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Viticoltura di precisione: obiettivi e applicazioni sitospecifiche

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Academic year: 2021

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(1)

VITICOLTURA

DI PRECISIONE: OBIETTIVI

E APPLICAZIONI

SITO­SPECIFICHE

di Paolo Carnevali

(1)

,

Jacopo Cricco

(2)

,

Luca Toninato

(2)

,

Lucio Brancadoro

(1)

C

on l’avvento della meccanizzazione in

ambito agricolo il con­ cetto di viticoltura ha subito un cambiamento netto nel contesto produttivo conducen­ do ad una progressiva evolu­ zione delle forme di conduzio­ ne aziendali. Precedentemen­ te, il ruolo della viticoltura era

di attività complementare,

principalmente destinata ai mercati locali e all’autoconsu­ mo: le piccole superfici vitate e le basse densità d’impianto permettevano di adottare una gestione perlopiù manuale e basata su una attenzione da parte del viticoltore alle singo­ le piante. Il progressivo incre­ mento del ricorso alla mecca­ nizzazione ha portato ad una realtà contraddistinta da mag­ giori estensioni e densità, con modalità di gestione volte per­ lopiù al raggiungimento di un ideale compromesso tra esi­ genze colturali e massimizza­ zione del reddito.

Un ulteriore slancio al passag­ gio alla coltivazione intensiva si è avuto tra gli anni ‘60 e i primi anni ‘90, periodo duran­ te il quale la cosiddetta “rivo­ luzione verde” ha spinto la scienza moderna verso la ricer­ ca di sistemi che fossero in grado di incrementare le pro­ duzioni mediante la modifica­ zione delle tradizionali prati­ che agricole; la tendenza del periodo era quella di sovrado­ sare i principi attivi utilizzati,

vista la loro elevata disponibi­ lità ed i costi relativamente contenuti, e di applicare il maggior grado possibile di meccanizzazione nell’esecu­ zione delle operazioni coltura­ li. In tale ottica si tendeva ad adottare uno stile di gestione “uniforme”, compensando in modo grossolano le differenze vegetative e produttive che po­ tevano essere riscontrate nel vigneto.

L’attuale tendenza della viti­ coltura è quella di focalizzare l’attenzione sulla produzione intesa come attività in grado di coniugare redditività, tecnolo­

gia, tradizione, eccellenza

qualitativa, tipicità e sosteni­ bilità, quest’ultima intesa non solo nella sua accezione ecolo­ gista, ma soprattutto in senso lato, prendendo in considera­ zione quindi aspetti sociali, economici ed ecologici. Tale concetto trova riscontro in quanto definito dall’American Society of Agronomy nel 1989 (ed inserito nello US Code, ti­ tolo 7 sezione 3101), secondo cui “l’agricoltura sostenibile è quella che nel lungo termine accresce la qualità dell’am­ biente e le risorse di base dalle quali dipende l’agricoltura, provvede alle necessità umane di alimenti e di prodotti agrico­ li non alimentari, è economi­ camente vitale e accresce la qualità della vita degli agricol­ tori e della società nel suo in­ sieme”.

Applicando tale definizione alla viticoltura emerge come un elemento imprescindibile per perseguire tale idea di so­ stenibilità sia la realizzazione di processi che ottimizzino l’uso dei fattori della produ­ zione, siano essi ambientali (gestione dei suoli e delle ri­ sorse idriche) o di origine esterna (prodotti fitosanitari, concimi ed ammendanti). In tale visione, la meccanizzazio­ ne risulta un mezzo irrinuncia­ bile per consentire un conteni­ mento dei costi produttivi e un’adeguata competitività sui mercati, oltre a sopperire alla sempre più accentuata caren­ za di manodopera; cionono­ stante, non è possibile conti­ nuare ad adottare strategie di intervento mirate ad una ge­ stione uniforme dei vigneti ed all’applicazione indistinta dei fattori produttivi.

Conciliare meccanizzazione e tecnologia con la necessità di soddisfare le reali esigenze delle piante e di perseguire “target” qualitativi e quantita­ tivi ben precisi è un obiettivo che non può prescindere da monitoraggio e quantificazio­ ne approfonditi della variabili­ tà spaziale e temporale riscon­ trabile.

La viticoltura di

precisione

Tale necessità trova risposta nella cosiddetta “agricoltura di precisione” che, in estrema

Strumenti e sistemi

di lettura per ottenere

“mappe derivate”

e “mappe di

prescrizione” da cui

generare le decisioni

strategiche

di intervento

nel vigneto.

Una gestione

sito­specifica

per ottimizzare

e differenziare

la somministrazione

dei fattori produttivi

e le operazioni

colturali.

Una concezione

di viticoltura che ben

si coniuga

con il concetto

di sostenibilità

1) Di.pro.Ve., Università di Milano 2)Ager s.c. Agricoltura e Ricerca -Milano.

Riedizione di un articolo tratto da Frutticoltura, 2012

(2)

sintesi, può essere definita co­ me un insieme di tecnologie e conoscenze che, sulla base del­ la variabilità osservata, permet­ te di monitorare le risposte ve­ geto­produttive delle piante e, in base ad esse, adeguare la ge­ stione agronomica dell’appez­ zamento finalizzata al raggiun­ gimento di un preciso livello produttivo quanti­qualitativo. Da ciò emerge chiaramente co­ me il punto fondamentale per il raggiungimento di risultati prefissati sia la necessità di monitorare e misurare la varia­ bilità. In aggiunta è possibile affermare che tali sistemi di monitoraggio devono avere al­ cuni presupposti fondamenta­ li: è necessario che essi siano

non­distruttivi, che garanti­ scano una notevole tempesti­ vità e precisione nell’acquisi­ zione delle informazioni, che abbiano una buona ripetibilità e che siano economicamente poco onerosi.

A tale scopo, negli ultimi anni l’attenzione in tal senso si è

concentrata sull’utilizzo di

sensori di varia natura (ottici, ad ultrasuoni, ecc.) che sono in grado di fornire informazioni dettagliate sulle condizioni della coltura, sulla base delle quali operare un’ottimizzazio­ ne dei fattori produttivi e delle

pratiche agronomiche. In

estrema sintesi, i sensori di ti­ po ottico, che risultano quelli attualmente più diffusi, rileva­

no le risposte spettrali delle chiome in funzione della loro espressione vegetativa: i più utilizzati operano nelle bande del visibile e del vicino infra­ rosso, consentendo l’acquisi­ zione di immagini e la loro ela­ borazione sotto forma di “indi­ ci di vegetazione” (il più noto dei quali è l’NDVI, “Normali­ zed Difference Vegetation In­ dex”); questi ultimi sono indici numerici correlati alla biomas­ sa fotosinteticamente attiva, cioè alla quantità di biomassa

fotosintetizzante osservabile

ed al suo stato fisiologico al momento del rilievo.

La possibilità di legare le lettu­ re effettuate a precise coordi­ nate geografiche, fornite da si­ stemi GPS (“Global Positio­ ning System”), ha aperto la strada all’utilizzo di software

GIS (“Geographic Information System”), cioè supporti infor­ matici essenziali per gestire le informazioni georeferenziate: un punto (ad esempio una pianta) è identificato univoca­ mente da una coppia di coordi­ nate geografiche e ad esso pos­ sono essere associati tutti gli attributi desiderati (principali parametri tecnologici e fenoli­ ci, entità delle produzioni, ri­ schi di malattie, ecc.). Nel ca­ so di letture con sensori ottici ad ogni coppia di coordinate corrisponde un valore di un dato indice di vegetazione. L’accessibilità a sistemi GPS sempre più avanzati ha reso tali informazioni estrema­ mente dettagliate, garan­ tendo l’identificazione di un punto con una precisione sub­metrica e, in alcuni ca­ si, centimetrica.

Sistemi di

monitoraggio:

“remote e proximal

sensing”

Riguardo le modalità di moni­ toraggio della variabilità in campo, le differenti tecniche utilizzate si differenziano in base ai supporti su cui la sen­ soristica è montata: si parla di “remote sensing” nel caso in cui i rilievi vengano effettuati

da considerevole distanza

(quindi utilizzando satelliti o mezzi aerei) e di “proximal sensing” quando si effettua un monitoraggio a breve distanza dall’oggetto osservato, utiliz­ zando in questo caso strumen­ ti portatili direttamente in vi­ gneto, montandoli su mezzi idonei (ad esempio quad) o di­ rettamente su macchine ope­ ratrici (Fig. 1).

>>Fig. 1 Esempi di sensori ottici montati su macchina operatrice o su mezzo mobile (quad).

La scelta della tipologia di rilievo da utilizzare è dettata da una serie di considerazioni che riguardano la superficie complessiva da osservare, il grado di dettaglio a cui si è interessati e la forma d’allevamento che caratterizza la coltura da monitorare; attual­ mente i differenti tipi di rilievi hanno raggiunto costi/ha equipara­ bili, quindi l’aspetto economico riveste un ruolo tutto sommato marginale nella scelta da effettuare.

I sistemi di “remote sensing” permettono la cattura di immagini su porzioni di territorio più o meno estese in funzione della distanza da cui si effettua tale acquisizione: di norma si passa da

alcuni km2di aerei e droni a poche centinaia di km2di satelliti.

Come è facile intuire, dall’altezza dell’osservazione dipende an­ che la risoluzione spaziale ottenibile, per cui all’aumentare della superficie diminuisce il dettaglio dell’immagine acquisita. Gene­ ralmente si parla di risoluzioni spaziali di 2,4­4 m nel caso dei satelliti più comunemente utilizzati (quali Ikonos e Quickbird) e da 30 cm a 1 m nel caso di droni ed aerei.

Differente discorso va affrontato per i sistemi di “proximal sen­ sing” che utilizzano sensori con acquisizione ad altissima fre­ quenza a cui si aggiungono GPS ad alta precisione e PC portatili, per la georeferenziazione e la registrazione delle letture; conse­ guenza diretta di ciò sta nel fatto che gli unici limiti, relativi alla risoluzione spaziale delle informazioni, sono da considerarsi il grado di precisione del GPS utilizzato e la velocità di avanzamen­ to del mezzo mobile con cui i rilievi sono stati effettuati. Di norma, si è in grado di scendere fino a risoluzioni di 10 cm, anche se di solito si tende ad adattare la risoluzione in funzione delle distanze di impianto del vigneto da monitorare. Alle velocità comunemente adottate per l’esecuzione delle operazioni mecca­ nizzate in pieno campo si effettuano rilievi su superfici di circa 20 ha/giorno.

Altra differenza sostanziale tra le due tipologie di monitoraggio è data dal tipo di sensori utilizzati; nel caso del “remote sensing” si utilizzano solitamente sensori di tipo passivo, che sfruttano cioè la luce solare calcolandone la quantità riflessa dalla vegetazione, mentre i sensori ottici portatili sono caratterizzati da una emissio­ ne attiva di luce, attraverso sistemi a fotodiodi: ciò non comporta differenze sostanziali nella possibilità di confrontare i dati acqui­ siti con i due sistemi, ma pone dei limiti all’utilizzo del monito­ raggio da remoto; la quantità di radiazione riflessa dalla superfi­ cie osservata dipende fortemente dalla quantità di luce solare diffusa nell’atmosfera; ne deriva che osservazioni effettuate in giorni con forte copertura nuvolosa e altre con cielo limpido e perfetto irraggiamento non siano perfettamente confrontabili tra loro. Nel caso del rilevamento da satellite, un’ulteriore complica­ zione è data dal fatto che, in condizioni di forte copertura nuvolo­ sa, essendo il punto di ripresa ad altitudine superiore all’atmosfe­ ra, si rischia di avere il bersaglio nascosto dalle nuvole, vanifican­ do di fatto il rilievo effettuato. Tali inconvenienti non si presentano nel caso di osservazioni di tipo prossimale.

(3)

sintesi, può essere definita co­ me un insieme di tecnologie e conoscenze che, sulla base del­ la variabilità osservata, permet­ te di monitorare le risposte ve­ geto­produttive delle piante e, in base ad esse, adeguare la ge­ stione agronomica dell’appez­ zamento finalizzata al raggiun­ gimento di un preciso livello produttivo quanti­qualitativo. Da ciò emerge chiaramente co­ me il punto fondamentale per il raggiungimento di risultati prefissati sia la necessità di monitorare e misurare la varia­ bilità. In aggiunta è possibile affermare che tali sistemi di monitoraggio devono avere al­ cuni presupposti fondamenta­ li: è necessario che essi siano

non­distruttivi, che garanti­ scano una notevole tempesti­ vità e precisione nell’acquisi­ zione delle informazioni, che abbiano una buona ripetibilità e che siano economicamente poco onerosi.

A tale scopo, negli ultimi anni l’attenzione in tal senso si è

concentrata sull’utilizzo di

sensori di varia natura (ottici, ad ultrasuoni, ecc.) che sono in grado di fornire informazioni dettagliate sulle condizioni della coltura, sulla base delle quali operare un’ottimizzazio­ ne dei fattori produttivi e delle

pratiche agronomiche. In

estrema sintesi, i sensori di ti­ po ottico, che risultano quelli attualmente più diffusi, rileva­

no le risposte spettrali delle chiome in funzione della loro espressione vegetativa: i più utilizzati operano nelle bande del visibile e del vicino infra­ rosso, consentendo l’acquisi­ zione di immagini e la loro ela­ borazione sotto forma di “indi­ ci di vegetazione” (il più noto dei quali è l’NDVI, “Normali­ zed Difference Vegetation In­ dex”); questi ultimi sono indici numerici correlati alla biomas­ sa fotosinteticamente attiva, cioè alla quantità di biomassa

fotosintetizzante osservabile

ed al suo stato fisiologico al momento del rilievo.

La possibilità di legare le lettu­ re effettuate a precise coordi­ nate geografiche, fornite da si­ stemi GPS (“Global Positio­ ning System”), ha aperto la strada all’utilizzo di software

GIS (“Geographic Information System”), cioè supporti infor­ matici essenziali per gestire le informazioni georeferenziate: un punto (ad esempio una pianta) è identificato univoca­ mente da una coppia di coordi­ nate geografiche e ad esso pos­ sono essere associati tutti gli attributi desiderati (principali parametri tecnologici e fenoli­ ci, entità delle produzioni, ri­ schi di malattie, ecc.). Nel ca­ so di letture con sensori ottici ad ogni coppia di coordinate corrisponde un valore di un dato indice di vegetazione. L’accessibilità a sistemi GPS sempre più avanzati ha reso tali informazioni estrema­ mente dettagliate, garan­ tendo l’identificazione di un punto con una precisione sub­metrica e, in alcuni ca­ si, centimetrica.

Sistemi di

monitoraggio:

“remote e proximal

sensing”

Riguardo le modalità di moni­ toraggio della variabilità in campo, le differenti tecniche utilizzate si differenziano in base ai supporti su cui la sen­ soristica è montata: si parla di “remote sensing” nel caso in cui i rilievi vengano effettuati

da considerevole distanza

(quindi utilizzando satelliti o mezzi aerei) e di “proximal sensing” quando si effettua un monitoraggio a breve distanza dall’oggetto osservato, utiliz­ zando in questo caso strumen­ ti portatili direttamente in vi­ gneto, montandoli su mezzi idonei (ad esempio quad) o di­ rettamente su macchine ope­ ratrici (Fig. 1).

>>Fig. 1 Esempi di sensori ottici montati su macchina operatrice o su mezzo mobile (quad).

La scelta della tipologia di rilievo da utilizzare è dettata da una serie di considerazioni che riguardano la superficie complessiva da osservare, il grado di dettaglio a cui si è interessati e la forma d’allevamento che caratterizza la coltura da monitorare; attual­ mente i differenti tipi di rilievi hanno raggiunto costi/ha equipara­ bili, quindi l’aspetto economico riveste un ruolo tutto sommato marginale nella scelta da effettuare.

I sistemi di “remote sensing” permettono la cattura di immagini su porzioni di territorio più o meno estese in funzione della distanza da cui si effettua tale acquisizione: di norma si passa da

alcuni km2di aerei e droni a poche centinaia di km2di satelliti.

Come è facile intuire, dall’altezza dell’osservazione dipende an­ che la risoluzione spaziale ottenibile, per cui all’aumentare della superficie diminuisce il dettaglio dell’immagine acquisita. Gene­ ralmente si parla di risoluzioni spaziali di 2,4­4 m nel caso dei satelliti più comunemente utilizzati (quali Ikonos e Quickbird) e da 30 cm a 1 m nel caso di droni ed aerei.

Differente discorso va affrontato per i sistemi di “proximal sen­ sing” che utilizzano sensori con acquisizione ad altissima fre­ quenza a cui si aggiungono GPS ad alta precisione e PC portatili, per la georeferenziazione e la registrazione delle letture; conse­ guenza diretta di ciò sta nel fatto che gli unici limiti, relativi alla risoluzione spaziale delle informazioni, sono da considerarsi il grado di precisione del GPS utilizzato e la velocità di avanzamen­ to del mezzo mobile con cui i rilievi sono stati effettuati. Di norma, si è in grado di scendere fino a risoluzioni di 10 cm, anche se di solito si tende ad adattare la risoluzione in funzione delle distanze di impianto del vigneto da monitorare. Alle velocità comunemente adottate per l’esecuzione delle operazioni mecca­ nizzate in pieno campo si effettuano rilievi su superfici di circa 20 ha/giorno.

Altra differenza sostanziale tra le due tipologie di monitoraggio è data dal tipo di sensori utilizzati; nel caso del “remote sensing” si utilizzano solitamente sensori di tipo passivo, che sfruttano cioè la luce solare calcolandone la quantità riflessa dalla vegetazione, mentre i sensori ottici portatili sono caratterizzati da una emissio­ ne attiva di luce, attraverso sistemi a fotodiodi: ciò non comporta differenze sostanziali nella possibilità di confrontare i dati acqui­ siti con i due sistemi, ma pone dei limiti all’utilizzo del monito­ raggio da remoto; la quantità di radiazione riflessa dalla superfi­ cie osservata dipende fortemente dalla quantità di luce solare diffusa nell’atmosfera; ne deriva che osservazioni effettuate in giorni con forte copertura nuvolosa e altre con cielo limpido e perfetto irraggiamento non siano perfettamente confrontabili tra loro. Nel caso del rilevamento da satellite, un’ulteriore complica­ zione è data dal fatto che, in condizioni di forte copertura nuvolo­ sa, essendo il punto di ripresa ad altitudine superiore all’atmosfe­ ra, si rischia di avere il bersaglio nascosto dalle nuvole, vanifican­ do di fatto il rilievo effettuato. Tali inconvenienti non si presentano nel caso di osservazioni di tipo prossimale.

(4)

Ultima differenza tra “proximal e re­ mote sensing” è data dalla neces­ sità, nel caso del­ le immagini tele­ rilevate, di effet­ tuare una serie di

correzioni e di elaborazioni in se­ guito all’acquisi­ zione, le quali permettono di di­ minuire le even­ tuali distorsioni

dovute alla geo­ metria delle lenti, riportare l’imma­

gine bidimensionale alla reale conformazione della superfi­ cie terrestre (ortorettifica), ri­ muovere le porzioni di immagi­ ne (“pixel”) non riferite alle vi­ ti (terreno nudo, vegetazione tra le file, ecc.) per non falsare il calcolo degli indici di vegeta­ zione; l’osservazione effettua­ ta con sensori portatili permet­ te di inquadrare la sola parete vegetale e non necessita di particolari correzioni, ma sola­ mente di un’opportuna spazia­ lizzazione del dato mediante software GIS.

Approfondire la

conoscenza della

variabilità

A prescindere dal metodo di esecuzione dei rilievi, il risul­ tato di tali letture è la produ­ zione di mappe georeferenzia­ te che descrivono la variabilità osservabile (Fig. 2): le diffe­ renti aree, evidenziate gene­ ralmente da scale di colore, so­ no caratterizzate da “perfor­

mance” vegeto­produttive

diverse tra loro che, in seguito alla loro identificazione, ne­

cessitano di ulteriori approfon­ dimenti mediante una caratte­ rizzazione produttiva quantita­ tiva e qualitativa.

Il primo vantaggio di una sud­

divisione dell’appezzamento

in zone omogenee risiede nella possibilità di effettuare un nu­ mero ridotto di misurazioni di­ rette in campo, con un eviden­ te risparmio di tempi e mezzi: un esempio applicativo è la va­ lutazione delle cinetiche di maturazione, per la quale soli­ tamente vengono selezionati dei filari da cui si effettuano dei prelievi di uva a cadenza fissa da destinare alla quanti­ ficazione dei principali para­ metri tecnologici e fenolici; in tale modo si ottengono cam­ pioni che provengono da zone differenti e rappresentano una stima generale del vigneto, mentre operando in base a mappe di NDVI è possibile ef­ fettuare prelievi in aree speci­ fiche, avendo risultati più si­ gnificativi del reale decorso maturativo in ogni zona. Per effettuare una caratteriz­

zazione delle differenti zone individuate si procede al cam­ pionamento solo all’interno delle stesse, selezionando dei punti campione (il cui numero cresce all’aumentare della va­ riabilità riscontrata) ed allar­ gando i risultati alle altre aree con indice di vigore analogo. Correlando statisticamente i parametri misurati con i valori di NDVI rilevati si ottengono le cosiddette “mappe derivate”; queste ultime fungono da base per le decisioni strategiche di intervento che vengono tradot­ te graficamente in “mappe di prescrizione” contenenti le in­ dicazioni per effettuare una gestione sito­specifica, ovvero la somministrazione dei fattori produttivi o delle operazioni colturali in modo differenziato in base alle reali esigenze delle differenti aree riscontrate. Tale tipologia di gestione può esse­ re effettuata in modo manuale o meccanico, in funzione della disponibilità di macchine spe­ cifiche sul mercato: in que­ st’ultimo caso di parla di mac­

chine VRT (“Va­ riable Rate Technologies”), cioè dotate di strumentazioni che le rendono in grado di effettua­ re un dosaggio va­ riabile in funzione delle informazio­ ni caricate nelle mappe di prescri­ zione. Un esem­ pio di costruzione di mappe derivate e di prescrizione destinate all’ese­ cuzione di opera­ zioni manuali in vigneto è ri­ portato nella figura 3.

Concimazioni

sito­specifiche

Una delle attività colturali che

maggiormente interessa il

comparto viticolo è la conci­ mazione, sia per quanto con­ cerne il fattore costi attribuibi­ le a questa pratica, sia per l’in­ fluenza che questa operazione ha nell’ottica della gestione sostenibile delle produzioni agricole. La concimazione vie­ ne normalmente dimensionata in base alla restituzione degli elementi nutrizionali asportati con le produzioni. In assenza delle mappe di produzione si­ to­specifiche il quantitativo di concime da somministrare vie­ ne calcolato in base alla produ­ zione media per ettaro distri­ buendolo in maniera omoge­ nea su tutto l’appezzamento, senza quindi seguire una cor­ retta restituzione. Con le infor­ mazioni messe a disposizione dalla viticoltura di precisione la pratica della concimazione può finalmente essere modu­

>>Fig. 2 Mappa di NDVI relativa a vigneti di Sangiovese in un unico ambito aziendale.

Vendemmia

sito­specifica

Altra importante fase è quella relativa alla selezione delle partite di uva e alla loro raccol­ ta al fine di tenerle separate in base ai differenti livelli quali­ tativi. Fino ad oggi ciò poteva essere realizzato esclusiva­ mente attraverso la raccolta manuale dei grappoli ed una successiva cernita in cantina supportata da attrezzature au­ tomatizzate, pratica general­ mente poco conveniente a causa degli alti costi. In tale ottica, l’utilizzo delle mappe derivate permette di valutare anticipatamente la variabilità qualitativa e quantitativa nel vigneto, al fine di poter otti­ mizzare le operazioni di canti­ na in funzione degli obiettivi enologici prefissi, avendo la possibilità di programmare in modo preventivo tutte le fasi operative di raccolta ed orga­ nizzare la logistica delle lavo­ razioni in cantina. Tutte que­ ste informazioni permettono di realizzare delle mappe di pre­ scrizione in cui vengono indivi­ duate all’interno del vigneto le partite di uva con le caratteri­ stiche volute. Queste mappe possono essere utilizzate per la vendemmia manuale (in aziende non particolarmente estese ed in cui si opta per una differenziazione dei prodotti) o direttamente su vendemmia­ trici a rateo variabile (nel caso di realtà di maggiori dimensio­ ni ed in cui si ricorre alla rac­ colta meccanica); in particola­ re queste ultime, partendo da mappe di prescrizione precari­ cate, consentono la vendem­ mia meccanica differenziata

direttamente in vigneto. l

lata in funzione degli obiettivi quanti­qualitativi che si vo­ gliono ottenere. Le decisioni che si prendono in base alle informazioni evidenziate dalle mappe derivate possono esse­ re molteplici e finalizzate o a uniformare una determinata

variabilità rilevata, avendo

chiaro il “range” di performan­ ce in questo ottenibile, oppure di gestire e incrementare que­ sta variabilità.

Come esempio riportiamo un modello di concimazione azo­ tata a rateo variabile in un vi­ gneto. In base alla normale strategia adottata in azienda, basata sulla restituzione, il vi­ gneto riceveva normalmente dai 3 ai 4 q/ha di concime con titolo NPK 12­6­18 e quindi 36­48 kg/ha di N. Il vigneto ha

sempre avuto produzioni me­ die per ettaro superiori a quel­ le volute e quindi si ricorreva al diradamento dei grappoli al fi­ ne di ottenere la quantità di prodotto voluto. La strategia in base a cui l’azienda ha deciso di impostare la concimazione ha previsto un target produtti­ vo medio da raggiungere di 90 q/ha. Dalla mappa derivata re­ lativa alle produzioni si nota come nel vigneto siano presen­ ti aree a bassa produzione, di molto inferiore al target, e zo­ ne ad elevata produzione an­ ch’esse lontane dall’obiettivo produttivo previsto; per queste ultime si sarebbe potuto pen­ sare di interrompere la conci­ mazione per 2­3 anni, ma il committente ha comunque preferito che si somministras­

se una certa quantità di pro­ dotto. In base a queste indica­ zioni si è proceduto con la se­ guente logica di calcolo: le zone a produzione inferiore al target fissato ricevono la dose di restituzione relativa ad esso (36 kg/ha di N) più quella rela­ tiva alla differenza tra la pro­ duzione della zona in esame e il target stesso; le zone a pro­ duzione superiore ad esso rice­ vono una dose pari alla dose di restituzione relativa al target sottratta della dose di restitu­ zione relativa all’eccedenza. Con questa operazione si è cal­ colato che con la metodica di concimazione VRT si arrivano a dare in media 27,4 kg/ha di N, con un risparmio di prodot­ to che va da un minimo del 24 ad un massimo del 43%.

>>Fig. 3 Schema di realizzazione di mappe tematiche e di prescrizione a partire da quella dell’NDVI; dall’osservazione della mappa si può optare per un intervento differenziato al fine di bilanciare le produzioni delle due aree.

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Ultima differenza tra “proximal e re­ mote sensing” è data dalla neces­ sità, nel caso del­ le immagini tele­ rilevate, di effet­ tuare una serie di

correzioni e di elaborazioni in se­ guito all’acquisi­ zione, le quali permettono di di­ minuire le even­ tuali distorsioni

dovute alla geo­ metria delle lenti, riportare l’imma­

gine bidimensionale alla reale conformazione della superfi­ cie terrestre (ortorettifica), ri­ muovere le porzioni di immagi­ ne (“pixel”) non riferite alle vi­ ti (terreno nudo, vegetazione tra le file, ecc.) per non falsare il calcolo degli indici di vegeta­ zione; l’osservazione effettua­ ta con sensori portatili permet­ te di inquadrare la sola parete vegetale e non necessita di particolari correzioni, ma sola­ mente di un’opportuna spazia­ lizzazione del dato mediante software GIS.

Approfondire la

conoscenza della

variabilità

A prescindere dal metodo di esecuzione dei rilievi, il risul­ tato di tali letture è la produ­ zione di mappe georeferenzia­ te che descrivono la variabilità osservabile (Fig. 2): le diffe­ renti aree, evidenziate gene­ ralmente da scale di colore, so­ no caratterizzate da “perfor­

mance” vegeto­produttive

diverse tra loro che, in seguito alla loro identificazione, ne­

cessitano di ulteriori approfon­ dimenti mediante una caratte­ rizzazione produttiva quantita­ tiva e qualitativa.

Il primo vantaggio di una sud­

divisione dell’appezzamento

in zone omogenee risiede nella possibilità di effettuare un nu­ mero ridotto di misurazioni di­ rette in campo, con un eviden­ te risparmio di tempi e mezzi: un esempio applicativo è la va­ lutazione delle cinetiche di maturazione, per la quale soli­ tamente vengono selezionati dei filari da cui si effettuano dei prelievi di uva a cadenza fissa da destinare alla quanti­ ficazione dei principali para­ metri tecnologici e fenolici; in tale modo si ottengono cam­ pioni che provengono da zone differenti e rappresentano una stima generale del vigneto, mentre operando in base a mappe di NDVI è possibile ef­ fettuare prelievi in aree speci­ fiche, avendo risultati più si­ gnificativi del reale decorso maturativo in ogni zona. Per effettuare una caratteriz­

zazione delle differenti zone individuate si procede al cam­ pionamento solo all’interno delle stesse, selezionando dei punti campione (il cui numero cresce all’aumentare della va­ riabilità riscontrata) ed allar­ gando i risultati alle altre aree con indice di vigore analogo. Correlando statisticamente i parametri misurati con i valori di NDVI rilevati si ottengono le cosiddette “mappe derivate”; queste ultime fungono da base per le decisioni strategiche di intervento che vengono tradot­ te graficamente in “mappe di prescrizione” contenenti le in­ dicazioni per effettuare una gestione sito­specifica, ovvero la somministrazione dei fattori produttivi o delle operazioni colturali in modo differenziato in base alle reali esigenze delle differenti aree riscontrate. Tale tipologia di gestione può esse­ re effettuata in modo manuale o meccanico, in funzione della disponibilità di macchine spe­ cifiche sul mercato: in que­ st’ultimo caso di parla di mac­

chine VRT (“Va­ riable Rate Technologies”), cioè dotate di strumentazioni che le rendono in grado di effettua­ re un dosaggio va­ riabile in funzione delle informazio­ ni caricate nelle mappe di prescri­ zione. Un esem­ pio di costruzione di mappe derivate e di prescrizione destinate all’ese­ cuzione di opera­ zioni manuali in vigneto è ri­ portato nella figura 3.

Concimazioni

sito­specifiche

Una delle attività colturali che

maggiormente interessa il

comparto viticolo è la conci­ mazione, sia per quanto con­ cerne il fattore costi attribuibi­ le a questa pratica, sia per l’in­ fluenza che questa operazione ha nell’ottica della gestione sostenibile delle produzioni agricole. La concimazione vie­ ne normalmente dimensionata in base alla restituzione degli elementi nutrizionali asportati con le produzioni. In assenza delle mappe di produzione si­ to­specifiche il quantitativo di concime da somministrare vie­ ne calcolato in base alla produ­ zione media per ettaro distri­ buendolo in maniera omoge­ nea su tutto l’appezzamento, senza quindi seguire una cor­ retta restituzione. Con le infor­ mazioni messe a disposizione dalla viticoltura di precisione la pratica della concimazione può finalmente essere modu­

>>Fig. 2 Mappa di NDVI relativa a vigneti di Sangiovese in un unico ambito aziendale.

Vendemmia

sito­specifica

Altra importante fase è quella relativa alla selezione delle partite di uva e alla loro raccol­ ta al fine di tenerle separate in base ai differenti livelli quali­ tativi. Fino ad oggi ciò poteva essere realizzato esclusiva­ mente attraverso la raccolta manuale dei grappoli ed una successiva cernita in cantina supportata da attrezzature au­ tomatizzate, pratica general­ mente poco conveniente a causa degli alti costi. In tale ottica, l’utilizzo delle mappe derivate permette di valutare anticipatamente la variabilità qualitativa e quantitativa nel vigneto, al fine di poter otti­ mizzare le operazioni di canti­ na in funzione degli obiettivi enologici prefissi, avendo la possibilità di programmare in modo preventivo tutte le fasi operative di raccolta ed orga­ nizzare la logistica delle lavo­ razioni in cantina. Tutte que­ ste informazioni permettono di realizzare delle mappe di pre­ scrizione in cui vengono indivi­ duate all’interno del vigneto le partite di uva con le caratteri­ stiche volute. Queste mappe possono essere utilizzate per la vendemmia manuale (in aziende non particolarmente estese ed in cui si opta per una differenziazione dei prodotti) o direttamente su vendemmia­ trici a rateo variabile (nel caso di realtà di maggiori dimensio­ ni ed in cui si ricorre alla rac­ colta meccanica); in particola­ re queste ultime, partendo da mappe di prescrizione precari­ cate, consentono la vendem­ mia meccanica differenziata

direttamente in vigneto. l

lata in funzione degli obiettivi quanti­qualitativi che si vo­ gliono ottenere. Le decisioni che si prendono in base alle informazioni evidenziate dalle mappe derivate possono esse­ re molteplici e finalizzate o a uniformare una determinata

variabilità rilevata, avendo

chiaro il “range” di performan­ ce in questo ottenibile, oppure di gestire e incrementare que­ sta variabilità.

Come esempio riportiamo un modello di concimazione azo­ tata a rateo variabile in un vi­ gneto. In base alla normale strategia adottata in azienda, basata sulla restituzione, il vi­ gneto riceveva normalmente dai 3 ai 4 q/ha di concime con titolo NPK 12­6­18 e quindi 36­48 kg/ha di N. Il vigneto ha

sempre avuto produzioni me­ die per ettaro superiori a quel­ le volute e quindi si ricorreva al diradamento dei grappoli al fi­ ne di ottenere la quantità di prodotto voluto. La strategia in base a cui l’azienda ha deciso di impostare la concimazione ha previsto un target produtti­ vo medio da raggiungere di 90 q/ha. Dalla mappa derivata re­ lativa alle produzioni si nota come nel vigneto siano presen­ ti aree a bassa produzione, di molto inferiore al target, e zo­ ne ad elevata produzione an­ ch’esse lontane dall’obiettivo produttivo previsto; per queste ultime si sarebbe potuto pen­ sare di interrompere la conci­ mazione per 2­3 anni, ma il committente ha comunque preferito che si somministras­

se una certa quantità di pro­ dotto. In base a queste indica­ zioni si è proceduto con la se­ guente logica di calcolo: le zone a produzione inferiore al target fissato ricevono la dose di restituzione relativa ad esso (36 kg/ha di N) più quella rela­ tiva alla differenza tra la pro­ duzione della zona in esame e il target stesso; le zone a pro­ duzione superiore ad esso rice­ vono una dose pari alla dose di restituzione relativa al target sottratta della dose di restitu­ zione relativa all’eccedenza. Con questa operazione si è cal­ colato che con la metodica di concimazione VRT si arrivano a dare in media 27,4 kg/ha di N, con un risparmio di prodot­ to che va da un minimo del 24 ad un massimo del 43%.

>>Fig. 3 Schema di realizzazione di mappe tematiche e di prescrizione a partire da quella dell’NDVI; dall’osservazione della mappa si può optare per un intervento differenziato al fine di bilanciare le produzioni delle due aree.

(6)

Alcuni studi hanno messo in luce come la differenziazione delle produzioni e, di conse­ guenza, dei vini ottenibili da singoli appezzamenti sia eco­ nomicamente vantaggiosa, co­ me mostrato nell’esempio ri­ portato nella tabella 1.

Irrigazione

Un ulteriore impulso all’ado­ zione delle tecniche di gestio­ ne sito­specifica viene dall’ir­ rigazione, pratica sempre più presente in ambito viticolo: l’ormai riconosciuto effetto positivo sulle produzioni di ir­ rigazioni in particolari momen­ ti fisiologici e l’aumento delle annate calde e siccitose, han­ no sortito l’effetto di un note­ vole incremento di vigneti di nuovo impianto dotati di irriga­ zione. Ciononostante, le cono­ scenze legate alle reali esigen­ ze della coltura non sono state così approfonditamente inda­ gate, per cui si assiste alla rea­

lizzazione di impianti di irriga­ zione sulla base delle dimen­ sioni e della forma del vigneto, non considerando aspetti fon­ damentali quali le specifiche esigenze delle differenti varie­ tà, giacitura dei terreni e tessi­ tura dei suoli oltre alle loro va­ riazioni spaziali all’interno de­

gli stessi appezzamenti.

L’implicazione immediata di tale impostazione è una forni­ tura idrica che non rispecchia le reali esigenze del­

la coltura. In ambito viticolo, la possibili­ tà di adottare im­ pianti di irrigazione a rateo variabile è re­ sa difficoltosa dal fatto che si tratta quasi sempre di im­ pianti fissi, di norma ali gocciolanti, che necessiterebbero di un attenta progetta­

zione in funzione

delle caratteristiche

di vitigni e suoli, in modo da soddisfare le reali esigenze idriche e garantire maggior rendimento di tale pratica e notevoli risparmi di acqua. Nella figura 4 si riporta un esempio di come le caratteri­ stiche dei terreni, e di conse­ guenza la disponibilità idrica (PAW, ovvero acqua disponibi­ le per le piante), influenzino l’espressione vegetativa in un vigneto (NDVI).

Difesa

Infine, un discorso a parte me­ rita di essere fatto per quanto concerne i trattamenti fitosa­ nitari. È innegabile come tale aspetto sia un concetto chiave nel dibattito sulla sostenibilità delle colture agrarie. Una delle questioni più trattate in agri­ coltura sito­specifica è la pos­ sibilità di effettuare distribu­ zioni non in relazione alla su­ perficie da trattare, ma sulla base dei volumi di biomassa effettivamente presente. Tale obiettivo è stato ultimamente raggiunto tramite la realizza­ zione di atomizzatori in grado di operare in tal senso: queste strumentazioni non lavorano sulla base di mappe precarica­ te, ma sfruttano sensori di dif­ ferente tipologia (ultrasuoni)

direttamente montati sulla

macchina operatrice, i quali sono in grado di “leggere” i volumi e le conformazioni del­ le chiome e, in tempo reale, variare la dose di prodotto da distribuire ed il numero di ugelli attivi in base alla loro posizione sulla barra; secondo quanto riportato dagli Autori delle pubblicazioni relative a tali macchine, tale modo di Strategia

Gestione tradizionale Gestione sito­specifica (VRT) Raccolta

indifferenziata

Raccolta differenziata delle uve in base alle mappe di prescrizione

Superficie 3,3 ha Porzione A 1,6 ha vigore

elevato

Porzione B 1,7 ha vigore ridotto

Produzione 38,2 t 25,5 t 12,7 t

Qualità

complessiva uva Media Media Elevata

Prezzo prodotto

(dettaglio) 11,6 €/bottiglia 11,6 €/bottiglia 18,3 €/bottiglia

Valore uva da vino € 332.000 (100.600 €/ha)

€ 221.000 € 175.000

€ 396.000 (120.000 €/ha)

Dalla gestione differenziata di un vigneto di Cavernet Sauvignon si sono ottenuti i seguenti benefici: 19400 e/ha il valore dell’uva da vino (+19,3%) e 1..675 e/t di uva prodotta (modificato da Bramley et al., 2003).

Tab. 1 ­ Gestione tradizionale e sito­specifica: costi a confronto

>>Fig. 4 Corrispondenze visibili fra la mappa di NDVI (sinistra) e la mappa di PAW (destra) in un vigneto di Sangiovese.

operare permette risparmi di

agrofarmaci nell’ordine del

40%, con evidenti risvolti am­ bientali (diminuzione della de­ riva) ed economici.

Conclusioni

Quanto finora esposto è una serie di esempi di metodiche di agricoltura di precisione, applicabili alla moderna viti­ coltura; tali metodi e strumen­ ti permettono di gestire i vi­ gneti in modo sito­specifico: un sistema di gestione che prenda in considerazione la variabilità esistente e moduli in base ad essa le operazioni colturali e gli input impiegati si traduce in un mezzo di orga­ nizzazione aziendale volto al­ l’ottimizzazione di tutti i fatto­

ri: produttivi, mediante miglio­

ramenti quantitativi e

soprattutto qualitativi; am­

bientali, per mezzo di una massimizzazione delle rese di concimazioni, irrigazioni ed

impiego di fitofarmaci; econo­ mici, tramite la diversificazio­ ne delle produzioni in fasce merceologiche differenti ed il risparmio in fattori della pro­ duzione e manodopera. In

estrema sintesi, considerando la definizione data inizialmen­ te, tale concezione di viticoltu­ ra ben si coniuga con il concet­ to di sostenibilità, nelle sue

differenti implicazioni. l

Bibliografia

Bramley, R., Pearse, B. e Chamberlain, P., 2003. Being Profitable Precisely – A case study of Precision Viticulture from Margaret River. Australian and New Zealand Grapegrower and Wine­ maker – Annual Technical Issue, 473a: 84­87.

Brancadoro L., Failla O., Dosso P., Serina F., 2006. Use of satellite in precision viticulture: the Franciacorta experience. VIth International Terroir Congress.

Brancadoro L., Carnevali P., Toninato L., 2010. Vigneto: come ottimizzare alcune operazioni colturali. Informatore Agrario, 35: 51­61.

Carnevali P., Brancadoro L., Di Blasi S., Pieri M., 2010. Valutazione dell’equilibrio vegeto­produt­ tivo con metodiche di proximal sensing. VIIIth International Terroir Congress.

Proffitt, T., Bramley R., Lamb D., Winter E., 2006. Precision Viticulture: A New Era in Vineyard

(7)

Alcuni studi hanno messo in luce come la differenziazione delle produzioni e, di conse­ guenza, dei vini ottenibili da singoli appezzamenti sia eco­ nomicamente vantaggiosa, co­ me mostrato nell’esempio ri­ portato nella tabella 1.

Irrigazione

Un ulteriore impulso all’ado­ zione delle tecniche di gestio­ ne sito­specifica viene dall’ir­ rigazione, pratica sempre più presente in ambito viticolo: l’ormai riconosciuto effetto positivo sulle produzioni di ir­ rigazioni in particolari momen­ ti fisiologici e l’aumento delle annate calde e siccitose, han­ no sortito l’effetto di un note­ vole incremento di vigneti di nuovo impianto dotati di irriga­ zione. Ciononostante, le cono­ scenze legate alle reali esigen­ ze della coltura non sono state così approfonditamente inda­ gate, per cui si assiste alla rea­

lizzazione di impianti di irriga­ zione sulla base delle dimen­ sioni e della forma del vigneto, non considerando aspetti fon­ damentali quali le specifiche esigenze delle differenti varie­ tà, giacitura dei terreni e tessi­ tura dei suoli oltre alle loro va­ riazioni spaziali all’interno de­

gli stessi appezzamenti.

L’implicazione immediata di tale impostazione è una forni­ tura idrica che non rispecchia le reali esigenze del­

la coltura. In ambito viticolo, la possibili­ tà di adottare im­ pianti di irrigazione a rateo variabile è re­ sa difficoltosa dal fatto che si tratta quasi sempre di im­ pianti fissi, di norma ali gocciolanti, che necessiterebbero di un attenta progetta­

zione in funzione

delle caratteristiche

di vitigni e suoli, in modo da soddisfare le reali esigenze idriche e garantire maggior rendimento di tale pratica e notevoli risparmi di acqua. Nella figura 4 si riporta un esempio di come le caratteri­ stiche dei terreni, e di conse­ guenza la disponibilità idrica (PAW, ovvero acqua disponibi­ le per le piante), influenzino l’espressione vegetativa in un vigneto (NDVI).

Difesa

Infine, un discorso a parte me­ rita di essere fatto per quanto concerne i trattamenti fitosa­ nitari. È innegabile come tale aspetto sia un concetto chiave nel dibattito sulla sostenibilità delle colture agrarie. Una delle questioni più trattate in agri­ coltura sito­specifica è la pos­ sibilità di effettuare distribu­ zioni non in relazione alla su­ perficie da trattare, ma sulla base dei volumi di biomassa effettivamente presente. Tale obiettivo è stato ultimamente raggiunto tramite la realizza­ zione di atomizzatori in grado di operare in tal senso: queste strumentazioni non lavorano sulla base di mappe precarica­ te, ma sfruttano sensori di dif­ ferente tipologia (ultrasuoni)

direttamente montati sulla

macchina operatrice, i quali sono in grado di “leggere” i volumi e le conformazioni del­ le chiome e, in tempo reale, variare la dose di prodotto da distribuire ed il numero di ugelli attivi in base alla loro posizione sulla barra; secondo quanto riportato dagli Autori delle pubblicazioni relative a tali macchine, tale modo di Strategia

Gestione tradizionale Gestione sito­specifica (VRT) Raccolta

indifferenziata

Raccolta differenziata delle uve in base alle mappe di prescrizione

Superficie 3,3 ha Porzione A 1,6 ha vigore

elevato

Porzione B 1,7 ha vigore ridotto

Produzione 38,2 t 25,5 t 12,7 t

Qualità

complessiva uva Media Media Elevata

Prezzo prodotto

(dettaglio) 11,6 €/bottiglia 11,6 €/bottiglia 18,3 €/bottiglia

Valore uva da vino € 332.000 (100.600 €/ha)

€ 221.000 € 175.000

€ 396.000 (120.000 €/ha)

Dalla gestione differenziata di un vigneto di Cavernet Sauvignon si sono ottenuti i seguenti benefici: 19400 e/ha il valore dell’uva da vino (+19,3%) e 1..675 e/t di uva prodotta (modificato da Bramley et al., 2003).

Tab. 1 ­ Gestione tradizionale e sito­specifica: costi a confronto

>>Fig. 4 Corrispondenze visibili fra la mappa di NDVI (sinistra) e la mappa di PAW (destra) in un vigneto di Sangiovese.

operare permette risparmi di

agrofarmaci nell’ordine del

40%, con evidenti risvolti am­ bientali (diminuzione della de­ riva) ed economici.

Conclusioni

Quanto finora esposto è una serie di esempi di metodiche di agricoltura di precisione, applicabili alla moderna viti­ coltura; tali metodi e strumen­ ti permettono di gestire i vi­ gneti in modo sito­specifico: un sistema di gestione che prenda in considerazione la variabilità esistente e moduli in base ad essa le operazioni colturali e gli input impiegati si traduce in un mezzo di orga­ nizzazione aziendale volto al­ l’ottimizzazione di tutti i fatto­

ri: produttivi, mediante miglio­

ramenti quantitativi e

soprattutto qualitativi; am­

bientali, per mezzo di una massimizzazione delle rese di concimazioni, irrigazioni ed

impiego di fitofarmaci; econo­ mici, tramite la diversificazio­ ne delle produzioni in fasce merceologiche differenti ed il risparmio in fattori della pro­ duzione e manodopera. In

estrema sintesi, considerando la definizione data inizialmen­ te, tale concezione di viticoltu­ ra ben si coniuga con il concet­ to di sostenibilità, nelle sue

differenti implicazioni. l

Bibliografia

Bramley, R., Pearse, B. e Chamberlain, P., 2003. Being Profitable Precisely – A case study of Precision Viticulture from Margaret River. Australian and New Zealand Grapegrower and Wine­ maker – Annual Technical Issue, 473a: 84­87.

Brancadoro L., Failla O., Dosso P., Serina F., 2006. Use of satellite in precision viticulture: the Franciacorta experience. VIth International Terroir Congress.

Brancadoro L., Carnevali P., Toninato L., 2010. Vigneto: come ottimizzare alcune operazioni colturali. Informatore Agrario, 35: 51­61.

Carnevali P., Brancadoro L., Di Blasi S., Pieri M., 2010. Valutazione dell’equilibrio vegeto­produt­ tivo con metodiche di proximal sensing. VIIIth International Terroir Congress.

Proffitt, T., Bramley R., Lamb D., Winter E., 2006. Precision Viticulture: A New Era in Vineyard

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