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Il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, rilevante ai fini dell’interruzione del nesso causale ai sensi dell’art 41 c.p comma II, non si riferisce

Nel documento I reati di agevolazione (pagine 107-109)

alla sola ipotesi di un processo causale del tutto autonomo. Letta in tal prospettiva la

disposizione citata sarebbe pressoché inutile: nel caso considerato si potrebbe pervenire

comunque all’esclusione del rapporto causale sulla base del principio condizionalistico,

ossia mediante il ricorso al criterio della condicio sine qua non, previsto a livello

normativo nell’art. 40 c.p. comma I. La norma di cui al comma II dell’art. 41 c.p. trova

applicazione anche nel caso di processo eziologico, non completamente avulso

dall’antecedente, caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, anomalo ed

imprevedibile: si ha riguardo, cioè, all’ipotesi di un evento che si verifica in casi

eccezionali a seguito della causa presupposta

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. Deve trattarsi di una concausa che deve

18 Cfr., fra gli altri, sul tema del nesso di causalità, anche in relazione all’esatta portata del disposto di cui

all’art. 41 comma II c.p., AZZALI, Il problema della causalità nel diritto penale, in Indice pen., 1993, pp. 249 ss.; MALINVERNI, voce Causalità (rapporto di), in Novissimo dig. it., III, Torino, 1959, pp. 40 ss.; STELLA, La

nozione penalmente rilevante di causa: la condizione necessaria, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, pp. 1217

ss; FIANDACA, voce Causalità (rapporto di) in Dig. disc. pen., II, Torino, 1988, pp. 119 ss.; MARINUCCI,

Diritto penale messo in discussione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, pp. 1045 ss.; TRAPANI, La divergenza tra il voluto e il realizzato, cit., pp. 67 ss. Senza pretese di esaustività, si ricorda in questa sede come l’art. 41

comma II c.p. rappresenti una disposizione di fondamentale importanza nell’assetto normativo del codice in materia di causalità. Scopo della norma, secondo l’opinione maggiormente seguita, è quello di temperare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio contenuto nell’art. 40 c.p. comma I, che si ritiene abbia accolto il principio condizionalistico (cosiddetta formula della "condicio sine qua non"). Sono da considerarsi fattori non interruttivi del nesso di causalità, secondo la più accreditata interpretazione della norma in esame, tutti quegli elementi cosiddetti normali, ossia tutti quegli accadimenti che si verificano con regolarità qualora venga posta in essere una data azione. Le conseguenze che si caratterizzano per essere non probabili, o non frequenti, non si sottraggono, in quanto tali, al dominio dell’uomo, poiché possono da questi essere comunque previste e rappresentate. Per concludere in favore dell’imputazione oggettiva dell’evento sono necessari, perciò, due elementi, uno positivo e uno negativo. Il requisito positivo dell’imputazione consiste nel fatto che l’uomo, con la sua condotta, ha posto in essere un fattore causale dell’evento (un fattore senza il quale il risultato medesimo, nel caso concreto, non si sarebbe avverato). L’elemento negativo attiene invece al fatto che il risultato non deve essere dovuto al concorso di fattori eccezionali (ossia fattori di rarissima verificazione). Soltanto al ricorrere di queste due condizioni l’agente può considerarsi autore dell’evento. Perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità si deve avere riguardo, dunque, ad un percorso causale, ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente, completamente atipico, di carattere anomalo ed eccezionale. Si deve aver riguardo, cioè, ad un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Si può a tal fine ricordare l’esempio, divenuto noto in letteratura, riportato nella relazione ministeriale al codice penale: l’agente ha posto in essere un antecedente dell’evento (ha ferito la persona offesa) ma la morte è stata infine determinata dall’incendio dell’ospedale nel quale il ferito era stato ricoverato. In tal ipotesi l’evento morte non solo non costituisce percorso causale tipico (come, ad esempio, il decesso nel caso di gravi ferite riportate a seguito del ferimento), ma realizza una linea di sviluppo eziologico della condotta del tutto

essere, appunto, “sufficiente” a determinare l’evento; questa sufficienza sul versante

eziologico non può essere intesa, nondimeno, come estraneità totale della concausa rispetto

al precedente processo causale perché, altrimenti, torneremmo al caso del percorso causale

autonomo già disciplinato ai sensi dell’art. 40 c.p. comma I. A tal riguardo appare perciò

essenziale definire quando una concausa possa qualificarsi imprevedibile ed eccezionale, e

quando, al contrario, questa debba considerarsi alla stregua di un fattore causale normale

(come tale non escludente un addebito di responsabilità ai sensi dell’art. 41 comma II c.p.).

Il giudizio di eccezionalità del fattore causale, i.e. la condotta illecita del terzo,

successivamente intervenuta, va condotto, a parere di costante dottrina sul tema

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, alla

anomala, in concreto oggettivamente imprevedibile. La morte in concreto verificatasi è certamente imprevedibile per l’agente, che non può anticipatamente rappresentarla come conseguenza della sua azione od omissione.

Dato sostanzialmente pacifico è quello secondo cui il fattore causale interruttivo non può appartenere a serie causali del tutto autonome, ed avulse, rispetto alla condotta inizialmente posta in essere, pena la totale inutilità del disposto di cui all’art. 41 comma II c.p. (in questi termini cfr. GALLO, Appunti di diritto penale.

La fattispecie oggettiva, cit., pp. 112 ss., nonché ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, cit.,

pp. 183 ss.).

Per una posizione parzialmente differente cfr. MEZZETTI, Giurisprudenza creativa nell’accertamento del

nesso causale per la morte del tossicodipendente, in Cass. pen., 2004, pp. 2847 e 2848. Il fattore interruttivo

rilevante ai sensi dell’art. 41 comma II c.p. è solo quello autosufficiente, non autonomo o indipendente, in grado di determinare un decorso causale sovrastante. La sua funzione è cioè quella di paralizzare, o meglio assorbire, gli effetti prodotti fino a quel punto dal fattore causale antecedente. Il fattore di cui trattasi è, quindi, in grado di palesarsi come unico elemento causale rilevante nel giudizio controfattuale ipotetico. A seguito dell’applicazione del metodo dell’accertamento controfattuale ipotetico, si dimostra quale fattore causale dell’evento solo quello, successivamente intervenuto, avente valenza eziologica assorbente. Il fattore sopravvenuto è perciò, in ultima analisi, l’unica spiegazione logico-razionale dell’evento infine cagionato.

19 A parere della dottrina, pressoché pacifica sul tema (cfr., per tutti, M

ANTOVANI, Diritto penale. Parte

generale, VIII Ed., Padova, pp. 145 ss.), il giudizio di imprevedibilità dei fattori interruttivi del nesso causale

ai sensi dell’articolo 41 comma II c.p. ha basi oggettive, facendo appello a criteri assoluti ed obbiettivi (cosiddetto parametro dell’ “uomo della miglior scienza ed esperienza possibile”). Onde valutare la sussistenza di un nesso di condizionamento tra una condotta ed un evento occorre, innanzitutto, far riferimento alla causalità scientifica, secondo la quale è causa quel fattore eziologico che, valutato alla stregua dell’uomo della miglior scienza ed esperienza possibile in quel dato contesto storico, ha cagionato l’evento. La scienza causale ha in realtà carattere dinamico ed è suscettibile di continua evoluzione: le conoscenze scientifiche non sono fisse ed immutabili, ma sempre esposte al cambiamento in conseguenza della progressiva acquisizione di ulteriori conoscenze e competenze. Con le continue conoscenze scientifiche che si acquisiscono è possibile individuare processi eziologici in precedenza non identificabili, così come, in via diametralmente opposta, è possibile rivedere la valenza causale di fattori previamente ritenuti, erroneamente, efficienti.

Tra l’area di rilevanza della causa e del puro caso sussiste un rapporto di inversa proporzionalità. Tanto maggiori sono le conoscenze scientifiche acquisite nei vari settori di indagine, tanto minore sarà la sfera di operatività del caso; solo un fattore non suscettibile di descrizione, e correlata spiegazione scientifica, può ascriversi all’area della casualità. L’acquisizione di sempre più approfondite conoscenze nei vari campi d’analisi permette di valutare a fondo la sequenza causale che ha condotto al verificarsi dell’evento, ivi rilevando una serie di antecedenti eziologici ed evidenziandone la valenza eziologica secondo leggi scientifiche a descrizione dei fenomeni. Si potrà concludere affermando che è un evento è conseguenza, su base scientifica, di una data condotta se, e solo se, tra i due estremi dell’indagine si individui una relazione secondo il parametro dell’uomo della migliore scienza ed esperienza possibile in quello specifico contesto storico-culturale. Non è corretto utilizzare a tal fine il parametro della scienza e dell’esperienza personale dell’agente concreto, o le conoscenze medie proprie dell’uomo comune: in tal modo si confonderebbe l’area della colpevolezza, afferente il piano dell’imputazione soggettiva, con quello della causalità, inerente al diverso profilo dell’imputazione obbiettiva. In caso contrario si perverrebbe al puro relativismo soggettivistico: non si avrebbe cioè l’enucleazione di un criterio oggettivo come tale sempre valido, ma

stregua del parametro dell’uomo della migliore scienza ed esperienza possibile, criterio dal

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