Transcatheter closure of patent foramen
ovale for secondary prevention in
paradoxical embolism: a single Center
experience
MASTER II LIVELLO IN CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA STRUTTURALE
A.A. 2017-2018
Candidato:
Dott.ssa Giorgia Caferri
Tutor Scientifico:
Prof. C. Passino
Tutor Aziendale:
Dott. Sergio Berti
INTRODUZIONE:
La possibilità che il forame ovale potesse rimanere pervio nell’età adulta era stato osservato già nel XVI secolo da parte di Leonardo Botallo. Si trattava di studi anatomici in cui si era dimostrata la comunicazione specillabile tra atrio destro ed atrio sinistro dimostrabile in sala settoria.
Nel 1877 Cohnheim (Cohnheim J 1877) ipotizzo che la causa di un ictus fatale, apparentemente non spiegabile, in una giovane donna potesse essere secondario al passaggio “paradosso” di un trombo di origine venosa dall’atrio destro all’atrio sinistro mediante il forame ovale pervio (PFO). Venne quindi coniato il termine di embolia paradossa.
Sulla scorta di osservazioni effettuate nei primi anni Novanta e descrizioni aneddotiche di casi clinici, in cui sarebbe stato dimostrato il passaggio diretto di trombi attraverso il PFO, si è iniziato a progettare un device che potesse permettere la chiusura percutanea del PFO. Così, il primo device per la chiusura del forame ovale è stato impiantato nel 1992 (Bridges ND et al. 1992).
Dal momento che l’ictus criptogenetico rappresenta circa un terzo di tutti gli ictus, la possibilità di una terapia fisiopatogenetica che potesse, almeno in una parte di questi pazienti, ridurre al massimo l’incidenza di eventuali recidive, si è da subito dimostrata molto intrigante.
Da allora si è assistito ad un rapido sviluppo e semplificazione della tecnica di impianto con un miglioramento dei device, che ha permesso una riduzione sempre maggiore delle complicanze, insieme ad una messe di studi spontanei e non controllati, che suggerivano nel complesso una superiorità della terapia interventistica, rispetto alla terapia medica con agenti antitrombotici. D’altra parte la pubblicazione di trial clinici randomizzati non ha prodotto i risultati sperati e ha gettato nuova confusione nell’identificazione della migliore terapia.
Nel futuro sarà quindi necessario, aumentare gli sforzi per identificare i pazienti che realmente possano beneficiare della terapia interventistica.
Diagnosi ecografica di PFO
Il PFO può essere ricercato con la semplice ecografia transtoracica, che in realtà non permette di mettere bene in evidenza l’anatomia atriale, ma permette comodamente di osservate un passaggio di micro-bolle dall’atrio destro all’atrio sinistro, dopo somministrazione endovenosa di contrasto salino. Il contrasto salino viene preparato con la miscela di 9 mm di soluzione fisiologica ed un millilitro d’aria; una volta miscelati l’aria e la soluzione salina creano delle microbolle che hanno la caratteristica sia di essere sufficientemente piccole da passare attraverso il PFO, sia di presentare un’ottima ecogenicità. La visualizzazione delle microbolle deve essere registrata sia in condizioni basali sia durante Valsalva, che determina un aumento della pressione in atrio destro e quindi potenzialmente un’inversione dello shunt con il passaggio di microbolle dall’atrio destro all’atrio sinistro. Il passaggio di bolle all’atrio sinistro deve essere rilevato entro i primi 3-5 battiti dalla somministrazione, altrimenti potrebbe trattarsi di microbolle che provengono da shunt intrapolmonari (González-Alujas T 2011).
Una volta appurata la presenza di PFO, tramite l’ecocardiografia transtoracica, è necessario, nei casi di stroke criptogenetico, in cui può essere presa in considerazione la chiusura del PFO, l’esecuzione di un esame transesofageo in grado di confermare la diagnosi e di mettere in evidenza quelle caratteristiche anatomiche, che poi vedremo saranno di fondamentale importanza. In particolare dovrebbero essere considerate i seguenti parametri (Pristipino C et al. 2013):
1. Lunghezza e spessore del setto interatriale (mm) ed ampiezza del PFO (>4 mm)
2. Lunghezza ed ampiezza del tunnel del PFO (viene definito lungo quando supera i 10 mm) 3. Presenza eventuale di aneurisma del setto interatriale (<10 mm con una base >15 mm) 4. Misura del “rim” anterosuperiore (mm)
5. Quantificazione dello shunt (>20 microbolle) 6. Misurazione della valvola di Eustachio (<10 mm) 7. Presenza eventuale della rete di Chiari
Stroke criptogenetico
La definizione di stroke criptogenetico è essenzialmente una definizione di esclusione: ossia si riferisce a quegli stroke, la cui causa non è apparentemente spiegabile dai comuni fattori di rischio per ictus ischemico. Tuttavia circa il 15-20% degli stroke possono essere considerati come criptogenetici, benché vi sia una grossa variabilità tra i vari studi (Kolominsky-Rabas PL 2001).
Quindi la diagnosi di stroke criptogenetico si è tradizionalmente basata su criteri di esclusione. Le tre classificazioni dell’ictus maggiormente usate a livello internazionale (TOAST, CCS ed ASCOD) presentano definizioni leggermente diverse di stroke criptogenetico. La classificazione TOAST (Adams HP et al. 1997) definisce “stroke of undeterminated etiology”, che include ictus di origine non determinata nonostante una valutazione estensiva oppure non determinata dopo una valutazione incompleta. CCS (Ay H et al. 2007) definisce “undeterminated stroke” quegli eventi secondari ad embolismo criptogenetico o non classificati oppure ancora sottoposti ad una valutazione incompleta. La classificazione ASCOD ( Amarenco P 2013) infine non ha una categoria specifica per gli stroke criptogenetici ma vengono inglobati nella grossolana categoria “others”.
Sebbene non standardizzate, le indagini che andrebbero fatte per identificare una possibile causa di ictus sono la TC e la RM cerebrale con le metodiche di perfusione e diffusione, la ricostruzione angioTC dei vasi cerebrali, l’ecocolordoppler carotideo, una valutazione cardiologica con ecocardiogramma transtoracico per individuare eventuali fonti emboligene come appunto la pervietà del forame ovale, eventualmente il doppler transcranico, oltre ad esami ematici volti all’esclusione di stati trombofilici (Zhang C et al. 2016).
Recenti evidenze suggeriscono la natura embolica degli stroke criptogenetici, permettendo quindi la coniazione di un termine più appropriato: “embolic stroke of undetermined source (ESUS)”. Introdotto dal Cryptogenic Stroke/ESUS International working group, questo termine offre una strada per definire lo stroke criptogenetico basato su criteri prestabiliti. I criteri diagnostici per l’ESUS includono la presenza di una lesione non lacunare
presente alla TC o alla RM e l’assenza di lesioni maggiori del 50% a carico delle arterie intra ed extracraniche afferenti al distretto cerebrale. Inoltre devono essere indagate tutte le possibili cause di embolismo cardiaco (fibrillazione atriale parossistica, calcificazioni valvolari potenzialmente emboligene e naturalmente la pervietà del forame ovale) e non cardiaco (ateromasia dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, malformazioni arterovenose polmonari), oltre all’esclusione di potenziali neoplasie che potrebbero chiaramente provocare stati trombofilici di natura paraneoplastica. (Hart RG et al. 2009).
Epidemiologia
Come già detto, l’incidenza dello stroke criptogenetico differisce nei vari studi e soprattutto vi è una correlazione inversa tra età ed incidenza di questa condizione. Nei pazienti di età pediatrica l’incidenza dello stroke criptogenetico sfiora il 60% (Hart RG et al. 2009) mentre si assesta intorno al 25% nei pazienti tra 45 e 49 anni (Putaala J et al. 2009). Nei pazienti più anziani invece, come riferito dagli studi randomizzati già citati, l’incidenza è variabile ma comunque decisamente inferiore.
Lo stroke di origine non determinata si associa maggiormente al sesso maschile (odds ratio 1.5), come riportato da uno studio epidemiologico sulla differenza di genere (Schulz UG et al. 2003).
Diagnosi
La prima cosa, come riportato da un’interessante “review” (Fonseca and Ferro 2015), è individuare gli “stroke realmente criptogenetici”, scartando quelli con incompleto o ancora non effettuato studio diagnostico o da cause multiple. Bisogna poi dividere gli stroke da causa potenzialmente embolica (ESUS) da quelli da causa non embolica.
In questo ci vengono in aiuto le neuro-immagini, poiché come sappiamo lesioni corticali acute multiple o grandi lesioni subcorticali suggeriscono una causa embolica, mentre lesioni lacunari, come già detto, sono da attribuire a malattia delle arterie perforanti, non riconoscendo quindi, quasi sicuramente, una causa embolica. La tecnica maggiormente accurata per la diagnosi di ictus embolico è senz’altro la risonanza magnetica a diffusione (DWI). L’embolizzazione cerebrale può riconoscere una causa cardiaca o non cardiaca. Per quanto riguarda le cause cardio-emboliche, oltre alla ricerca diagnostica del PFO mediante ecocontrastografia transtoracica o transesofagea, può essere necessaria la risonanza magnetica cardiaca, che è in grado di identificare fonti
emboligene, soprattutto a partenza ventricolare sinistra, che possono non essere identificate dall’ecografia (Weinsaft JW et al. 2011). Il doppler transcranico presenta un’elevata sensibilità nell’individuare shunt destro-sinistri con embolizzazione cerebrale e può essere utilizzato in caso di screening dopo un ictus criptogenetico in alternativa o di supporto all’ecocardiografia.
Non ci sono studi che possano a tutt’oggi stabilire la reale efficacia della terapia medica nella prevenzione degli ictus nei pazienti affetti da PFO, né tantomeno ci sono dati a riguardo sul tipo di terapia (anticoagulante o antiaggregante) o sulla durata della stessa. In conclusione la scelta della terapia medica ottimale non è ancora assolutamente standardizzata, mancando evidenze che possano inequivocabilmente far preferire una terapia all’altra. In linea generale le attuali linee guida (Kernan WN et al. 2014) raccomandano quindi l’uso della terapia antiaggregante; in particolari condizioni come ad esempio stati trombofilici, eventi ischemici ricorrenti, coesistente aneurisma del setto interatriale potrebbe essere indicata la terapia anticoagulante. Quest’ultima è sicuramente indicata quando coesistono malattie che necessitano di questa terapia.
Inoltre è raccomandato lo screening trombofilico e la ricerca di fonti emboligene dal versante venoso mediante ecocolordoppler degli arti inferiori e studio RM della pelvi; nel caso di trombosi venosa accertata e controindicazioni alla terapia anticoagulante le linee guida americane suggeriscono l’impianto di un filtro cavale (Kernan WN et al 2014)
Terapia interventistica
Dispositivi utilizzabili nella chiusura del forame ovale
Sono ormai molti i device dedicati alla chiusura percutanea del forame ovale. Derivano essenzialmente e nella maggior parte dei casi si identificano con i device per la chiusura dei difetti interatriali.
Il dispositivo più usato al mondo è l’Amplatzer PFO Occluder, che deriva dall’omonimo dispositivo di chiusura del DIA ma con ma con ponte di collegamento tra i dischi sottile, senza funzione di stent e con il disco sinistro più piccolo del destro. È costituito da due dischi di lega in nickel-titanio, detta nitinolo con all’interno membrane di poliestere e un “waist” di collegamento tra i due dischi, che come già detto si diversifica rispetto ai dispositivi dedicati alla chiusura del DIA. Sono disponibili quattro misure (riferite al disco destro, di maggiori dimensioni): 18 mm, 25 mm, 30 mm e 35 mm); ad ogni modo le misure più utilizzate sono il 25 mm per i PFO semplici ed il 35 mm per i PFO con aneurisma del setto, come vedremo in dettaglio più avanti. Sono 8 F compatibili (solo il 35 mm è 9 Fr compatibile).
Lo Starflex è costituito da un doppio ombrello con 4 braccia per lato, in acciaio, che sostengono una struttura in dacron nelle misure 23,28,33 mm e 6 braccia per l’ombrello nelle misure 38 e 43 mm. Le differenze sostanziali di questo dispositivo rispetto all’Amplatzer sono il basso profilo, minore quantitativo di metallo, assenza di meccanismo di stent e impossibilità di retrarre nel long sheath l’ombrello destro una volta aperto per posizionarlo in modo più corretto. È possibile però recuperarlo per via percutanea in caso di embolizzazione. Il PFO-star è un dispositivo molto simile allo Starlex dedicato appositamente alla chiusura del forame ovale.
Un altro dispositivo è l’HELEX: un dispositivo permanente costituito da un telaio metallico circolare ricoperto da una sottile membrana in politetrafluoroetilene espanso (ePTFE). Il telaio metallico è costituito da una struttura in nitinolo, usata comunemente anche per gli impianti cardiovascolari. Rispetto all’Amplatzer presenta meno metallo. È disponibile nelle misure 5-10-20-25 e 35 mm.
Il BioSTAR è un sistema di ultima generazione la cui peculiarità, non presente in altri dispositivi, è proprio la bioassorbibilità ossia la capacità di essere “assorbito” dai tessuti del setto interatriale. Questo dispositivo è composto da collagene suino acellulare purificato (96%), impregnato di eparina e da acciaio MP35n di grado medicale (4%). Il collagene viene riassorbito dal corpo (in 8-10 mesi circa), sostituito da un tessuto del tutto simile a quello nativo. Pertanto, viene mantenuta la possibilità di effettuare, in caso di necessità, la puntura transettale. La scelta dei dispositivi viene eseguita dall’operatore in base alle caratteristiche anatomiche del PFO e dalle preferenze individuali.
Un nuovo scenario interventistico è stato recentemente aperto dalla introduzione, nel novero dei dispositivi, del NOBLESTICH.
sistema di chiusura percutaneo di forame ovale pervio mediante sutura.
Tre dispositivi forniti in un unico kit sterile per il rilascio ed il fissaggio di punti di sutura in polipropilene 4-0 non riassorbibili permettono la chiusura del PFO in tre differenti passaggi: Noblestitch EL ‘S’ posiziona la prima sutura attraverso il septum secundum
Noblestitch EL ‘P’ posiziona la seconda sutura attraverso il septum primum
Il dispositivo “KwiKnot™” permette di chiudere il forame ovale fissando i fili di sutura con un sistema a due elementi in polipropilene.
Tra i punti di forza nell’utilizzo di Noblestitch EL nel trattamento del PFO abbiamo: nessuna protesi metallica impiantata; non è richiesta terapia antiaggregante o altra terapia medica; nessun rischio di dislocazione e/o erosione; basso rischio di trombosi; non inibisce future punture trans-settali. Necessita tuttavia di una “learning curve” più lunga degli altri device menzionati.
IL CASO CLINICO: D.T., donna, 52 aa, riferita alla Ns attenzione dai Colleghi della UOC Neurologia, dove viene seguita per episodi ischemici cerebrali ricorrenti documentati; anamnesi negativa per coagulopatie, sindromi dismetaboliche o altre condizioni morbose correlabili al quadro di imaging (TC cerebrale: lesioni ischemiche multiple). Sindrome ansioso-depressiva secondaria.
L’Ecocardiogramma Transeofageo ha mostrato SIA moderatamente ridondante; l’iniezione di soluzione sonicata ha mostrato transito precoce di microbolle in AS (proiezione 4 camere). In accordo con linee guida e documenti di consenso, nonché presa in considerazione la volontà della paziente, è stata posta indicazione a chiusura percutanea. E’ stato utilizzato device Amplatzer Occluder 25 mm, con successo tecnico immedidato. Nel Luglio u.s. è stato eseguito il primo dei controlli programmati (ogni paziente sottoposto a procedura viene seguito con controlli clinico-ecografici a 3, 6 e 12 mesi in Ambulatorio dedicato), in assenza di evidenti complicanze (dislocazione, erosione, shunt residui, aritmie). Dalla procedura, non si sono verificati ulteriori episodi ischemici cerebrali.
ESPERIENZA DEL NOSTRO CENTRO:
Dal Marzo del 2013 al Giugno del 2018 presso la Ns UOS Emodinamica (Ospedale Belcolle – VT); sono state eseguite 12 procedure elettive di cui 11 per chiusura di PFO e 1 procedura di chiusura di DIA: Tutte le procedure, concluse con successo tecnico in assenza di complicanze sono state seguite da Follow Up dei pazienti in ambulatorio dedicato con controlli clinici ed ecocardiografici a 1 – 6 e 12 mesi. Non si sono evidenziati shunt residui a 12 mesi e non si sono manifestati ulteriori eventi tromboembolici.
I Device utilizzati sono: Amplatzer Occluder (8 pazienti), Gore Helex (4 pazienti).
Ciò a dimostrazione che le procedure percutanee di chiusura delle comunicazioni interatriali sono una opzione terapeutica efficace e sicura, anhe in Centri non ad alto volume, nella prevenzione secondaria del tromboembolismo paradosso.
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I principali dispositivi di chiusura del forame ovale, illustrati nel testo.
Flow-chart diagnostica dello stroke criptogenetico.
Documento di Consenso italiano. Pristipino C et al. Management of patients with patent foramen ovale and cryptogenic stroke: A Collaborative, Multidisciplinary, Position Paper: Executive