorna spesso su determinati temi e motivi che poi combina in modo sempre diverso, dando forma a racconti stilisticamente differenti per quanto tematicamente omogenei; sfrutta il grande potenziale dell'inventiva e dell'originalità per creare immagini sempre diverse, ma comunque riconducibili alle stesse variabili.

La memoria e il tempo

La memoria umana è uno strumento fallace: i ricordi col tempo tendono a cancellarsi, si modificano sotto la spinta di traumi o per l'intromissione di altri ricordi, di repressioni e rimozioni. Accade che i ricordi si saldino in stereotipi che a loro volta vengono continuamente riscritti e modificati, spesso abbelliti. La

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memoria delle vittime tende a rimuovere le ferite più gravi mentre ama soffermarsi sui momenti di pace, sugli episodi comici e divertenti. Primo Levi è un'eccezione. Confida a Roth che i ricordi di prima e dopo Auschwitz sono in bianco e nero, mentre quelli del lager e del viaggio di ritorno, in technicolor. Nel racconto Un «giallo» del Lager ricostruisce un episodio di quel periodo e definisce la sua memoria «patologica»,29 paragona se stesso a un personaggio di

Borges, Ireneo Funes «el memorioso», che ricordava ogni cosa che avesse visto. La difesa della memoria è il motivo conduttore di tutta la sua opera e del suo ultimo lavoro I sommersi e i salvati. Per Levi ha lo stesso valore della difesa per la vita, perché ci ha raccontato di come all'interno del lager i momenti di pausa in cui la memoria riaffiorava erano i momenti in cui sentiva di riacquistare la dignità umana (si veda l'episodio del canto di Ulisse in Se questo è un uomo).

La lotta contro il cancellarsi della memoria che conduce Levi è combattuta, a suo modo, anche dal dottor Montesanto, un personaggio del racconto I mnemagoghi. In questo brano Montesanto è un vecchio medico che riceve la visita di un giovane dottore, che presto lo sostituirà. L'anziano medico si è ormai abbandonato al «prevalere definitivo del passato sul presente, ed il naufragio ultimo di ogni passione, salvo la fede nella dignità del pensiero e nella supremazia delle cose dello spirito».30 La sua ossessione di strappare dall'oblio tutto quello che può, lo

porta ad inventare i mnemagoghi, degli odori imprigionati in boccette di vetro – campioni per l'olfatto – ciascuno dei quali porta memoria di un momento diverso della sua vita e racchiude la sua persona «perché io almeno in parte consisto di

29 P. Levi, L'ultimo Natale di guerra, Torino, Einaudi, 2000, p. 93 30 P. Levi, Storie naturali in Tutti i racconti, cit., p. 7

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essi»,31 confida al ragazzo:

– C'è chi non si cura del passato, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti. C'è chi, invece, del passato è sollecito, e si rattrista del suo continuo svanire. C'è ancora chi ha la diligenza di tenere un diario, giorno per giorno, affinché ogni sua cosa sia salvata dall'oblio, e chi conserva nella sua casa e sulla sua persona ricordi materializzati; una dedica su un libro, un fiore secco, una ciocca di capelli, fotografie, vecchie lettere.

– Io, per mia natura, non posso pensare che con orrore all'eventualità che anche uno solo dei miei ricordi abbia a cancellarsi, ed ho adottato tutti questi metodi, ma ho anche creato uno nuovo.

– No, non si tratta di una scoperta scientifica: soltanto ho tratto partito dalla mia esperienza di farmacologo ed ho ricostruito, con esattezza e in forma conservabile, un certo numero di sensazioni che per me significano qualcosa. […] io li chiamo mnemagoghi: «suscitatori di memorie».32

Montesanto non riesce più a vivere nel presente, si è barricato in un mondo di ricordi in cui più nulla può ferirlo. Il giovane medico, inizialmente affascinato da quella figura, è scosso da quello che ha visto, si congeda e raggiunge in fretta un bosco per respirare a pieni polmoni la vita vera, si ripromette che non sarebbe mai diventato così. L'autore vuole suggerirci il corretto uso della memoria, custodirla gelosamente è importante, ma deve avere un valore soprattutto per la collettività.

31 Ivi., p. 9 32 Ivi

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La memoria nell'opera di Levi non ha solo valore testimoniale, è un dovere contro il reiterarsi degli errori, per far sì che non accadano più, ma è anche piacere di raccontare i «guai passati» (come recita in epigrafe Il sistema periodico). Molti dei racconti e degli scritti saggistici hanno un impianto memorialistico, prevalgono cioè i ricordi del passato dell'autore, quasi tutto Il sistema periodico è costruito su questa base. Il racconto di apertura Argon, è la storia, quasi leggenda, dei primi insediamenti ebrei in piemonte, vi si raccontano le abitudini, lo stile di vita e il gergo che fonde ebraico e piemontese dei suoi eccentrici antenati. L'associazione con l'elemento è data dal fatto che l'Argon è un gas inerte, inoperoso, che non si combina con alcun altro elemento, così come i suoi antenati:

[…] inerti erano senza dubbio nel loro intimo, portati alla speculazione disinteressata, al discorso arguto, alla discussione elegante, sofisticata e gratuita. Non deve essere un caso se le vicende che loro vengono attribuite, per quanto assai varie, hanno in comune qualcosa di statico, un atteggiamento di dignitosa astensione, di volontaria (o accettata) relegazione al margine del gran fiume della vita. Nobili, inerti e rari: la loro storia è assai povera rispetto a quella di altre illustri comunità ebraiche dell'Italia e dell'Europa.33

Tra i vari bizzarri personaggi che vi compaiono ci sono un lontano zio, decaduto dalla sua qualità di zio perché, a causa di una moglie insopportabile, si era battezzato, fatto prete e partito missionario in Cina. E poi uno zio un po' più vicino cronologicamente, conosciuto personalmente dall'autore: «a Barbaricô si addice a pennello la similitudine dei gas inerti con cui incominciano queste

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pagine».34 L'uomo era un ottimo medico, ma non amava il mondo, la fatica, gli

impegni, gli orari e le scadenze; gli piacevano però gli uomini e particolarmente le donne. Ne ebbe diverse, tutte volevano redimerlo e sposarlo, ma lui riteneva troppo impegnativi sia il matrimonio, sia uno studio attrezzato e l'esercizio regolare della professione. Verso il 1930 era un «vecchietto timido, rattrappito e trasandato, paurosamente miope»35 conviveva con una cattolica in una soffitta

sudicia e caotica, passava gran parte della giornata sdraiato a leggere, a meno che un cliente non lo mandasse a chiamare. Non si faceva pagare quasi mai poiché i suoi ammalati erano per lo più poveri della borgata. Quando la sua compagna cercò di farlo battezzare rifiutò, non tanto per convinzione religiosa, ma per mancanza d'iniziativa e per indifferenza. Morì più che novantenne con discrezione e dignità.

La descrizione di questo albero genealogico particolare continua ancora con alcuni cenni sulla nonna paterna e si conclude sul vizio di gola a cui il padre non sapeva resistere: il prosciutto.

Questo racconto nasce come un articolo di divagazione filologico-narrativa, e solo in un secondo momento viene ampliato e trasformato nel primo capitolo della sua raccolta autobiografica. È evidente la stretta parentela tra questo e l'elzeviro Il

fondaco del nonno pubblicato su «La Stampa» nel 1984 e poi incluso in L'altrui mestiere. Nell'articolo Levi restringe il campo alla descrizione del nonno materno

e della sua attività. Suo nonno aveva un negozio di stoffe a Torino, in via Roma, e veniva chiamato da tutti «Monsù Ugotti»,36 anche se il suo vero cognome non era

34 Ivi., p.373 35 Ivi.

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Ugotti. In realtà era il nome del commerciante dal quale aveva rilevato l'azienda, doveva essere particolarmente conosciuto, perché l'appellativo gli sopravvisse e rimase appiccicato persino ai suoi eredi. Suo nonno era un'autorità indiscussa e indiscutibile, un patriarca corpulento e solenne. Come la maggior parte dei suoi parenti viveva in un mondo limitato, diviso tra casa e bottega, distanti tra loro non più di quattrocento metri.

Il tema del tempo, anch'esso centrale per la comprensione dell'opera di Levi, è riscontrabile in molti dei suoi racconti, a partire dai primi testi raccolti in Storie

naturali come La bella addormentata nel frigo, in cui una ragazza si fa ibernare

nel 1975 e viene svegliata regolarmente fino al tempo del racconto, nel 2115.

Scacco al tempo fa invece parte dell'ultima produzione leviana, scritto in

linguaggio scientifico sotto forma di brevetto, spiega la funzione del «Paracrono» che «consiste nell'iniezione di dosi estremamente basse di maleato di rubidio nel quarto ventricolo celebrale».37 Chi si sottopone a questa operazione può

modificare la sua percezione del tempo:

Dopo un periodo di latenza di qualche giorno, il paziente è in grado di intervenire volontariamente sul proprio senso soggettivo del tempo. Non soltanto può uniformarlo alla durata oggettiva, ma può addirittura invertire il fenomeno, cioè allungare a piacere il tempo delle esperienze gradite, e abbreviare la durata delle esperienze dolorose o fastidiose. In questo secondo caso, occorre notare che, in modo totalmente imprevisto, attività muscolare, memoria, attenzione e percezione

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rimangono integre; questo distingue il metodo qui descritto da tecniche quali la narcosi, l'ipnosi, il coma o la catalessi indotta, e dalle macchine del tempo inventate per ora solo dai romanzieri.38

Levi doveva essere particolarmente fiero di quest'invenzione, il titolare del brevetto, un certo Theophil Skoptza, non è altri che il suo alter ego; infatti, la data di nascita indicata coincide con quella dell'autore: 31 luglio 1919. Se non fosse stato scritto nell'ultimissima fase della sua vita (il racconto reca la data 12 settembre 1986), probabilmente l'autore gli avrebbe regalato un seguito come è successo più volte in altri casi.

In Meccano d'amore tempo e memoria si mescolano, il racconto è il ricordo di un episodio infantile di Levi: l'undicenne Primo è innamorato di Lidia, una bambina che però gli preferisce il suo amico Carlo. Per riuscire a conquistarla Levi decide di costruire con le sue stesse mani un orologio coi pezzi del meccano:

Nel ricordo di oggi non saprei come giustificare questa mia scelta: forse pensavo confusamente che un orologio batte come un cuore, o che è fedele e costante, o lo ricollegavo alla ricorrenza dell'onomastico [di Lidia].39

Primo e Carlo avevano in comune la passione per il meccano, così fanno squadra e Levi si fa aiutare senza rivelare i suoi secondi fini. Nonostante il loro impegno ne viene fuori un orologio proprio brutto, che non sembrava minimamente un apparecchio per misurare il tempo. La delusione di Levi è accentuata dalla

38 Ivi. 39 Ivi., p. 55

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reazione negativa della bambina, che non ne capisce l'utilità e gli dedica un solo istante, distratta subito dagli altri regali e dalle attenzioni di Carlo.

La morale

Diversi critici hanno evidenziato quanto alcuni dei racconti di Levi ricordino da vicino le prose leopardiane delle Operette morali. Secondo Belpoliti possono essere accostate «per il loro sapore filosofico, per l'illuminismo critico e materialistico che vi si respira».40Abbiamo già sottolineato la propensione

dell'autore di disseminare all'interno del suo universo narrativo messaggi, riflessioni, di natura etica e morale, di seguito sono riportati due casi.

Trattamento di quiescenza è il racconto che chiude Storie naturali e nello stesso

tempo completa il ciclo di racconti in cui compare il personaggio ricorrente del Signor Simpson, è la storia dell'uomo schiacciato e ridotto in schiavitù dalla macchina che ha inventato. Questa volta quando Simpson si imbatte nel narratore è prossimo alla pensione. La NACTA, azienda americana per la quale ha fatto il rappresentante di commercio per molti anni, gli affida come premio di pensionamento, l'ultimo tra i suoi “congegni rivoluzionari”. Simpson è incaricato di sperimentare un Torec (Total Recorder), consistente in un casco che il fruitore indosserà, e attraverso elettrodi cutanei, questo vivrà tutta una serie di sensazioni che sono registrate nel nastro inserito. Le sensazioni sono di qualsiasi tipo: visive, olfattive, uditive, tattili, gustative, cenestesiche e dolorose; insomma tutti i messaggi che il cervello è in grado di ricevere.

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I sensi del fruitore sono bloccati, totalmente tagliati fuori, perciò “vive” in maniera totale l'esperienza che il nastro gli suggerisce:

sente di parteciparvi o addirittura di esserne l'attore: questa sensazione non ha nulla in comune con l'allucinazione né col sogno, perché, finché dura il nastro, non è distinguibile dalla realtà. A nastro finito, se ne conserva un normale ricordo, ma durante ogni fruizione la memoria naturale è soppiantata dai ricordi artificiali incisi sul nastro; perciò non si ricordano le fruizioni precedenti, e non sopravviene stanchezza né noia. Ogni fruizione di un determinato nastro può essere ripetuta infinite volte, ed ogni volta essa è vivida e ricca di imprevisti come la prima. […] qualunque sensazione uno desideri procurarsi, non ha che da scegliere il nastro.41

Alle proteste del narratore (è una macchina che se messa in commercio sconvolgerà l'assetto sociale, scoraggerà ogni iniziativa o attività umana), Simpson minimizza, ne fa una questione di volontà e buon senso, il narratore gli fa notare che:

A casa nostra, per esempio, da quando abbiamo comperato il televisore, mio figlio gli sta davanti per ore, senza più giocare, abbacinato come le lepri dai fari delle auto. Io no, io vado via: però mi costa sforzo. Ma chi avrà la forza di volontà di sottrarsi a uno spettacolo Torec? Mi sembra assai più pericoloso di qualsiasi droga: chi lavorerebbe più? Chi si curerebbe ancora della famiglia?42

Simpson lo tranquillizza, il Torec è destinato a tutti coloro che non hanno un ruolo

41 P. Levi, Storie naturali in Tutti i racconti, cit., pp. 158-159 42 Ivi.

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attivo nella società: gli invalidi, gli ammalati inguaribili e i pensionati come lui. Dopo alcuni mesi però il risultato darà ragione al narratore: Simpson da un utilizzo prefissato di due ore giornaliere, passa a cinque, poi dieci e adesso venti ore in cui non può più farne a meno, «senza Torec sarebbe perduto, col Torec è perduto ugualmente. In sei mesi è invecchiato di vent'anni, è l'ombra di se stesso».43 L'isolamento e annientamento del Signor Simpson, ricordano vagamente

l'isolamento e la chiusura in se stesso del dottor Montesanto de I mnemagoghi, il primo dipendente dalla fiction, dalla visione del mondo attraverso gli occhi di qualcun altro e il secondo dipendente dal proprio passato. La soluzione, che ci è solo suggerita è quella di accettare i limiti della vita, viverla a pieno, attivamente; la passività non è altro che un vizio morale che porta all'autodistruzione.

Nella successiva raccolta troviamo il racconto Verso occidente in cui è analizzato il concetto di “lotta per la vita”. Anna e Walter sono due studiosi che cercano di capire le cause del comportamento dei lemming, roditori che commettono suicidio di massa durante periodiche migrazioni. La loro pare una scelta deliberata, non dovuta a questioni di fame o sovrappopolazione, per Walter, che paragona il loro comportamento a quello umano, l'istinto alla vita non è ovvio: «Possono nascere individui senza amore per la vita; altri lo possono perdere, per poco o molto tempo, magari per tutta la vita che gli resta»44. Per questi individui la morte è una

forma di libertà, libertà dalla sofferenza e dal vuoto che viene a crearsi senza che si riesca a riempirlo. I due studiosi si recano nel Rio delle Amazzoni dove vive la tribù degli Arunde, un popolo che sta scomparendo a causa dell'alto tasso di

43 Ivi., p. 175

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suicidi. Anche gli Arunde come i lemming non soffrono la fame, non hanno problemi all'interno della loro società, possiedono una cultura ricca e originale. Stimano la vita esclusivamente in termini di piacere e dolore e, quando il dolore prevale sulla gioia, il suicidio è visto come una scelta naturale e vissuto serenamente, accettato e appoggiato dal resto della tribù.

Dopo alcuni mesi gli studiosi riescono a sintetizzare un ormone che inibisce il vuoto esistenziale, è chiamato “fattore L”. Interrogandosi sulla legittimità della somministrazione del farmaco, Walter giunge alla conclusione che questo è assimilabile a tutti gli altri tipi di medicamento artificiali, di cui ormai l'occidente si alimenta da quando esiste la medicina. Gli Arunde rifiutano il loro aiuto rispondendo nei seguenti termini:

“Il popolo degli Arunde, presto non più popolo, vi saluta e ringrazia. Non vi vogliamo offendere, ma vi rimandiamo il vostro medicamento, affinché ne tragga profitto chi fra voi lo vuole: noi preferiamo la libertà alla droga, e la morte all'illusione”.45

Il racconto si chiude su una nota pessimista: mentre Walter sta cercando di introdurre il farmaco ad una delle mandrie di lemming in corsa verso la morte, viene travolto e ucciso da questi.

Anche in questo caso il messaggio dell'autore non è del tutto esplicito, gli Arunde scegliendo la verità abbracciano la morte, gli occidentali optano per l'artificio, la menzogna, che però comporta la sopravvivenza. Ma come interpretare la morte di Walter? La vittoria del caos sulla razionalità? Della natura sull'essere umano? Il

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Levi darwinista probabilmente ci lascia la sua risposta attraverso le parole di Anna, che aveva espresso dubbi riguardo l'utilizzo di un farmaco per sconfiggere la morte e il dolore:

– Ma ci sono altri modi di vincere il dolore, questo dolore: altre battaglie, che ognuno è tenuto a combattere coi propri mezzi, senza l'aiuto esterno. Chi le vince, si dimostra forte, e così facendo diventa forte, si arricchisce e migliora. 46

Il doppio

Primo Levi ha affermato in più occasioni di avere una doppia anima, di sentirsi scisso in due metà. Nell'articolo di Edoardo Fadini sono riportate le sue parole:

Io sono un anfibio, un centauro (ho anche scritto dei racconti sui centauri). E mi pare che l'ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono diviso in due metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico. Un'altra, invece, è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo […]. Sono proprio due mezzi cervelli. 47

È nel racconto Quaestio de Centauris che compare il centauro Trachi, animale mitologico metà uomo e metà cavallo, che somma in sé le qualità migliori dell'essere umano e dell'animale, questo è eretto da Levi (che si sente scrittore non

46 Ivi., p. 193

47 P. Levi, citazione da E. Fadini, Primo Levi si sente scrittore «dimezzato», in M. Belpoliti (a cura di), Conversazioni e interviste 1963-1987 / Primo Levi, cit., p. 107

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