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I reati di agevolazione

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

SCUOLA DOTTORALE INTERNAZIONALE “TULLIO ASCARELLI”

S

EZIONE

“S

ISTEMI PUNITIVI E GARANZIE COSTITUZIONALI

A

REA

“D

IRITTO

P

ENALE” (XXVII CICLO)

Tesi di dottorato

I REATI DI AGEVOLAZIONE

Coordinatore e Tutor

Dottoranda

Chiar.mo Prof. Mario Trapani

Emmanuela Marini

(2)

Desidero rivolgere un ringraziamento sincero al Prof. Mario Trapani, che mi ha

accompagnato in questo percorso, per tutti i suoi preziosi insegnamenti. Un

ringraziamento speciale va anche alla Prof.ssa Antonella Massaro, per tutti i suoi

suggerimenti e per la sua disponibilità ad un confronto sempre costruttivo, da cui ho

potuto apprendere molto.

Un ringraziamento particolare è destinato poi al Dott. Stefano Passera per aver seguito

me, e gli altri dottorandi, con un entusiasmo che va ben al di là del mero dovere

professionale.

Una riconoscenza speciale è riservata alla mia famiglia per avermi supportato ogni giorno

in questo cammino.

Ringrazio poi, con tutto il cuore, chi condivide con me ogni gioia ed ogni sfida per avermi

sostenuto sempre, ed in tutti i modi possibili.

(3)

Sommario

Capitolo I. La condotta di agevolazione penalmente rilevante. La nozione di

agevolazione enucleabile dalla disciplina del concorso di persone e dalle

fattispecie di parte speciale. ... 1

1.

L’agevolazione penalmente rilevante. Introduzione al tema, riflessioni e

osservazioni preliminari utili alla definizione dell’istituto in esame. ... 1

2.

La condotta di agevolazione. I requisiti strutturali dell’istituto. Cenni storici

alla disciplina dell’agevolazione prevista nel codice Zanardelli del 1889. ... 2

3.

La condotta di agevolazione come comportamento non necessario alla

perpetrazione del fatto illecito in regime concorsuale: digressione sul concetto

di causa e condizione nella sistematica del reato. ... 11

4.

L’agevolazione intesa quale condotta che, pur non condizionando la

realizzazione del fatto illecito, ha un ruolo determinante nell’effettiva

attuazione dell’altrui condotta delittuosa. ... 18

4.1. Il concetto di adeguatezza della condotta rispetto al fatto di reato

realizzato. Inquadramento dell’agevolazione alla luce dei principi

costituzionali. ... 24

5.

L’agevolazione come apporto non condizionante il fatto di reato.

L’agevolazione come condotta che incrementa il rischio di produzione di un

risultato criminoso. ... 28

5.1. L’agevolazione intesa quale condotta in grado di accrescere le possibilità

di riuscita di un’impresa criminosa. Il metodo di indagine su base prognostica:

punti critici. ... 30

6.

L’ausilio fornito dall’agevolatore inquadrato mediante il paradigma della

causalità agevolatrice. ... 36

7.

L’agevolazione come contributo di minima importanza: il riferimento all’art.

114 c.p. ... 44

8.

L’agevolazione come comportamento concorsuale strumentale o, in qualche

misura, funzionale alla realizzazione del fatto. ... 53

9.

L’agevolazione quale contributo marginale alla realizzazione dell’offesa: il

sospetto contrasto della nozione così delineata con i principi di determinatezza

e personalità della responsabilità personale. ... 59

Capitolo II. Le ipotesi speciali. Ricognizione delle principali ipotesi di

agevolazione espressamente punibili e loro inquadramento nella sistematica del

reato. ... 67

1.

Condotta di agevolazione penalmente rilevante e ipotesi speciali. Breve

introduzione... 67

2.

Le ipotesi di agevolazione di condotte previste come reato. Ricognizione delle

ipotesi fondamentali. ... 68

3. L’agevolazione di condotte non previste come autonome forme di reato. ... 75

(4)

4.

Le fattispecie nelle quali l’agevolazione concretizza il fine specifico di una

condotta. ... 84

Capitolo III. La peculiare struttura delle fattispecie di parte speciale nelle quali

si incrimina l’agevolazione colposa che accede ad un altrui fatto illecito. ... 88

1.

La condotta di agevolazione colposa che accede ad un altrui fatto di reato. ... 88

2.

Il concetto di agevolazione colposa nelle fattispecie speciali in esame. La

condotta di agevolazione può avere anche carattere omissivo... 93

3.

La condotta agevolante. Le regole di comportamento la cui violazione

comporta la responsabilità colposa per la commissione di un fatto illecito ad

opera di un terzo. ... 98

4.

Le regole cautelari: la necessaria prevenzione di un fatto illecito ad opera di un

terzo. Peculiarità dell’indagine: irrilevanza dei criteri del rischio consentito e

del principio di affidamento. ... 112

5.

Un possibile inquadramento dogmatico delle ipotesi di agevolazione colposa

esaminate. Il problematico inserimento delle fattispecie nella disciplina del

concorso di persone o nella categoria dei reati plurisoggettivi anomali. ... 119

Capitolo IV. L’agevolazione come condotta atipica nel concorso di persone: gli

incerti confini dell’istituto nella produzione giurisprudenziale. ... 131

1.

Agevolazione e concorso di persone nel reato: breve ricognizione del rapporto

tra partecipazione atipica e art. 110 c.p. ... 131

2.

Il contributo agevolatore nella produzione giurisprudenziale. Analisi dei

requisiti della condotta di agevolazione; loro vaglio critico alla luce dei principi

di personalità della responsabilità penale ed offensività del fatto... 138

3.

Le maggiori certezze della giurisprudenza nella ricostruzione dei requisiti

strutturali dell’agevolazione del concorrente esterno nel reato associativo. ... 152

Capitolo V. I Progetti di riforma del codice penale: analisi delle proposte

elaborate in materia di concorso di persone nel reato per una nuova disciplina

dell’agevolazione penalmente rilevante. ... 159

1.

Le prospettive de iure condendo in materia di concorso di persone nel reato. Il

Progetto Pagliaro: spunti e riflessioni. ... 159

2.

Il Progetto Riz, il Progetto Grosso, il Progetto Nordio ed il Progetto Pisapia:

osservazioni sulle recenti proposte di riforma del codice penale. ... 164

3.

Conclusioni. L’agevolazione nell’ordinamento penale: tentativo di una

ricostruzione sistematica generale... 170

Bibliografia ... 180

(5)

Capitolo I. La condotta di agevolazione penalmente rilevante. La

nozione di agevolazione enucleabile dalla disciplina del concorso di

persone e dalle fattispecie di parte speciale.

1. L’agevolazione penalmente rilevante. Introduzione al tema, riflessioni e

osservazioni preliminari utili alla definizione dell’istituto in esame.

Il concetto di “agevolazione”, già sul piano del linguaggio comune, appare di difficile

delimitazione e descrizione contenutistica. Agevolare significa “aiutare”, “favorire” o, più

semplicemente, “facilitare”

1

l’esecuzione di un’opera da parte di altri. Espressioni,

quest’ultime, impiegate dalla dottrina penalistica per definire forme di partecipazione

criminosa che, nella dinamica della realizzazione concorsuale, hanno un ruolo secondario

o, comunque, di non fondamentale rilievo.

Trattasi, invero, di termini a carattere necessariamente relazionale, facenti appello -per

la loro stessa definizione- ad un comportamento, posto in essere da un altro soggetto, di

entità maggiore, costituente la condotta principale. La realizzazione di quest’ultima viene

appunto favorita o, in ogni caso, facilitata dal contributo dell’agevolatore.

Il concetto di agevolazione presuppone dunque un’alterità soggettiva (presenza

dell’autore della condotta primaria e di colui che coopera “aiutando” il primo), postulando

altresì una diversa entità dei contributi (con conseguente possibile gradazione della

rilevanza degli stessi nell’economia dell’illecito)

2

. Appare, perciò, di precipua importanza

delimitare il concetto in esame e vagliarne l’estensione rispetto al significato comune del

termine sopra riportato

3

; ciò tanto più alla luce del fatto che l’agevolazione penalmente

1

Cfr. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 2014, definizione del termine “Agevolare”: “Rendere

agevole, facilitare, aiutare o favorire un’altrui opera”. Ritiene opportuno partire, ai fini dell’indagine, dal

dato linguistico comune del termine “agevolare” anche STORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel

reato, Padova, 1981, p.17. 2 Cfr. S

TORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel reato, cit., pp. 17 ss.

3 Cfr. D

ENORA, Condotta di agevolazione e sistema penale, Napoli, 2006, pp. 54-55. L’Autore evidenzia il fatto che, tradizionalmente, il concetto di agevolazione penalmente rilevante è stato plasmato mediante il riferimento al significato comune attribuito al termine. Il substrato sostanziale della condotta di agevolazione, definito attraverso il senso comune e la comune esperienza, costituisce dato primo dell’analisi giuridica tesa a delineare i confini dell’istituto in esame. Il contenuto della condotta di agevolazione tracciato dalle scienze penalistiche deve, pertanto, corrispondere, prima facie, al significato attribuito all’agevolazione secondo la cosiddetta “comprensione naturale” del termine. Delineare il significato comune della nozione permette di fissare, o meglio abbozzare, un primo concetto di agevolazione penalmente significativa, che possa poi essere trasposto sul piano giuridico. Le indicazioni di indagine così enucleate rappresentano, indubbiamente, i primi dati utili per la definizione del concetto di agevolazione. Esse non sembrano fornire, tuttavia, un criterio di selezione immediatamente utilizzabile, sul versante pratico, da parte dell’interprete. Il riferimento al criterio della cosiddetta “comprensione naturale” non può dirsi, difatti, parametro di indagine univoco, in grado di rendere chiaro, e fruibile, il concetto di agevolazione. Cfr. sul tema PAGLIARO, Il fatto di reato, Palermo, 1960, p. 208. A parere di questa autorevole dottrina spiegazioni formali, facenti perno sul mero dato

(6)

rilevante costituisce nozione di coniatura dottrinale in relazione, eminentemente, al

fenomeno concorsuale.

Una prima indagine sul concetto di agevolazione penalmente rilevante, partendo dal

dato positivo, permette di rilevare come le fattispecie di agevolazione espressamente

previste nella parte speciale abbiano forma colposa e dolosa

4

.

L’analisi relativa agli aspetti comuni delle fattispecie di agevolazione non può

prescindere, in ogni caso, da un’esatta determinazione della nozione stessa di

agevolazione. La (voluta) elasticità legislativa, e le conseguenti difficoltà esegetiche, non

possono esimere l’interprete dalla delimitazione del contenuto sostanziale di tal condotta;

definizione, quest’ultima, costituente prius logico della presente indagine.

2. La condotta di agevolazione. I requisiti strutturali dell’istituto. Cenni storici alla

disciplina dell’agevolazione prevista nel codice Zanardelli del 1889.

Il termine “agevolazione” esprime una relazione fra condotte umane, con l’implicita

premessa, come in principio accennato, che un dato comportamento influenzi, in una

qualche misura, un altrui contegno. Agevolare non può intendersi semplicemente come

facilitare, perché una simile corrispondenza porterebbe ad una conclusione difficilmente

conciliabile con i principi generali: si chiamerebbe, in ultima analisi, qualcuno a rispondere

per il fatto posto in essere da altri

5

. Aumentare le probabilità di successo di un altrui fatto

illecito con la propria condotta, senza peraltro condizionarne -in senso proprio- la riuscita,

significa estraniare il comportamento dell’ausiliatore dal terreno della causalità,

approdando così ad aree di responsabilità dai confini indefiniti. Si arriverebbe ad esser

puniti, seguendo tal prospettiva di indagine, per una qualunque tipologia di ausilio fornito

che abbia reso più semplice l’altrui commissione di un fatto di reato, senza che siano però

adeguatamente tracciati i limiti di una così ampia, e sostanzialmente generica, sfera di

linguistico (elaborato mediante il senso comune), non possono costituire argomentazioni dirimenti nelle scienze penalistiche. Una “particolarità linguistica” non può giustificare la configurazione di un vincolo a carico del legislatore circa l’adozione di una specifica disciplina; questa non può, parimenti, ordinare agli operatori del diritto di fare appello, in via esclusiva, ad un determinato sistema concettuale.

4 Cfr. A

LBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, Raccolta di Studi di diritto penale fondata da

Giacomo Delitala e Alberto Crespi, Milano, 1984, pp. 21 ss. La conclusione secondo cui le ipotesi di

agevolazione dolosa sono punibili, ordinariamente, per il tramite del disposto di cui all’art. 110 c.p. sarebbe suffragata, a parere dell’A., dalla previsione, eccezionale, di tali ipotesi quali incriminazioni autonome. Ipotesi criminose, quest’ultime, per lo più rispondenti all’esigenza di derogare alle regole disciplinanti il concorso di persone, alla necessità di punire esclusivamente le condotte di agevolazione e non anche il fatto agevolato (art. 326, 391, 580 c.p.), ovvero al bisogno di diversificare i trattamenti sanzionatori (art. 386, artt. 447 e 396 comma III c.p. qui considerati prima dell’abrogazione).

5 Così S

(7)

punibilità. Si giungerebbe così a vulnerare il fondamentale principio secondo cui si può

esser puniti solo per quanto si abbia, necessariamente, realizzato.

Né, parimenti, agevolare può voler dire soltanto “condizionare”, stante il tenore del dato

positivo costituente un ostacolo a tal equiparazione: la stessa legge differenzia in modo

netto i due concetti (cfr. gli artt. 350 c.p., poi depenalizzato, e 391 c.p., nei quali la

condotta di agevolazione è contrapposta a quella che “rende possibile”o “procura” l’altrui

opera), sottolineandone la differenza in modo espresso (cfr., ad esempio, gli artt. 254 e 259

c.p.). La condotta del “rendere possibile” è distinta da quella del solo “agevolare”: si

tratta di comportamenti contrapposti mediante l’impiego dell’avverbio “soltanto” a

graduazione della relativa rilevanza giuridica

6

. Nelle disposizioni di cui agli artt. 254 e

259 c.p. il concetto di condizionamento dell’altrui fatto di reato, in senso proprio, e quello

di mera facilitazione dello stesso appaiono nettamente differenziati mediante l’utilizzo di

due termini diversi. Si impiega, difatti, la locuzione “rendere possibile” per far riferimento

ad una condotta condizionante l’altrui fatto illecito in senso stretto (comportamento di un

soggetto in assenza del quale l’altrui contegno illecito non sarebbe possibile), facendo poi

richiamo al diverso concetto di condotta agevolatrice introdotto dall’avverbio “soltanto”.

Si stabilisce quindi un rapporto a maiori ad minus tra il condizionare ed il facilitare l’altrui

fatto illecito, ivi prevedendo una diversa entità, ed un’eterogenea rilevanza sul piano

giuridico, tra le condotte in esame.

6

Così SPASARI, voce Agevolazione colposa, cit., p. 895. Negli articoli 254, 259 e 350 c.p. si ha una netta contrapposizione concettuale tra ciò che rende possibile l’esecuzione altrui e ciò che soltanto la agevola: nel primo caso si fa appello ad una condotta che costituisce presupposto indefettibile per la perpetrazione dell’illecito ad opera di altri. “Rendere possibile” significa, quindi, condizionare il fatto. Il concetto di agevolazione, alla luce della descritta disgiunzione formale, fa riferimento, invece, ad un intervento di mera facilitazione, ad un contributo che rappresenta -necessariamente- qualcosa in meno rispetto al condizionare la realizzazione del fatto criminoso. Si stabilisce a livello testuale un rapporto a maiori ad minus tra il condizionare ed il facilitare l’altrui fatto illecito, ivi prevedendo una diversa entità, sul piano sostanziale, tra le condotte in esame. La lettera della legge non appare superabile in via interpretativa parificando, sic et

simpliciter, i due concetti: ciò tenendo a mente il primo, fondamentale, canone dell’ermeneutica giuridica,

secondo cui l’espressione letterale della norma costituisce dato primo di ogni argomentazione interpretativa. L’indagine avente ad oggetto le citate fattispecie di parte speciale permette di enucleare un concetto di agevolazione di più ampio spettro, a carattere generale, che può essere utile a definire la condotta in oggetto

anche nella forma di partecipazione atipica in regime concorsuale. In questi termini si esprime ALBEGGIANI, I

reati di agevolazione colposa, cit., pp. 30 ss. L’Autore rileva come il concetto di condizionamento necessario

(i.e. il “rendere possibile”) sia nettamente contrapposto a quello di mera facilitazione dell’altrui fatto di reato. Nelle fattispecie di parte speciale, ad esempio nelle ipotesi di incriminazione sopra riportate, si ha una contrapposizione formale tra le due condotte in oggetto, distinzione certamente non superabile in via ermeneutica. Stante il tenore letterale delle norme, secondo l’Autore, è evidente che l’espressione “rendere

possibile” indica una condotta costituente presupposto indefettibile, ed indispensabile, per l’esecuzione di un

delitto (da altri infine cagionato). Asserire che un comportamento ha determinato il fatto di altri significa affermare, in via consequenziale, che il fatto dell’indotto non avrebbe avuto luogo in assenza del primo.

(8)

Con il termine “agevolare” si fa riferimento, dunque, ad un concetto di influenza, lato

sensu intesa, tale da instaurare un legame fra due comportamenti interagenti nella

realizzazione di un fatto illecito.

Appare opportuno in questa sede fare una, pur sintetica, digressione sulle diverse

modalità attraverso le quali tale influenza può esser esercitata. Il comportamento di un

soggetto può condizionare quello di altri agendo direttamente sulla psiche di questi, in

modo da spingerlo ad operare in un dato modo, ovvero operando sulla situazione di fatto

sulla quale poi un altro soggetto andrà ad intervenire.

La prima ipotesi si ha nel caso in cui un soggetto eserciti, in vario modo, una

suggestione sulla sfera volitiva di un altro facendo sì che questi agisca, o si determini, in

una data maniera; tal condizionamento può essere consapevolmente diretto allo scopo o

meno

7

. Le attività di influsso sull’altrui sfera psichica possono avere, invero, la più

variopinta natura: possono sostanziarsi in argomentazioni ingannatorie, in semplici pareri,

o in late forme di persuasione circa i vantaggi insiti in un dato agire. A tal fine è, tuttavia,

necessario che il soggetto destinatario del descritto condizionamento ne comprenda l’entità

e si determini di conseguenza, potendo l’incidenza psichica di cui trattasi avere effetto

sulle componenti razionali, o emotive, del soggetto indotto.

Differente situazione si ha, di contro, nel caso in cui un soggetto, consapevolmente o

meno, attui un comportamento in conseguenza del quale venga resa più agevole un’altrui

condotta (caso noto, ricorrente nella manualistica, è quello del portiere che lascia aperta la

porta dello stabile rendendo possibile, o di più semplice realizzazione, un furto ad opera di

ladri). Appare in tal ipotesi chiara la sussistenza di una relazione tra il comportamento del

portiere e quello dei ladri successivamente intervenuti, i quali hanno usufruito dell’ausilio

apprestato.

Può altresì accadere che una data situazione fattuale, che si abbia contribuito a creare,

determini altri ad una data azione (il ladro potrebbe, osservata l’apertura della porta,

determinarsi in favore dell’impresa criminosa e scegliere di introdursi nello stabile). Tal

ipotesi si palesa, in ogni caso, differente dal caso prima descritto: nella circostanza da

ultimo considerata la situazione fattuale, determinata da un soggetto con il proprio

comportamento, induce taluno ad agire; la relazione di tipo esclusivamente psicologico tra

le condotte si basa, invece, sull’incidenza di un dato comportamento, in linea diretta,

sull’altrui sfera volitiva senza il medio del contesto fattuale creato (che si dimostri

favorevole alla perpetrazione di un fatto illecito).

7 Così A

LBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, cit., pp. 21 ss. Cfr. anche STELLA, Leggi scientifiche

(9)

La relazione fra condotte umane può avere, pertanto, diversa natura ed esplicarsi con

modalità diverse; ma si tratta pur sempre di una relazione interpersonale riconducibile al

paradigma, latamente condizionalistico, secondo cui l’azione di un soggetto è

“conseguenza” dell’azione di un altro. Non sembra nondimeno ravvisabile un rapporto

causale, in senso proprio, nella cosiddetta accezione fisico-naturalistica

8

: quest’ultimo

costituisce metodo di indagine finalizzato ad individuare una relazione, costante e regolare,

tra classi di avvenimenti (non si dimostra, perciò, criterio idoneo a definire collegamenti,

ed interazioni, tra condotte coscienti e volontarie). L’aver facilitato l’esecuzione di un fatto

illecito ad opera di altri, che per effetto del contributo agevolatore a ciò si sia determinato,

non implica, in termini di consequenzialità necessaria, che, in un’analoga situazione, verrà

realizzato un uguale comportamento

9

.

Il legislatore fa utilizzo, a rigore, del modello di condizionamento interpersonale con

rilevanza sul piano della sola psiche ricorrendo al concetto di istigazione, determinazione,

induzione

o costrizione; si fa, al contrario, riferimento allo schema del legame

interpersonale, non incidente sulla sola sfera psichica, qualora si individui un rapporto tra

due condotte mediante l’impiego di espressioni quali “rendere possibile” o “agevolare”

l’altrui fatto di reato. Nelle fattispecie di parte speciale citate (artt. 254 e 259 c.p.) il

riferimento all’esecuzione delittuosa da parte di un altro soggetto dimostra come la

relazione tra le condotte non sia rapportabile ad un mero influsso sul piano psichico,

dovendo tale interazione risolversi, sul piano materiale, nella predisposizione di una

situazione propizia all’altrui commissione di un illecito

10

.

Occorre tuttavia ricordare come il concetto di agevolazione abbia carattere normativo.

Non sussistono quindi limiti, in astratto, all’inserimento nella categoria in esame di

contributi incidenti sul solo piano motivazionale. Nel regime della realizzazione

8

Così ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, cit., p. 26. Cfr. altresì STELLA, Leggi scientifiche e

spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 102 ss. 9 Cfr. S

TELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 102 ss. La riscontrata non idoneità del modello condizionalistico ordinario non comporta la totale inutilizzabilità della disciplina del rapporto causale nell’accertamento dell’interazione fra condotte. Anche nell’analisi della relazione tra comportamenti umani appaiono difatti utili schemi, e generalizzazioni, a struttura probabilistica. L’impiego di siffatti schemi generalizzanti si dimostra, invero, proficuo nell’ipotesi di cosiddetta“causalità

psicologica”: per stabilire se un dato comportamento è stato conseguenza indotta da un raggiro, o da una

minaccia, può farsi appello ad alcuni schemi generalizzanti aventi ad oggetto date tipologie di artifizi che, secondo regole e massime d’esperienza, hanno la capacità di influenzare l’altrui condotta. Il ricorso ad un modello generalizzante appare meno utile, invece, nel caso in cui si debba studiare il rapporto interpersonale fra due soggetti, l’uno dei quali determini una data situazione fattuale di cui altri possa usufruire al fine di commettere un fatto illecito. L’effettivo utilizzo delle circostanze favorevoli da altri determinate potrà essere accertato solo a seguito dell’avvenuta verifica circa la concreta fruizione, da parte dell’agevolato, della situazione predisposta. Non è possibile ricorrere ad un modello onde delineare la relazione fra le condotte: l’interazione fra i comportamenti andrà valutata caso per caso, senza poter definire in anticipo uno schema generale di riferimento.

10 In questi termini cfr. A

(10)

plurisoggettiva il contributo agevolatore, quale categoria generale, può quindi assumere

anche le vesti di partecipazione morale, intesa quale forma di rafforzamento dell’altrui

proposito criminoso. In questa prospettiva l’agevolazione andrebbe a contrapporsi al

concetto di apporto condizionante l’altrui fatto di reato, acquisendo la forma di contributo

istigatorio a rafforzamento dell’altrui proposito criminoso (su cui v., nel dettaglio, infra

cap. IV par. 2) .

L’agevolazione come forma di partecipazione materiale atipica, a grandi linee sopra

delineata, era prevista quale condotta punibile in forma espressa nel codice Zanardelli del

1889, che faceva riferimento esplicito (art. 64

11

) a forme di assistenza, o facilitazione, di

altrui condotte illecite. L’art. 63

12

del codice equiparava, di fatto, il cooperatore immediato

11 Articolo 64 del codice Zanardelli del 1889: “E’ punito con la reclusione per un tempo non minore dei

dodici anni, ove la pena stabilita per il reato commesso sia l’ergastolo, e negli altri casi con la pena stabilita per il reato medesimo diminuita della metà, colui che è concorso nel reato: 1- con l’eccitare o rafforzare la risoluzione di commetterlo, o col promettere assistenza od aiuto da prestarsi dopo il reato; 2- col dare istruzioni o col somministrare mezzi per eseguirlo; 3- col facilitarne l’esecuzione, prestando assistenza od aiuto prima o durante il fatto. La diminuzione di pena per il colpevole di alcuno dei fatti preveduti nel presente articolo non è applicata se il reato, senza il suo concorso, non si sarebbe commesso”.

12

Cfr. SEMINARA, Tecniche normative e concorso di persone nel reato,Università di Catania,

Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza, Milano, 1987, pp. 35 ss. L’Autore sottolinea come la nozione

di cooperatore immediato non fosse -in alcun modo- definita nell’art. 63 del codice Zanardelli. Tale assenza non poteva certo definirsi casuale, essendo invero frutto di una precisa scelta legislativa tesa a ricomprendere nella nozione generale di correità la più vasta gamma possibile di condotte. L’individuazione della condotta costituente cooperazione immediata nel reato era rimessa alla discrezionale interpretazione dell’operatore, tanto in sede giurisdizionale che ermeneutica. Questi, alla luce della propria impostazione, poteva attribuire ad un soggetto la qualifica di cooperatore immediato sulla base del disvalore insito nel singolo atto di partecipazione, oppure valorizzando l’immediatezza spaziale -o temporale- del contributo rispetto agli atti di esecuzione. Il principio di tassatività delle fattispecie penali non poteva certo dirsi rispettato. La non presenza di una condotta tipica, nonché l’assenza di una chiara definizione delle figure del cooperatore immediato e del complice necessario, portavano gli operatori del diritto all’elaborazione di categorie dai confini estremamente vaghi. Occorre considerare, in ogni caso, che nei confronti di tale problematica, concernente il rispetto di fondamentali -o meglio irrinunciabili- esigenze di tassatività delle fattispecie penali, non vi era al tempo una sensibilità pari a quella odierna, stante la diversità del contesto politico-culturale in cui la normativa era inserita. La disciplina del codice Zanardelli va analizzata pertanto in chiave storica, onde comprenderne l’essenza, la ratio e la portata applicativa. Il problema della non tassatività e dell’indeterminatezza della fattispecie in relazione alla nozione di cooperatore immediato era, in realtà, presente anche sotto la vigenza della normativa riportata: il legislatore decise però di non porre un freno alla rimessione, pressoché totale, della nozione in oggetto alla discrezionalità del giudice. Una discrezionalità invero inevitabile stante la genericità delle norme. Nella vigenza del codice del 1889 si delineò, invece, in modo certo la nozione di esecutore, intendendosi tale colui che agisce realizzando atti conformi alla fattispecie tipica. Anche per il concetto di cooperatore immediato la dottrina maggioritaria fece riferimento alla condotta tipica, riferendo tal figura dogmatica al soggetto che pone in essere un contributo, in funzione di ausilio, in fase esecutiva; si aveva riguardo, vale a dire, a colui che realizza atti integranti l’azione costituente condotta necessaria per la perpetrazione del reato. Con questa interpretazione la nozione di cooperatore immediato veniva delimitata, obiettivamente, mediante il criterio della tipicità e dell’esecutività della condotta. Si trattava, però, di una nozione formale, assolutamente scissa dalla valutazione del disvalore del fatto e dalla gravità del comportamento posto in essere. L’interpretazione maggioritaria, in ogni caso, classificava cooperatori immediati tutti quei soggetti che, collaborando nel delitto commesso da altri, ponevano in essere un intervento rilevante nella dinamica del fatto infine perpetrato. L’A. sottolinea altresì il fatto che l’interpretazione dell’art. 63 codice Zanardelli risentiva, inevitabilmente, della parallela interpretazione dell’art. 64 n. 2, disposizione nella quale si prevedeva la figura del complice, la cui definizione era, parimenti, labile ed ondivaga.

(11)

all’esecutore del fatto. Si postulava quindi l’individuazione dell’autore e dei correi,

diversificando poi, all’interno di questi ultimi, i soggetti da allineare all’autore e coloro i

quali dovessero, invece, usufruire del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto ex

art. 64 per aver posto in essere forme di partecipazione minori (non giustificanti, perciò,

un’equiparazione alla figura dell’autore del reato). La nozione di cooperatore immediato

non era in alcun modo definita dall’art. 63 del codice Zanardelli; un’assenza non casuale,

essendo invero frutto di una precisa scelta legislativa tesa a ricomprendere il più vasto

spettro possibile di condotte ascrivibili alla nozione generale di correità. L’individuazione

delle varie figure era rimessa, in definitiva, alla discrezionalità dell’interprete. La non

previsione di una condotta tipica, tanto in relazione alla nozione di cooperatore immediato

che di complice necessario, portava gli operatori del diritto all’elaborazione di categorie

ondivaghe e sommarie. Il problema della non tassatività e dell’indeterminatezza delle

condotte ascrivibili alle fattispecie in esame era, in ogni caso, presente; il legislatore,

tuttavia, stante l’assenza di una qualsivoglia descrizione legislativa, dimostrò di non

preoccuparsi dell’affidamento, pressoché totale, delle norme citate alla discrezionalità del

giudice.

Le forme di complicità penalmente rilevanti erano poi distinte in materiali e morali: alla

prima tipologia di contributi andavano ricondotte tutte quelle forme di cooperazione

materiale, i.e. la somministrazione dei mezzi o semplificazione dell’esecuzione dell’altrui

fatto illecito attraverso l’assistenza, previste espressamente ai sensi dell’art. 64 del

precedente codice. Occorreva dunque tracciare la linea di confine tra i comportamenti

rilevanti ex art. 63 e 64 codice previgente

13

. Il confine tra le due fattispecie non poteva

Per un’analisi puntuale della disciplina del codice Zanardelli cfr. inoltre SEMERARO, Concorso di persone

nel reato e commisurazione della pena, Padova, 1986, pp. 80 ss. L’A. rileva come la disciplina del codice

Zanardelli dettata in materia di concorso di persone nel reato fosse incentrata sulla teoria del nesso di causalità efficiente, ivi prevedendo una serie di diversi livelli di efficienza della condotta concorsuale. La distinzione del concetto di correità da quello di complicità rappresenta, invero, il punto di arrivo di un’impostazione legislativa tesa a distaccarsi, progressivamente, dalla disciplina, adottata dai codici preunitari, fondata su una vasta nomenclatura dei contributi di partecipazione rilevanti. Il codice Zanardelli opta quindi per un impianto normativo ispirato dalla cultura liberale, dalle esigenze di certezza e di giustizia sostanziale; criterio cardine viene così individuato nel principio di proporzione tra fatto commesso e pena, con consequenziale trattamento sanzionatorio differenziato fra i vari concorrenti.

13Le oscillazioni interpretative nella definizione della figura del cooperatore immediato e del complice

erano presenti, in realtà, anche in seno alla giurisprudenza, la quale non tardò, però, ad assumere un atteggiamento di chiusura in favore di un’interpretazione restrittiva. A parere della giurisprudenza del tempo dovevano considerarsi, infatti, esecutori e cooperatori immediati coloro i quali avessero concorso al reato previo concerto con gli autori principali. In tal modo veniva meno la differenza tra esecutori e cooperatori immediati, il tutto mediante una semplicistica equiparazione delle figure sul piano sanzionatorio a costo di un’evidente compressione della categoria della complicità. Si aveva inoltre una violazione della normativa, nonché della disciplina ivi prevista, fondata, principalmente, sul diverso disvalore oggettivo delle condotte: tale distinzione veniva di fatto annullata, in sede applicativa, sul piano della sanzione. La nozione di cooperatore immediato così delineata rendeva impossibile individuare una netta linea di demarcazione tra autoria e complicità, privando di valore tassativo le fattispecie previste dagli artt. 63 e 64 cod. pen. previgente

(12)

esser definito, tuttavia, sul solo piano della collocazione temporale del contributo

apprestato: l’ausilio o l’assistenza potevano esser conferiti, difatti, nella fase preliminare di

preparazione del delitto ma anche nella fase di consumazione. L’art. 64 del codice

precedente, con il suo espresso riferimento all’assistenza e all’aiuto “prestati durante il

fatto”, impediva di concludere, semplicisticamente, in favore dell’inquadramento del

contributo agevolatore nella sola fase dell’ideazione del fatto. Allo stato delle norme uno

stesso contributo, i.e. la somministrazione di un mezzo per l’esecuzione dell’illecito,

poteva esser ascritto al comportamento rilevante ex art. 63, con equiparazione dell’agente

all’autore principale, o all’art. 64 qualora si trattasse di mezzo non essenziale alla

realizzazione dell’illecito (con conseguente distinzione del comportamento da ultimo

riferito da quello, a carattere principale, dell’autore). Da un’analisi sistematica delle

diposizioni citate può enuclearsi il principio secondo cui è da considerarsi ausiliatore colui

il quale appresti un mezzo non necessario alla realizzazione del fatto; cooperatore

immediato è, invece, colui che intervenga apprestando uno strumento di precipua

importanza nella dinamica del fatto: la condotta di tal soggetto, alla luce della sua

essenzialità, va accomunata sul piano sanzionatorio a quella dell’autore. Il concetto di

necessità o meno del mezzo somministrato, quale linea di confine -piuttosto labile e

incerta- dei contributi ex artt. 63 o 64 del codice previgente, appariva di difficile

delimitazione. I sostenitori della descritta tesi erano costretti a ripiegare, difatti, su una

valutazione concreta e casistica, rinunciando così all’elaborazione di un concetto, generale

e astratto, valido in ogni circostanza.

Il codice Rocco, mutando radicalmente impostazione, opta per la non specificazione dei

contributi rilevanti a titolo di concorso, con conseguente scomparsa della previsione delle

condotte tipiche e assenza di una loro espressa graduazione (si perde così il riferimento

espresso al cooperatore immediato, assimilato all’autore, nonché alla contrapposta figura

del mero ausiliatore).

La soluzione tecnica adottata dal nuovo codice si pone, perciò, in netto contrasto con

l’opzione normativa del codice Zanardelli: il legislatore rinuncia alla tipizzazione

abbandonate al mero arbitrio giudiziale. A titolo esemplificativo si può ricordare Cass., 2 febbraio 1916, in

CUP, 1916, c. 468 a tenore della quale “Sono da considerarsi esecutori e cooperatori immediati coloro che, previo concerto, concorrano all’esecuzione del reato. Laonde chi, dopo aver con altri prestabilito un furto, nella divisione delle parti assume quella di fare la guardia e di vigilare sugli esecutori materiali, risponde di correità per cooperazione immediata ai sensi dell’art. 63 c.p. e non di complicità ai sensi dell’articolo 64 n. 3 c.p.”. Negli stessi termini si riporta infine Cass., 24 novembre 1892, in RP, 1893, pp. 265 e 268, nella quale

si legge il seguente principio “per l’art. 63 c.p. sono a considerarsi esecutori e cooperatori immediati tutti

coloro che concorrono in qualsivoglia modo, purché efficace, alla consumazione del reato, sia con l’opera loro, sia anche soltanto con la loro presenza…Insomma, in codesta ipotesi sorge una specie di solidarietà per cui tutti rispondono del reato commesso, perché da tutti divisato, da tutti voluto”.

(13)

differenziata delle condotte concorsuali in favore del sistema monistico

14

. Non si ha più

alcuna distinzione tra le diverse tipologie di partecipazione primaria, con (astratta)

14 Le ragioni poste a fondamento dell’adozione del modello unitario a disciplina del concorso di persone

sono teoriche ma, allo stesso tempo, pratiche. In ossequio alla teoria della condicio sine qua non, tutte le condizioni che concorrono alla produzione dell’evento sono da ritenersi causa dello stesso. L’impresa delittuosa concordata fra più soggetti, preordinata alla realizzazione di un fatto illecito, fa sì che si realizzi un’associazione di cause coscienti; a ciascuno dei compartecipi deve essere attribuita la responsabilità dell’intero fatto. L’impostazione strutturale della disciplina del concorso di persone permette di rilevare come, a fronte di due opzioni circa la formulazione legislativa, si sia scelta la via della non tipizzazione espressa delle varie condotte concorsuali. Il legislatore sceglie di non definire le varie forme di partecipazione, soluzione, quest’ultima, in realtà più rispettosa delle esigenze di certezza proprie, o meglio connaturate, all’ordinamento penale. Si opta per la fissazione di sole direttive di massima utili al giudice nell’applicazione concreta delle norme. Appariva indubbio ai compilatori del codice come lo schema delle condotte differenziate fosse più rispondente ai principi di tassatività e certezza; esigenza altrettanto fondamentale era, però, quella concernente l’individualizzazione della pena (parametrata alla condotta posta in essere ed al disvalore da essa espresso). A tal fine si è ritenuto necessario evitare la formulazione di schemi descrittivi asfittici nei quali sussumere i vari comportamenti umani penalmente rilevanti. Il sistema concorsuale tracciato dall’articolo 110 c.p. e dalle norme successive ci rivela, in ultima analisi, come la graduazione della sanzione non sia legata ad un sistema chiuso di figure finite, ma, al contrario, ad una serie di indicazioni elastiche. Il monolitico art. 110 c.p. livella tutti i concorrenti, non più classificati come autori o complici, operando una tendenziale equiparazione dei contributi forniti alla realizzazione plurisoggettiva del reato. Il sistema opta per una disciplina unitaria, mitigata poi dalla previsione di una dettagliata normativa in materia di circostanze. Queste ultime provvedono alla differenziazione in concreto delle condotte concorsuali, di modo che l’intero impianto normativo risulta comunque fondato sul disvalore del comportamento del partecipe a cui va parametrata la sanzione.

Cfr. autorevole dottrina sul tema: LATAGLIATA, voce Concorso di persone nel reato, in Encicl. del dir.,

VIII, Milano, 1961, pp. 593 ss. A parere dell’A. l’interpretazione del diritto positivo, contrariamente alle intenzioni dei compilatori del codice del 1930, fa propendere per il mantenimento della distinzione del concetto di correità da quello di semplice complicità (tanto morale che materiale). Tale distinzione non è stata abolita o soppressa, continuando a caratterizzare l’intera disciplina del concorso. Gli sforzi dei compilatori, finalizzati a definire in modo unitario il fenomeno concorsuale, non possono cancellare le caratteristiche ontologiche che definiscono le condotte umane. A tal riguardo l’A. fa appello alla concezione del Petrocelli, a parere del quale“il legislatore può dare agli atti umani questo o quel regolamento giuridico;

punire gli uni e non punire gli altri; trarre da ciascuno l’una piuttosto che l’altra conseguenza, ma non può modificare o sopprimere ciò che essi sono in realtà. Può, in altri termini, sopprimere la distinzione di trattamento giuridico, non la distinzione che è nella natura delle cose!”(cit.). Seguendo tal autorevole

dottrina la differenza tra il fenomeno della correità e quello della complicità rimane lo strumento fondamentale per interpretare le disposizioni dettate in materia di concorso di persone. Prima fra tutte si ricorda l’art. 116 c.p.: la diminuzione di pena ivi stabilita si basa sulla qualità di meri complici per quei concorrenti che non hanno voluto il reato diverso, più grave, infine realizzato dall’esecutore. Tutta la disciplina del concorso presuppone, seppur in modo implicito, la sussistenza di questa distinzione: ciò si evince immediatamente dagli articoli 111, 112 e 114 c.p.

Cfr. sul tema della tipicità indiretta delle condotte concorsuali mediante l’elaborazione giurisprudenziale VASSALLI, voce Tipicità (diritto penale), in Encicl. del dir., XLIV, Milano, 1992, pp. 538 ss. L’Autore rileva come la giurisprudenza e la dottrina abbiano posto un freno alla constatata indeterminatezza, genericità ed atipicità della formula di cui all’art. 110 c.p. Utilizzando taluni istituti limitrofi al fenomeno concorsuale, quali -ad esempio- il favoreggiamento o la ricettazione, nonché talune categorie ereditate dalla precedente legislazione penale (quali la figura dell’autore o del complice), la dottrina e la giurisprudenza hanno gradatamente definito una serie di condotte tipiche. Si è fatto così ricorso al concetto di determinazione o istigazione, nonché a quello di aiuto o assistenza prestati prima, o durante, la realizzazione del fatto. Si è ovviato, in conclusione, all’indeterminatezza del disposto di cui all’art. 110 c.p. mediante un’opera di tipizzazione indiretta delle condotte concorsuali in via interpretativa. Cfr. altresì sul tema VIGNALE, Ai

confini della tipicità: l’identificazione della condotta concorsuale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, pp. 1374

ss. L’indagine dell’A. parte dalla constatata svalutazione della tassatività nell’attuale disciplina del concorso di persone: stante la mancanza di una qualsivoglia indicazione normativa, si lascia al giudice il ruolo di graduare la pena tra i diversi concorrenti. La determinazione dei confini che separano l’area dell’illecito da quella del penalmente irrilevante viene rimessa, integralmente, alla valutazione dell’organo giudicante. Una tale situazione normativa non autorizza però, seguendo il pensiero dell’A., all’elaborazione di criteri di tipicità degli atti concorsuali del tutto privi di fondamento normativo. Questi si risolvono, inevitabilmente, in

(14)

possibilità di differenziazione sanzionatoria tra correità e complicità (in quest’ultima

categoria rientrano le figure dell’istigatore e dell’agevolatore quali forme di partecipazione

morale e materiale).

Il legislatore sceglie di non definire le varie forme di partecipazione rilevanti, soluzione

quest’ultima -prima facie- più soddisfacente in termini di certezza, optando per la

formulazione dell’art. 110 c.p., norma invero generica e di ampio respiro. Il tutto per

evitare operazioni ermeneutiche tese a costringere i vari comportamenti umani in schemi

predefiniti, sostanzialmente asfittici, a descrizione delle condotte di partecipazione secondo

le disposizioni del codice previgente.

Il problema della graduazione della responsabilità è devoluto integralmente al giudice:

si apre così alla problematica riguardante l’intensità necessaria a definire un contributo

minimo di partecipazione rilevante (con annesse difficoltà nell’individuazione del criterio

atto a distinguere l’entità dei comportamenti analizzati). Ai sensi dell’art. 114 c.p.

15

si

sancisce l’irrilevanza penale di tutti quei comportamenti non qualificabili alla stregua di

un’ingiustificata violazione del principio di legalità formale. Proprio alla luce delle difficoltà interpretative, ed applicative, conseguenti alla genericità della formula di cui all’art. 110 c.p., autorevole dottrina auspica il ritorno al sistema di tipicizzazione espressa delle varie forme di concorso rilevanti. Cfr. amplius sul tema SAMMARCO, Le condotte di partecipazione, Napoli, 1979, pp. 145 ss.

15 Sul tema cfr. R

OMANO M. - GRASSO G.

,

Commentario sistematico del codice penale, art. 114 c.p.,

Milano, 2012, pp. 249 ss. L’articolo in esame ha, a parere degli Autori, modesta portata applicativa. Secondo l’impostazione degli Autori la disposizione non introduce un indice di valutazione della misura minima del contributo penalmente rilevante, prevedendo solo un criterio di analisi della maggiore, o minore, pericolosità dei partecipanti (criterio utile per definire un trattamento sanzionatorio differenziato). Gli Autori ravvisano però nella latissima formula dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. una sorta di valvola di sicurezza del sistema, a mezzo della quale il legislatore ha inteso lasciare al giudice la possibilità di effettuare una valutazione casistica avente ad oggetto la rilevanza del comportamento del concorrente. Il giudice può vagliare, in concreto, l’entità del contributo fornito dal concorrente, evitando così palesi iniquità sul piano della punibilità e della sanzione. La disposizione in esame costituisce per la dottrina il primo, fondamentale, appiglio normativo per concludere in favore dell’assenza di un’impostazione causale, secondo la formula della condicio sine qua non, nel regime del concorso di persone. Nella materia del concorso di persone nel reato la circostanza in esame rappresenta, dunque, un indice di commisurazione della pena, di modo che questa sia comunque adeguata al disvalore espresso dal singolo contributo a fronte del livellamento, e tendenziale equiparazione, sanciti dall’art. 110 c.p. Cfr. altresì PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte

generale, Milano, 2003, pp. 556 ss. L’Autore rileva come una concorsualità non causale trovi fondamento

normativo nell’art. 114 c.p. Qui si riconosce che l’opera prestata da talune delle persone che hanno concorso nel reato può avere minima importanza, tanto nella fase di preparazione del reato che nella fase di esecuzione. Una condotta che sia condicio sine qua non dell’evento, come tale indispensabile per la verificazione del fatto, non può essere considerata condotta di minima rilevanza. Il legislatore, perciò, ha incluso nell’area del penalmente rilevante, segnata dalla norma citata, anche i comportamenti privi di funzione condizionalistica rispetto all’evento.

La riportata affermazione, invero comune in dottrina, presenta, ad ogni buon conto, talune criticità. Una cosa infatti è dire che, logicamente, anche una condotta di minima importanza, se “condizionale” e quindi “necessaria”, ha la stessa rilevanza delle altre ai fini dell’integrazione della figura concorsuale. Diversa cosa è dire che, ferma la natura logica di conditio sine qua non sul piano “qualitativo” di ciascun contributo concorsuale, i vari contributi “condizionali” non possano differenziarsi sul piano “quantitativo” e, conseguentemente, sul piano del “disvalore”: il che si riflette poi sul quantum di pena. Sull’attenuante della minima importanza di cui all’art. 114 c.p. cfr., fra gli altri, CONTIERI, Sull’attenuante della minima

partecipazione, in Foro pen., 1969, pp. 101 ss., nonché DE FRANCESCO G. V., Sulla necessità della

distinzione tra autore e partecipe nell’applicazione delle circostanze della minima partecipazione e del numero di persone, in Foro pen., 1970, 52 ss.

(15)

“condotte di minima importanza”, in presenza dei quali la fattispecie del concorso di

persone non può dirsi integrata. I contributi ivi previsti rappresentano, difatti, il minimum

di partecipazione concorsuale punibile (come tale passibile di incriminazione, sebbene in

forma attenuata). Un comportamento non ascrivibile all’area dell’incriminazione propria

della norma citata non potrà in nessun caso considerarsi quale forma di partecipazione

penalmente significativa.

3. La condotta di agevolazione come comportamento non necessario alla

perpetrazione del fatto illecito in regime concorsuale: digressione sul concetto di

causa e condizione nella sistematica del reato.

Analizzando la copiosa letteratura sul concorso di persone, indagine a partire dalla quale

si è enucleato il concetto di agevolazione in relazione alle sue componenti strutturali

positive (poi trasposto anche sul piano delle fattispecie di parte speciale che prevedono la

punibilità della condotta in esame), si osserva come ad essa venga attribuito, in prevalenza,

il carattere di partecipazione materiale atipica.

Il carattere materiale della condotta di agevolazione costituisce invero acquisizione

certa, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, in relazione alle fattispecie di parte

speciale che prevedono espressamente la punibilità della condotta in questione. Maggiori

oscillazioni si registrano, invece, nella definizione dell’agevolazione punibile in regime

concorsuale: in tal campo essa costituisce una sorta di “categoria-serbatoio”, ove si fanno

confluire varie forme di partecipazione al reato che abbiano, in qualche modo, influenzato

favorevolmente la realizzazione collettiva

16

.

16

Per il carattere sicuramente materiale della condotta di agevolazione in sede concorsuale cfr. STORTONI,

Agevolazione e concorso di persone nel reato, cit., passim. Per una visione parzialmente differente cfr.

MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, VIII Edizione, Padova, 2013, pp. 531 ss., a parere del quale si

può avere un contributo agevolatore in regime concorsuale anche sul piano psichico, nella forma di partecipazione morale non necessaria. Quest’ultima viene distinta dal contributo psichico necessario del concorrente inquadrabile nella diversa categoria della determinazione. La dottrina e la giurisprudenza appaiono, per lo più, concordi nella definizione dell’agevolazione quale condotta materiale con riferimento alle ipotesi di parte speciale che la contemplano espressamente (per l’analisi delle principali ipotesi di parte speciale di agevolazione punibile v. infra cap. II). Nella produzione giurisprudenziale, che ha interessato in prevalenza l’istituto del concorso di persone, spesso si evidenziano pronunce contrastanti, tendenti ad ascrivere nella partecipazione punibile a titolo di agevolazione tanto contributi materiali che morali. Questi ultimi vengono inquadrati nella categoria del rafforzamento dell’altrui proposito criminoso, espressione dai confini invero labili e privi di sufficiente determinazione. In giurisprudenza, in favore del contributo agevolatore rilevante sul piano morale, si rilevano plurime pronunce della Suprema Corte di Cassazione. A tal riguardo si ricorda, a titolo esemplificativo, Cass. pen., Sez. Unite, 30 ottobre 2003, in Cass. pen., 2004, 811 o, meno recentemente, Cass. pen., Sez. I, 16 dicembre 1987, in Cass. pen., 1989, 19. Per una disamina puntuale della produzione giurisprudenziale espressasi sul tema, spesso non esente da contraddizioni, v., nel dettaglio, infra cap. IV par. 2.

(16)

Generalmente si afferma che l’agevolazione risulta punibile purché causalmente, o

condizionatamente, connessa alla realizzazione del fatto illecito da parte di altri. Al fine di

comprendere appieno la suddetta impostazione appare opportuna una preliminare

digressione sui concetti di condizione e causa penalmente rilevanti.

Il concetto di condizione e quello di causa

17

non sono in realtà perfettamente

sovrapponibili, facendo appello ad aree semantiche nettamente distinte. La nozione di

causa acquisisce la connotazione odierna con l’impostazione di Hume

18

, a parere del quale

la causalità non va individuata in una connessione obiettivamente necessaria fra causa ed

effetto immanente nella natura, risolvendosi essa in un principio soggettivo del pensiero

umano. Kelsen fa poi rilevare come la semplificazione insita nell’analisi della causalità

tradizionale abbia carattere bipartito

19

(binomio causa-effetto), dovendosi considerare che,

in realtà, ogni causa è effetto di un’altra causa così come ogni effetto è causa di altri effetti,

delineandosi in tal modo una catena infinita. Si apre così ad una concezione moderna di

causa, svincolata dal pensiero antico che leggeva la causalità alla stregua di una

concatenazione di eventi, di cui uno immanente all’altro, senza possibilità di inversione

dell’ordine cronologico di verificazione degli accadimenti

20

.

17 Cfr. ex multis S

TELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 4 ss.

18

HUME, Ricerca sull’intelletto umano (1748), sez. VII, trad. it., in Opere filosofiche, Laterza, Bari, 1992, vol. II, 81. L’Autore opta per un approccio empirista, conducendo l’intera indagine sul piano epistemologico. Si delinea così la relazione causale alla stregua di una sequenza regolare nel tempo, tale per cui ad un evento consegue un altro evento secondo una legge di normale successione degli accadimenti. Si sovrappone il piano della nozione con quello afferente il metodo dell’accertamento: si confonde, in pratica, il principio causale con quello di mera successione uniforme degli eventi. Il tutto descrivendo la concatenazione degli accadimenti secondo una legge enucleata dall’osservazione, mediante l’esperienza, degli avvenimenti. L’A. non distingue nettamente il concetto di causa da quello di condizione. Il concetto di condizione si risolve infatti in una relazione di ordine logico, che va ad indicare una sequenza cronologica regolare. Gli elementi differenziali tra il concetto di condizione, come relazione logica, e causa, come relazione nomogenetica, vengono individuati nell’antecedenza sul piano temporale (connotato proprio della sola condizione, non essenziale, di contro, nella causalità che si dimostra compatibile con rapporti di simultaneità) e nei caratteri di produttività, asimmetria e unidirezionalità (caratteristiche, quest’ultime, proprie della sola relazione di causalità). La condizione viene definita alla stregua di una sequenza regolare, che, nel pensiero di Hume, costituisce un principio di matrice squisitamente epistemologica corrispondente ad un procedimento logico di natura induttiva. L’analisi così impostata si fonda sull’osservazione empirica della successione degli eventi secondo criteri di regolarità, risultando quindi impossibile giungere ad una categoria autonoma, e generale, che prescinda dalla correlazione stretta con i dati raccolti mediante l’esperienza.

19 Cfr. K

ELSEN, Società e natura.Ricerca sociologica, 1943, trad. it. Einaudi, Torino, 1953, 375.

20 Cfr. K

ELSEN, Società e natura, cit., 380. A parere dell’A., con Hume e Kant si è avuta la progressiva emancipazione del concetto di causa dalla dimensione antropomorfa. A Hume si deve, infatti, la traslazione della causalità dalla dimensione obbiettiva (quale rapporto tra causa ed effetto) a quella soggettiva, con consequenziale trasformazione di un problema ontologico in una questione epistemologica. Hume distinse infatti all’interno del concetto di causalità componenti ontologiche ed epistemologiche, sottolineando come in natura non esista una causalità espressa in termini di connessione necessaria tra accadimenti, ma solo una successione regolare di eventi. La legge di causalità, intesa quale impostazione del problema causale secondo lo schema “dato A si avrà comunque B”, costituisce un’abitudine mentale. Partendo dalla conclusione secondo cui a casi simili corrispondono effetti simili, si osserva e si ordina la realtà secondo il modello della successione regolare degli eventi. Kant, partendo dalla visione di Hume, provvede poi ad elaborare la nozione di causa quale concetto innato, quale categoria a priori e conoscenza necessaria, per mezzo della quale gli uomini ordinano mentalmente il materiale empirico acquisito tramite le loro percezioni sensoriali.

(17)

La nozione di causa viene così fatta dipendere dalla costatazione di ciò che si ripete,

dalla generalizzazione di casi simili mediante l’esperienza

21

; l’accertamento della causalità

si risolve così nell’osservazione empirica di successioni regolari di eventi, i cui risultati

vengono ascritti ad una categoria generale (i.e. la relazione causa- effetto). Oggetti simili

sono collegati ad altri oggetti simili; la relazione causale viene perciò sintetizzata in una

connessione fra un“oggetto seguito da un altro oggetto, dove tutti gli oggetti simili al

primo sono seguiti da oggetti simili al secondo…dove se il primo oggetto non è esistito,

non è esistito nemmeno il secondo”

22

. Nella prima parte della proposizione si ha

l’affermazione del concetto di causa come condizione sufficiente (oggetto seguito da un

altro oggetto e dove tutti gli oggetti simili al primo sono seguiti da oggetti simili al

secondo); la seconda parte della definizione riportata delimita invece la nozione

introducendo il requisito della necessarietà mediante il giudizio condizionale controfattuale

(dove se il primo oggetto non è esistito, non è esistito nemmeno il secondo). Affinché si

possa parlare di causa occorre, dunque, la presenza simultanea di entrambe le suddette

caratteristiche: si ha causa, in estrema sintesi, a fronte di una condizione necessaria e

sufficiente alla produzione di un dato effetto.

Il concetto di causa come condizione necessaria al verificarsi di un dato accadimento

può esser superato rilevando come vi sia la possibilità che l’evento, o meglio un evento

della tipologia di quello verificatosi, abbia luogo a prescindere da quella determinata causa

isolatamente considerata, posto il fatto che la produzione di un evento è, in ogni caso,

addebitabile ad una pluralità di cause convergenti. Parimenti si può obiettare al concetto di

causa -intesa come condizione sufficiente- con un’osservazione altrettanto dirimente. Può

accadere, difatti, che un evento non si realizzi al verificarsi di una data condizione: ciò in

quanto ogni condizione può portare ad una pluralità di effetti, non ricomprendendo fra

questi -in ipotesi- la tipologia di evento considerata

23

.

21 Cfr. S

TELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 101 ss. La determinazione del nesso di causalità non può esser lasciata al totale apprezzamento del giudice, apparendo esso requisito di fattispecie, non indeterminato ed indeterminabile, il cui contenuto deve esser definito dal legislatore. Il contenuto sostanziale del nesso eziologico va delineato riferendosi alle leggi di natura che consentono di spiegare l’evento. Nel procedimento di generalizzazione occorre evidenziare le condizioni empiriche antecedenti concorrenti alla definizione di causa nomologicamente intesa.

22 Cfr. H

UME, Ricerca sull’intelletto umano, cit., 82-83.

23 Secondo un’accreditata impostazione la condizione deve dimostrarsi necessaria in relazione all’evento

concretamente verificatosi: non si richiede, vale a dire, che la condizione sia indispensabile rispetto ad ogni possibile modalità di realizzazione dell’evento. È sufficiente che la condotta sia condizione per l’effettivo realizzarsi dell’offesa, così come questa appare configurata a livello giuridico. Tal prospettiva d’indagine distingue poi tra condizioni universalmente necessarie e condizioni solo contingentemente indispensabili. Nella prima categoria rientrano quelle condizioni che si palesano necessarie rispetto ad ogni eventuale modalità di verificazione dell’evento (si può ricordare, a tal fine, l’ossigeno, agente condizionante la realizzazione di qualsiasi incendio costituendo elemento indispensabile per la combustione). Nella seconda

(18)

Appare allora essenziale delineare il concetto di condizione necessaria e sufficiente

costituente causa di un dato accadimento. A tal fine occorre considerare anche tutte le altre

condizioni presenti nella situazione concreta (secondo la cosiddetta clausola coeteris

paribus). Si passa così al concetto di causa contingentemente necessaria e sufficiente

24

. Si

prende atto dell’impossibilità di descrivere, con l’identificazione a ritroso di ogni possibile

ed eventuale antecedente causale, l’intero procedimento eziologico che ha portato alla

verificazione di un evento. Si rivela del tutto impraticabile identificare tutti i fattori

interagenti nel processo causale, onde inferirne l’efficienza, a seguito dell’individuazione

della loro influenza reciproca con la condotta umana, rispetto alla realizzazione di un dato

evento. Si riconosce l’impossibilità, per qualsiasi osservatore, di dar conto dell’intera

sequenza eziologica che ha condotto ad uno specifico evento: si palesa perciò necessario

ricorrere, in ogni caso, ad assunzioni tacite (cosiddetta clausola coeteris paribus), dando

per conosciuti un insieme di fatti in realtà non previamente accertati. Ogni spiegazione

concernente la sussistenza di un nesso di causalità si dimostra, inevitabilmente, parziale,

come tale fondata su premesse incomplete. Nello svolgimento di tal indagine si rivela

fondamentale ricorrere a procedimenti di generalizzazione, modelli facenti cioè appello a

leggi in grado di descrivere la successione degli avvenimenti mediante leggi universali o

probabilistiche (i.e. le successioni nomiche)

25

.

categoria vanno ricomprese, invece, tutte quelle condizioni necessarie solo per una data classe di eventi. Ai fini del diritto è sufficiente che il comportamento del soggetto, della cui responsabilità si discute, abbia posto in essere una condizione necessaria del secondo tipo, non essendo richiesto -ai fini dell’imputazione- che la

condotta si palesi indispensabile rispetto ad ogni possibile realizzazione dell’evento. Cfr. sul tema STELLA,

Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 98 ss. 24 Cfr. S

TELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 306 ss.

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Cfr. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., pp. 306 ss. L’Autore sottolinea la sussistenza di una differenza logico-concettuale fra le due categorie di leggi impiegate nell’analisi del nesso di causalità. Le leggi statistiche affermano l’esistenza di connessioni probabilistiche tra eventi: anziché asserire che il presentarsi di un evento è invariabilmente accompagnato dal verificarsi di un altro, esse concludono rilevando come un dato evento sia seguito da un altro in una certa percentuale di casi. Le leggi statistiche possono, tuttavia, essere utilizzate in determinati casi a fondamento di spiegazioni scientifiche di accadimenti particolari. L’esempio riportato dall’Autore riguarda il probabile contagio, e successiva infezione, da morbillo in caso di contatto prolungato con soggetto già affetto da tale patologia. Vi può essere una connessione fra il suddetto contatto e il contagio poi riportato da altro soggetto, non essendo però possibile concludere, in modo certo, circa il verificarsi dell’infezione. Si può soltanto asserire che le persone esposte al morbillo possono contrarre la malattia, con un altro grado di probabilità e in un’alta percentuale di casi (sebbene non necessariamente). L’explanans consiste in una legge statistica che non può esser posta a base di spiegazioni nomologiche-deduttive, come tali fondate su leggi universali. Le asserzioni che fungono da explanans non implicano, secondo un percorso logico deduttivo, l’explanandum. Nelle inferenze deduttive da premesse certe la conclusione è invariabilmente data; nel caso delle leggi probabilistiche, invece, non è detto che dalla premessa iniziale derivi, quale inevitabile conseguenza, un determinato evento. Le leggi universali esprimono una relazione causale secondo cui dato A si avrà, con una percentuale del 100%, l’evento B; le leggi probabilistiche, di contro, esprimono una frequenza meramente statistica tra accadimenti e proprietà. La pretesa di ricollegare le spiegazioni causali alle sole leggi universali si giustifica, a parere dell’A., solo qualora si muova dal presupposto che i processi esplicativi abbiano carattere rigorosamente deduttivo (tali, cioè, che dato l’explanans consegua necessariamente l’explanandum). Tal condizione viene, però, inevitabilmente a mancare nel momento in cui si faccia impiego della clausola

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