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Incisione per l’inserimento di protesi mammarie: una problematica moderna?

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Academic year: 2021

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SUPSI

Scuola Universitaria della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

Corso di laurea in Cure Infermieristiche

Tesi di Bachelor

Incisione per l’inserimento di protesi mammarie: una problematica

moderna?

di

Tea Barresi

Direttrice di tesi: Mara Bianchini

Anno Accademico: 2019-2020

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SUPSI

Scuola Universitaria della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

Corso di laurea in Cure Infermieristiche

Tesi di Bachelor

Questa pubblicazione,

Incisione per l’inserimento di protesi mammarie: una problematica

moderna?

Scritta da

Tea Barresi

è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione-Non commerciale 4.0

Unported License

Direttrice di tesi: Mara Bianchini

Anno Accademico: 2019-2020

Manno, 31 agosto 2020

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Abstract Background:

L’intervento di aumento del seno tramite l’utilizzo di protesi è in crescita in tutto il mondo e, inoltre, l’età media delle pazienti che si sottopongono a tale chirurgia è precoce. Spesso la chirurgia al seno è sottovalutata, non si prendono in considerazione aspetti importanti, come un’eventuale futura gravidanza, con allattamento annesso, e rischi concreti; tale intervento ha delle ripercussioni che, come vedremo in questo lavoro di tesi, possono compromettere l’integrità e la funzionalità del corpo.

Negli ultimi anni si sono svolte molteplici ricerche, andando così a rafforzare il parere medico e fornendo informazioni ancora più sensibili e complete nella fase preoperatoria, permettendo così alla paziente di poter prendere una decisione consapevole.

Scopo e obiettivi:

Lo scopo del mio Lavoro di Tesi è quello di riuscire a trasmettere il valore e l’importanza dell’allattamento al seno, rendendo consapevoli della scelta presa in considerazione siccome l’intervento spesso viene eseguito prima di una gravidanza. È quindi fondamentale riuscire a conservare l’allattamento dal momento in cui esso è considerato il meglio, sia per il neonato che per la madre stessa. Un ulteriore scopo del mio lavoro è quello di confrontare l’impatto delle differenti tipologie di incisione che permettono l’inserimento delle protesi a livello mammario. Il fine è di comprendere quale sia il taglio che procura minor danni a livello nervoso, mantenendo così una maggior sensibilità nel complesso del capezzolo e dell’areola, conservando di conseguenza, laddove possibile, la capacità di allattare.

Metodologia:

Per redigere il lavoro è stato scelto di utilizzare una revisione della letteratura con lo scopo di rispondere alla domanda di ricerca spiegata in precedenza. Le banche dati alle quali è stato fatto riferimento sono UpToDate, Cinhal e PubMed dove, attraverso l’utilizzo di termini MeSh, sono stati visionati e presi in considerazione gli articoli redatti negli ultimi 15 anni, fatta eccezione per un unico articolo che risale al 1996. Le parole chiave prese in considerazione per la ricerca degli articoli più adatti a questa revisione sono le seguenti: breastfeeding, augmentation mammaplasty, breast augmentation, periareolar approach, inframammary approach, breast implants, breastfeeding pattern, nipple, sensitivity, breast implants e lactation.

Risultati:

Per la realizzazione dei risultati sono stati analizzati 6 articoli che comprendevano i criteri di inclusione posti ad inizio lavoro. Gli studi sono stati valutati singolarmente, la differenza dei risultati raccolti non mi ha permesso di evidenziare in modo chiaro e assoluto quale fosse il tipo di incisione meno dannoso rispetto alla futura capacità di allattare. Dagli studi esaminati sono emersi differenti risultati, essi sono stati influenzati soprattutto dalla tipologia di ricerca svolta dagli indagatori, alcuni hanno utilizzato la raccolta di dati qualitativi ed altri quantitativi tramite l’utilizzo di apparecchiature moderne.

Conclusioni:

Grazie ai risultati si è potuto vedere come questo ambito della chirurgia, presa da me in considerazione unicamente quella a fine estetico, sia tutt’oggi poco indagato. La creazione di apparecchi sensibili che permettono la rilevazione della sensibilità a livello delle zone a noi interessate faciliterà la misurazione dal punto di vista quantitativo, ma la soggettività, i dati qualitativi forniti dalle pazienti stesse giocano un ruolo fondamentale

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nella risposta alla mia domanda di ricerca, e, fino ad oggi, non vi è ancora uno studio che unisca il quantitativo e il qualitativo in modo esatto.

Un ulteriore dato che è stato preso in considerazione è il danno ai dotti galattofori; dalle ricerche da me svolte tramite l’utilizzo di banche dati vi sono risposte contrastanti ma, nella maggior parte dei casi, si può dire che l’approccio periareolare sia quello che comporta il maggior rischio di danneggiamento di essi.

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Sommario 1. Capitolo introduttivo ... 7 a) Introduzione ... 7 b) Motivazioni personali ... 8 c) Obiettivi ... 8 2. Background ... 10

a) Lattogenesi e modificazioni del seno nel corso della gravidanza... 10

i) Prima parte della gravidanza-Sviluppo ghiandole secretorie... 11

ii) Sedicesima settimana gestazionale ... 11

iii) Ventesima settimana gestazionale ... 12

iv) Trentatreesima settimana gestazionale... 12

v) Momento antecedente al travaglio, travaglio e allattamento ... 12

b) Benefici dell’allattamento ... 14

i) Benefici materni ... 14

ii) Benefici neonatali... 16

iii) Benefici economici/ecologici-Ruolo della società ... 18

c) Tipi di protesi ... 19

d) Tipologia di incisioni e influenza sull’allattamento ... 20

3. Metodologia... 22

a) L’importanza dell’infermieristica basata su prove di efficacia ... 22

b) Fonti presenti in letteratura ... 22

c) Metodo utilizzato ... 23

4. Protocollo di ricerca... 25

a) Domanda di ricerca... 25

b) Criteri di inclusione ed esclusione ... 25

c) Strategie di ricerca ... 25

d) Valutazione articoli trovati... 27

5. Analisi ... 29

a) Articoli selezionati ... 29

b) Compilazione di questionari/raccolta dati... 30

6. Discussione... 32

a) Discussione dei risultati e comparazione degli studi ... 32

b) Rilevanza del tema per il ruolo infermieristico ... 34

7. Conclusioni ... 36

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b) Limiti della ricerca e implicazioni future ... 36

8. Ringraziamenti ... 38

9. Bibliografia ... 39

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1. Capitolo introduttivo

a) Introduzione

Presentazione della tematica:

Il tema scelto per il mio lavoro di Bachelor riguarda l’allattamento in seguito all’impianto di protesi mammarie, più nello specifico come l’incisione eseguita influisca sulla capacità della madre di produrre e secernere latte, permettendo l’alimentazione del neonato, e il ruolo che esercita l’infermiere in tali situazioni. Un ulteriore aspetto che considererò nella stesura del mio lavoro sarà l’importanza che hanno le differenti protesi sull’esito dell’operazione e, conseguentemente, sulla capacità di allattare in seguito.

Questa tipologia di intervento sta spopolando in tutto il mondo, in Brasile, Australia, Messico, Stati Uniti d’America, Argentina, Colombia, India, Italia, Thailandia, Germania, i dati sono in continuo aumento, infatti, sempre più donne si sottopongono ad esso e l’età media si sta abbassando fino a raggiungere le ragazze più giovani, per questo motivo credo che possa essere una tematica di attualità che tocca buona parte della popolazione.

Uno studio svolto nel 2018 dall’ISAPS (International Society of Aesthetic Plastic Surgery) mostra che vi è un accrescimento degli interventi di aumento al seno del 6.1%, difatti nel 2017 il totale ammontava a 1'606’643 interventi annui, mentre nel 2018 la cifra corrisponde a 1'862’506 (ISAPS, 2019).

I dati partono dal 2014, quando gli interventi di aumento al seno in generale coprivano la cifra di 1'348’197 interventi annui, passando poi a 1'749’002 nel 2017, arrivando al numero citato in precedenza che corrisponde al 17.1% di tutte le procedure chirurgiche mondiali; si può quindi dire che dal 2014 al 2018 vi è stato un aumento del 27.6% (ISAPS, 2019).

Leggendo molteplici documenti ho potuto suddividere lo studio in base alle nazioni prese in considerazione e analizzate dall’ISAPS, qui di seguito una tabella riassuntiva.

Paese Totale delle

procedure annue

Totale interventi di aumento del seno

Percentuale rispetto al totale Brasile 1'498’327 275’283 18.4% USA 1’492'383 321’362 21.5% Messico 518’046 70’165 13.5% Germania 385’906 65’876 17.1% India 390’793 31’602 8.1% Italia 311’456 64’976 20.9%

Un’ulteriore analisi che si può svolgere è la suddivisione della cifra in fasce d’età, ISAPS cita 5 categorie. La prima tratta le ragazze di 18 anni o meno, in questo gruppo vi sono 52’150 soggetti, il che corrisponde al 2.8% del totale. Il secondo gruppo è quello più corposo, difatti contiene 1'003’705 persone tra i 19 e i 34 anni, ovvero il 53.9%. Gli ultimi tre gruppi vanno in diminuzione: il gruppo di donne dai 35 anni ai 50 contiene 651’877 persone (35%), il gruppo di soggetti dai 51 ai 64 anni ne contiene 134’845 (7.2%) ed infine il gruppo di donne oltre i 65 anni, 1.1%, con 19’743 soggetti (ISAPS, 2019).

L’elaborato in seguito è suddiviso in quattro parti principali, la prima parte tratta il cosiddetto background, esso ha lo scopo di introdurre la tematica in modo comprensibile a chi appartiene al mondo sanitario ma non segue quotidianamente questa tipologia di

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casistica, rendendo più consci del fatto che vi è una richiesta sempre maggiore di tali interventi.

La seconda parte, ovvero la metodologia, espone principalmente il quesito di ricerca, gli obiettivi del lavoro e l’organizzazione con cui si è svolta la ricerca, la terza parte, quella della discussione, è dedicata alla presentazione, ovvero all’analisi, dei risultati ottenuti mediante la ricerca.

Infine, l’ultima parte, riguarda le conclusioni, consistenti nella valutazione del lavoro di Tesi, unita ai possibili sviluppi relativi il futuro, sia nel campo della ricerca che in quello della pratica.

b) Motivazioni personali

Il motivo principale per cui ho scelto di focalizzarmi sulla tematica sopra descritta è essenzialmente la voglia di indagare in questo ambito, ovvero quello della chirurgia, nel mio caso prettamente estetica, per collegarla a un argomento che è presente da quando esiste l’uomo, ovvero l’allattamento.

Personalmente ritengo che la chirurgia estetica sia spesso sottovalutata e trattata con troppa superficialità, in realtà credo che sia importante indagare i particolari e le problematiche che possono insorgere in seguito a tale intervento in quanto è possibile che un’attività primaria come l’allattamento venga intaccata, magari per mancanza di informazione.

Sono stata quindi spinta dal desiderio di parlarne ulteriormente, dalla voglia di rendere accessibili a tutti studi e informazioni che considero importanti e completi per permettere una scelta consapevole e presa considerando tutte le modifiche che avverranno nell’organismo, anche a lungo termine.

Un’ulteriore motivazione che mi ha spinta a svolgere questo lavoro è stata la scarsa conoscenza di informazioni nell’ambito della neonatologia e dell’importanza dell’allattamento, sia per la madre che per il neonato, correlata alla modifica tissutale che avviene a causa di un intervento chirurgico.

Per tali motivi è nata in me la curiosità di approfondire questo tema, penso che possa essermi utile il bagaglio che ho costruito nella redazione di tale lavoro di Bachelor e, magari, mi ritroverò in un futuro prossimo ad assistere e sostenere questa tipologia di utenza.

c) Obiettivi

Giunta a questo punto vorrei esporre gli obiettivi personali che mi sono posta di raggiungere al termine di questo lavoro di tesi.

Vorrei quindi iniziare definendo in modo chiaro la mia domanda di ricerca: in che modo le differenti tipologie di incisione, che permettono l’inserimento delle protesi mammarie, creano danni alla fisiologia del seno e, conseguentemente, influenzano la riuscita dell’allattamento?

Un mio primo obiettivo è quello di indagare sulla popolazione che decide di sottoporsi all’intervento di mastoplastica additiva, informandomi quindi sulla fascia d’età, sulle caratteristiche che accomunano tutti i soggetti presenti nello studio. Un ulteriore obiettivo è quello di indagare sulle conseguenze correlate a tale operazione, considerando le differenti tipologie con i possibili esiti in base al tipo di approccio, citati nella bibliografia da me selezionata.

Dopodiché mi piacerebbe analizzare il rischio annesso ad ogni tipologia di intervento in modo da capire quale preferiscono le donne sottoposte e quale consigliano i chirurghi.

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Negli obiettivi che posso definire secondari e quindi professionali c’è il migliorare le mie abilità e capacità nella ricerca scientifica, trovando quindi fonti rilevanti e plausibili concernenti il tema da me scelto. L’obiettivo principale della tesi sarà quello di mostrare e permettere al lettore di comprendere l’eventuale presenza di difficoltà in seguito a questo intervento, quali tipologie di incisione sono maggiormente praticate nel mondo e, secondo le linee guida, quale permette una miglior prognosi riguardo la riuscita dell’allattamento.

È importante poter comprendere se, e come, queste tipologie di interventi possono influire sull’allattamento e, conseguentemente, sulla salute del neonato e della madre.

Inoltre, visto che è una tematica di cui si parla molto ma si sa veramente poco, una volta finito il mio lavoro di Bachelor sarebbe stimolante avere maggiori conoscenze da poter utilizzare in un futuro prossimo in quanto, questa tipologia di intervento, è sempre più presente in tutto il mondo.

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2. Background

a) Lattogenesi e modificazioni del seno nel corso della gravidanza

Lo sviluppo della ghiandola mammaria nel corso dell’infanzia è limitato alla crescita generale, tuttavia, durante la pubertà, ormone della crescita, ormone follicolo-stimolante, ormone luteinizzante, prolattina ed estrogeni influenzano la crescita del seno quando, a circa 10-12 anni di età, i dotti primari e secondari crescono, si dividono e formano gemme terminali a forma di clava, associati alla funzione iniziale dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovarico (M. Sternlicht, Kouros-Mehr, Lu, & Werb, 2006).

Le gemme si sviluppano poi in nuovi rami e piccoli condotti di gemme areolari, diventano in seguito alveoli, o acini, nel seno maturo, conosciuti anche come unità lobulare terminale del dottolo (Pandya & Moore, 2011).

Nel corso di ogni ciclo mestruale la crescita attiva e la proliferazione del tessuto del dotto si verifica durante la fase ovulatoria e follicolare, raggiungendo quindi il massimo nella fase luteale tardiva per poi regredire successivamente (Russo & Russo, 2004).

Durante ogni ciclo ovulatorio picchi di steroidi ovarici, prevalentemente progesterone, favoriscono un ulteriore sviluppo mammario, non regredendo mai al suo stato precedente al ciclo (Russo & Russo, 2004).

Il seno, nel corso della pubertà, della gravidanza e dell’allattamento, subisce grandi cambiamenti in termini di dimensioni, forma e funzione; questi cambiamenti sono fondamentali per il successo dell’allattamento (Bruant-Rodier et al., 2016).

Il tessuto ghiandolare è supportato da estrogeni, quando una donna raggiunge la menopausa i livelli di estrogeni diminuiscono e i tessuti ghiandolari si atrofizzano per, infine, scomparire, lasciando unicamente il grasso, la fascia superficiale, i legamenti sospensivi e la pelle (Azar et al., 2001).

Il seno è composto da uno stroma costituito da tessuto adiposo e connettivo che supporta il parenchima tubulo-alveolare (Gefen & Dilmoney, 2007).

Il normale tessuto mammario delle donne adulte contiene tre tipi di lobuli: il primo tipo di lobulo si forma con l’inizio della pubertà in quanto i livelli mutevoli di estrogeno e progesterone durante i cicli mestruali stimolano i lobuli di primo tipo a far nascere altri germogli alveolari, che si evolveranno e muteranno per diventare lobuli di tipo due e tre. Al termine della pubertà non si presenterà un’ulteriore maturazione del seno, se non nel corso della gravidanza (Schanler & Potak, 2018).

Traumi, radioterapia o incisioni sul seno nel periodo prepuberale possono causare problematiche nello sviluppo, come l’ipoplasia del seno, che possono portare a conseguenze future per l’allattamento (Wambach, 2016).

Nel corso della gravidanza si verifica la mammogenesi, ovvero lo sviluppo e la maturazione alveolare dell’epitelio che si verifica in risposta ai cambiamenti ormonali, il progesterone svolge un ruolo importante nello stimolare lo sviluppo alveolare nel corso di questa fase (Pinamonti & Zanconati, 2017).

In questo periodo è raggiunta la massima capacità di ramificazione del seno, l’acino secretorio che si forma rappresenta una conseguenza terminale che caratterizza la piena estensione della differenziazione ghiandolare (Russo, 2017).

L’aumento del tessuto mammario nella gravidanza deriva dallo sviluppo e dalla proliferazione del tessuto secretorio, quindi, la normale funzione mammaria post-partum è associata ad un aumento delle dimensioni del seno (Russo, 2017).

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Lo sviluppo di esso avviene in due fasi, con caratteristiche precoci e tardive: il germogliamento dei dotti prevale nel primo trimestre, mentre la formazione lobulare supera il germogliamento duttale nel secondo trimestre (Schanler & Potak, 2018).

L’accrescimento di esso inizia precocemente, circa alla quarta settimana di gestazione, quando due strisce di latte primitivo parallelo si sviluppano dall'ascella all'inguine sul tronco dell'embrione, queste striature diverranno poi la cresta mammaria o la linea del latte entro la quinta settimana di vita embrionale (Wambach, 2016).

La cresta sopracitata è in realtà un ispessimento delle cellule epiteliali localizzate nell’area ventro-laterale, localizzata sull’embrione, accompagnata da una crescita interna alla parete toracica, intorno all’ottava settimana di gestazione (Truchet & Honvo-Houéto, 2017).

Tra la dodicesima e la sedicesima settimana gestazionale queste cellule specializzate si differenziano ulteriormente nell’areola e nel muscolo liscio del capezzolo, anche nel corso di questo periodo specifico le cellule epiteliali continuano a svilupparsi, evolvendosi in gemme mammarie e, in seguito, in un modello alberato, proliferando per poter creare rami epiteliali che al termine diventeranno alveoli (Gusterson & Stein, 2012).

Gli ormoni sessuali presenti nella placenta entrano nella circolazione fetale e stimolano la formazione di canali del tessuto epiteliale ramificato, tale processo continua fino alle trentadue settimane di gestazione, mentre, a partire dalla trentatreesima, si sviluppano strutture lobulari-alveolari contenenti colostro (Russo & Russo, 2004).

i) Prima parte della gravidanza-Sviluppo ghiandole secretorie

Nella prima parte della gravidanza, sotto l’influenza della gonadotropina corionica, molte ghiandole secretorie si sviluppano a partire da ciascuna gemma, formando i lobuli di tipo tre, un’ulteriore proliferazione degli elementi distali dell’albero duttale segna la progressione dal lobulo di tipo tre al lobulo di tipo quattro; in essi, le cellule epiteliali che compongono ciascun acino non solo aumentano di numero ma anche di dimensioni (Schanler & Potak, 2018)

ii) Sedicesima settimana gestazionale

La lattogenesi si riferisce allo sviluppo della capacità di secernere il latte e comporta l’attivazione delle cellule alveolari mature, essa si svolge in due fasi: l’iniziazione secretoria e l’attivazione secretoria, di cui parlerò in seguito in quanto avviene dopo il parto (Schanler & Potak, 2020).

Nel corso della lattogenesi 1, che si svolge durante la seconda metà della gravidanza, le cellule epiteliali mammarie si differenziano morfologicamente e divengono competenti nella produzione, e nella secrezione, di alcuni componenti del latte, tra cui il colostro a causa dell’attivazione e dell’espressione di alcuni geni delle proteine del latte e degli enzimi biosintetici, nonché della produzione di lattosio e dell’accumulo di gocce lipidiche (Neville et al., 2002).

La produzione e la secrezione dei suddetti elementi del latte sono limitati dal numero di cellule epiteliali in quanto, i meccanismi secretori, non sono completamente sviluppati, comportando quindi una mancata rimozione di colostro, in quanto non viene rimosso tramite allattamento, portando di conseguenza a un riassorbimento dei componenti nel sangue, comportando quindi presenza di lattosio e caseina nelle urine e nel sangue materno (Neville, 2001).

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iii) Ventesima settimana gestazionale

A metà della gravidanza i lobuli continuano ad aumentare di numero, circondando i condotti in modo così fitto che il condotto principale, quello terminale o intralobulare terminale non possono essere più riconosciuti, la transizione tra i dotti terminali e gli acini nascenti è graduale, rendendo difficile la distinzione istologica tra i due (Schanler & Potak, 2018).

La struttura definitiva dell’albero duttale si stabilisce sostanzialmente alla fine della prima metà della gravidanza, e ulteriori cambiamenti, che procederanno fino al parto, sono soprattutto la continuazione e l’accentuazione della ramificazione e della formazione degli alveoli (Kass et al., 2007).

Infine, nell’ultimo trimestre della gravidanza, vi è una ridotta proliferazione di nuovi alveoli, si osserva un ulteriore aumento delle loro dimensioni dovuto alla distensione del loro lume, ovvero la differenziazione terminale delle cellule epiteliali, a causa dell’accumulo di colostro (Golshan, 2020).

iv) Trentatreesima settimana gestazionale

Nel corso di questo periodo, la dimensione della ghiandola mammaria fetale aumenta fino a quattro volte la sua massa di partenza e, in concomitanza, l’areola e il capezzolo si sviluppano ulteriormente, diventando pigmentati (Russo & Russo, 2004).

Con il proseguimento della gravidanza vi sono principalmente la continuazione e l’accentuazione dell’attività secretoria, la ramificazione continua con una formazione di germogli meno elevata, come detto in precedenza, e intanto la formazione di unità secretorie completamente differenziate o acini diventa sempre più evidente (Berens, 2019).

v) Momento antecedente al travaglio, travaglio e allattamento

Una volta terminata la fase 1 della lattogenesi, la ghiandola si presenta sufficientemente pronta per secernere il latte: questo processo è tenuto sotto controllo da alte concentrazioni plasmatiche circolanti di progesterone ed estrogeni (Neville et al., 2001). Poco prima e durante il travaglio si presenta una nuova ondata di attività mitotica all’interno della ghiandola mammaria; durante il travaglio e l’allattamento si può osservare un’ulteriore crescita e differenziazione nel lobulo insieme alla secrezione di latte (Schanler & Potak, 2018).

In questo momento, la componente ghiandolare del seno è aumentata fino al punto in cui il seno è composto principalmente da elementi epiteliali con stroma molto piccolo, questi cambiamenti persistono durante l’allattamento (Berens, 2019).

Al termine della gravidanza la madre permette la nutrizione e lo sviluppo del bambino attraverso l’utilizzo del latte materno (Wambach, 2016).

Il prodotto della secrezione, chiamato colostro, contiene concentrazioni relativamente elevate di sodio, cloruro e sotto fattori protettivi, come ad esempio le immunoglobuline e lattoferrina (Neville et al., 2001).

In seguito al parto, l’espulsione della placenta provoca un rapido ritiro di progesterone, estrogeni e ormone lattogeno placentare, il quale abbassa il livello di sensibilità all’insulina, permettendo l’aumento di livello di glucosio nel sangue della madre e ne diminuisce l’utilizzo: lo scopo è assicurare la nutrizione del feto, durante i 4-6 giorni dopo la nascita (Kulski et al., 1977).

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Le concentrazioni di prolattina restano alte in presenza di cortisolo ed insulina, innescando così la lattogenesi 2 (Neville et al., 2002).

L’attivazione secretoria, o lattogenesi al secondo stadio, è caratterizzata dall’insorgenza di un’abbondante produzione di latte in seguito al parto, questo stadio è innescato dal rapido declino del progesterone che segue la consegna della placenta e richiede la presenza di livelli elevati di prolattina, cortisolo e insulina (Schanler & Potak, 2018). L’inizio dell’elevata produzione di latte è accompagnato da gonfiore al seno, per la maggior parte delle donne ciò si verifica 2-3 giorni in seguito al parto, ma può essere precedente o posteriore di 7 giorni o più dopo il parto (Berens, 2019).

La produzione di colostro avviene durante i primi 4 giorni successivi alla nascita del neonato, seguito da un periodo di 10-15 giorni in cui avviene la secrezione transitoria del latte, precedente a una copiosa produzione di latte maturo, il che avviene circa a 15 giorni dal parto (Kulski & Hartmann, 1981).

La rimozione del latte entro il terzo giorno è fondamentale per il successo all’allattamento: è stato dimostrato che, sia il momento del primo allattamento che la frequenza con cui si allatta al seno il secondo giorno, sono stati positivamente correlati al volume del latte misurato al quinto giorno in seguito al parto, suggerendo quindi che la rimozione del latte poco dopo la nascita aumenta l’efficienta della secrezione di latte (Kent et al., 2012). Una volta stabilita la lattazione il volume di latte prodotto dalla madre sarà determinato dall’appetito del bambino (Kent et al., 2012).

Tuttavia, raramente il seno viene drenato completamente nell’atto dell’allattamento, in media viene consumato il 67% del latte disponibile, così, in relazione all’efficacia e alla frequenza della sequela drenaggio-riempimento degli alveoli, vi è un passaggio dal controllo endocrino a quello che è autocrino (Peaker & Wilde, 1996).

Più semplicemente il mantenimento della produzione di latte dipende dalla rimozione del latte dai seni piuttosto che dagli ormoni che circolano nel sangue; quindi più una madre allatta più latte produce, questo stadio si viene chiamato galattopoiesi (Daly et al., 1993). La suzione del neonato permette la trasmissione di informazioni al cervello, il quale rilascia l’ossitocina, essa fa sì che le cellule muscolari intorno agli alveoli si contraggano: essi sono circondati da una fitta rete di cellule mioepiteliali a forma di cesto e vasi sanguigni, il lume alveolare serve come serbatoio provvisorio per la raccolta del latte, si svuota attraverso una serie di condotti sempre più grandi all’interno di ogni lobo, il più grande e finale condotto centrale di raccolta del lobo si apre nel poro del capezzolo, attraverso il quale fuoriesce il latte materno (Schanler & Potak, 2020).

Questo principio viene chiamato riflesso d’emissione (Wilde et al., 1995).

L’emissione del latte è caratterizzata da senso di liberazione a livello del seno, nel corso di questo meccanismo gli alveoli si svuotano e rendono il latte accessibile al neonato. Una volta svuotati essi produrranno più rapidamente il latte (Boss et al., 2018).

Entra qui in gioco la proteina chiamata FIL, ovvero Fattore di Inibizione della Lattazione, la quale regola la produzione del latte: essa inibisce gli alveoli dal momento in cui c’è molto latte all’interno del seno e, dal momento in cui il latte viene rimosso, si placa, permettendo agli alveoli di produrre nuovamente latte (Wilde et al., 1995).

L’allattamento, o galattopoiesi, è il processo della continua secrezione di latte abbondante, richiede una rimozione regolare del latte e la stimolazione del capezzolo che innesca il rilascio di prolattina dalla ghiandola pituitaria anteriore e l’ossitocina dalla ghiandola pituitaria posteriore; in assenza di rimozione del latte, l’elevata pressione intramammaria e l’accumulo di un inibitore di feedback della lattazione riducono la produzione di latte e innescano l’involuzione mammaria (Schanler & Potak, 2018). Per quanto concerne le donne primipare l’attivazione secretoria è leggermente ritardata e il volume iniziale del latte è inferiore rispetto alle donne multipare, infatti, in uno studio

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basato sulla popolazione di tutti i neonati nati a termine, è stata osservata un’attivazione ritardata nelle donne che hanno avuto un parto cesareo rispetto a chi ha partorito per via vaginale, è da notare però che questo ritardo non è stato associato ad un calo del volume di latte (Schanler & Potak, 2018).

b) Benefici dell’allattamento

Qui di seguito saranno trattati i diversi benefici dell’allattamento, tra cui quelli materni, neonatali ed economici/ecologici, prendendo in considerazione il ruolo della società.

i) Benefici materni

Molti studi riguardanti l’allattamento al seno hanno confermato che esso sembra essere legato alla buona salute emotiva e fisica della madre nel corso del puerperio, il periodo di lattazione e tutta la sua vita futura, difatti, gli studi epidemiologici, hanno dimostrato che rispetto alle donne che non allattano al seno, coloro che lo fanno hanno riferito di cercare più raramente cure mediche, si è inoltre riscontrata una minor frequenza per malattie cardiocircolatorie, respiratorie e gastrointestinali, così come sintomi opprimenti legati a difficoltà emotive (Del Ciampo & Del Ciampo, 2018).

L’involuzione uterina, e la conseguente diminuzione delle emorragie, è dettata dalla produzione di ossitocina: l’allattamento precoce e la suzione del capezzolo sono gli stimoli più importanti per quel che concerne la produzione di essa; responsabile della contrazione uterina che permette all’organo di tornare alle sue dimensioni normali, riducendo conseguentemente, il rischio di emorragia e anemia (Del Ciampo & Del Ciampo, 2018).

Alti livelli di ossitocina possono, inoltre, aumentare la soglia del dolore, riducendo il disagio materno e contribuendo all’aumento del sentimento d’amore per il proprio bambino (Gremmo-Féger, 2013).

Subito dopo aver partorito, e nel periodo di allattamento, il progesterone e gli estrogeni sono soppressi, si manifesta quindi un periodo di infertilità: infatti, mentre la madre allatta esclusivamente al seno, la protezione contro la gravidanza può raggiungere addirittura il 96% durante il primo semestre, assicurando così la distanza fra gravidanze (Van der Wijden & Manion, 2015).

Quindi, l’amenorrea lattazionale, può essere spiegata dall’inibizione dell’attività ovarica derivante dagli alti livelli di prolattina che portano, in seguito, all’inibizione dell’ormone gonadotropina e all’interruzione dell’ovulazione (Chowdhury et al., 2015).

La nascita di un bambino è, solitamente, fonte di gioia e piacere per la famiglia, tuttavia, è noto che il 13% di tutte le puerpere può sviluppare sintomi e segni di depressione fino a 12 settimane dopo il parto (Skrundz et al., 2011).

Tra queste donne si è riscontrato un livello di ossitocina più basso rispetto alle altre neomamme, le quali, grazie a questo ormone, hanno effetti positivi, come ad esempio la vocalizzazione con il bambino, il contatto diretto degli occhi, l’incoraggiamento del tocco e delle carezze (Del Ciampo & Del Ciampo, 2018).

Queste donne, ovvero coloro che riescono ad allattare al seno, riferiscono di sentirsi più tranquille, meno stressate e aggressive, si sentono più propositive nella socializzazione fin dai primi giorni post-parto, ulteriore conferma della funzionalità dell’ossitocina prodotta nel periodo di allattamento (Jonas & Woodside, 2016).

I fattori di stress che influenzano la puerpera possono essere molteplici: le poche ore di sonno, il compito della cura del bambino insieme alle attività domestiche, i cambiamenti

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nell’immagine corporea, la pressione emotiva di cercare di essere una buona madre e soddisfare le aspettative e la riduzione dell’attività sessuale rappresentano indubbiamente un sovraccarico che spesso è incompatibile con la personalità e la capacità di una donna di svolgere il suo ruolo da madre (Del Ciampo & Del Ciampo, 2018).

In questa circostanza l’allattamento al seno può agire riducendo i livelli di stress in quanto va ad agire sulla riduzione del cortisolo e dei livelli di ACTH, riducendo quindi i livelli di ansia, in aggiunta, il rafforzamento tra la madre e il neonato è un importante stimolo per il mantenimento dell’allattamento al seno il più a lungo possibile, chiudendo un ciclo virtuoso che tende a beneficiare entrambe le figure (Benjamin Neelon et al., 2015). Nel periodo della gravidanza la donna accumula tessuto adiposo a livello viscerale o intra-addominale, esso si presenta metabolicamente più attivo rispetto al grasso depositato in altre aree ed è legato a malattie cardiocircolatorie, tuttavia, questi depositi possono essere reclutati nel periodo di allattamento, creando un processo che continua a verificarsi parallelamente all’allattamento al seno, riducendo quindi il peso materno e il rischio di diabete mellito di tipo 2 (McClure et al., 2012).

Il tumore mammario è molto comune, soprattutto dopo il quarto decennio di vita (Zhou et al., 2015).

Molteplici studi hanno evidenziato i benefici nel corso del tempo dell’allattamento al seno e il suo effetto protettivo contro il rischio di sviluppare un tumore al seno: l’esfoliazione dei tessuti e l’apoptosi epiteliale che si presentano al termine del periodo di allattamento al seno possono contribuire alla riduzione della probabilità di un aumento di cellule con mutazione nei tessuti mammari (Zhou et al., 2015).

Si stima infatti che il rischio di presentare cancro al seno si possa ridurre di oltre il 4% per ogni anno di allattamento al seno e, secondo l’UNICEF, un aumento del 16% della percentuale delle madri che allattano al seno per 6 mesi può ridurre la prevalenza prevista del cancro al seno dell’1.6% all’anno (Scoccianti et al., 2015).

Un ulteriore tumore molto frequente nelle donne è quello dell’epitelio ovarico: alcune teorie indicano come cause la proliferazione cellulare e i traumi da ovulazione ininterrotta, d’altro canto, i fattori protettivi sono considerati la soppressione delle gonadotropine (in particolar modo dell’ormone luteinizzante), la bassa concentrazione di estrogeni e la conseguente amenorrea causata dall’allattamento, citata in precedenza (Luan et al., 2013).

È stato stimato che il rischio di sviluppare un tumore di questo tipo si riduca del 2% per ogni mese di allattamento al seno; è stato osservata una relazione inversa tra questi eventi ed è stato riportato che la protezione è maggiore quando il tempo trascorso ad allattare al seno è superiore a 10 mesi (Li et al., 2014).

Inoltre, un’analisi di studi prospettici di coorte e dei casi di controllo, ha dimostrato che donne che non hanno mai allattato al seno hanno il 30% di possibilità in più di sviluppare questa tipologia di tumore (Luan et al., 2013).

Una malattia ginecologica molto comune e che colpisce più del 10% delle donne in età riproduttiva è l’endometriosi: i sintomi comuni comprendono dismenorrea, dispareunia e infertilità, e le donne che sono soggette a tale condizione cronica possono sperimentare un’ampia vastità di sintomi, che vanno dal dolore lieve alla malattia estremamente debilitante (Farland et al., 2017).

Secondo lo studio svolto da Farland et al. nel 2017, la durata dell’allattamento al seno è significativamente associata a una riduzione del rischio di endometriosi, infatti, per ogni 3 mesi di allattamento al seno ulteriori in un’unica gravidanza, la donna ha un rischio di sviluppare endometriosi inferiore dell’8%, e, le donne che hanno allattato al seno per un

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totale di 36 mesi nel corso della loro vita riproduttiva hanno un rischio inferiore del 40% rispetto a coloro che non hanno mai allattato al seno.

In tutto il mondo, in parallelo con i cambiamenti alimentari, il sedentarismo e l’obesità, la prevalenza del diabete mellito di tipo 2 è aumentata.

Citando quanto spiegato in precedenza, l’ossitocina ha un’azione che permette una riduzione della resistenza all’insulina.

Lo studio svolto da Perrine et al. ha mostrato un’associazione dose-dipendente e inversa tra allattamento al seno e diabete di tipo 2, con una conseguente riduzione del 4-12% del rischio di sviluppare tale problematica ad ogni anno di allattamento (Del Ciampo & Del Ciampo, 2018).

La riduzione del rischio di sviluppare osteoporosi nel corso della vita è anche correlata all’allattamento al seno, infatti, è stato dimostrato che donne che allattano il proprio bambino, presentano una massa ossea che mostra maggiore densità minerale nonostante la perdita di calcio durante questo periodo (Salari & Abdollahi, 2014).

La perdita di calcio che avviene nel periodo di allattamento al seno è compensata da meccanismi che incrementano l’assorbimento intestinale e renale di calcio e la sua mobilitazione dalle ossa, ristabilendo così la densità minerale ossea (Salari & Abdollahi, 2014).

Le donne che allattano al seno per lunghi periodi, da 7 a 12 mesi dopo il primo parto, hanno un rischio inferiore del 28%, rispetto a donne che non hanno mai allattato, di sviluppare malattie vascolari (Melton et al., 1993).

Lo studio di Chen et al. ha mostrato che l’allattamento al seno è associato a un minor rischio di insorgenza dell’artrite reumatoide, indipendentemente dal fatto che l’allattamento sia perdurato più o meno di 12 mesi (Chen et al., 2015).

Un dato curioso è quello raccolto da Fox et al.: in questo studio sono state selezionate donne anziane inglesi, è stato scoperto che il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer era più basso tra quelle che avevano allattato al seno, forse a causa degli effetti ormonali degli estrogeni sui recettori cerebrali e la sensibilità all’insulina innescata dall’allattamento stesso (Fox et al., 2013).

ii) Benefici neonatali

I molteplici studi, svolti nel corso degli ultimi anni riguardo i benefici del latte umano, hanno mostrato che esso offre un ottimale apporto di nutrienti e composti bioattivi che vanno a contribuire in modo positivo per la salute a breve e lungo termine associati all’allattamento al seno (Mosca & Giannì, 2017).

Una revisione sistematica, pubblicata nel 2016, ha mostrato effetti protettivi a breve termine forti grazie all’allattamento esclusivo nei primi 6 mesi di vita contro malattie infettive, arrivando fino all’88% di riduzione della mortalità in confronto ai bambini che non sono mai stati allattati al seno (Sankar et al., 2015).

L’allattamento al seno è, inoltre, risultato positivo per diminuire il rischio di morte improvvisa del neonato (Ip et al., 2007).

Prove sostenute da dati indicano un rilevante ruolo protettivo anche per quanto concerne il rischio di diarrea e infezioni respiratorie, prevenendo quindi il ricovero ospedaliero causato dalle problematiche sopracitate, riducendo il rischio di ben un terzo (Horta et al., 2013).

L’otite è un’ulteriore problematica che può essere prevenuta dal momento in cui si allatta al seno, difatti, più a lungo si allatta al seno, maggiormente si riduce il rischio di

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insorgenza, c’è da precisare però che questo effetto protettivo non è più rilevabile in modo coerente dopo i due anni di età (Bowatte et al., 2015).

Oltre ai benefici appena citati vi è inoltre la riduzione del rischio di sviluppare diarrea entro i primi 5 anni di età e, quindi, vi è minor rischio di dover ricoverare il bambino in ospedale per le conseguenze annesse (Horta et al., 2013).

Per quanto concerne eczemi o allergie alimentari, secondo Victora et al. (2016), non vi sono prove coerenti e chiare che vadano a indicare un effetto protettivo creato dall’allattamento al seno per queste problematiche (Victora et al., 2016).

Tra i risultati sulla salute a lungo termine vi è il dato concernente il diabete di tipo 2: è stato dimostrato che l’esposizione più lunga all’allattamento al seno è associata a una riduzione del 35% di tale rischio (Horta et al., 2015).

L’obesità/il sovrappeso sono stati messi in associazione con l’allattamento al seno prolungato in modo positivo, in quanto in una metanalisi comprendente 113 studi è stato dimostrata una riduzione di insorgenza di questa problematica del 26% (Mosca & Giannì, 2017).

Un dato interessante è quello trovato da Amitay et al. (2015) nel loro studio, infatti hanno riferito che vi è il rischio di sviluppare leucemia infantile minore del 19% nei bambini allattati al seno rispetto ai neonati che non lo sono mai stati (Amitay & Keinan-Boker, 2015).

L’allattamento al seno è, inoltre, associato a un esito cognitivo positivo, difatti è stato dimostrato che il quoziente intellettivo dei neonati allattati al seno in generale o per lungo tempo è 2.6 punti maggiore rispetto a quello riscontrato nei bambini mai allattati al seno (Mosca & Giannì, 2017).

Bergman, però, nel suo studio svolto nel 2019, non è certo che tale punteggio sia dovuto effettivamente all’allattamento stesso, quindi ai componenti nutrizionali presenti nel latte materno, bensì crede che tale risultato possa essere conferito al contatto precoce tra madre e figlio al momento della nascita (Bergman, 2019).

Un ulteriore beneficio considerato è l’effetto analgesico che il latte materno parrebbe dia ai neonati; questa considerazione è stata supportata da numerosi studiosi, difatti, essi hanno dimostrato che i bambini allattati al seno subiscono minor stress nel corso delle procedure dolorose rispetto ai bambini allattati con formula (Codipietro et al., 2008). Questa considerazione è supportata da dati riguardanti indicatori, fisiologici e comportamentali, di dolore, osservando al contempo frequenza cardiaca e tempo di pianto (Gray et al., 2015).

Oltre ai dati citati qui sopra, è stato possibile monitorare il livello di cortisolo a livello salivare di entrambe le tipologie di bambini: il cortisolo svolge un ruolo fondamentale nella mediazione dell’analgesia, difatti è stato riscontrato un livello più elevato nei neonati allattati al seno (Cao et al., 2009).

Per molteplici psicoanalisti, l’allattamento al seno costituisce un elemento rilevante del rapporto madre-bambino, come spiega A. De Mijolla:

"Una situazione che la coinvolge profondamente nel suo corpo e nella sua vita psichica... L'allattamento al seno prolunga il tempo della gravidanza e del parto ed è una parte inseparabile della vita sessuale di una donna e della sua storia." (2002)

Lo stretto contatto favorito dall’allattamento al seno, nell’interazione madre-bambino in questo periodo iniziale della vita in cui madre e figlio sono strettamente uniti in una vera diade, può giocare un ruolo essenziale nella spirale transizionale che li lega, cioè nel rafforzamento del benessere psicologico della madre da parte del suo bambino, e viceversa (Comité de nutrition de la Société française de pédiatrie et al., 2013).

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Purtroppo, la dimostrazione esatta e scientifica del ruolo che gioca l’allattamento al seno in questi benefici emotivi per madre e figlio è difficile; occorre sottolineare le difficoltà connaturate nei metodi di valutazione delle funzioni cognitive con strumenti imperfetti, le cui stime numeriche non devono essere illusorie (Comité de nutrition de la Société française de pédiatrie et al., 2013).

iii) Benefici economici/ecologici-Ruolo della società

L’allattamento al seno è la prima inoculazione del bambino contro la malattia, la morte e la povertà, così come il loro investimento duraturo in capacità sociali, cognitive e fisiche (Victora et al., 2016).

Quando si nutre un neonato, si contribuisce alla crescita economica futura in quanto esso fornisce benefici a bambini, donne e alla società stessa: riduce la mortalità infantile, aumenta il punteggio del quoziente di intelligenza, migliora conseguentemente i risultati scolastici (Hoddinott et al., 2013).

Un perfezionamento delle pratiche di allattamento al seno eviterebbe 823’000 decessi annui di bambini di età inferiore ai 5 anni, l’allattamento al seno riduce inoltre la morbilità e migliora il potenziale educativo dei bambini, come visto in precedenza, e probabilmente il loro reddito da adulti (Victora et al., 2016).

Oltre alle specifiche prestazioni sanitarie per madri e neonati, sono stati descritti benefici economici, familiari e ambientali, questi benefici includono il potenziale di riduzione dei costi sanitari annuali di 3.6 miliardi di dollari negli Stati Uniti, diminuzione dei costi per i programmi di salute pubblica, come il programma di nutrizione speciale supplementare per donne, bambini e neonati (American Academy of Pediatrics, 2005). Vi sono benefici più ad ampio spettro, come la riduzione del carico ambientale per lo smaltimento di lattine e bottiglie e vi è una diminuita richiesta di energia per la produzione e il trasporto di alimentazione artificiale (American Academy of Pediatrics, 2005).

Si è potuto quindi vedere che l’allattamento al seno favorisce la contribuzione ad un mondo più sano, meglio istruito, più sostenibile dal punto di vista ambientale.

Purtroppo, gli ostacoli per l’inizio e la continuazione dell’allattamento al seno sono molteplici, includono: l’insufficiente educazione riguardo l’allattamento al seno in fase prenatale, politiche e pratiche ospedaliere forti, interruzione inappropriata dell’allattamento, dimissione precoce dall’ospedale da parte di alcune popolazioni, mancanza di cure tempestive, controlli di routine e di visite a domicilio in seguito al parto, occupazione materna, soprattutto in assenza di strutture sul posto di lavoro e supporto per l’allattamento al seno, mancanza di una famiglia sostenitrice o di un’ampia rete sociale (American Academy of Pediatrics, 2005).

Purtroppo, atteggiamenti negativi, come dimostrano l’inadeguatezza del congedo di maternità, la mancanza di opportunità di allattare al seno o di latte espresso sul posto di lavoro, e le restrizioni all’allattamento al seno in pubblico sono davvero troppo comuni (Rollins et al., 2016).

Un ulteriore ostacolo non indifferente per l’allattamento al seno è rappresentato dall’influenza mediatica quotidiana, come ad esempio la raffigurazione del biberon come normativo, la promozione commerciale di alimenti per lattanti attraverso la distribuzione di pacchi di dimissione ospedalieri, tagliandi per sconti, pubblicità televisiva, disinformazione generale e mancanza di guida e incoraggiamento da parte degli operatori sanitari (American Academy of Pediatrics, 2005).

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La promozione dell’allattamento al seno dovrebbe iniziare con una solida diffusione delle prove del suo ruolo portante, fondamentale, sia per le società ricche che per quelle povere (Rollins et al., 2016).

Frequentemente scienziati, responsabili dei programmi, operatori sanitari, responsabili politici e comunità non attribuiscono il giusto merito all’allattamento al seno, non riconoscono il valore di esso come un potente intervento per la salute e lo sviluppo a beneficio sia dei bambini che delle donne (Rollins et al., 2016).

c) Tipi di protesi

Le protesi mammarie presentano un guscio esterno composto da silicone, esso viene riempito con soluzione fisiologica dal chirurgo al momento dell’intervento o con gel di silicone al momento della produzione (Nahabedian, 2020).

Sono presenti espansori tissutali e impianti di differenti proiezioni, altezze e larghezze; negli Stati Uniti sono usate principalmente quelle colmate di soluzione fisiologica e quelle in gel di silicone con guscio di silicone, ma sono presenti molteplici tipi di protesi, come ad esempio quelle a doppio lume o con guscio di poliuretano, utilizzati in tutto il mondo (Nahabedian, 2020).

Anche la superficie può variare, difatti in Europa e nel Sud America si preferisce utilizzare quelle strutturate, associate recentemente al linfoma anaplastico a grandi cellule, mentre negli Stati Uniti si utilizzano prevalentemente quelle lisce (Clemens & Jacobsen, 2020). A causa dell’associazione tra protesi strutturate e linfoma anaplastico e delle crescenti preoccupazioni, la vendita e la distribuzione di alcuni di questi dispositivi è cessata in molti paesi sudamericani ed europei, mentre, dal 2019, la FDA (Food and Drug Administration) non ha emesso alcuna restrizione alla vendita e alla distribuzione di protesi mammarie di questo tipo negli Stati Uniti (Swanson, 2019).

Altre caratteristiche presenti nelle protesi mammarie sono il numero di scomparti, possono essere impianti a singolo lume, come le protesi in gel, vi è quindi un guscio esterno composto da silicone ma sono state pre-riempite al momento della produzione (Nahabedian, 2020).

Vi sono inoltre le protesi saline, esse presentano un guscio esterno in silicone e vengono colmate con soluzione fisiologica dal chirurgo nel momento esatto in cui viene inserito l’impianto (Nahabedian, 2020).

Oltre alla tipologia sopracitata vi sono gli impianti a doppio-lume, ovvero con due comparti ben separati, di cui uno è riempito con gel di silicone e l’altro è riempito con soluzione fisiologica (Nahabedian, 2020).

Le complicazioni associate a questa tipologia di impianti sono simili a quelle che si riscontrano con gli impianti sia in silicone che in soluzione fisiologica (Nahabedian, 2020). Un’ulteriore caratteristica che contraddistingue le protesi è la forma: essi possono essere impianti non simmetrici, detti anche a goccia o anatomici, che presentano una maggiore proiezione al polo inferiore, oppure possono presentare una circonferenza con una forma simmetrica, simile a quella di un cerchio (Nahabedian, 2020).

Oggigiorno tutti gli impianti disponibili presentano una superficie del guscio in silicone testurizzato, indipendentemente dal fatto che sia riempito con soluzione salina o con gel di silicone, ma esistono anche gusci in silicone liscio (Nahabedian, 2020).

Gli impianti che sono stati rimossi dal commercio sono molteplici: gli impianti con superficie bio-cellulare, prodotti da Allergan, sono stati richiamati nel 2019 a causa dell’alta associazione con il linfoma anaplastico a grandi cellule, gli impianti a base di poliuretano e riempiti con gel di silicone hanno mostrato invece una percentuale di contrattura capsulare significativamente ridotta, ma la possibile tossicità proveniente

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dalla degradazione del poliuretano ha creato preoccupazione, difatti sono state rimosse dal mercato statunitense all’inizio degli anni ’90 ma restano tutt’oggi presenti nel mercato mondiale (Handel et al., 2006).

Un altro esempio di protesi rimosse dal mercato sono quelle trilucenti: esse erano associate ad alti tassi di perdite da parte del filler, estrema fragilità dell’impianto con frequenti rotture e pronunciata reazione infiammatoria e deterioramento del guscio con perdita di consistenza, vennero infatti tolte dal mercato nel 1999 (Monstrey et al., 2004). Infine, vi erano gli impianti di polivinilpirrolidone, considerati l’alternativa agli impianti colmati di silicone utilizzati negli anni ’90, vi era la pretesa che vi fosse maggiore biocompatibilità rispetto al gel ma, purtroppo, gli studi successivi hanno mostrato che gli impianti sono aumentati di volume nel corso del tempo e hanno presentato un alto tasso di contrattura capsulare (Piza-Katzer et al., 2002).

d) Tipologia di incisioni e influenza sull’allattamento

La preoccupazione delle pazienti nei confronti delle cicatrici che potrebbero permanere nel tempo è sempre presente, per questo motivo sono state ideate varie tecniche per ridurre al minimo o, addirittura, nascondere l’incisione (Spear et al., 2006).

Le scelte che possono essere prese in considerazione al momento sono: le incisioni periareolari, inframammarie, transascellari e transombelicale; esse vengono scelte in base alle variabili anatomiche presentate dalla persona che vuole sottoporsi a intervento di mastoplastica additiva (Spear et al., 2006).

L’incisione periareolare è, sotto molti punti di vista, l’approccio maggiormente versatile: essa da accesso a tutti i quadranti del seno ed è compatibile con diverse protesi mammarie e diversi piani di sezionamento (Spear & Beckenstein, 1998).

Il diametro dell’areola è un dato importante da prendere in considerazione prima dell’intervento, difatti esso può rappresentare un fattore limitante, va quindi usata maggiore attenzione nelle areole leggermente colorate con margini non perfettamente definiti in quanto le cicatrici saranno in maggior misura visibili (Spear et al., 2006).

Sono stati redatti rapporti preliminari che suggeriscono un aumento del rischio di cambiamenti nella sensazione a livello del capezzolo e nella capacità di allattare con l’utilizzo dell’approccio periareolare (Neifert, DeMarzo, Seacat, Young, Leff & Orleans, 1990).

L’incisione inframammaria rappresenta invece l’approccio più diretto e semplice per l’aumento del seno, infatti, l’accesso diretto sia al piano sottopettorale che a quello sottomammario può essere ottenuto senza violare il parenchima del seno stesso (Spear et al., 2006).

La cicatrice è spesso nascosta e si nota in modo poco appariscente nella piega inframammaria creata grazie all’intervento svolto, e, la maggior parte delle volte, può notarsi solamente in posizione supina (Spear et al., 2006).

La lunghezza dell’incisione praticata può variare di dimensione e, alcune circostanze, richiedono una riflessione su dove andrebbe effettuata in base al possibile risultato che si potrebbe ottenere (Spear et al., 2006).

L’incisione transascellare è attrattiva dal momento in cui l’incisione non è presente sul seno, bensì è nascosta, essa è vantaggiosa per pazienti i cui seni sono piccoli e ptosici, le quali presentano una piega inframammaria poco definita o una piccola areola (Spear et al., 2006).

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Con questa tipologia di incisione un endoscopio può essere utilizzato sia sul piano subpettorale che su quello sottoglandolare, esso permette una dissezione acuta, un’emostasi accurata e il rilascio preciso degli attacchi muscolare e dei tessuti molli ma, nonostante questi vantaggi per quanto concerne questa tipologia di incisione ad approccio remoto, vi sono aspetti non positivi, tra cui la mancanza di controllo e precisione nel posizionamento delle protesi, infatti presenta un rischio maggiore di asimmetria e mal posizionamento dell’impianto (Spear et al., 2006).

A causa di ciò, questa tipologia di approccio può avere un tasso di revisione più elevato e, queste successive procedure necessarie, possono essere molto difficoltose con un’incisione ascellare, per questo motivo potrebbe essere richiesto un ulteriore taglio che si situa direttamente sul seno (Spear et al., 2006).

Oltre alle tipologie di incisione sopracitate, vi è quella transombelicale, in questo caso si crea un taglio nell’ombelico, o in corrispondenza di esso, e, tramite l’ausilio di specifici strumenti, si crea un tunnel attraverso il quale il chirurgo ha accesso ai diversi tessuti, attraverso i quali andrà a posizionare le protesi mammarie sgonfie, esse verranno riempite di soluzione fisiologica quando saranno posizionate nel luogo definitivo (Pound, 2001).

Questa tipologia di approccio permette alla donna di non avere cicatrici visibili nella zona del seno e dell’ascella (Spear et al., 2006).

Anch’essa condivide però il rischio di mal posizionamento dell’impianto visto l’approccio remoto applicato e, inoltre, vi è unicamente la possibilità di utilizzare protesi sature di soluzione fisiologica, ormai sconsigliate (Spear et al., 2006).

È una tecnica ormai praticamente non utilizzata in quanto potrebbe necessitare di ulteriori revisioni e interventi, i quali dovrebbero essere svolti direttamente sul seno e, il chirurgo, non potrebbe difendere un risultato insoddisfacente (Spear et al., 2006).

La capacità del seno di produrre latte dopo aver subito un intervento può quindi dipendere dalla chirurgia e dalla posizione delle incisioni (Woods, 2016).

Si è visto che i nervi sono fondamentali per l’allattamento al seno in quanto attivano il cervello per produrre prolattina e ossitocina, ovvero i due ormoni che influenzano la produzione del latte, di conseguenza, i dotti e i nervi danneggiati, possono influire sulla quantità e sull’emissione del latte (Woods, 2016).

La preoccupazione che l’aumento del seno con l’utilizzo di impianti possa influenzare la capacità di allattare al seno tramite molteplici meccanismi è tutt’oggi presente: i meccanismi coinvolti sono il danno ai dotti, al tessuto nervoso e al tessuto ghiandolare, inoltre si crede che l’aumento della pressione, esercitata dalle protesi nel parenchima mammario, e complicazioni chirurgiche, quale per esempio la contrattura capsulare, possano condurre a incapacità sotto questo aspetto (Michalopoulos, 2007).

Nel corso degli anni è stato possibile sviluppare e introdurre, nella presa a carico delle pazienti sottoposte a intervento di mastoplastica additiva, un metodo che permettesse una valutazione quantitativa più dettagliata e accurata della sensazione cutanea, di cui si parlerà in seguito (Okwueze et al., 2006).

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3. Metodologia

a) L’importanza dell’infermieristica basata su prove di efficacia

Nella pratica infermieristica, è necessario rimanere costantemente aggiornati rispetto alla ricerca in modo da poter svolgere un lavoro all’avanguardia e, soprattutto, basato su qualità e attualità.

Inizialmente, questo concetto, era nominato Evidence Base Medicine (EBM), in seguito venne preso in considerazione l’Evidence Based Practice, anche soprannominato EBP. Questo aspetto permette di basare le ricerche scientifiche su vere e proprie prove di efficacia, in modo da poter migliorare la pratica clinica e l’ambito della presa di decisioni terapeutiche (Mackey & Bassendowski, 2017).

Oltre a proporre ricerche all’avanguardia al fine di ottenere risultati di qualità, questo tipo di ricerca permette ai curanti di offrire cure personalizzate ai propri pazienti, mantenendo la qualità, facendo riferimento ad un approccio olistico (Mackey & Bassendowski, 2017). Sempre più si cerca di proporre, fin dall’inizio della formazione accademica, questi stili di ricerca, integrando così fin dal principio il concetto di EBP nei settori sanitari, in modo che gli studenti possano apprendere una modalità qualitativa per tenersi aggiornati e possano di conseguenza integrare la pratica clinica al sapere (Mackey & Bassendowski, 2017).

b) Fonti presenti in letteratura

Una delle fasi più importanti nello svolgimento di uno studio scientifico è quella della ricerca. È di fondamentale importanza analizzare gli articoli che trattano del tema preso in considerazione per poterli suddividere nelle categorie sottostanti (Polit & Tatano Beck, 2014).

Le fonti primarie sono tutti gli articoli che sono stati scritti da autori che hanno svolto in prima persona lo studio in corso. Come fonte secondaria invece, si intendono studi in cui gli autori non sono conduttori principali della ricerca, bensì riprendono risultati di altri articoli e altri autori in modo da poter rispondere al quesito principale. In questo caso, l’autore che redige l’articolo, si basa su studi già svolti e ricava le informazioni necessarie da studi con fonti primarie (Polit et al., 2014).

Un esempio concreto di fonti secondarie è la revisione della letteratura, l’autore ricava quindi informazioni dettagliate trovate precedentemente da altri autori.

Pe rendere la revisione della letteratura uno studio aggiornato e affidabile, sarebbe auspicabile che l’autore faccia riferimento ad articoli non con fonti secondarie, in questo caso aumenterebbe il rischio di trovare informazioni grossolane e non completamente obiettive (Polit et al., 2014). Sarebbe consigliato di selezionare articoli di annata recente, ciò dovrebbe offrire una pregiata e vasta bibliografia e, inoltre, permettono allo studio in corso di essere attuale e aggiornato (Polit et al., 2014).

Per rendere più chiara e precisa la domanda di ricerca si potrebbero inserire ulteriori informazioni tra cui testimonianze, testi d’opinione, tabelle contenenti dati, in modo da rendere più chiaro al lettore il problema di ricerca.

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c) Metodo utilizzato

Come anticipato nei sottocapitoli precedenti, per rispondere alla mia domanda di ricerca, utilizzerò una revisione della letteratura. In questo capitolo fornirò una definizione completa e precisa riguardo questa metodologia di ricerca.

Come definizione di “revisione sistematica” mi sono affidata al libro Evidence-Based Nursing, redatto da DiCenso, Guyatt e Ciliska nel 2002.

Descrivono questa metodologia come una sintesi severa, critica e precisa di tutte le prove della ricerca che fanno riferimento a una domanda ben specificata.

La domanda può concernere la diagnosi, la prognosi, l’efficacia di interventi assistenziali sanitari o sul danno (DiCenso, Guyatt e Ciliska, 2002).

È quindi la revisione di un quesito che è stato formulato in modo chiaro, essa utilizza metodi espliciti e sistematici per identificare, selezionare e valutare la ricerca in questione, raccogliendo e analizzano di conseguenza i dati degli studi che sono stati inclusi nella revisione (DiCenso et al., 2002).

Per svolgere una revisione della letteratura è necessario percorrere delle fasi ben definite che aiutino a programmare il suo svolgimento. Queste fasi sono in totale otto: la prima è quella della formulazione della domanda di ricerca; essa deve essere chiara e specifica. Per far in modo di organizzare lo studio nella maniera più precisa possibile è fondamentale svolgere la fase successiva, la seconda, ovvero definire dei concetti di ricerca. Una volta svolta la seconda fase, si arriva alla terza, in qui è importante formulare i criteri di inclusione ed esclusione per delimitare i termini del lavoro. Nella quarta fase si passa alla ricerca nel campo delle banche dati per avere una visione più ampia di quanti e quali studi esistano e che dimostrino delle evidenze in merito all’argomento scelto. Dopodiché, nella quinta fase, si fa una selezione degli articoli trovati nella fase precedente, in modo da valutare quali rientrano nei criteri di inclusione ed esclusione selezionati prima. Nella sesta fase è invece necessario eseguire una valutazione specifica per quanto concerne il livello di qualità degli articoli selezionati, al fine di comporre un lavoro con altrettanta qualità. La settima fase è caratterizzata da una sintesi degli articoli proposti, esponendo i dati trovati. L’ultima fase consiste nel rispondere in modo preciso e dettagliato alla domanda di ricerca esposta all’inizio del lavoro, dando degli spunti per effettuare ulteriori ricerche in futuro (Kader, 2006). Come spiegato precedentemente, la revisione della letteratura permette di valutare studi già svolti per poter rispondere alla domanda postasi nella prima fase della ricerca. Oltre a ciò, questo tipo di studio è utile per rimanere aggiornati in maniera costate su argomenti precisi che spesso riguardano ambiti professionali (Polit et al., 2014). Essere all’avanguardia rispetto a temi specialistici e condividerli con il gruppo permette sia di acquisire maggiori conoscenze che di migliorare la pratica professionale, permettendo quindi di applicare lavori con alla base qualità (Polit et al., 2014).Nella revisione della letteratura vi sono diverse sottotipologie di studi: la meta-analisi, la meta-sintesi, la revisione della letteratura sistematica e la revisione tradizionale-narrativa della letteratura (Cronin, Ryan & Coughlan, 2008). La revisione tradizionale della letteratura ha come obiettivo principale il trovare delle risposte rispetto ad un tema, utilizzando una valutazione degli articoli presenti in letteratura. La revisione sistematica della letteratura mantiene lo stesso scopo, aggiungendo però dei criteri di inclusione ed esclusione, al fine di rendere la domanda di ricerca più delimitata e precisa, utilizzando studi con fonti primarie. Quest’ultima viene spesso utilizzata per pratiche cliniche poiché mantiene alto il livello di qualità. Per quanto riguarda la meta-sintesi: essa fa riferimento a studi qualitativi per analizzare i dati a disposizione, con lo scopo sia di rispondere alla domanda di ricerca, sia di creare nuovi

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elementi e nuovi concetti. La meta-analisi invece utilizza una tecnica statistica per svolgere uno studio dei dati, prendendo in considerazione unicamente studi quantitativi (Cronin, Ryan & Coughlan, 2008).

In conclusione, si può dire che, per svolgere una revisione della letteratura, è necessario leggere ed interessarsi rispetto al tema che si vuole indagare, per rendere più effettuabile la ricerca nelle banche dati, per capire dove gli studiosi sono arrivati e quali conclusioni hanno tratto fino ad oggi (Taylor, Kormode & Roberts, 2006).

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4. Protocollo di ricerca

a) Domanda di ricerca

Come precedentemente spiegato, per far sì che lo studio sia definito e chiaro, è necessario creare una domanda di ricerca seguita dalla formazione di obiettivi che permetteranno al ricercatore di seguire una linea logica nel corso del lavoro, per facilitarne la formulazione è possibile utilizzare il sistema PICO (Dignen, 2009).

Il sistema sopracitato si divide in 4 capitoli: Population (P), Intervention (I), Comparison (C) e Outcomes (O). Per population si intende l’insieme di persone che presentano caratteristiche richieste e desiderate dal ricercatore che verrà preso in esame per lo studio in questione. È importante definire le eventuali specificità, come ad esempio l’etnia, il tipo di patologia, l’età, le eventuali comorbidità presenti, l’area geografica in cui si vuole agire. Con intervention si intende la metodologia attraverso la quale, il ricercatore, vuole svolgere lo studio e, nel caso in cui esso volesse comparare i risultati ottenuti, dovrebbe specificare in che modalità attraverso la comparison, essa non deve però presenziare in modo obbligatorio.

Infine, vi è l’outcome, ovvero il risultato che la ricerca fornirà alla fine dello studio indagato: esso potrà risultare come successo o come fallimento (Dignen, 2009).

Per formulare la mia domanda di ricerca ho deciso di riferirmi a questo sistema, di seguito le caratteristiche concernenti il mio lavoro di Bachelor:

- Population (P): Donne dai 18 ai 40 anni

- Intervention (I): Intervento di mastoplastica additiva - Comparison (C): -

- Outcome (O): Efficacia dell’allattamento al seno

b) Criteri di inclusione ed esclusione

Inclusione:

- Popolazione: Donne dai 18 anni ai 40 in età fertile senza precedenti interventi o patologie a livello dei seni

- Anno di pubblicazione: Negli ultimi 25 anni - Studi primari con intero articolo disponibile - Lingua: Inglese

- Regione geografica: Argentina, Porto Rico, Stati Uniti d’America - Parità: Multipare e primipare

Esclusione:

- Popolazione: Donne di età inferiore/superiore a quella sopracitata con anomalie a livello dei seni

- Solo Abstract

c) Strategie di ricerca

Vi sono molteplici strategie di ricerca per poter effettuare una revisione della letteratura in ambito infermieristico, fra quelle maggiormente utilizzate vi è la ricerca nelle banche dati biomediche (Conn et al., 2003).

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