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CLM94, un inibitore di nuova sintesi attivo sulla proliferazione endoteliale e tumorale in vitro e in vivo

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(1)

Indice

 

Riassunto 4

 

CAPITOLO 1 - “L’angiogenesi” ...

7

 

1

1.1 Il processo angiogenico

...

8

1.2   Cellule coinvolte nell’angiogenesi

...

10  

1.2.1   Cellule endoteliali

...

10  

1.2.2   Periciti

...

11  

1.2.3   Cellule muscolari lisce

...

12  

1.2.4   Altri tipi cellulari coinvolti

...

12  

1.3   Fattori di crescita coinvolti nell’angiogenesi

...

13  

1.3.1   VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)

...

14  

1.3.2   EGF (Epidermal Growth Factor)

...

18  

1.3.3   PDGF (Plated Derived Growth Factor)

...

21  

1.3.4   FGF (Fibroblast Growth Factor)

...

23  

1.3.5   IGF (Insulin-like Growth Factor)

...

23  

1.3.6   TGF (Trasforming Growth Factor)

...

24  

1.4   Induttori endogeni coinvolti nell’angiogenesi

...

25  

1.4.1   Angiopoietine

...

26  

1.4.2   Integrine

...

29  

 

CAPITOLO 2 - “Inibitori dell’angiogenesi” ...

31

 

2

2.1   Inibitori endogeni

...

33  

2.1.1   IFN (Interferone)

...

33  

2.1.2   Interleuchine

...

34  

2.1.3   TIMPs (Inibitori tessutali delle metalloproteinasi)

...

35  

(2)

2.1.5   TSP (Trombospondina)

...

36  

2.1.6   Geni soppressori

...

37  

2.2   Inibitori esogeni

...

38  

2.2.1   Farmaci inibitori diretti della proliferazione e della migrazione

delle cellule endoteliali

...

39  

2.2.2   Inibitori delle proteasi

...

40  

2.2.3   Antagonisti dei fattori di crescita ed degli enzimi coinvolti nel

processo agiogenico

...

41  

2.2.4   Anticorpi monoclonali umanizzati

...

42  

 

CAPITOLO 3 - “Inibitori delle tirosin-chinasi” ...

43

 

3

3.1   Meccanismo d’azione degli inibitori tirosin chinasici

...

45  

3.2   Approccio multi target

...

48  

3.3   Composti attivi sui recettori tirosin chinasici

...

49  

3.3.1   Imatinib

...

49  

3.3.2   Gefitinib

...

50  

3.3.3   Erlotinib

...

50  

3.3.4   Sunitinib

...

51  

3.3.5   Sorafenib

...

51  

3.3.6   Vandetanib

...

52  

3.4   Nuovi composti

...

53  

 

CAPITOLO 4 - “Scopo dello studio” ...

56

 

4

 

CAPITOLO 5 - “Materiali e metodi” ...

58

 

5

5.1   Farmaci in studio

...

59  

5.2   Studi in vitro

...

59  

5.2.1   Linee cellulari e condizioni di coltura

...

59  

(3)

5.2.3   Saggio ELISA per la determinazione della fosforilazione di

VEGFR-2 e EGFR

...

60  

5.3   Studi in vivo

...

61  

5.3.1   CLM94 inibisce l’angiogenesi tumorale delle cellule AF in

assenza di tossicità

...

61  

5.3.2   Analisi immunoistochimica e densità microvascolare nei tessuti

tumorali dei topi nu/nu

...

63  

5.4   Analisi statistica

...

63  

 

CAPITOLO 6 - “Risultati” ...

64

 

6

6.1   Effetto dei composti pirazolo-pirimidinici e saccarinici sulla

proliferazione delle cellule tumorali ed delle cellule endoteliali in modo

concentrazione dipendente

...

65  

6.2   Inibizione da parte di CLM94 della fosforilazione dei recettori

EGFR e VEGFR-2 nelle cellule endoteliali HMVEC-d e del recettore

RET nelle cellule tumorali 8305C

...

68  

6.3   Effetto antitumorale e antiangiogenico da parte di CLM94 in

xenotrapianti di cellule AF in assenza di tossicità

...

69  

6.4   Diminuzione da parte diCLM94 della sintesi della proteina

VEGF-A e della densità microvascolare nei tessuti tumorali di cellule VEGF-AF

...

72  

 

CAPITOLO 7 - “Conclusioni” ...

75

 

7

 

Bibliografia ...

79

 

8

 

 

 

(4)

Riassunto

Le tirosin-chinasi sono enzimi che regolano processi cellulari, quali la proliferazione e la differenziazione cellulare, e possono essere coinvolti nel processo di oncogenesi, poiché catalizzano la fosforilazione dei residui di tirosina di alcuni recettori cellulari, tra cui EGFR, VEGFR-1 e 2 e RET. EGFR è un recettore cellulare transmembrana coinvolto nei normali processi di proliferazione, sopravvivenza, adesione, migrazione e differenziazione cellulare, la cui sovraespressione o mutazione genica può portare all’oncogenesi ed è infatti presente in numerose forme tumorali, quali il carcinoma polmonare non a piccole cellule del polmone (NSCLC-non small lung cell cancer). I recettori VEGFRs ed i relativi membri della famiglia del fattore di crescita endoteliale VEGF, invece, sono le proteine che regolano l’angiogenesi normale e patologica. Infine, l’oncogene RET è coinvolto nello sviluppo del cancro alla midollare della tiroide, MTC. L’attivazione della linea germinale di RET e le mutazioni somatiche sono state identificate come la prima causa di MTC ereditario e sporadico.

Le molecole inibitrici le tirosin-chinasi risultano, quindi, avere un ruolo promettente nel trattamento dell’oncogenesi e dell’angiogenesi patologica, in quanto determinano l’inibizione della trasmissione del segnale mitogeno intracellulare, agendo sulla fosforilazione dei residui di tirosina associati ai recettori, quali VEGFR ed EGFR. L’interesse dell’odierna ricerca oncologica si è, pertanto, rivolto alla sintesi di nuove molecole inibenti le TK associate ai diversi recettori dei fattori di crescita, in modo da agire su diverse vie di trasmissione del segnale contemporaneamente. In particolare, i laboratori della Facoltà di Farmacia dell’Università di Pisa hanno recentemente intrapreso la sintesi di nuovi composti appartenenti agli inibitori delle tirosin-chinasi. Tra questi vi sono i derivati a nucleo pirazolo [3,4-d] pirimidinico, con sostituenti sulle posizioni 2 e 4 dell’etanolo, e derivati saccarinici.

Studi preliminari di inibizione enzimatica in vitro delle TK associate a EGFR e VEGFR hanno messo in evidenza alcuni composti, tra le pirazolo-pirimidine e tra i derivati saccarinici, particolarmente promettenti.

(5)

CLM30, CLM32 e CLM46 tra i derivati pirazolo-pirimidinici e CLM13, CLM34 e CLM94 tra i derivati saccarinici- su cellule tumorali polmonari umane (A549), esprimenti il recettore EGFR, su cellule tumorali tiroidee (8305C), esprimenti il recettore RET, e su cellule endoteliali microvascolari umane (HMVEC-d), esprimenti il recettore VEGFR, nell’intento di valutare una possibile attività antitumorale e antiangiogenica. Tra i farmaci testati, abbiamo focalizzato l’attenzione sul composto CLM94, il derivato saccarinico che ha dimostrato un’efficacia farmacologica significativa sulla linea cellulare 8305C, cellulare tumorali indifferenziate tiroidee con componente papillare, tumore per il quale non esistono ancora terapie chemioterapiche specifiche.

Obiettivo secondario dello studio è stato, poi, quello di dimostrare l’effetto antiproliferativo di CLM94 in vitro sulla linea tumorale tiroidea (8305C) e sulla linea cellulare endoteliale microvascolare (HMVEC-d) e di studiare un eventuale meccanismo d’azione del composto valutando la fosforilazione dei recettori RET nelle cellule 8305C e VEGFR e EGFR nelle cellule HMVEC-d. In seguito sono stati effettuati studi con lo scopo di dimostrare l’effetto antitumorale ed antiangiogenico di CLM94 in vivo in xenotrapianti di cellule AF in assenza di tossicità.

L’attività antiproliferativa di CLM94 in vitro sulla linea cellulare 8305C e HMVEC-d, come anche i livelli di fosforilazione dei recettori RET, EGFR e VEGFR-2 dopo 72 h di trattamento sono stati misurati attraverso kit ELISA. Dai risultati ottenuti, CLM94 ha dimostrato un forte effetto antiproliferativo con una IC50, ovvero una concentrazione

inibente il 50% delle cellule, di 25,80 ± 7,99 µM sulle cellule tumorali 8305C e di 1,60 ± 1,11 µM sulle cellule endoteliali HMVEC-d, dopo 72 h di trattamento. Inoltre, anche i livelli di fosforilazione dei recettori RET, EGFR e VEGFR-2 diminuiscono significativamente quando trattati con CLM94.

L’effetto antitumorale di CLM94 in vivo su topi xenotrapiantati con cellule AF è stato dimostrato misurando il volume delle masse tumorali dei topi trattati rispetto agli animali del gruppo di controllo, in assenza di tossicità. Dai dati ottenuti risulta che il volume delle masse tumorali nei topi trattati con CLM94 è significativamente ridotto rispetto a quello nei topi trattati con il solo veicolo (2013,2 ± 577,8 mm3 vs 826,5 ± 228,6 mm3, rispettivamente; P < 0,05). L’effetto antiangiogenico di CLM94 in vivo,

(6)

invece, è stato dimostrato considerando l’immunoreattività per la proteina VEGF-A negli animali trattati rispetto ai topi del gruppo di controllo. I risultati hanno mostrato un’importante diminuzione di sintesi della proteina VEGF-A da parte delle cellule tumorali nei topi trattati con CLM94 rispetto a quelli trattati con soluzione salina (43,3 ± 5,3 vs 76,7 ± 10,3, % rispettivamente; P < 0,05), con conseguente aumento della percentuale di necrosi delle cellule tumorali nei topi trattati rispetto ai controlli (58,3 ± 7,6 vs 33,3 ± 5,2, % rispettivamente; P < 0,05).

In conclusione, il composto saccarinico CLM94 ha mostrato una significativa attività antiproliferativa, antitumorale ed antiangiogenica in vitro ed in vivo. In particolare CLM94, inibendo le tirosin-chinasi associate ai recettori RET, EGFR e VEGFR, blocca la trasduzione del segnale e, quindi, la proliferazione cellulare tumorale, per cui sembra essere una molecola con promettenti proprietà per il trattamento di diverse forme tumorali, quali anche il tumore anaplastico della tiroide, aprendo la strada a nuovi studi clinici.

(7)

CAPITOLO 1 - “L’angiogenesi”

1

(8)

Il processo angiogenico

1.1

L’organismo necessita di un continuo apporto ematico per il suo normale funzionamento che viene garantito dal sistema circolatorio, costituito da una rete di vasi quali arterie, vene e capillari. Il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni viene suddiviso in due tipologie: la vasculogenesi, ovvero il processo di formazione di vasi sanguigni all’interno di un tessuto avascolarizzato, e l’angiogenesi, ovvero il processo di formazione di nuovi vasi a partire da vasi sanguigni preesistenti (Carmeliet P., 2000). Il processo angiogenico è stato argomento di molte ricerche durante la seconda metà del Novecento per la scoperta di fattori di crescita angiogenici ed, in particolare, per il ruolo rilevante della neovascolarizzazione nel cancro (Bicknell R, Harris AL., 2004). Infatti è stato osservato che la crescita delle neoplasie è accompagnata da un aumento del numero dei vasi sanguigni e che i vasi sanguigni tumorali originano da capillari preesistenti.

L’angiogenesi è, dunque, un processo biologico che si verifica nell’organismo sia in condizioni fisiologiche come nello sviluppo embrionale, nelle modificazioni uterine delle donne durante l’ovulogenesi e nei processi riparativi tissutali, che in condizioni patologiche quali la psoriasi umana, in forme artritiche ed artrosiche, l’obesità, l’endometriosi, l’aterosclerosi, in alcuni tipi di patologie oculari e, inoltre, assume un ruolo primario nella crescita e metastatizzazzione dei tumori solidi. Essa rappresenta il processo di formazione di vasi sanguigni a partire da vasi preesistenti e coinvolge cellule endoteliali mature provenienti dai vasi vicini (Rafii S, Heissing B, Hattori K. , 2002). Ciò che diversifica la forma patologica da quella fisiologica è il diverso equilibrio esistente tra fattori pro ed anti-angiogenici. Fisiologicamente i nuovi vasi maturano velocemente e stabilizzano la loro struttura, mentre quelli tumorali perdono precocemente stabilità e controllo. Questo può essere valutato con indagini istologiche: infatti, i vasi patologici hanno forma irregolare, sono dilatati, tortuosi, a fondo cieco e non si organizzano in capillari venosi ed arteriosi, mantenendo una configurazione caotica (Bergers G, Benjamin LE, 2003).

(9)

fattori di crescita angiogenici secreti dalle cellule tumorali, i fattori TAF (Tumor Angiogenic Factor) più tardi individuati nei fattori bFGF (basic Fibroblast Growth Factor) e VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) (Folkman J., 1971). Le possibili implicazioni cliniche e terapeutiche di tali innovazioni sono state evidenziate però soltanto negli ultimi 15-20 anni grazie all’interesse di altri ricercatori come Cheresh, Kerbel e Ferrara. Oggi i nuovi metodi di studio in vitro ed in vivo hanno permesso la scoperta di molte altre molecole naturali e di sintesi ad attività antiangiogenica.

La trasformazione di alcune cellule tumorali quiescenti in un tumore vero e proprio dipende, in parte, dall’angiogenesi: i tumori solidi non possono accrescersi per più di 2 millimetri senza un proprio apporto vascolare, per tale motivo malignità e invasività neoplastica dipendono direttamente dal meccanismo angiogenico (Gupta MK, Qin RY, 2003).

Gli eventi che portano alla formazione di nuovi vasi a partire da quelli preesistenti possono essere schematizzati come segue (Bergers G, Benjamin LE, 2003):

a. attivazione delle cellule endoteliali e aumento della permeabilità vascolare: in questa prima fase del processo gioca un ruolo fondamentale il fattore VEGF. Inoltre avviene lo stravaso nei tessuti delle proteine plasmatiche che parteciperanno alla formazione di una nuova matrice extracellulare e l’attivazione della migrazione delle cellule endoteliali;

b. perdita della integrità della membrana basale e dei periciti. Queste cellule costituiscono gran parte della membrana basale degli endoteli e sono intimamente connesse alle cellule endoteliali;

c. migrazione delle cellule endoteliali: la discontinuità della membrana basale e la degradazione della matrice extracellulare permettono la diffusione chemiotattica delle cellule endoteliali nei tessuti;

d. proliferazione e differenziazione delle cellule endoteliali;

e. nuova adesione delle cellule endoteliali e formazione di strutture incolonnate e canalizzate;

f. formazione di una nuova membrana basale provvista di periciti e di cellule muscolari lisce.

(10)

A B C D

Figura 1.1 Disegno schematico del processo angiogenico: A) i tumori solidi di dimensioni inferiori ai 2-3 millimetri possono

sopravvivere in assenza di un proprio apporto vascolare; B) quando la crescita tumorale diventa imponente le cellule tumorali reclutano nuovi vasi a partire da quelli preesistenti; C) i nuovi vasi ematici contribuiscono alla crescita e allo sviluppo della neoplasia; D) il tumore utilizza la rete vascolare per diffondere nei tessuti e dar luogo a metastasi.

Cellule coinvolte nell’angiogenesi

1.2

 

Ogni struttura vascolare è costituita essenzialmente da tre tipi di cellule: cellule endoteliali, cellule murali, quali periciti e cellule muscolari lisce che compongono la membrana basale e la tonaca muscolare, e fibroblasti che formano lo strato avventiziale nei vasi di maggior calibro.

1.2.1 Cellule endoteliali

Le cellule endoteliali del microcircolo sono cellule diploidi e geneticamente stabili. In un organismo adulto possono rimanere quiescenti molto a lungo, ma all’occorrenza ed in presenza di specifici fattori di crescita, sono capaci di attivarsi, iniziare a proliferare e migrare nei tessuti in modo coordinato: ciò avviene perchè durante queste attività si trovano sprovviste di una propria lamina basale che le rende particolarmente sensibili alle modificazioni che avvengono nell’ambiente extracellulare. Le cellule endoteliali differiscono inoltre per funzione e struttura secondo il tipo di tessuto ed organo cui fanno parte, portando alla formazione di diverse tipologie di enodtelio:

(11)

a. endotelio fenestrato in cui le cellule sono provviste di pori che garantiscono il passaggio di piccole molecole, ad esempio i vasi delle ghiandole endocrine;

b. endotelio continuo in cui le cellule sono a mutuo contatto tra loro per la presenza di gap junction, ad esempio i vasi cutanei e quelli muscolari;

c. endotelio discontinuo in cui invece mancano le giunzioni intercellulari, ad esempio i capillari del fegato, (Carmeliet P., 2003).

1.2.2 Periciti

I periciti sono cellule murali perivascolari diploidi che conservano le caratteristiche citologiche di una cellula primitiva, tra le quali la facilità di andare incontro a mitosi e la possibilità di migrare attorno ai capillari o di allontanarsi da essi. E’ stato dimostrato che, in talune circostanze, i periciti hanno la capacità di trasformarsi in altri tipi di cellule tra cui fibroblasti, macrofagi e cellule muscolari lisce; alcuni autori ritengono che la popolazione dei periciti che circonda i vasi capillari rappresenti l’ultima vestigia di cellule mesenchimali embrionali presenti nell’organismo adulto (Hirschi KK et al., 1998).

Le cellule endoteliali hanno la capacità di richiamare direttamente i precursori delle cellule murali liberando specifici fattori di crescita come il PDGF-B (Platelet Derived Growth Factor-B) che regola la migrazione e la proliferazione delle cellule mesenchimali. Eʹ′ infatti il gradiente rappresentato dalle alte concentrazioni di PDGF-B, creatosi in prossimità degli endoteli, a richiamare i precursori mesenchimali, mentre il fattore TGF-β (Trasforming Growth Factor β) interviene successivamente e permette la differenziazione delle cellule mesenchimali in periciti oppure in cellule muscolari lisce (Hirschi KK et al., 1998). Nei tumori capaci di secernere direttamente PDGF-B il gradiente periendoteliale viene annullato e le cellule mesenchimali, pur essendo ugualmente reclutate, sono incapaci di interagire con gli endoteli; l’intima di tali vasi sarà, quindi, sprovvista di una propria membrana basale (Jain RK, Booth MF, 2003). Questo assume una grande importanza in ambito clinico: è stato dimostrato, infatti, che PDGF-B, rilasciato dalle cellule endoteliali e da quelle tumorali, stimola l’espressione di VEGF e ciò protegge le cellule endoteliali dall’apoptosi (Reinmuth N et al., 2001).

(12)

Le cellule murali sono, inoltre, responsabili del mantenimento dell’integrità microvascolare, impedendo la migrazione e la proliferazione delle cellule endoteliali mediante siti di adesione (tight junction) con queste ultime. A tale proposito è stato evidenziato istologicamente che l’assenza dei periciti determina importanti modificazioni strutturali vascolari tra cui iperplasia dell’endotelio, tortuosità, fessurazioni, rotture e diffuse emorragie (Abramsson A et al., 2003).

1.2.3 Cellule muscolari lisce

Le cellule muscolari lisce appartengono al gruppo delle cellule murali periendoteliali e come tali manifestano le stesse funzioni descritte precedentemente a riguardo dei periciti. Sono cellule povere in miofilamenti e ricche di reticolo endoplasmatico ruvido, ribosomi, apparato del Golgi e mitocondri (Hungerford JE, Little CD, 1999); inoltre, presentano una spiccata capacità rigenerativa e sono in grado di produrre importanti fattori di crescita quali bFGF, EGF (Epidermal Growth Factor) e VEGF.

1.2.4 Altri tipi cellulari coinvolti

Molte specie cellulari coinvolte nel processo infiammatorio e reclutate dai fattori chemiotattici hanno la capacità di secernere fattori proangiogenici (Naldini A, Carraro F, 2005).

I mastociti sono normalmente presenti nel tessuto connettivo di molti organi a livello dei quali si trovano concentrati soprattutto attorno ai vasi sanguigni e linfatici: queste cellule vengono richiamate localmente per chemiotassi dai fattori di crescita rilasciati dalle cellule tumorali ed il loro numero aumenta sensibilmente nella fase di sviluppo del tumore. Dalla degranulazione mastocitica si liberano importanti mediatori che partecipano al processo angiogenico ed in particolare eparina, istamina, TNF-α (Tumor Necrosis Factor α) ed alcuni enzimi proteolitici. TNF-α è una citochina multifunzionale ed un potente induttore di crescita dei nuovi vasi sanguigni; le proteasi e l’eparina permettono di degradare la membrana basale e le componenti del tessuto connettivo e facilitano in questo modo la diffusione delle cellule endoteliali nella matrice

(13)

extracellulare, l’istamina sembra invece essere in grado di stimolare la proliferazione degli endoteli nelle colture in vitro (Norrby K, 2002).

I macrofagi sono cellule coinvolte nei processi infiammatori, nella riparazione delle ferite e nella proliferazione delle neoplasie. Una volta attivati sono capaci di rilasciare proteasi e fattori di crescita quali PDGF, bFGF, EGF e TNF-α che rappresentano potenti fattori mitogeni e chemiotattici per le cellule endoteliali e per le cellule muscolari lisce (Naldini A, Carraro F, 2005).

I linfociti e gli eosinofili sono cellule capaci di rilasciare fattori che attivano l’angiogenesi, come VEGF, PDGF, bFGF, e di produrre enzimi proteolitici, come triptasi, metalloproteinasi, eparinasi (Carmeliet P., 2003).

Oltre alle cellule infiammatorie anche altre specie cellulari giocano un ruolo importante nella neoformazione vascolare come le piastrine, capaci di liberare promotori di crescita e di stimolare lo sviluppo e la stabilità degli endoteli; esse inoltre facilitano la formazione di giunzioni intercellulari tra le cellule endoteliali, reclutano le cellule murali vasali e rilasciano molecole inibenti l’angiogenesi come la Trombospondina-1 (Carmeliet P., 2003).

Fattori di crescita coinvolti nell’angiogenesi

1.3

 

Lo studio del ruolo dei fattori di crescita iniziò già nel 1971 quando Folkman ipotizzò l’esistenza di TAF; da allora sono stati individuati numerosi fattori diversi, denominati in base alle caratteristiche principali inizialmente rilevate. I fattori di crescita si distinguono per funzioni biologiche e proprietà biochimiche: alcuni hanno azione mitogena esclusivamente sulle cellule endoteliali, altri invece sono in grado di stimolare anche altre linee cellulari come fibroblasti o cellule muscolari lisce. I fattori di crescita sono piccole molecole polipeptidiche a diverso peso molecolare, rilasciate da varie specie cellulari sotto l’influenza di particolari stimoli provenienti dal microambiente e dal circolo sanguigno: agiscono sulla superficie cellulare legandosi a specifici recettori e da tale interazione originano segnali intracellulari differenti a seconda del fattore interessato.

(14)

Tra i numerosi recettori transmembrana per i fattori di crescita, molti hanno attività protein-chinasica: tra di essi ad esempio vi sono il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR), il recettore per il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR), il recettore per il fattore di crescita vascolare (VEGFR), il recettore per il fattore di crescita insulino-simile (IGFR-1) ed altri ancora. Questi recettori hanno in comune un dominio extracellulare per il ligando, un dominio transmembrana idrofobo ed un dominio citoplasmatico che contiene la regione catalitica tirosin-chinasica. L’unione del ligando come EGF oppure PDGF al loro rispettivo recettore induce le molecole monomeriche del recettore a combinarsi in dimeri attivati ed a fosforilarsi nel residuo aminoacidico della tirosina. Questa sequenza di eventi conduce all’interazione delle proteine di segnale intracitoplasmatico con i recettori autofosforilati, portando alla fosforilazione di proteine bersaglio e all’attivazione di vie di segnale intracellulari (Auger KR, Cantley LC, 1991). Nelle cellule normali, i recettori per i fattori di crescita che sono stati attivati vengono rapidamente internalizzati dalla superficie cellulare e sono soggetti a modificazioni che inibiscono la loro attività enzimatica. Questa inibizione fisica e biochimica assicura che un fattore di crescita possa indurre soltanto segnali proliferativi transitori riportando la cellula nel suo stato di riposo. Tuttavia, varie alterazioni strutturali possono bloccare i recettori in una forma attivata nella quale il dominio tirosin-chinasico è continuamente attivo anche in assenza del fattore di crescita. Le cellule che esprimono tali varianti oncogene dei recettori sono soggette a segnali proliferativi che possono condurre alla crescita neoplastica.

1.3.1 VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)

Il VEGF è l’unico fattore ad attività mitogena specifica per le cellule endoteliali capace di agire sui vasi sia del macro che del microcircolo. Viene indicato anche come fattore di permeabilità vascolare (VPF) in quanto aumenta la permeabilità degli endoteli ematici e linfatici ed ha inoltre importanti funzioni antiapoptotiche. Molte specie cellulari, cellule tumorali ed infiammatorie, piastrine, cheratinociti, osteoblasti, cellule endoteliali, cellule murali sono in grado di rilasciare VEGF sotto l’azione di stimoli

(15)

specifici, tra i quali l’ipossia (uno dei più potenti), ma anche alcune interleuchine, oncogeni (ras) ed altri fattori di crescita (EGF, TGFβ), (Rosen LS, 2002).

La famiglia di VEGF comprende diversi membri quali VEGF-A, VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D ed il placental growth factor, di cui il più importante e il più conosciuto è VEGF-A (Sato Y, 2004).

VEGF-A è una glicoproteina con peso molecolare di circa 45 kDA della quale esistono quattro diverse isoforme: VEGF121, VEGF165, VEGF189, VEGF206 rispettivamente

costituite da 121, 165, 189 e 206 aminoacidi; la isoforma più stabile e quella più rappresentativa è il VEGF 165 (Cohen T et al., 1996).

VEGF, oltre a stimolare la proliferazione delle cellule endoteliali, promuove altri eventi necessari all’angiogenesi: prepara la matrice extracellulare alla migrazione cellulare e svolge un ruolo importante nella maturazione dei vasi sanguigni neoformati (Rosen LS, 2002).

L’effetto biologico di VEGF si esplica attraverso il suo legame con specifici recettori tirosin-chinasici, quali: VEGFR-1 (Flt-1; fms-like tyrosin kinase-1), VEGFR-2 (Flk-1/KDR; fetal liver kinase-1) e VEGFR-3 (Flt-4). Vi sono, inoltre, recettori di VEGF privi di attività tirosin-chinasica: la neuropilina-1 e la neuropilina-2 (Sato Y, 2004).

Il recettore VEGFR

La famiglia dei recettori VEGF è suddivisa in tre classi: VEGFR-1, VEGFR-2 e VEGFR-3. VEGFR-1 e VEGFR-2 si trovano espressi quasi esclusivamente sulla superficie delle cellule endoteliali, VEGFR-3 sugli endoteli dei vasi linfatici, mentre le neuropiline sono state considerate originariamente come regolatrici degli assoni delle cellule nervose e agiscono come cofattori dei recettori di VEGF.

Gli effetti biologici di VEGF-A si esplicano principalmente in seguito al suo legame con VEGFR-2, la isoforma che viene espressa dalle cellule endoteliali dei vasi. VEGFR-2 è un recettore tirosin-chinasico costituito da una regione extracellulare, da un domino transmembrana e da una regione intracellulare contenente il domino tirosin-chinasico. La regione extracellulare è costituita da sette domini Ig-simili (Shibuya BI, Yamanguchi S, Yamane A et al., 1990), di cui i domini 2 e 3 sono coinvolti nel legame con VEGF, mentre i domini da 4 a 7 sono implicati nella dimerizzazione del recettore,

(16)

evento necessario per innescare la traduzione del segnale all’interno della cellula (Ferrara N. ., 1999).

Figura 1.2 Immagine tridimensionale del complesso VEGF-VEGFR. I due monomeri di VEGF sono rappresentati in blu e giallo,

mentre il dimero di VEGFR è rappresentato in verde.

Il recettore VEGFR-2 lega anche le isoforme VEGF-C, VEGF-D e VEGF-E.

Il recettore VEGFR-1 lega VEGF-A con affinità maggiore rispetto al precedente, però possiede una debole attività tirosin-chinasica e, per questo, si pensa che il suo ruolo sia quello di "esca" che limita gli effetti di VEGF-A impedendone il legame con VEGFR-2. Il VEGFR-1 è coinvolto nel processo di migrazione dei macrofagi ed infatti i suoi effetti non vengono espressi sulle cellule endoteliali.

Il recettore VEGFR-3 non lega VEGF, ma soltanto VEGF-C e VEGF-D, dimostrando il suo coinvolgimento nel processo di linfoangiogenesi.

E’ necessario sottolineare, infine, che la proteina VEGF165, ovvero l’isoforma

predominante di VEGF-A, si lega anche alla neuropilina-1 (NRP1): si tratta di una proteina recettoriale espressa su alcune cellule endoteliali e tumorali, che potenzia il legame tra VEGF-A e VEGFR-2. Il ruolo di NRP-1 sembra essere quello di presentare VEGF165 a VEGFR-2, stimolando l’efficacia della cascata di traduzione del segnale

attraverso il recettore: questo potrebbe giustificare la maggiore attività biologica dell’isoforma VEGF165 (Ferrara N, 2000).

(17)

Figura 1.3 Ligandi e relativi recettori appartenenti alla famiglia VEGF.

In seguito al legame di VEGF al recettore, si ha la dimerizzazione di VEGFR-2 e la conseguente attivazione delle vie metaboliche intracellulari di traduzione del segnale che portano alla regolazione dei processi di proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali e all’aumento della permeabilità vascolare (Figura1.4). Le vie metaboliche di traduzione del segnale vengono innescate dall’attivazione della fosfolipasi-Cγ, PLCγ, che si lega al recettore VEGFR-2 autofosforilato. La fosfolipasi-Cγ idrolizza poi il fosfoinositolo 2-P (PIP2) presente a livello della membrana plasmatica portando alla

formazione di diacilglicerolo (DAG) e inositolo 3P (IP3). IP3 stimola la chinasi PI3

(PI3K) che attiva la via metabolica Akt: IP3 stimola la sopravvivenza delle cellule

endoteliali. DAG, invece, è coinvolto in due vie metaboliche distinte: una parte attiva la proteina C (PKC) che fosforila e attiva la via della MAPK -proteina chinasi attivata da fitogeni-, portando alla sintesi di DNA e alla proliferazione delle cellule endoteliali, mentre l’altra parte di DAG, attiva i canali cationici non selettivi con conseguente entrata di ioni Ca2+ all’interno della cellula e attivazione della ossido nitrico sintasi. Questa quota di DAG è responsabile della fenestrazione capillare, quindi dell’aumento di permeabilità vascolare.

(18)

Figura 1.4 Trasmissione del segnale attraverso VEGFR-2.

Le vie metaboliche che vengono attivate in seguito al legame VEGF-VEGFR-2 non coinvolgono la proteina Ras, utilizzata da molti recettori tirosin-chinasi (Shibuya M. , 2001).

1.3.2 EGF (Epidermal Growth Factor)

Il fattore di crescita epidermico, EGF, è stato uno dei primi fattori di crescira ad essere descritto, seguito dalla scoperta del relativo recettore EGFR: si tratta di una glicoproteina transmembrana che appartiene alla famiglia dei recettori tirosin-chinasici. EGF è stato scoperto nel 1962 da Rita Levi Montalcini e Cohen nel corso di studi sul fattore di crescita nervoso. Strutturalmente, la caratteristica fondamentale di EGF è la presenza di 6 residui cisteinici, situati ad intervalli definiti in una sequenza di circa 40 aminoacidi: essi determinano la formazione di tre ponti disolfuro intramolecolari contribuendo così a definire la struttura tridimensionale del peptide. Questi legami permettono un ripiegamento della proteina tale da garantire l’interazione con il suo specifico recettore.

Il fattore EGF è espresso dagli epiteli di rivestimento e dagli epiteli ghiandolari ed è presente nel cavo orale e nel tratto gastro-intestinale, a livello del quale limita la secrezione gastrica, regola il trofismo e l’integrità della mucosa e favorisce i processi di

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rigenerazione epiteliale. Inoltre EGF si trova in quantità significativa nelle piastrine, dalle quali viene rilasciato in seguito a stimoli che inducono la loro agglutinazione e degranulazione: pertanto si può supporre che l’EGF contribuisca localmente ai processi riparativi in sede di ferite e lesioni di vario tipo.

In condizioni fisiologiche EGF svolge dunque un importante ruolo funzionale nella regolazione della crescita e del differenziamento cellulare (Oliff A.; Gibbs J. B.; Mc Carmick, 1996).

Il recettore EGFR

La famiglia di EGFR fa parte di una classe di recettori di membrana molto interessanti dal punto di vista terapeutico: questa famiglia è composta da quattro membri di recettori indicati e conosciuti come EGFR, HER-2, HER-3 e HER-4.

Questi recettori hanno in comune la stessa struttura molecolare costituita da un dominio extracellulare, un corto dominio transmembrana ed una regione intracellulare ad attività tirosin-chinasica, quest’ultima assente in HER-3 (Davis & Chamberlin, 1996).

Figura 1.5 Famiglia delle EGFR.

EGFR è una glicoproteina di 170 kDa costituita da una regione extracellulare N-terminale di 621 residui amminoacidici, una regione di transmembrana di 23 residui con caratteristiche idrofobiche ed una regione intracellulare C-terminale costituita da 542

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amminoacidi. La regione citoplasmatica del recettore è divisa in tre zone: un segmento prossimo alla membrana di circa 50 amminoacidi, il dominio catalitico, che presenta i siti di legame per ATP e per il substrato, e il segmento carbossi-terminale, di 150 amminoacidi, idrofilico e flessibile che può interagire e modulare il dominio chinasico. In quest’ultima regione sono localizzati i siti di autofosforilazione (Aaroson S. A. , 1991). Il dominio catalitico è formato da circa 250 amminoacidi ripiegati a costituire due distinti lobi: il lobo minore ha la funzione di legare l’ATP lasciando libero il fosfato per il trasferimento, mentre il lobo maggiore riconosce il substrato e orienta correttamente il fosfato. Il lobo minore è caratterizzato da foglietti β mentre il maggiore da α-eliche con un piccolo foglietto β in prossimità della cavità tra i due lobi.

Il recettore EGFR nel suo stato inattivo è presente in forma monomerica. Il legame del fattore di crescita porta alla dimerizzazione del recettore, provocandone l’attivazione e la sua autofosforilazione: il sito catalitico di ciascuna catena fosforila i residui di tirosina localizzati nella porzione C-terminale dell’altra catena (Taylor S. S.; Knighton R. D.; Zheng Sowadski J.M., 1993)

.

Il legame di EGF con il suo recettore provoca l’attivazione di almeno tre cascate di reazioni intracellulari che attivano la mitosi e agiscono rispettivamente sulla PLCγ, sulla proteina Ras e sulla PI3K. L’attivazione di Ras dà luogo ad una catena di eventi

molecolari che comprendono l’attivazione di Raf-1, MEK (MAP/Erk kinase) e MAPK: quest’ultima migra dal citoplasma al nucleo a livello del quale fosforila fattori di trascrizione, inducendo la trascrizione di nuovi geni tra cui il proto-oncogene c-fos; fosforila inoltre, il prodotto di c-jun, che si complessa con il proto-oncogene c-fos formando una proteina (AP-1) che esplica un’attività regolatrice sulla trascrizione di vari geni incluso il proto-oncogene c-myc.

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Figura 1.6 Trasmissione del segnale attraverso EGFR.

1.3.3 PDGF (Plated Derived Growth Factor)

Il PDGF è uno dei primi fattori di crescita cellulare ad esser stato scoperto, infatti, il suo meccanismo d’azione è stato poi utilizzato per capire la trasmissione del segnale attraverso recettori di altri fattori di crescita. Il PDGF si trova immagazzinato nei granuli α delle piastrine e viene rilasciato soltanto in seguito alla loro attivazione. Il PDGF è coinvolto nello sviluppo embrionale, nonché nel processo di angiogenesi. Esso è stato classificato in quattro isoforme A, B, C, D, le quali possono formare omodimeri o eterodimeri. Ciascun dimero di PDGF stimola la risposta cellulare attraverso il legame al recettore PDGFR, anch’esso presente in due isoforme: PDGFR-A e PDGFR-B.

Il recettore PDGFR

Il recettore di PDGF, PDGFR, è un recettore tirosin-chinasico di membrana che esiste in due forme, α e β: in seguito al legame con il dimero PDGF, anche il recettore dimerizza portando alla formazione di tre possibili isoforme: αα, αβ, ββ (Heldin CH., 1992). Ciascuna isoforma di PDGF si lega con diversa affinità alle diverse isoforme di PDGFR: di queste solo PDGF- ββ lega con elevata affinità le tre forme di PDGFR.

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Il PDGFR è costituito da tre domini: la regione extracellulare, costituita da un dominio simile alla parte iniziale della molecola immunoglobulinica e contenete il sito di legame per il ligando; la regione transmembrana che attraversa appunto la membrana cellulare; ed infine la regione citoplasmatica contenente i residui tirosin-chinasici. La fosforilazione di tali residui tirosinici presenti nelle code citoplasmatiche serve per controllare l’attività delle chinasi e per creare un sito di legame per le molecole presenti a valle nel processo di trasduzione, molecole che spesso sono substrati per le chinasi. La cascata di trasduzione del segnale attraverso PDGFR coinvolge tre processi:

a. la via delle MAPK. In seguito al legame della proteina “adaptor” Grb-2 a RTK, anche la proteina SOS si lega a Grb-2: si ha così la formazione di un complesso Grb2 e SOS. La proteina SOS viene poi trasportata a livello della membrana plasmatica, a livello della quale stimola Ras e catalizza la trasformazione del GTP in GDP. L’attivazione di Ras permette la sua interazione con la proteina Raf, proteina che fosforila direttamente il residuo di serina presente sulla MAP-chinasi, portando alla sua attivazione. La MAPK attivata fosforila, quindi, ERK1-2: la fosforilazione di ERK1-2 è la tappa finale di questo processo, in quanto una volta attivati possono fosforilare numerosi substrati citoplasmatici, tra cui i fattori di crescita.

La trasmissione del segnale attraverso le MAP-chinasi consente quindi la regolazione di molti processi cellulari quali la proliferazione, la differenziazione cellulare e l’apoptosi.

b. La via della chinasi PI3. In seguito all’attivazione della chinasi PI3 da parte di

RKT si ha la produzione di PIP3, una proteina che agisce da secondo

messaggero portando all’attivazione delle protein-chinasi Akt, Btk e Itk presenti a valle.

c. La via di PLC-γ. Anche in questo caso l’attivazione di PLC-γ avviene attraverso l’azione di RTK che permette il legame di PLC-γ con i residui tirosinici del recettore. l’attivazione di PLC-γ porta alla formazione dei secondi messaggeri DAG e IP3. L’IP3 stimola infine il rilascio di Ca2+ dalle scorte citoplasmatiche

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1.3.4 FGF (Fibroblast Growth Factor)

Il fattore di crescita FGF è stato scoperto nel 1972. Inizialmente sono state identificate due isoforme di FGF: l’FGF-1, acid fibroblast growth factor, e l’FGF-2, basic fibroblast growth factor; solo successivamente ne sono state identificate 20, tutte strutturalmente simili.

Il fattore FGF-2 stimola la proliferazione delle cellule endoteliali e la migrazione di tali cellule nel luogo di nascita di un nuovo vaso: FGF-2 è coinvolto, infatti, anche nel processo angiogenico.

Il recettore FGFR

Il recettore FGFR è un recettore tirosin-chinasico di membrana ed esiste in quattro forme diverse FGFR1-FGFR4. Questo recettore è costituito da tre domini: la regione extracellulare, che contiene il sito di legame per FGF, una singola elica trans membrana e il dominio intracellulare ad attività tirosin-chinasica. In seguito al legame di FGF con il recettore FGFR si forma un complesso costituito da due molecole identiche, due sub unità uguali di FGFR e una o due molecole di eparina: la presenza di eparina nel complesso FGF-FGFR è indispensabile per la trasmissione del segnale.

1.3.5 IGF (Insulin-like Growth Factor)

Il fattore IGF è un polipeptide strutturalmente simile all’insulina, le cui due forme principali sono IGF-1 e IGF-2.

IGF-1 è coinvolto nei processi di proliferazione cellulare e di inibizione dell’apoptosi. Inoltre, partecipa allo sviluppo di alcuni tessuti quali muscoli, cartilagine, fegato, reni, nervi, pelle e polmoni: IGF-1, infatti, oltre ad avere effetti insulino-simili, regola la crescita e lo sviluppo delle cellule di tali organi.

L’azione dei fattori IGF-1 e IGF-2 viene regolata da alcune proteine dette IGF binding proteins: queste proteine servono per modulare l’azione di IGF attraverso processi che inibiscono o stimolano l’azione di IGF, ad esempio impedendo il legame della molecola con il recettore o favorendo il trasporto del ligando al recettore rispettivamente.

(24)

Il recettore IGFR

Il recettore IGFR è un recettore tirosin-chinasico di membrana che viene attivato in seguito al legame con IGF-1 e IGF-2.

Il IGFR è costituito da due subunità α e due subunità β: queste ultime sono le subunità che attraversano la membrana plasmatica e che sono unite da ponti disolfuro. In seguito al legame di IGF-1 con il recettore IGFR si ha una modulazione dell’azione del ligando e l’attivazione di meccanismi di proliferazione cellulare, a cui consegue spesso ipertrofia dei tessuti bersaglio, quali muscolo scheletrico e muscolo cardiaco. Inoltre, IGFR è coinvolto in alcune forme tumorali, quali il cancro alla mammella: spesso la sua azione antiapoptotica fornisce alle cellule tumorali la capacità di resistere all’azione citotossica della chemioterapia e della radioterapia.

1.3.6 TGF (Trasforming Growth Factor)

Il fattore di crescita TGF è stato scoperto grazie alla sua capacità di indurre una trasformazione oncogena nelle cellule normali. Il termine transforming growth factor viene utilizzato per descrivere due classi di TGF, TGF-α e TGF-β, diverse strutturalmente e che agiscono attraverso due recettori distinti.

TGF-α

Il TGF-α è un polipeptide costituito da 500aa che presenta circa il 40% di omologia con il fattore EGF: TGF-α, infatti, interagisce con il recettore EGFR attraverso cui esplica la sua azione mitogena, ovvero stimola la proliferazione delle cellule endoteliali e delle cellule neurali danneggiate e induce lo sviluppo delle cellule epiteliali.

TGF-β

Il TGF-β è una proteina monomerica che viene secreta da piastrine, cellule endoteliali, linfociti e macrofagi: TGF-β è un fattore che viene sintetizzato a partire da un precursore proteico che poi viene scisso proteoliticamente portando alla formazione del fattore di crescita e di una molecola inattiva. La proteina TGF matura dimerizza in modo da produrre la molecola attiva: ciascuna isoforma di TGF-β (sono tre), infatti, è

(25)

costituita da un monomero contenente nove residui di cisteina, otto dei quali formano ponti S-S, mentre il nono serve per il legame ad una seconda molecola in modo da formare il dimero attivo. Il TGF-β dimerico può quindi legarsi al recettore, legame che avviene attraverso un dominio presente tra il quinto ed il sesto residuo di cisteina. Inoltre, TGF-α e TGF-β hanno un’azione sinergica nell’indurre le cellule normali ad una trasformazione oncogena: questi due fattori sono, infatti, sovraespressi in molte forme tumorali.

Il recettore TGF-β

Il TGF-β è un fattore di crescita coinvolto in molti processi cellulari tra cui la crescita cellulare, la differenziazione cellulare e l’apoptosi. Il processo inizia con il legame di una molecola di TGF-β al recettore di tipo II, il quale, poi si lega e fosforila il recettore di tipo I: si ha così la formazione di un complesso tetramerico-ligando. I recettori di tipo II e I sono recettori serina/treonina-chinasici: questi recettori sono costituiti da un dominio extracellulare ricco di cisteine, da un dominio transmembrana e da una regione intracellulare ricca di serina/treonina. Il legame del ligando TGF al recettore provoca una variazione conformazionale che consente al recettore di tipo II di fosforilare i residui di treonina del recettore di tipo I, attivandolo. Il recettore di tipo I attivo si lega poi alle proteine SMAD, attivandole (SMAD3 è la proteina coinvolta nell’induzione dell’apoptosi), che a loro volta si legano ad una proteina CoSMAD. Il legame di CoSMAD a SMAD consente la scissione di SMAD dal complesso recettoriale: il complesso CoSMAD-RSMAD fosforilato, quindi attivo, può, a questo punto, entrare nel nucleo e attivare la trascrizione del DNA.

Induttori endogeni coinvolti nell’angiogenesi

1.4

 

I modulatori endogeni sono rappresentati da molecole che, a differenza dei fattori di crescita precedentemente descritti, non hanno azione mitogena nei confronti delle cellule endoteliali ma partecipano comunque attivamente al processo angiogenico e sono di fondamentale importanza per la formazione dei nuovi vasi sanguigni.

(26)

Appartengono a questa categoria: il complesso angiopoietine/recettori Tie ed i recettori per le integrine.

1.4.1 Angiopoietine

Le angiopoietine sono molecole proteiche con peso molecolare di circa 70 kDa, ne sono state individuate quattro, ma le più conosciute e le più importanti sono la angiopoietina-1 (Ang-angiopoietina-1) e la angiopoietina-2 (Ang-2).

In passato l’unica ad aver mostrato capacità proangiogeniche è stata Ang-1, mentre ad Ang-2 era stata attribuita una funzione prevalentemente antiangiogenica. In realtà i meccanismi che regolano le attività delle due angiopoietine sono molto complessi e non ancora del tutto conosciuti, ma è stato dimostrato che entrambe sono capaci di sostenere il processo angiogenico (Fiedler U et al., 2003; Uemura A et al., 2002; Ramsauer M, D'Amore PA, 2002).

Sia Ang-1 che Ang-2 partecipano alla vasculogenesi embrionale ed alla angiogenesi riparativa e neoplastica: agiscono su specifici recettori tirosin-chinasici indicati come recettori Tie (Ramsauer M, D'Amore PA, 2002), presenti quasi esclusivamente sulla superficie delle cellule endoteliali e distinti in recettore Tie-1 e recettore Tie-2. Tie-1 non ha agonisti conosciuti, mentre Tie-2 è in grado di interagire con le angiopoietine 1,2 e 3 (Lauren J et al., 1998).

Ang-1 viene liberata dalle cellule endoteliali, dalle cellule murali, da quelle tumorali e dai fibroblasti ed è l’agonista specifico per i recettori Tie-2. L’interazione tra Ang-1 ed il recettore determina l’attivazione dello stesso, la sua fosforilazione e la formazione del segnale di trasduzione intracitoplasmatico (Fiedler U et al., 2003).

Ang-1 ha la funzione di mantenere e garantire l’integrità dei vasi in neoformazione: essa, infatti, recluta le cellule murali deputate a divenire in seguito periciti oppure cellule muscolari lisce e stimola la migrazione delle cellule endoteliali e la formazione dei capillari vascolari. A differenza delle citochine e di altri fattori di crescita, essa non ha attività mitotica nei confronti degli endoteli vasali, ma ha dimostrato comunque spiccate proprietà antiapoptotiche.

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Da prove sperimentali effettuate in vivo su vasi retinici murini (Uemura A et al., 2002) è emerso che in seguito alla somministrazione di anticorpi diretti contro il fattore PDGF-B (molecola provvista di effetti chemiotattici nei confronti delle cellule murali), le cellule endoteliali perdono la loro integrità e sono incapaci di instaurare un legame con le cellule periendoteliali della membrana basale; in tali condizioni la somministrazione di Ang-1 permette nuovamente il richiamo delle cellule mesenchimali progenitrici delle cellule murali. Da ciò risulta che questa angiopoietina è capace di liberare fattori come PDGF-B anche in assenza di una preesistente interazione tra cellule endoteliali e cellule murali (Uemura A et al., 2002).

Gli effetti di Ang-1 si esplicano soprattutto localmente poiché è in grado di contrarre intimi rapporti con le proteine della matrice extracellulare; ciò invece non avviene per quanto riguarda Ang-2 che può diffondere in sedi diverse e agire in siti lontani da quelli originari.

L’espressione di Ang-1 è regolata dalla sua interazione con le proteine della matrice extracellulare (in particolare fibrinogeno, vitronectina) e tale legame impedisce a questa angiopoietina di agire sui recettori Tie-2; quindi la matrice funziona come una specie di deposito per questo tipo di angiopoietina.

L’Ang-2, invece, è espressa sia nell’embrione sia nei tessuti dove avvengono continuamente modificazioni vascolari come ovaio, utero e placenta. Citochine, fattori di crescita come VEGF e TNF-α così come l’ipossia sono in grado di stimolare il rilascio di Ang-2 dalle cellule endoteliali. Per molto tempo Ang-2 è stata considerata un antagonista dei recettori Tie-2 e perciò capace di bloccare l’azione di Ang-1 e di inibire l’angiogenesi; studi recenti (Fiedler U et al., 2003) hanno in realtà dimostrato che questa angiopoietina, espressa dalle cellule endoteliali dei vasi in neoformazione, agisce come stimolatore o inibitore angiogenico a seconda della presenza di altri fattori di crescita. La funzione antiangiogenica della Ang-2 dipende da vari meccanismi:

a. Ang-2 si comporta da antagonista competitivo di Ang-1 per i recettori Tie-2;

b. Ang-2 si lega a Tie-2 in un dominio diverso e quindi vengono attivati segnali intracellulari diversi;

c. Ang-2 interagisce con altri tipi recettoriali presenti sulle cellule endoteliali e tale legame blocca indirettamente quello attivato da Ang-1-Tie-2 (Fiedler U et al., 2003).

(28)

Questi studi hanno però dimostrato che Ang-2 non si comporta semplicemente da inibitore di Ang-1, la sua attività proangiogenica dipende dal contesto in cui essa viene ad agire in vivo: nei tumori e in presenza di fattori di crescita come VEGF essa determina un aumento significativo del diametro capillare e il rimodellamento della membrana basale; al contrario in assenza di VEGF induce apoptosi delle cellule endoteliali e regressione vascolare (Ramsauer M, D'Amore PA, 2002).

Nell’angiogenesi il complesso angiopoietine-recettore Tie agisce nella fase finale del processo: VEGF e i suoi recettori, insieme ad altri fattori di crescita, stimolano la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali e determinano la disgregazione della membrana basale; Ang-1 e 2, invece, stabilizzano i vasi neoformati, richiamano le cellule murali e partecipano poi al meccanismo di rimodellamento vascolare secondario (Witzenbichler B et al., 1998).

Figura 1.7 Rappresentazione dei meccanismi che regolano le diverse fasi del processo angiogenico. In alto: i fattori di crescita, tra

cui VEGF, determinano la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali, le quali secernono PDGF-B che richiama le cellule mesenchimali. L’interazione cellule endoteliali-cellule murali attiva TGF-β che determina l’inibizione della proliferazione e della migrazione delle cellule endoteliali e la differenziazione delle cellule murali in periciti e cellule muscolari lisce. In basso: Ang-1 stabilizza i vasi neoformati, mentre Ang-2 determina regressione oppure crescita vascolare.

(29)

1.4.2 Integrine

Le molecole della matrice extracellulare (ECM) che circondano l’endotelio dei microvasi rappresentano sia una barriera sia un substrato per il processo angiogenico. La proliferazione, la morfologia, il comportamento delle cellule endoteliali e la risposta di queste ultime ai fattori di crescita ed agli enzimi proteolitici, sono strettamente dipendenti dalle interazione che si verificano tra l’endotelio e le proteine della matrice extracellulare. L’adesione tra cellule endoteliali e le molecole della matrice extracellulare è mediata da recettori, chiamati integrine, presenti sulla superficie cellulare: si tratta di proteine trasmembrana eterodimeriche con subunità α e β differentemente combinate tra loro fino a formare circa 22 diversi tipi di recettori che interagiscono con le varie proteine (fibrinogeno, laminina, fibronectina) presenti nella matrice (Eliceiri BP, 2001; Eliceiri BP, Cheresh DA, 1999).

Le integrine partecipano a tutti i meccanismi che prevedono modificazioni della rete vascolare, come ad esempio quelli che si verificano nell’embrione durante il suo sviluppo (vasculogenesi), nei processi riparativi tissutali, negli stati infiammatori e infine nell’angiogenesi tumorale. L’interazione matrice extracellulare-integrine modifica sensibilmente l’attività biologica della cellula endoteliale stimolando la sua capacità di proliferazione, migrazione o differenziazione (Eliceiri BP, Cheresh DA, 1999).

Le integrine comprendono ανβ3 e ανβ5: ανβ3 viene espressa sulla superficie di molti

tipi cellulari quali cellule endoteliali attivate, leucociti, macrofagi, osteoblasti e sembra avere un ruolo importante non solo nel processo angiogenico, ma anche in molti meccanismi immunitari e riparativi (Eliceiri BP, Cheresh DA, 1999). L’integrina ανβ3 è

essenziale per garantire la sopravvivenza delle cellule endoteliali: la presenza di anticorpi anti-ανβ3 provoca l’attivazione del gene p53 e quindi apoptosi cellulare

(Eliceiri BP, Cheresh DA, 1998).

Molti studi (Eliceiri BP, 2001) hanno dimostrato che esiste una correlazione diretta tra fattori di crescita e integrine: considerate singolarmente queste molecole partecipano attivamente all’angiogenesi, ma è il sinergismo d’azione tra integrine e promotori di crescita a sostenere tale processo. Fattori di crescita specifici influenzano l’espressione

(30)

dall’attività di bFGF, mentre ανβ5 da quella di VEGF. In vitro l’adesione

integrine-matrice extracellulare e la stimolazione da parte dei promotori angiogenici determina l’attivazione delle MAP-chinasi (mitogen-activated protein) e, quindi, dell’attività mitotica delle cellule endoteliali. In vivo, invece, l’inizio dell’angiogenesi dipende direttamentamente dalle MAP-chinasi attivate dai fattori di crescita, in seguito però sono le integrine a sostenere la neovascolarizzazione. In questo caso i fattori proangiogenici e le integrine agiscono in momenti diversi (fattori di crescita all’inizio, integrine nelle 20 ore successive), ma le loro attività sono in sinergismo: i fattori di crescita aumentano l’espressione delle integrine sulla superficie degli endoteli e queste ultime interagiscono con le proteine della matrice extracellulare per assicurare la crescita vascolare (Eliceiri BP, Cheresh DA, 1998).

(31)

CAPITOLO 2 - “Inibitori dell’angiogenesi”

(32)

L’idea di poter arrestare la crescita di un tumore aggredendo il suo apporto vascolare, nacque già negli anni settanta grazie alle scoperte di Folkman e collaboratori. Nel 1989 iniziarono i primi studi sull’interferone α (INF-α), un farmaco usato sperimentalmente nella cura di pazienti affetti da emangioma (tumore benigno della rete vascolare), ma la prima molecola che realmente venne definita farmaco antiangiogenico fu scoperta successivamente nel 1992 (grazie ancora agli esperimenti di Folkman e collaboratori) e fu denominata TNP-470, un analogo della fumagillina, ricavato dalle colonie fungine di Aspergillus fumigatus. Un ulteriore passo avanti nella ricerca in questo campo fu fatto con la dimostrazione che l’angiogenesi rappresenta anche una tappa critica nel processo metastatico e che l’inibizione della formazione dei neovasi poteva bloccare e prevenire lo sviluppo di foci metastatici.

A differenza dei farmaci chemioterapici classici quelli antiangiogenici non hanno più come bersaglio la cellula tumorale, bensì quella endoteliale ed in particolare la cellula endoteliale attivata dai fattori di crescita e quindi provvista di un alto indice mitotico e migrante. Si tratta di una cellula diploide, altamente differenziata, in grado di moltiplicarsi e diffondere nel microambiente circostante, con un genoma stabile, non suscettibile alle mutazioni e, teoricamente, ai meccanismi di farmaco resistenza (Bergers G, Benjamin LE, 2003).

Attualmente sono state identificate moltissime molecole ad attività antiangiogenica, dimostrata sia in vitro attraverso l’inibizione della crescita di cellule endoteliali, che in vivo tramite la valutazione dell’attività angiosoppressiva su tumori umani trapiantati in topi nudi, test su membrana corion-allantoidea di pollo ed impianti su cornea di coniglio): alcune di queste molecole sono di natura endogena, mentre altri sono composti di sintesi con precisi meccanismi d’azione. La caratteristica comune degli inibitori angiogenici è il blocco della crescita tumorale non attraverso un’azione citotossica diretta sulle cellule neoplastiche, ma attraverso l’inibizione dei meccanismi che regolano la vascolarizzazione tumorale.

(33)

Inibitori endogeni

2.1

 

L’angiogenesi dipende dall’equilibrio esistente tra fattori proangiogenici e antiangiogenici che controllano rispettivamente lo sviluppo e l’arresto della crescita neoplastica. La scoperta degli inibitori endogeni risale agli anni novanta grazie alle ricerche di O’Reilly e Folkman. Dai loro studi sperimentali in vivo emerse che il tumore primario poteva sopprimere la crescita di quello metastatico poiché liberava inibitori endogeni capaci di agire sulla vascolarizzazione delle cellule neoplastiche metastatizzate (Keshet e Ben-Sasson, 2000) e che l’asportazione del primario permetteva lo sviluppo del tumore secondario (Cao, 1999).

Gli inibitori endogeni sono dei peptidi naturali che uniscono al vantaggio di una marcata selettività d’azione per le cellule endoteliali, l’assenza di tossicità verso i tessuti normali. Negli ultimi dieci anni sono stati individuati circa 40 diversi tipi di inibitori endogeni, quali (Gupta MK, Qin RY, 2003; Brem S, 1999):

a. interferone b. interleuchine

c. inibitori tissutali delle metalloproteinasi d. angiostatina ed endostatina

e. trombospondina f. geni soppressori

2.1.1 IFN (Interferone)

L’INF rappresenta una famiglia di citochine di natura glicoproteica che comprende l’interferone α (IFN-α), l’interferone β (IFN-β) e l’interferone γ (IFN-γ). Tutti i componenti manifestano un effetto citotossico nei confronti delle cellule tumorali e stimolano l’attività immunitaria dell’ospite richiamando in loco macrofagi e linfociti T; inoltre, aumentano l’espressione del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC 1 e 2) della cellula neoplastica in modo da non essere più riconosciuta self dal sistema immunitario (Gupta MK, Qin RY, 2003).

(34)

Tutti i tipi di interferone dimostrano di avere funzioni antivirali, antiproliferative, immunomodulatorie ed in particolare sembra che abbiano un ruolo importante anche nell’angiogenesi tumorale (Von Marschall Z et al., 2003).

IFN-α fu riconosciuto come molecola antitumorale negli anni cinquanta e fu utilizzato nel trattamento di diversi tipi di tumore tra cui i tumori ovarici, i linfomi, i melanomi e i tumori del letto vascolare, come gli emangiomi (Tosato G, 2003); nel 1980 è stato studiato il suo ruolo antiangiogenico. Dati clinici hanno dimostrato che sia IFN-α che IFN-β sono capaci di rallentare la proliferazione delle cellule endoteliali e di ridurne la motilità: essi infatti interferiscono con la trascrizione di alcuni geni che codificano per importanti fattori di crescita, come bFGF e VEGF, e inibiscono la sintesi di altre molecole proangiogeniche, come IL-8 e le metalloproteinasi-9 e 2 (MMP-9 e MMP-2) (Von Marschall Z et al., 2003).

IFN-α e IFN-β hanno anche effetto proapoptotico nei confronti delle cellule endoteliali e sembra (Hong YK et al., 2000) che manifestino tale azione stimolando l’espressione del gene soppressore bcl-2: l’esatto meccanismo proapoptotico di queste molecole non è però ancora del tutto conosciuto. Secondo le affermazioni di Bergers e collaboratori i farmaci antiangiogenici esprimono maggiore efficacia quando somministrati in specifici stadi di sviluppo della neoplasia e ciò vale anche per l’interferone: esso manifesta la massima attività nelle fasi inziali di crescita tumorale (Hong YK et al., 2000), soprattutto se somministrato a dosi più basse rispetto alla dose massima tollerata -come avviene invece per i chemioterapici antitumorali classici- e per lunghi periodi di terapia (Hong YK et al., 2000; Tosato G, 2003).

2.1.2 Interleuchine

Le interleuchine hanno mostrato un’importante attività antiangiogenica: le più importanti sono IL-4, IL-12 e IL-10. IL-4 inibisce l’angiogenesi indotta da bFGF ed arresta la migrazione delle cellule endoteliali; l’IL-12 riduce l’espressione delle metalloproteinasi-9 (MMP-9) e di bFGF; infine, IL-10 inibisce la neovascolarizzazione e determina riduzione delle dimensioni tumorali sopprimendo l’azione di molti fattori di

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crescita tra cui VEGF, TNF-α e di altre molecole proangiogeniche come IL-6 e IL-1 (Gupta MK, Qin RY, 2003).

2.1.3 TIMPs (Inibitori tessutali delle metalloproteinasi)

Gli TIMPs sono inibitori endogeni delle metalloproteinasi prodotte dalle stesse cellule endoteliali in modo da poter degradare le proteine della matrice extracellulare; ne esistono due diversi tipi: TIMP-1 e TIMP-2 (Toth M et al., 2000). In vitro la migrazione delle cellule endoteliali nella gelatina è bloccata da TIMP-1 (Gupta MK, Qin RY, 2003), mentre TIMP-2 ne inibisce la proliferazione ed impedisce l’attività di bFGF (Toth M et al., 2000).

2.1.4 Angiostatina ed endostatina

L’angiostatina è un frammento proteico di 38 kDa che deriva dall’azione proteolitica delle elastasi macrofagiche e delle proteasi sul plasminogeno. Fu isolata per la prima volta nel 1994 da O’Reilly e Folkman nelle urine e nel siero di topi affetti da carcinoma polmonare (Yokoyama Y et al., 2000; Cao R et al., 1999).

L’angiostatina inibisce l’angiogenesi bloccando l’azione dei fattori di crescita, tra cui VEGF, deprime il metabolismo della cellula endoteliale interferendo sulla ATP-sintetasi (Gupta MK, Qin RY, 2003) ed infine ha una funzione antiproliferativa dose-dipendente sugli endoteli tumorali. Ha, invece, azione minima su altre specie cellulari tra cui fibroblasti, cellule muscolari lisce e cellule tumorali (Cao R et al., 1999).

Al fine di ottenere effetti antiangiogenici deve essere somministrata a dosi biologicamente attive (solitamente elevate), frequentemente e per lunghi periodi di tempo; perciò la sua applicazione terapeutica in campo animale ed umano è poco pratica. Buoni risultati sono stati comunque ottenuti con la terapia genica (Cao R et al., 1999).

L’endostatina è un frammento proteico di 20 kDa che deriva dalla proteolisi del collagene tipo XVIII, uno dei principali costituenti della parete vasale e fu isolato per la prima volta nel 1997 da O’Reilly e Folkman (Yokoyama Y et al., 2000): inibisce

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l’attività di VEGF e compete con bFGF per il legame al recettore. Interferisce, inoltre, con la funzione adesiva delle integrine di superficie ed è capace perciò di bloccare la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali (Gupta MK, Qin RY, 2003).

2.1.5 TSP (Trombospondina)

Le trombospondine appartengono ad una famiglia di glicoproteine ad alto peso molecolare secrete da vari tipi cellulari: tutti i cinque membri (TSP-1, TSP-2, TSP-3, TSP-4, TSP-5) vengono espressi in molti processi fisiologici e patologici quali osteoartriti, distrofie muscolari e neoplasie (Lawler J, 2000; Lawler J, 2002; Lawler J, Detmar M, 2004).

TSP-1 e TSP-2 fanno parte della sottofamiglia A, mentre TSP-3, TSP-4 e TSP-5 della sottofamiglia B: queste sottofamiglie differiscono tra loro per struttura chimica e attività.

Le uniche ad aver dimostrato una funzione angiostatica sono TSP-1 e TSP-2 (Lin TN et al., 2003): TSP-1 e TSP-2 sono glicoproteine della matrice extracellulare che partecipano alla regolazione delle interazioni tra le cellule e le proteine della matrice extracellulare e ne condizionano l’organizzazione e la struttura; infatti, è stato dimostrato sperimentalmente che topi privi di TSP-1 presentano curvature anomale della colonna vertebrale, mentre quelli privi di TSP-2 evidenziano importanti alterazioni del tessuto connettivo e della rete vascolare (Anilkumar N et al., 2002).

TSP-1 è il primo membro della famiglia ad essere stato scoperto: essa stimola la proliferazione e la migrazione di molti tipi di cellule stromali quali fibroblasti, cellule muscolari lisce, ma inibisce la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali, determinandone apoptosi. L’azione di TSP-1 sulle cellule endoteliali si manifesta presumibilmente in modo indiretto, competendo con bFGF e VEGF per i suoi siti di legame sulla superficie cellulare ed impedendo l’attivazione delle metalloproteinasi, soprattutto MMP-9 (Lawler J, 2002), e sicuramente in modo diretto, interagendo con molti tipi recettoriali presenti sugli endoteli tra cui ανβ3 integrina, i recettori per i proteoglicani della matrice, i recettori per le lipoproteine e i recettori CD36. In particolare l’espressione di CD36 sembra essere essenziale alla TSP-1 per inibire la

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motilità e la proliferazione delle cellule endoteliali in risposta ai fattori di crescita (Chandrasekaran L et al., 2000).

I recettori CD36, oltre ad interagire con TSP-1, svolgono molteplici funzioni: sono implicati nel trasporto di acidi grassi nel citoplasma cellulare, partecipano al meccanismo patogenico dell’aterosclerosi, ai processi infiammatori e sembra inoltre che partecipino attivamente ai meccanismi che regolano le interazioni cellulari e l’apoptosi. Esistono altre specie cellulari che esprimono i recettori CD36: adipociti, cellule muscolari scheletriche e lisce, cellule detritiche, epitelio retinico, piastrine, macrofagi e monociti (Febbraio M et al., 2001).

La capacità antiangiogenica delle trombospondine TSP-1 e TSP-2 è legata al blocco delle proteasi della matrice (necessarie alla cellula endoteliale attivata per penetrare attraverso la membrana basale) e alla possibilità di arrestare il meccanismo proliferativo cellulare attivando il processo apoptotico (Rodriguez-Manzaneque JC et al., 2001). Alcuni studi hanno, inoltre, dimostrato che esiste una chiara correlazione tra l’attività del gene onco-soppressore p53 e TSP-1: p53, infatti, stimola direttamente l’espressione endogena del gene che codifica per la sintesi di TSP-1.

2.1.6 Geni soppressori

Le cellule normali non hanno la capacità di proliferare indiscriminatamente a causa dell’azione repressiva di alcuni geni ubiquitari: il prototipo dei geni ad attività onco-soppressiva è rappresentato dal gene p53. Il prodotto di p53 è una proteina dal peso molecolare di 53 kDa (da cui il nome) associata alla cromatina e alla matrice nucleare sia di cellule normali che di quelle neoplastiche. p53 è considerato un gene soppressore in quanto la sua attività è associata all’arresto della crescita delle cellule trasformate. Un danno al DNA, dovuto ad esempio a radiazioni ionizzanti, può attivare questo gene e determinare così il blocco della progressione del ciclo cellulare e la riparazione del DNA: se la riparazione è produttiva il ciclo cellulare può riprendere e la cellula sopravvive, se invece il danno è troppo esteso ed irreparabile p53 promuove l’apoptosi della cellula. La perdita della funzione di p53 provoca, invece, la crescita cellulare incontrollata e contribuisce alla formazione di tumori.

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