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Metodologie e tecniche per l'insegnamento/apprendimento linguistico in classi con alunni con BES

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

La complessità sociale e culturale che caratterizza la realtà moderna ha determinato una trasformazione delle modalità educative e, nello specifico, dell’insegnamento/apprendimento linguistico, tanto che anche per la scuola è difficile disporre di metodi duraturi e validi in tutte le circostanze. Tuttavia, la definizione dei profili degli apprendenti e delle risorse a disposizione del docente permettono di individuare metodologie e tecniche atte a favorire lo sviluppo delle competenze linguistico-culturali, nel rispetto delle diversità.

L’esame delle classi con alunni con BES, con risorse e bisogni linguistici eterogenei, lascia emergere numerose variabili soggettive e ambientali che influenzano l’insegnamento/apprendimento delle lingue (L1, L2, LS...) che possono orientare il docente verso la scelta adeguata di approcci, metodi e tecniche da adottare. La progettazione e l’attuazione di un curricolo non idoneo alle specificità delle classi, infatti, se sul piano dell’apprendimento porta ad azioni educative inefficaci, sul piano dell’insegnamento pone problemi di natura etica che contrastano con i principi dell’inclusione proposti dai documenti nazionali sull’educazione.

Dall’analisi dei testi raccolti nei corpora A e B, emerge come le pratiche didattiche relative allo sviluppo delle abilità scritte in classi con alunni con BES non risultino propriamente inclusive, dal momento che sul piano testuale vengono richieste forme poco o per nulla autentiche, senza alcuna funzionalità reale, che risultano poco motivanti per gli alunni e non offrono strumenti di sostegno all’elaborazione cognitiva degli alunni con dislessia/disortografia o con svantaggio linguistico (come nel caso di alunni di altre L1).

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Anche sul piano linguistico, le tradizionali pratiche di insegnamento non differenziano i compiti e le consegne tenendo conto dei diversi livelli di competenza degli alunni, ma si limitano a misurare lo scarto linguistico secondo il criterio della norma linguistica intesa in funzione selettiva. Di conseguenza a scuola non vengono valorizzate le sollecitazioni provenienti dal contesto sociale che propongono varietà d’uso funzionali alle diverse situazioni comunicative, e l’obiettivo educativo viene limitato alla correttezza linguistica, cioè al saper la lingua e saper fare lingua, piuttosto che all’efficacia comunicativa. Così facendo, la verifica tradizionale si ferma alla valutazione del livello formale della lingua, penalizzando spesso così gli alunni che:

- non hanno ancora compiuto il loro percorso di apprendimento;

- hanno un’età che non consente ancora un’autonoma capacità di riflessione linguistica;

- presentano gradi diversi di competenza nelle diverse lingue del loro repertorio; - mostrano difficoltà specifiche nell’apprendimento delle abilità strumentali di scrittura.

Strategie didattiche di questo tipo non risultano in linea con principi inclusivi e formativi promossi dai documenti educativi nazionali e con le finalità fondanti dell’educazione linguistica: per questo nella fase implementativa e in quella di verifica del modulo “In quante lingue mangi?” sperimentato nelle classi prime e seconde di una scuola secondaria di I grado, è stato adottato un paradigma socio-costruttivista che nel processo di insegnamento/apprendimento linguistico sottolinea l’importanza della costruzione attiva di saperi basata sul dialogo, sulla cooperazione e sull’interazione, e rende conto delle molteplici dinamiche linguistiche, culturali e sociali che intervengono nel processo educativo. Coerentemente con l’impianto adottato, la scelta del modello dialogico (Coppola, 2009a; 2009b), che ha costituito il riferimento teorico di tutte le fasi dell’interazione didattica, da quella esplorativa dei bisogni e delle risorse degli alunni, a quella attiva di progettazione e verifica degli obiettivi linguistici e metodologici, ha consentito di attuare nelle classi sperimentali un’interazione didattica inclusiva e accessibile a tutti gli alunni, valorizzando il translanguaging come pratica che asseconda il naturale ricorso degli alunni a strategie interlinguistiche di comprensione. All’interno dell’approccio dialogico quindi,

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l’educazione plurilingue e interculturale ha rappresentato una risorsa funzionale alla valorizzazione delle diversità e al successo scolastico, trasformando le lingue da “strumenti” quotidiani d’uso a “oggetti” di riflessione.

Il MS “In quante lingue mangi?”, proposto negli aa.ss. 2015/2016 e 2016/2017 in un contesto marcatamente eterogeneo per lingue e abilità, ha raccolto evidenze relative al livello linguistico e a quello metodologico. In linea con modelli che promuovono l’autonomia nell’apprendimento delle lingue (Andrade, Evans, 2013), il modulo ha inteso sviluppare competenze linguistiche alte, quali la produzione scritta di testi comunicativamente efficaci, coerenti e coesi, facendo leva su tutte le risorse linguistiche a disposizione degli allievi e tenendo conto dei bisogni e delle difficoltà specifiche degli alunni con BES.

Sul piano linguistico, ha mostrato come l’acquisizione delle lingue insegnate/apprese a scuola risulti facilitata se vengono utilizzati approcci plurali che presentano le diverse lingue non in modo isolato bensì interrelato, facendo leva sull’intero repertorio linguistico della classe e sulle spontanee attività di translanguaging degli alunni.

Sul piano metodologico, i risultati della sperimentazione hanno mostrato come la tecnologia mobile (Coppola, 2015) e le attività cooperative e di interazione tra pari, coinvolgano in maniera diretta e partecipata tutti gli alunni, compresi quelli che tendono a sottrarsi alle attività scolastiche.

Sul piano della progettazione delle verifiche, è emerso come la valutazione delle reali competenze linguistico-comunicative degli alunni di classi plurilingui e ad abilità differenziata non può essere affidata esclusivamente a prove fattoriali, che testino in modo parziale, discreto e decontestualizzato conoscenze relative ai diversi livelli della lingua o singole competenze (Coppola, 2005); bensì occorre progettare test complessi e di tipo integrato, orientati alla dimensione socio-pragmatica e comunicativa della lingua, che tengano conto dell’efficacia dell’uso linguistico più che della correttezza linguistica, la quale, comunque deve essere sollecitata attraverso lo sviluppo della competenza metalinguistica.

Inoltre la sperimentazione ha mostrato la necessità di una verifica che tenga conto non solo della validità e dell’attendibilità dei test, ma anche dell’accettabiltà particolarmente importante per alunni in età preadolescenziale, e dell’autenticità

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strettamente connessa alla capacità di generalizzare, trasferire e utilizzare in contesti reali la competenza linguistica acquisita (Coppola, Moretti, Russo, Tranchida, 2017). Ciò si correla con la necessità di estendere la valutazione oltre la prestazione o il prodotto finale, e di tener conto anche dell’intero processo. Dal momento che le scelte relative al tipo di valutazione investono il piano etico e hanno ripercussioni sul piano sociale, coerentemente con l’approccio adottato, la valutazione viene considerata solo come sostegno all’apprendimento (valutazione formativa), e non si propone quindi finalità selettive (valutazione sommativa). Mentre il secondo tipo di valutazione muove dall’idea che tutto ciò che è stato insegnato può essere verificato attraverso i test, il secondo tipo è orientato alla promozione dell’alunno, poiché sollecita l’autovalutazione e lo sviluppo consapevole di strategie di controllo.

Si auspica che questo orientamento, sensibile alle variazioni presenti nelle varietà sociolinguistiche dell’italiano e nelle varietà interlinguistiche di apprendimento, indirizzi anche nuove modalità di diagnosi della dislessia/disortografia in alunni con altre L1 e in alunni italofoni che vivono in contesti di apprendimento fortemente caratterizzati da varietà diatopiche o diastratiche basse.

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