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Memoria e trauma nella somatizzazione: criticità del sistema diagnostico dei disturbi somatoformi del DSM IV.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

MEMORIA E TRAUMA NELLA SOMATIZZAZIONE:

CRITICITÀ DEL DSM-IV NEL SISTEMA

DIAGNOSTICO DEI DISTURBI SOMATOFORMI

Candidato

Silvia Piccinocchi

Relatore

Prof.ssa Dott.ssa Antonella Ciaramella Controrelatore

Prof. Dott. Angelo Gemignani

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2

Introduzione

La memoria autobiografica è un costrutto multidimensionale che include le informazioni spaziali, temporali e verbali integrate, strategie di ricerca controllate e processi emozionali altamente rilevanti per il Sè. Il recupero autobiografico ha una natura costruttiva, è flessibile ed è diretto da fattori motivazionali legati ad obiettivi personali rilevanti, al fine di mantenere il benessere psicologico ed evitare emozioni spiacevoli. Ne deriva che questo sistema di memoria è particolarmente importante per la regolazione emotiva, per la costruzione dell’identità personale e sociale ed è fortemente implicato nell’autoconsapevolezza. Una compromissione della memoria autobiografica è osservata a seguito dell’esposizione a eventi traumatici e in diverse condizioni psicopatologiche, come i disturbi stress-correlati, i disturbi dell’umore e i disturbi dissociativi. La letteratura scientifica ha inoltre evidenziato un nesso eziopatologico fra i disturbi somatoformi ed eventi traumatici subiti sia in età evolutiva che in età adulta. Il presente studio caso-controllo ha indagato la presenza di eventuali alterazioni neuropsicologiche della memoria autobiografica in soggetti con disturbi somatoformi (secondo il DSM IV), in particolare, valutandone la prestazione in compiti di soppressione intenzionale del recupero (oblio motivato), attraverso il confronto con un gruppo di controllo di soggetti sani e un gruppo di controllo di soggetti con altra psicopatologia. L’indagine statistica ANOVA non ha evidenziato un’alterazione statisticamente significativa della memoria autobiografica nei soggetti con disturbi somatoformi. Tuttavia, le indagini di correlazione lineare hanno indicato un’importante associazione fra le dimensioni che definiscono la somatizzazione e gli eventi traumatici con la prestazione in compiti di recupero autobiografico.

Parole chiave: Somatizzazione, Disturbi somatofomi, Soppressione del recupero autobiografico, Trauma, Memoria autobiografica

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3

Indice

1 CAPITOLO I: LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA ... 6

1.1 Il Sistema Multicomponenziale Della Memoria ... 6

1.2 La Memoria Autobiografica - Definizione... 10

1.3 I Correlati Neurobiologici Della Memoria Autobiografica ... 16

1.4 Metodi Di Indagine Della Memoria Autobiografica ... 23

1.5 Identita’ E Memoria Autobiografica: Il Modello Di Conway... 34

1.6 Influenza Dei Fattori Sociali Ed Emozionali Sulla Memoria Autobiografica ... 37

2 CAPITOLO II: I DISTURBI SOMATOFORMI ... 40

2.1 I Disturbi Somatoformi Nel DSM IV ... 40

2.2 Quadri Clinici Nel DSM IV ... 41

2.3 Disturbo Di Somatizzazione ... 42

2.4 Disturbo Somatoforme Indifferenziato E NAS ... 44

2.5 Disturbo Di Conversione ... 45

2.6 Disturbo Algico ... 46

2.7 Ipocondria ... 47

2.8 Disturbo Da Dismorfismo Corporeo ... 48

2.9 Altri Sistemi Classificativi ... 49

2.9.1 La Classificazione ICD-10 ... 49

2.9.2 La Classificazione Secondo Il Manuale Diagnostico Psicodinamico ... 50

2.10 Criticità Nella Classificazione Dei Disturbi Somatoformi Del DSM IV ... 54

2.11 Dal DSM IV-R Al DSM 5 ... 59

2.12 Meccanismi Etiopatogenetici ... 62

2.12.1 Stili Individuali Di Malattia E Somatizzazione ... 62

2.12.2 Amplificazione Somatosensoriale ... 64

2.12.3 Ansia Per La Salute ... 66

2.12.4 Comportamento Abnorme Di Malattia ... 68

(4)

4

2.12.6 Rappresentazione Di Malattia (Illness Representation) ... 71

2.12.7 Carico Allostatico Da Stress (Allostatic Load) ... 72

2.12.8 Alessitimia ... 75

2.13 Neurobiologia ... 78

2.13.1 Neurobiologia Dolore... 79

2.13.2 Neurobiologia Disturbo Da Conversione ... 81

2.13.3 Neurobiologia Disturbo Di Somatizzazione ... 83

3 CAPITOLO III: IL TRAUMA ... …..84

3.1 Trauma E Psicopatologia ... 84

3.2 Trauma E Meccanismo Dissociativo ... 88

3.3 Memoria Autobiografica E Disturbi Psichiatrici ... 98

3.3.1 Depressione Maggiore ... 103

3.3.2 Dipendenze ... 105

3.3.3 Disturbi Dello Spettro Schizofrenico Con Sintomi Dissociativi ... 109

3.3.4 Disturbi Somatoformi ... 112

3.3.5 Dissociazione Somatoforme E Trauma... 113

3.4 Neurobiologia Degli Eventi Traumatici ... 115

4 CAPITOLO IV: MATERIALI E METODI ... 119

4.1 Obiettivo E Ipotesi ... 119 4.2 Popolazione Di Studio ... 119 4.3 Criteri Di Inclusione ... 120 4.4 Criteri Di Esclusione ... 120 4.5 Disegno Sperimentale ... 121 4.6 Materiali ... 122 4.7 Analisi Statistiche ... 131 4.8 Risultati ... 132

4.8.1 Differenza Fra I Gruppi Nelle Variabili Psicologiche E Cognitive ... 134

4.8.2 Correlazione Fra Variabili Psicologiche E Cognitive ... 138

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5

4.8.4 Correlazione Fra Dimensioni Della Somatizzazione E Dimensioni Cognitive ... 145

4.8.5 Correlazione Fra Funzioni Cognitive E Memoria Autobiografica ... 147

4.8.6 Correlazione Fra Suggestionabilità Ipnotica E Memoria Autobiografica ... 150

5 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 153

(6)

6

1 CAPITOLO

I:

LA

MEMORIA

AUTOBIOGRAFICA

1.1 I

L

S

ISTEMA

M

ULTICOMPONENZIALE

D

ELLA

M

EMORIA

Il concetto di memoria come costrutto unitario è superato da quando negli anni ’60 è stata proposta una prima distinzione tra sistemi anatomo-funzionali che sottendono la memoria a breve termine (MBT) e sistemi che invece sottendono la memoria a lungo termine (MLT). Con l’accrescersi dell’influenza dell’approccio cognitivo, l’idea di un singolo sistema di memoria basato su associazioni stimolo-risposta, fu lasciata cadere a favore dell’idea di una cooperazione di più sistemi di memoria (Neisser, 1967). Secondo l’approccio dell’elaborazione dell’informazione, l’informazione proveniente dall’ambiente è elaborata dapprima in un magazzino sensoriale, concepito come un’interfaccia tra la percezione e la memoria, e successivamente l’informazione viene elaborata in un sistema temporaneo di memoria a breve termine, e poi registrata nella memoria a lungo termine. Un esempio particolarmente influente di quello modello è il modello modale proposto da Atkinson e Shiffrin (1968). Questi due sistemi di MBT e MLT, a loro volta possono essere ulteriormente scomposti.

Resta ancora controversa la questione del numero e dei tipi di memoria. Alcuni autori obiettano all’idea stessa di un magazzino di memoria perché ritenuto qualcosa di troppo statico, e si concentrano invece sui processi, sottolineando le somiglianze che si possono osservare in compiti di memoria molto differenti ma sottesi da processi condivisi tanto da far pensare che ci possa essere un unico processo svolto da un sistema di memoria unitario (Nairne, 1990: Neath e Supenant, 2003).

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7 L’espressione memoria a breve termine si riferisce all’immagazzinamento temporaneo di piccole quantità di informazioni di natura verbale, spaziale e visiva per brevi intervalli di tempo. Baddeley e Hitch (1974) hanno proposto un modello multicomponenziale in cui sostituiscono al concetto unitario di MBT quello di un sistema più complesso, denominato memoria di lavoro, per enfatizzare la sua importanza funzionale, quindi operativa, nei processi cognitivi piuttosto che la semplice capacità di immagazzinamento. Questo modello coniuga bene gli studi della psicologia e la neuropsicologia della MBT con le funzioni che essa svolge in importanti attività cognitive come il ragionamento, la comprensione e l’apprendimento. Tale concetto si basa sull’assunto che vi sia un sistema per la ritenzione e la manipolazione temporanea dell’informazione. Nonostante siano stati proposto differenti modelli teorici, la maggior parte degli studiosi assume che essa sia una spazio di lavoro mentale che offre una base al pensiero. Si ritiene che essa sia associata all’attenzione e che abbia la possibilità di attingere alla memoria a breve e a lungo termine (Miyake e Shah, 1999 a). La memoria di lavoro comprende un sistema di controllo attenzionale, l’esecutivo centrale, e due sottosistemi ausiliari: il circuito fonologico e il taccuino visuo-spaziale. Il circuito fonologico comprende, a sua volta, un magazzino fonologico a breve termine, che mantiene la traccia di memoria per pochi secondi, e un processo attivo di ripasso subvocale (ripasso articolatorio), utile a mantenere temporaneamente e manipolare le informazioni visive e spaziali. Logie (1995) ha proposto di distinguere fra una componente visiva (visual cache), che agisce come un magazzino passivo dove sono temporaneamente mantenute le informazioni relative a pattern visivi statici, e una componente spaziale (inner scribe), che agisce come un meccanismo di ripasso interattivo, che aggiorna l’informazione dinamica sui movimenti e le sequenze di movimenti e inoltre permette di mantenere l’informazione presente nel magazzino visivo.

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8 Recentemente è stata aggiunta una quarta componente alla memoria di lavoro, il buffer episodico, che costituirebbe un magazzino multi-modale a capacità limitata, che integra le informazioni provenienti dai due sottosistemi (visuo-spaziale e verbale) con quelle provenienti dalla MLT. Il buffer episodico sarebbe importante per il raggruppamento (chunking) dell’informazione in MBT (Papagno, 2010).

Allo stesso modo, la MLT è frazionabile in componenti separate. La distinzione piu evidente è quella proposta da Squire (1992 a) fra memoria esplicita (o dichiarativa) e memoria implicita (o non dichiarativa). Con il termine memoria esplicita si indica la capacità di rievocare eventi specifici del passato ricordandone i dettagli, per cui è possibile identificare un singolo evento usando il contesto spazio-temporale in cui questo ha avuto luogo; comprende il ricordo di fatti o conoscenze sul mondo. La memoria esplicita può essere a sua volta distinta in sistemi separati, la memoria episodica e la memoria semantica (Tulving, 1972).

L’espressione memoria semantica si riferisce alla conoscenza generica del mondo e include la conoscenza del significato delle parole, di oggetti e altri stimoli percepiti attraverso i sensi, cosi come la conoscenza di fatti, ad esempio cosa fare quando si va al ristorante o come prenotare un posto a teatro (Papagno, 2010). La memoria episodica è un tipo di memoria legato alla capacità di ricordare episodi o eventi particolari. Ne consegue che uno stesso evento puo essere registrato in tutti e due i tipi di memoria. Tulving (2002) limita l’uso dell’espressione “memoria episodica” alle situazioni in cui raffiora qualche aspetto dell’esperienza originale, una sorta di viaggio mentale nel tempo e sottolinea la sua utilità sia perchè ci permette di rievocare e rivivere particolari eventi, sia perchè possiamo usare quest’informazione per pianificare un’azione futura. La relazione fra queste due forme di memoria è controversa. Alcuni studi evidenziano che la memoria semantica sia semplicemente l’accumularsi di episodi per i quali si sono persi gli aspetti contestuali dettagliati,

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9 lasciando solo caratteristiche generiche (Squire, 1992). Altri autori sostengo che memoria episodica e memoria semantica siano separate (Tulving, 1989).

La memoria implicita si riferisce alle situazioni in cui vi è stato un apprendimento che influenza la prestazione senza tradursi in ricordi espliciti, un esempio è l’andare in bicicletta. La memoria implicita concerne il priming (o facilitazione), l’apprendimento procedurale e i processi di condizionamento classico (Schacter, Chiu e Oshener, 1993). In termini generali, il priming rappresenta l’alterazione della prestazione che risulta da un’esperienza precedente. Formalmente il priming può essere definito come un cambiamento nell’elaborazione di uno stimolo dovuto a un precedente incontro con lo stimolo stesso o con uno stimolo correlato, in assenza di consapevolezza cosciente dell’incontro originario. Questo è un fenomeno che si presenta in una varietà di compiti percettivi, visivi, uditivi e semantici e può manifestarsi anche nell’apprendimento di attività più complesse, ad esempio nella lettura di un testo riflesso allo specchio (Cohen e Squire, 1980). L’apprendimento procedurale è una forma di memoria implicita che consiste nel fatto che un soggetto diviene più abile e rapido nello svolgere una prestazione quando la ripete più volte. Il condizionamento può essere definito come la generazione di una risposta nuova che viene gradualmente prodotta dall’accoppiamento ripetuto di uno stimolo nuovo con uno stimolo che normalmente produce la risposta oggetto di studio. Il condizionamento classico si verifica quando si modifica un riflesso innato associando il normale stimolo che lo provoca (stimolo incondizionato, SI) a uno stimolo non associato (stimolo condizionato, SC) e, in virtù di questa associazione ripetuta, lo stimolo non associato produce la risposta originale (risposta condizionata, RC) (Papagno, 2010).

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10

1.2 L

A

M

EMORIA

A

UTOBIOGRAFICA

-

D

EFINIZIONE

Nella memoria episodica, le informazioni sono collocate nel tempo e nello spazio, come accade nel resoconto di eventi che hanno un inizio e una fine precisi. La memoria semantica, invece, è rappresentata da significati generali, applicabili indipendentemente dal ricordo di episodi specifici. Con l’espressione memoria autobiografica si intende la memoria, sia specifica ed episodica sia generale e semantica, che si riferisce alla storia personale dell’individuo (Tulving, 1985).

Il termine memoria autobiografica è definito come la "memoria per gli eventi della propria vita (…); essa costituisce un importante crocevia della cognizione umana in cui considerazioni relative al sé, l'emozione, gli obiettivi e significati personali si intersecano" (Conway e Rubin, 1993). Essa comprende un ricco database di conoscenza sul sé e come tale è difficile individuare una definizione precisa (Brewer, 1996; Conway e Pleydell Pearce, 2000; Rubin, Schrauf, e Greenberg, 2003).

Il ricordo di informazioni semantiche personali non dipende dal recupero di esperienze particolari, ma piuttosto è legato a sentimenti di "conoscenza" e di “familiarità”; mentre il recupero di informazioni personali di natura episodica richiede di ri-sperimentare particolari eventi passati (Wheeler, Stuss e Tulving, 1997) è l'integrazione di informazioni provenienti da una serie di diversi sottosistemi (per esempio, le informazioni sensoriali, linguaggio, emozione, narrativa, ecc.) (Rubin, 2006). La memoria autobiografica è un costrutto multidimensionale che coinvolge le informazioni spaziali, temporali e verbali integrate, strategie di ricerca controllate e processi emozionali. In questo sistema di memoria a lungo termine legato al sé sono stati distinti tre sotto-componenti, corrispondenti a livelli diversi di astrazione:

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11 La memoria episodica-autobiografica riguarda unici, specifici eventi personali caratterizzati da un contesto spaziale e temporale preciso e da dettagli esterni ed interni ricordati vividamente, e necessita di un viaggio mentale nel tempo e il ri-sperimentare dell'evento (Nigro e Neisser, 1983; Rathbone et al., 2009). La qualità del recupero è generalmente legata all’intensità emotiva (Talarico et al., 2004), di auto-rilevanza (Martinelli et al., 2013b) e alla prospettiva in prima persona (Piolino et al., 2006).

La memoria autobiografica semantica attiene a eventi personali generici (estesi e/o ripetuti) e la conoscenza personale di fatti, che vengono recuperati senza rivivere un'istanza specifica (Conway e Pleydell-Pearce, 2000; Piolino et al., 2009; Renoult et al., 2012; Prebble et al., 2013). Eventi personali generici rappresentano una sintesi di esperienze personali che possono essere altamente rilevanti per il sè (Conway e Pleydell-Pearce, 2000).

A livello più astratto, la conoscenza di Sé riguarda i tratti della personalità (Klein, 2010), l’attitudine personale e gli obiettivi concernenti il concetto di Sé che definiscono l’identità dell’individuo (Conway, 2005). Questi tre livelli della rappresentazione del Sé condividono l’autoreferenzialità ed una comune attivazione neurale associata con una maggiore attività in strutture corticali della linea mediana, che comprende la corteccia mediale prefrontale (MPFC), la corteccia cingolata anteriore (ACC), e la corteccia cingolata posteriore (PCC) (Craik et al., 1999; Fossati et al, 2003; D'Argembeau et al., 2005; Northo FF et al., 2006; Gutchess et al., 2007). Inoltre, nella memoria episodica-autobiografica sono attivate prevalentemente le regioni posteriori e le regioni limbiche tra cui l'ippocampo, mentre la memoria semantica-autobiografica è associata ad attivazioni anteriori e, in misura minore ad attivazione delle regioni posteriori e limbiche (Maguire, 2001; Svoboda et al., 2006; Cabeza e St Jacques, 2007; Renoult et al., 2012).

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12 Nella memoria autobiografica non sono semplicemente memorizzate informazioni registrate nel corso della vita, ma piuttosto essa rappresenta una struttura organizzata di informazioni sul Sé che dipende da una serie di funzioni di controllo ed esecutive responsabili della selezione e/o dell'inibizione sia per la codifica che per il recupero delle informazioni autobiografiche (Conway e Pleydell-Pearce, 2000; Piolino et al., 2010).

I ricordi autobiografici sono guidati dal principio di mantenimento di coerenza per il Sé (ad esempio, positiva immagine di Sé; Conway et al, 2004; Conway, 2005), per cui la natura ricostruttiva dei ricordi autobiografici avviene in funzione dei vincoli motivazionali dettati dal concetto di Sé corrente (Conway e Dewhurst, 1995), nonché dalle aspettative sociali (Sanitioso et al., 1990). Pertanto, la sua natura costruttiva è malleabile e diretta da fattori motivazionali legati ad obiettivi personali rilevanti, al fine di mantenere il benessere psicologico ed evitare emozioni spiacevoli. Ne deriva che questo sistema di memoria è particolarmente importante per la regolazione emotiva, per la costruzione dell’identità sociale e fortemente implicato nell’autoconsapevolezza (Cozzolino, 2008).

Recenti revisione della letteratura suggeriscono che questi aspetti possano essere organizzate in diverse categorie generali di funzioni. Williams, Conway e Cohen (2008) attribuiscono quattro funzioni alla memoria autobiografica, tra di esse vi sono funzioni direttive (ad esempio, cosa è successo l’ultima volta che si è cambiata la gomma dell’auto), e funzioni di natura sociale, ad esempio, in merito alla condivisione dei ricordi autobiografici come offerta di sostegno sociale, al mantenimento di una rappresentazione stabile di sé nel tempo, e come strumento

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13 per far fronte ai momenti di vita psicologicamente stressanti. In generale, si ipotizza che la memoria autobiografica abbia tre funzioni generali (Bluck, 2003; Bluck et al.,2005):

a) Funzione rilevante per il Sè

b) Funzione sociale (mantenimento e sviluppo delle relazioni sociali) c) Funzione direttiva

La categoria sul sè riguarda il ruolo della memoria autobiografica nello sviluppo della personalità (Woike et al., 1999;. Woike e Polo, 2001; Woike, 2008; McAdams, 1996) e nel mantenimento di un senso coerente di sé nel tempo (Conway, 2005).

La categoria sociale comprende funzioni come l’apporto di materiale per la conversazione e la creazione e il mantenimento di legami sociali (Bluck, 2003; Bluck et al., 2005; Fivush, Haden e Reese, 1996; Fitzgerald, 1996).

Infine, la categoria direttiva comprende il ruolo della memoria autobiografica nella soluzione dei problemi e come guida per il comportamento futuro (Pillemer, 2003). Tuttavia, per quanto tali funzioni possano essere plausibili, esse sono largamente ipotetiche. Allo scopo di raccogliere dati empirici su questo argomento Hyman e Faries (1992) hanno chiesto ai loro soggetti quali fossero i ricordi di cui parlavano più spesso e le situazioni in cui ciò avveniva. I casi in cui la memoria autobiografica veniva usata in modo direttivo nella soluzione dei problemi erano ben pochi; gli usi più comuni erano la condivisione di esperienze e la trasmissione di consigli. In uno studio successivo, basato sull’uso di parole come suggerimento per il recupero, è stata osservata una distinzione fra ricordi usati internamente per funzioni legate al sé e quelli usati nelle interazioni con gli altri, ma anche in questa ricerca sono state trovate poche prove di un uso direttivo della memoria autobiografica.

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14 Bluck e colleghi (2005) hanno elaborato il questionario Thinking About life Experiences (TALE), descrivendo particolari situazioni e caratterizzando le risposte nei termini di quattro funzioni: direttiva, legata al sé, di mantenimento delle relazioni sociali esistenti, di sviluppo di nuove relazioni sociali. L’analisi fattoriale dei dati ha mostrato una notevole sovrapposizione tra le quattro funzioni sopra elencate, suggerendo che nella realtà pratica, pur essendo plausibile che la memoria autobiografica abbia un’ampia varietà di funzioni, esse non siano chiaramente separabili in categorie differenti.

I ricordi autobiografici per gli eventi presentano alcune caratteristiche fenomenologiche. Il richiamo di tali eventi è in genere accompagnato da grandi sentimenti di vivacità ed è ricco di dettagli sensoriali e percettivi (Brewer, 1996; Rubin, Kozin, 1984; Wright e Gaskell, 1992; Conway, 1990), a testimonianza del fatto che il recupero di tali dettagli vividi determina la sensazione di ‘viaggiare mentalmente nel tempo passato’ e del ri-vivere quel dato evento (Rubin, 2005), fenomeno definito come memoria autonoetica da Tulving (1985). La prospettiva dalla quale abbiamo ri-esperienza degli eventi autobiografici può variare dal punto di vista in prima persona, in cui il narratore è al centro della storia, a quella di una prospettiva esterna, in cui vengono ri-esperite le immagini mentali di una scena, che spesso include Sé stessi, come un osservatore esterno (Freud 1899; 1953; Robinson, 1996; Robinson e Swanson, 1993). I ricordi recenti tendono ad essere recuperati con maggiori dettagli (Nigro e Neisser, 1983; Talarico, LaBar e Rubin, 2004), così come le memorie emozionali (D'Argembeau, Comblain, van der Linden, 2003; Berntsen e Rubin, 2006a). Inoltre, i ricordi autobiografici di episodi personali sono spesso organizzati in narrazioni coerenti e complete, ricche di dettagli contestuali (Larsen, 1992). La possibilità di creare questi racconti si sviluppa a partire dalla co-costruzione di eventi passati con i caregiver nella prima infanzia (Fivush e Reese, 1992; Fivush,

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15 Haden e Reese, 1996; Nelson e Fivush, 2004) ed è ulteriormente affinata durante l'adolescenza (Habermas e Bluck, 2000).

I ricordi autobiografici possono variare nel livello di specificità e accuratezza (Bartalou, 1988; Conway e Pleydell-Pearce, 2000). Le concettualizzazioni odierne del recupero autobiografico ipotizzano che i ricordi non siano memorizzati come fedeli registrazioni di eventi specifici, piuttosto sembrano essere costruiti a partire da vasti magazzini di conoscenza autobiografica (Conway, 1996; Conway e Pleydell-Pearce, 2000). L'approccio costruttivista al recupero autobiografico sostiene che i molteplici richiami di uno evento autobiografico non sono identici ma possono differire in relazione agli obiettivi e alle motivazioni di un individuo (Conway, 1996).

Lo sviluppo delle memoria autobiografica

Le diverse forme di memoria hanno una propria architettura neurale e una specifica tabella temporale di sviluppo (Tulving, 1985). Le prime forme di memoria implicita si sviluppano nell’ambiente intra-uterino e nel primo periodo post-natale, come testimoniato dal fatto che i neonati sono generalmente capaci di riconoscere l’odore del corpo della madre, la cadenza della sua voce o il tipo specifico di manipolazione materna (de Casper e Fifer, 1980; McFarlane, 1975). Le capacità di memoria esplicita si sviluppano più tardivamente, come dimostrato dal fenomeno dell’amnesia infantile, ovvero dalla mancanza di ricordi espliciti nell’arco dei primi 3-5 anni di vita. Questo fenomeno è dovuto all’immaturità delle reti ippocampali, il cui funzionamento è necessario per il richiamo cosciente del processo di apprendimento (attribuzione della fonte) (Cozzolino, 2008). Durante i primi anni di vita alcune

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16 strutture cruciali per l’organizzazione dei sistemi di memoria esplicita sono in via di maturazione e non pienamente formate nè funzionalmente integrate:

- L’ippocampo, i lobi temporali e i lobi prefrontali laterali non sono ancora organizzati (Cozzolino. 2008)

- La maturazione delle aree motorie e sensoriali primarie precede quella delle aree associative e prefrontali (Gotay et al.; 2004)

- Lo spessore corticale a livello della corteccia temporale anteriore mediale e della corteccia orbitofrontale di destra aumenta con l’età, in particolare fra i 9-22 anni (Raznahan et al.; 2001)

In sintesi, la capacità di recuperare materiale autobiografico si instaura intorno all’età di quattro anni e coincide con una progressiva integrazione della sostanza bianca a carico della corteccia prefrontale che sembra essere fortemente correlata a tale capacità (Levine, 2007); verso i sette anni d’età si osserva una capacità di memoria autobiografica più matura (Howe, 2013).

1.3 I

C

ORRELATI

N

EUROBIOLOGICI

D

ELLA

M

EMORIA

A

UTOBIOGRAFICA

A partire dal primo celebre rapporto sulla perdita di memoria, il paziente H.M, gravemente compromesso a livello della memoria dichiarativa e con preservate prestazioni in compiti di memoria implicita, pubblicato ad opera d Scoville e B. Miller nel 1957, molti studi scientifici hanno contribuito grandemente alla comprensione dell’organizzazione e funzionamento dei sistemi mnemonici. Negli ultimi due decenni, grazie all’evoluzione continua delle metodiche di neuroimaging funzionale è notevolmente migliorata la comprensione circa i correlati neurali e morfo-funzionali sui sistemi cerebrali che sostengono la memoria autobiografica. Il sistema

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17 individuato nel lobi temporali mediali riveste un ruolo cruciale nella codifica e nel consolidamento dei ricordi accessibili alla coscienza e che possono essere quindi riferiti. Questo sistema di memoria comprende l’ippocampo, la corteccia rinale che lo circonda, e che a sua volta è costituita nella sua porzione mediale dalla corteccia entorinale e, lateralmente, dalla corteccia perinale e dalla corteccia paraippocampale. Tra queste regione risulta essere di particolare importanza la formazione ippocampale.

L’ippocampo è collocato nella giunzione tra la corteccia e il sistema limbico, ed insieme alle strutture adiacenti è specializzato nell’organizzazione dell’apprendimento spaziale, sequenziale ed emotivo e della memoria dichiarativa (Edelman, 1989; McGaugh et al.; 1993; Sherry et al.; 1992; Zola, Morgan e Squire, 1990). L’amigdala è localizzata nella porzione anteriore del lobo temporale mediale, e sebbene moduli l’elaborazione della memoria dichiarativa, essa non è considerata parte di tale sistema di memoria. L’amigdala è una componente cruciale della memoria emozionale, in virtù del fatto che le sue connessioni dirette con l’ipotalamo e con i circuiti limbico-motori traslano rapidamente la valutazione dello stimolo percepito dai sistemi sensoriali in stati corporei e azione (Amaral, Veazey e Conwan, 1982; Kalin et al.; 2004). Essa si attiva prevalentemente in risposta a stimoli negativi e minacciosi (Davis e Whalen, 2001; Caravan et al.; 2001; Zald, 2003); inoltre, intensifica l’immagazzinamento dei ricordi stimolando il rilascio di noradrenalina e di glucocorticoidi in situazioni emozionali negative (Harmann et al.; 1999; McGaugh, 1996; McGaugh et al.; 1993).

L’attivazione dei lobi temporali mediali non è sufficiente per la codifica e per recupero delle esperienze autobiografiche. Numerose ricerche hanno rivelato che i ricordi non vengono memorizzati all'interno di ogni singola area del cervello, ma piuttosto sono accompagnate dall’attivazione integrata di una rete neurale

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18 distribuita in tutta la corteccia (Cabeza e St. Jacques, 2007). Inoltre, particolari regioni corticali che si attivano durante il recupero autobiografico sono fortemente interconnesse con le regioni impegnate durante l'elaborazione iniziale dell'evento, una sovrapposizione che suggerisce che il recupero della memoria rifletta una ri-elaborazione che impegna le stesse strutture e funzioni coinvolte nella codifica iniziale dell’informazione (Kohler et al, 1998; Wheeler et al., 2000;. Vaidya et al., 2002;. Wheeler e Buckner, 2003, 2004; Kahn et al., 2004; Slotnick e Schacter 2004; Wheeler et al., 2006). L’amigdala ha estese interconnessioni reciproche con lo striato ventrale, l’ippocampo e la corteccia prefrontale, attraverso le quali integra la stimolazione sensoriale con il valore motivazionale e la consapevolezza emozionale (corteccia orbitomediale/ippocampo) (Adolphs, 2003; Barret et al., 2003; Winstanley et al., 2004). Il ruolo primario dell’amigdala è la modulazione della vigilanza e dell’attenzione per acquisire informazioni, ricordare fatti emozionalmente salienti e personali, e preparare all’azione (Adams et al., 2003; Anderson et al., 2003: Kanh et al., 2002).

Un’altra regione coinvolta in compiti di memoria episodica è la corteccia cingolata, un’area di associazione primitiva delle informazioni viscerali, motorie, tattili, autonome ed emozionali (Kenard, 1955). L’integrazione di alcuni aspetti dei processi cognitivi ed emozionali, l’attivazione, la modulazione e la coordinazione dei circuiti frontale e motorio sono regolate dalla corteccia cingolata (Bush, Luu e Posner, 2000). La corteccia cingolata anteriore è coinvolta nella capacità di consapevolezza emozionale di Sé e dell’altro, si attiva durante l’esperienza di dolore fisico e stress sociale e in compiti di autoriflessione e autovalutazione, mentre il giro cingolato posteriore sembra svolgere un ruolo preminenete nell’elaborazione emozionale e nella memoria autobiografica (Eisenbergn e Lieberman, 2004; Singer et al., 2004).

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19 Sebbene l’attività di regioni specifiche possa variare in funzione della natura del ricordo, è stato osservato che alcune regioni sono comunemente attivate dalle operazioni di recupero autobiografico. Queste regioni comprendono l’ippocampo, la corteccia prefrontale mediale e laterale, la corteccia parietale, l'amigdala, i lobi occipitali e i lobi temporali (Svoboda, McKinnon e Levine, 2006; Cabeza e St. Jacques, 2007; Fink et al., 1996; Maguire, 2001). L’attivazione della corteccia prefrontale mediale è legata alla coscienza autonoetica che Tulving (1985) ha indicato come una componente fondamentale della memoria episodica (Buckner, Wheeler, 2001; Gilboa, 2004; Wheeler et al., 1997). La regione prefrontale laterale si ritiene essere associata con il recupero strategico e nei processi di monitoraggio e controllo post-recupero (Fletcher, Dolan, 1999). Complessivamente, si ipotizza che i processi prefrontali supportino la sensazione di fiducia rispetto al fatto che l'esperienza sia riferita al proprio passato personale (Daselaar et al., 2008). Le regioni all'interno della corteccia parietale sembrano intervenire per orientare l'attenzione alle auto-rappresentazioni interne (Wagner, Shannon, Kahn, e Buckner, 2005), e sono alla base dell’autoriflessione o ri-esperienza che accompagna in genere il recupero autobiografico (Cabeza e St. Jacques, 2007).

Queste regioni condividono una vasta sovrapposizione con la "rete di default” (Gusnard e Raichle, 2001; Buckner et al., 2008) (Default Mode Network, DMN). E’ stata osservata una sovrapposizione nell’attivazione neurale in compiti di mentalizzazione e in compiti di recupero episodico autobiografico. Il Default Mode Network (DMN), rappresenta una rete neurale diffusa in diverse regioni corticali e sottocorticali, che viene attivata durante lo stato di riposo mentale (Raichle et al, 2001;. Greicius et al., 2003). Il suo impegno diffuso e la rilevanza clinica ha generato un grande interesse per quanto riguarda le funzioni di adattamento della rete. Alcuni studi mostrano una sovrapposizione nell’attivazione neurale tra le reti cerebrali che

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20 sostengono la DMN e le reti che si attivano in compiti di memoria autobiografica, sostenendo l'ipotesi che vi possa essere un comune "core network" di attivazione neurale negli stati di riposo mentale e di recupero autobiografico (ad esempio, Buckner e Carroll, 2007; Schacter et al, 2007; Spreng et al., 2009; Spreng e Grady, 2010; Rabin et al., 2010; Schacter et al., 2012). Recenti studi (Buckner et al., 2008; Andrews-Hanna, 2012; Smallwood et al, 2012) sostengono che un'importante funzione del DMN sia quella di supportare i processi interni, mentre altre ricerche sottolineano il ruolo della DMN nella simulazione mentale (proiezione di Sé stessi nel tempo e nello spazio) (Buckner e Carroll, 2007; Spreng et al., 2009), nella costruzione mentale di scene nuove o familiari (Hassabis e Maguire 2007, 2009; Schacter et al., 2007), nella previsione di scenari futuri (Bar, 2007; 2009), nella mentalizzazione interna (Schilbach et al., 2008;. Mitchell 2009; Schilbach et al., 2012; Mars, 2012), nel recupero semantico e concettuale (Binder et al., 2009; Binder e Desai, 2009). Tra le ipotesi più consolidate vi è il coinvolgimento del DMN nel recupero autobiografico e nel futuro autobiografico (Gilboa et al., 2004;. Svoboda et al, 2006; Cabeza e St. Jacques, 2007; Schacter et al., 2007; Spreng et al., 2009; McDermott et al., 2009; Szpunar 2012; Schacter et al., 2012).

Le regioni a carico del sottosistema temporale mediale mostrano attivazione durante il recupero di associazioni contestuali (Bar 2007, 2009) e della conoscenza semantica (Binder et al, 2009; Binder, Desai, 2011), così come durante la simulazione di nuovi scenari e quando un soggetto è impegnato ad immaginare il proprio futuro autobiografico (Addis et al, 2007; Hassabis et al., 2007; Szpunar et al, 2007; Schacter et al, 2008; D'Argembeau et al., 2009;. Spreng et al., 2009; Spreng e Grady, 2010; Andrews-Hanna et al, 2010a; Schacter et al, 2012). Questi risultati suggeriscono che il sottosistema temporale mediale abbia un ruolo globale nella costruzione del’identità personale basata sulla memoria autobiografica, attraverso l’integrazione di

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21 informazioni personali passate in contesti spaziali e temporali coerenti (Schacter et al., 2007, Hassabis e Maguire, 2007; AndrewsHanna, 2012; Ranganath e Ritchey, 2012). E’ stato ipotizzato che i compiti che richiedono di ricordare e riflettere su specifiche esperienze personali passate, o di immaginare eventi futuri (pensiero autobiografico futuro), potrebbe richiedere vari processi sequenziali, ed in particolare: il recupero di elementi episodici e informazioni contestuali contribuendo alla esperienza autobiografica, l'integrazione di tali elementi con la conoscenza concettuale su di Sé, e la riflessione meta-cognitiva su sentimenti, emozioni, e/o sulle credenze proprie e altrui (mentalizzazione) (Cabeza et al., 2004; Rubin, 2006; Conway, 2009; Schacter et al., 2012; Prebble et al., 2013).

I dati provenienti da studi su singolo-caso e su gruppi di pazienti neurologici sottolineano l'importanza delle regioni del sistema limbico per la codifica della memoria autobiografica-episodica (Markowitsch e Staniloiu, 2012a). La regione più indagata del sistema limbico è la formazione dell'ippocampo (Corkin, 2002; Squire, 2009). Diversi studi dimostrano che la regione all'interno del lobo temporale mediale responsabile della grave compromissione della memoria episodica-autobiografica sia l'ippocampo, mentre le strutture adiacenti alla formazione ippocampale sembrano necessarie per l’elaborazione della memoria semantica (Vargha-Khadem et al., 1997).

Altre regioni all'interno del sistema limbico sono fortemente implicate nei processi di codifica della memoria episodica-autobiografica (Brand e Markowitsch, 2003; Markowitsch, 2008; Markowitsch e Staniloiu, 2012a), in particolare, le regioni diencefaliche anteriori e mediali, l'amigdala, e il proencefalo basale. Danni bilaterali a carico delle strutture diencefaliche mediali determinano un grave quadro di amnesia anterograda, e poiché questa regione è costituita da numerosi fasci di connessione nervosa (tratto mammillo-talamico, lamina midollare interna), alcune condizioni

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22 amnesiche possono essere interpretati nei termini di una "sindrome da disconnessione", ossia conseguenti alla interruzione di connessioni tra diverse strutture cerebrali (Markowitsch, 1988). I corpi mammillari, all’interno dell’ipotalamo, sono degenerati in pazienti con sindrome di Korsakoff (Markowitsch, 2010; Markowitsch e Staniloiu, 2012a), condizione che rappresenta l'esempio prototipico di amnesia diencefalica, caratterizzata da amnesia sia anterograda sia retrograda, con alterazioni a carico principalmente della memoria episodica-autobiografica, confabulazioni e disorientamento spazio-temporale. Anche lesioni a livello dell’amigdala possono essere responsabili di quadri clinici riconosciuti caratterizzati dalla compromissione della memoria autobiografica, come nel caso della Sindrome di Urbach-Wiethe, una condizione genetica che può portare a una calcificazione selettiva a carico dell’amigdala (Markowitsch et al., 1994), con danno bilaterale del complesso amigdaloideo; i pazienti con malattia di Urbach-Wiethe possono riportare alterazioni della memoria autobiografica-episodica, in particolare per materiale emotivamente saliente (Cahill et al., 1995; Siebert et al., 2003).

Un’altra struttura nervosa coinvolta in compiti di memoria autobiografica è il fascio nervoso di interconnessione delle regioni fronto-temporali, il fascicolo uncinato, che interviene in compiti di memoria e di elaborazione emotiva (Markowitsch, 1995b). L’amnesia retrograda per eventi personali potrebbe derivare da un anomalia di sincronizzazione durante il recupero tra l'elaborazione di eventi personali carichi affettivamente e processi di elaborazione e monitoraggio (Fink et al., 1996; Markowitsch et al., 2000b), L’amnesia retrograda per eventi personali potrebbe essere causata da un danno neurologico che determina alterazioni delle connessioni fronto-temporali (Levine et al, 1998, 2009;. LaBar e Cabeza, 2006; Fouquet et al., 2009), oppure causata da stress psicologico (Reinhold et al., 2006; Reinhold e Markowitsch, 2007, 2009; Marca et al., 2009).

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23 Disconessioni fronto-temporali sono state descritte anche a seguito di amnesia funzionale innescata da fattori misti, sia psicologici sia fisici (Piolino et al, 2005;. Tramoni et al., 2009).

L’attivazione dell’emisfero destro in compiti di memoria autobiografica è preponderante, in coerenza al fatto che è considerato la sede dell’elaborazione emotiva (Schore, 2001), e del suo coinvolgimento nello sviluppo e nel mantenimento della rappresentazione di Sé (Decetey e Sommerville, 2003).

1.4 M

ETODI

D

I

I

NDAGINE

D

ELLA

M

EMORIA

A

UTOBIOGRAFICA

Generalmente, l’indagine della memoria autobiografica in studi sperimentali di laboratorio si attua attraverso la richiesta della rievocazione di episodi personali specifici. Uno dei modi più comunemente utilizzati è la presentazione di una lista di parole cue, per cui si richiede il recupero di una memoria specifica in riferimento a ciascuna parola (Rubin, Wetzler e Nebes, 1986; Brewer, 1996; Rubin e Wenzel, 2004). Le parole-cue possono essere di natura emotiva, come nel test Memory Autobiographical di Williams e Broadbent (ATM; 1986), sviluppato per esaminare la memoria autobiografica in individui depressi. Il cue fornito consente la misurazione dei parametri oggettivi di memoria autobiografica (ad esempio, latenze maggiori nel richiamo di eventi a valenza negativa vs. eventi positivi) così come di indici soggettivi, mediante la valutazione delle caratteristiche fenomenologiche degli eventi riferiti (ad esempio, le valutazioni di valenza e del grado di arousal che accompagnano il recupero, la fiducia nell’accuratezza, la chiarezza, il grado di coerenza) (Brewer, 1996). Una tecnica simile richiede ai soggetti di rievocare eventi auto-riferiti che soddisfano alcuni criteri predeterminati, come eventi a forte valenza

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24 negativa o positiva, o specifici per un determinato periodo di vita (Bohanek, Fivush e Walker, 2005; Berntsen, 2002). Sono disponibili anche interviste semi-strutturate che richiedono di rievocare eventi personali relativi a varie epoche di vita (Levine et al.,2002) o di ri-costruire narrazioni dotate di significato circa gli eventi di vita critici (McAdams et al., 1996). Un numero crescente di studi richiede ai soggetti di rievocare i dettagli di eventi ad alto impatto emotivo di dominio pubblico ("flashbulb memories") (Brown, Kulik, 1977).

La valutazione della memoria autobiografica risente di alcuni limiti importanti, fra questi uno è rappresentato dalla difficoltà nel controllo di fattori come la precisione, in termini retrospettivi, rispetto agli eventi di vita rievocati (Bell, 1992). Un altro limite fondamentale condiviso dalla grande maggioranza degli studi sperimentali che utilizzano questionari auto-valutativi (es, Thinking About Life Experiences o TALE) (Bluck et al., 2005), è l’inadeguatezza della metodologia: si assume, ad esempio, che i soggetti siano consapevoli della funzione dei loro ricordi autobiografici e possano rievocare tali ricordi e le situazioni che li hanno destati in maniera sufficientemente dettagliata per poi categorizzarli (Baddeley, Eysenc, Anderon, 2011). Una difficoltà importante nello studio della memoria autobiografica è determinare con esattezza quale sia stata l’esperienza originaria, ed una modalità che può risolvere, almeno in parte, tale limite consiste nel richiedere ai soggetti indagati di egistrare gli eventi in un diario, cosi da poterne verificare oggettivamente il grado di accuratezza e precisione nella rievocazione. Negli studi basati sul metodo dei diari, in un primo momento si richiede al soggetto di annotare gli eventi personali accaduti e, successivamente, di rievocarli. Un classico studio condotto seguendo tale metodologia è quello dello psicologo olandese Willem Wagenaar (1986), che tenne un diario per oltre sei anni, registrando per ogni giorno due episodi e quattro dettagli (suggerimenti) relativi a ciascun episodio, annotando chi fosse coinvolto, che

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25 cosa fosse avvenuto, e dove e quando fosse avvenuto; inoltre, ogni evento fu classificato in base al grado di salienza emozionale, considerando se fosse qualcosa che accadeva spesso o piuttosto di rado, il grado di coinvolgimento emotivo e la natura piacevole o spiacevole dell’evento. L’autore ha rilevato che i suggerimenti per facilitare il recupero relativi ai dettagli degli eventi, nello specifico chi è coinvolto nell’evento stesso, dove l’evento si è verificato, che cosa è successo facilitano il recupero in egual misura, mentre l’informazione relativa al momento temporale in cui l’evento si è verificato, appare molto meno utile per il recupero. Tuttavia, sebbene gli studi diaristici consentano misure più oggettive, non è possibile il controllo sperimentale circa l’accuratezza effettiva di ciò che viene riportato, e pertanto non garantiscono un rigoroso controllo sperimentale (Bell, 1992). Con l'avvento delle tecnologie di neuroimaging nel corso degli ultimi due decenni, si è assistito all’aumento degli studi che indagano la memoria autobiografica, attraverso l’utilizzo di tali tecniche con le metodologie comportamentali di cui sopra (Cabeza e St. Jacques 2007).

Un recente filone di ricerca si è interessato all’indagine dei meccanismi responsabili della perdita di contenuti mnemonici motivata (oblio motivato), ovvero dei casi in cui i soggetti si impegnano intenzionalmente in processi o comportamenti che limitano l’accessibilità dei ricordi autobiografici. Uno dei concetti più noti inerenti alla nozione di oblio motivato è il meccanismo psichico difensivo della rimozione, postulato originariamente da Freud (1905; 1915), come fattore motivazionale atto a relegare nell’inconscio i ricordi, le idee e i sentimenti indesiderati, al fine di ridurre il conflitto interno e il dolore psichico che ne consegue. Freud ha definito la rimozione nei termini di un meccanismo che consente “l’espulsione e il tener lontano alcuni contenuti dalla coscienza”, pur manifestandosi a livello della consapevolezza implicita, e quindi continuando ad avere un’influenza sul comportamento del

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26 soggetto (Freud, 1915). L’originaria teoria psicoanalitica della rimozione come un processo difensivo automatico, attarverso il quale un ricordo viene escluso dalla coscienza senza che l’individuo abbia consapevolezza della sua presenza, è stato sostituito dal concetto di soppressione, inteso come meccanismo intenzionale e guidato da scopi, che esclude le idee e i ricordi dalla consapevolezza (Anderson, 2006; Anderson e Green, 2001; Anderson e Levy 2002, 2006; Anderson et al., 2004), pur rappresentando un modello utile per lo studio della rimozione volontaria (soppressione) proposto da Freud (1915, 1963). Questo filone di studi si interessa, in particolare, all’impatto che gli eventi traumatici possono esercitare sulle alterazioni della memoria, che si manifestano sul piano clinico con difficoltà della regolazione emozionale, come dimostrato, ad esempio, dai ricordi intrusivi e persistenti relativi all’evento traumatico originario (Mcleod, 1998). E’ stato ipotizzato che i soggetti che non vogliano accedere consapevolemente a ricordi indesiderati mettano in atto una strategia di controllo sul recupero dei ricordi autobiografici, che impegna i meccanismi di controllo esecutivo per sopprimere la memoria indesiderata, rendendolo più difficile da recuperare, anche se desiderato, in futuro (Anderson, 2006; Anderson e Green, 2001; Anderson e Levy 2002, 2006;. Anderson et al, 2004). L’oblio a volte può ridurre la tendenza dell’interferenza proattiva a disturbare la concentrazione. Questa ipotesi è stata studiata per mezzo del paradigma del directed forgetting (DR, oblio su istruzione) in cui i soggetti sono istruiti esplicitamente a dimenticare dei materiali codificati da poco tempo (Bjork, 1970; 1989). Questa procedura ha due varianti, ciascuna delle quali chiama in causa processi di oblio differenti (Macleod, 1998):

 Metodo degli item: ai soggetti viene presentata una serie di item, dopo ciascun item appare un’istruzione che specifica se i soggetti debbano continuare a ricordare quell’item o se debbano dimenticarlo (istruzione a

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27 ricordare Vs istruzione a dimenticare). Una volta terminata la lista di parole, i soggetti vengono sottoposti ad un test di memoria di tutte le parole da ricordare e da dimenticare. La rievocazione delle parole da dimenticare è spesso considerevolmente peggiore rispetto a quella delle parole da ricordare, in accordo all’istruzione fornita. Gli effetti del directed forgetting osservati con il metodo degli item si manifestano anche nei test di riconoscimento, e la maggior parte degli studiosi ritiene che questi effetti dipendano da una codifica episodica insufficiente (Mather e Carstensen, 2005).

 Metodo delle liste: la procedura prevede che l’istruzione a dimenticare venga data solo dopo che i soggetti hanno studiato metà della lista e, in genere, senza preavviso. I soggetti vengono poi sottoposti ad un test finale, per lo più su entrambe le liste, ma a volte solo sulla prima lista. Viene chiesto ai soggetti di non considerare la precedente istruzione a dimenticare, e di ricordare quanti più item possibili appartenenti a quella lista. La prestazione di un “gruppo dimentica” è messa a confronto con la prestazione di un “gruppo ricorda”.

Si osservano due risultati generali:

1) quando ai soggetti viene detto che possono dimenticare la prima lista, in seguito tendono a ricordare molto meglio la seconda lista nel test finale rispetto al gruppo istruito a ricordare. In altri termini, l’interferenza proattiva prodotta dalla prima lista viene meno quando i soggetti assumono di poter dimenticare quella lista, il che illustra chiaramente il beneficio arrecato da un’istruzione a dimenticare (Anderson e Levy, 2001)

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28 2) l’istruzione a dimenticare peggiora la rievocazione degli item della prima lista rispetto all’istruzione a ricordare, il che indica che l’istruzione a dimenticare ha un costo (Bjork, 1989). Gli effetti del directed forgetting con il metodo delle liste dipende da un problema di recupero, ciò è confermato dal fatto che tali effetti vengono meno nei test di riconoscimento, e diversamente da quanto accade con il metodo degli item, gli item studiati e dimenticati con il metodo delle liste rivelano la loro presenza nei test di memoria implicita (Basdne, Basden, 1996). Inoltre se la memoria viene verificata implicitamente, gli item da dimenticare possono esercitare sul comportamento un’influenza maggiore di quelli da ricordare. Il directed forgetting con il metodo delle liste mostra che quando le persone non vogliono più ricordare un evento possono ridurre intenzionalmente la sua accessibilità, determinandone la soppressione (Anderson e Levy, 2001).

In altri esperimenti è stato osservato che processi di questo tipo permettono di dimenticare anche esperienze personali più realistiche e cariche emotivamente (sia eventi affettivamente negativi che positivi) (Depue et al., 2007).

Il directed forgetting può essere studiato alla luce di due teorie principali:

1) l’ipotesi dell’inibizione del recupero sostiene che l’istruzione a dimenticare la prima lista inibisce gli item di tale lista, peggiorando il recupero. Questa inibizione tuttavia non produce un’alterazione permanente e i ricordi restano disponibili. L’inibizione limita il recupero semplicemente riducendo l’attivazione degli item indesiderati. Tale ipotesi spiega perchè gli item dimenticati intenzionalmente sono difficili da rievocare ma possono essere riconosciuti (Anderson e Levy, 2001)

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29 2) l’ipotesi del cambiamento del contesto (Sahakyan, Kelly, 2012) sostiene che un’istruzione a dimenticare separa mentalmente gli item da dimenticare da quelli della seconda lista. Se il contesto mentale di una persona cambia tra la prima e la seconda lista, e se il contesto della seconda lista resta attivo durante il test finale, gli item da dimenticare saranno ricordati peggio perchè il nuovo contesto è un suggerimento poco efficace per il loro recupero (l’effetto di directed forgetting può nascere da un cambiamento del contesto mentale indotto dall’intenzione di dimenticare).

Gli studi condotto con il paradigma del directed forgetting (DF) dimostrano che i soggetti possiedono una certa capacità di dimenticare intenzionalmente. Una modalità di controllo cognitivo utile a tale scopo è operare una abbiano una codifica non sufficientemente ricca (directed forgetting con il metodo degli item), accrescendo la probabilità che quei ricordi siano in seguito recuperati. Tale metodo ha per effetto un peggioramento generalizzato della prestazione di recupero o di riconoscimento, e una diminuzione dell’influenza dell’esperienza nei test indiretti. In alternativa, i ricordi indesiderati possono essere resi meno accessibili limitando l’accesso al contesto al quale sono associati i ricordi da dimenticare (soppressione) (Anderson e Green, 2001). Nelle ricerche condotte con il metodo degli item, si osserva che gli item da dimenticare possono continuare a influenzare i soggetti nei test indiretti, il che suggerisce che gli item dimenticati intenzionalmente possano esercitare la loro influenza anche in assenza di consapevolezza. Il DF può riguardare materiali sia neutri sia affettivamente negativi o positivi (Joslyn e Oakes, 2005). I risultati di tali esperimenti evidenziano che i soggetti mostrano uno scarso mantenimento in memoria degli items da dimenticare associata ad una bassa interferenza proattiva per gli items da ricordare.

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30 IL Paradigma think/no-think (TNT) è un paradigma sperimentale concettualmente uguale alla procedura basata sul compito go/no-go utilizzato per misurare la capacità di arrestare le risposte motorie. Esso valuta la soppressione del recupero (cioè se una risposta può essere soppressa per inibizione). Un tipico compito go/no-go richiede ai soggetti di premere un pulsante non appena vedono una lettera sullo schermo di un computer, salvo quando la lettera è una X, caso in cui devono evitare di rispondere (biblio)

La tendenza ad evitare la risposta misura il grado controllo inibitorio sull’azione (Anderson, Green, 2001). Per indagare l’ipotesi che se l’arresto del recupero possa essere determinato da un meccanismo di controllo inibitorio è stato modificato il compito go/no-go, utilizzato per valutare la soppressione di atti motori, con la costruzione di un analogo paradigma think/no-think (TNT) (Anderson, Green, 2001). Tale procedura si propone di riprodurre ciò che accade quando un individuo si imbatte in qualcosa che risveglia un ricordo al quale preferisce non pensare, e si adopera nel tentativo di tenerlo fuori dalla mente. Nella versione più semplice i soggetti studiano delle coppie suggerimento/bersaglio, per favorire una procedura di apprendimento associativo, e apprendendo a rievocare la seconda parola ogni volta che viene presentata la prima parola. A seguito di questo primo periodo di addestramento, la prima parola della coppia determina il recupero della seconda. Nella fase successiva think/no-think ai soggetti è richiesto di esercitare un controllo sul recupero. Nella maggior parte delle prove è richiesto di rievocare la seconda parola ogni volta che viene presentato il suggerimento associato, ad eccezione del caso di determinate parole (soloitamente contraddistinte dal colore rosso), per cui i soggetti sono invitati a non procedere al recupero. E’ specificato che non è sufficiente evitare di pronunciare la parola, ed è essenziale che il ricordo non emerga alla consapevolezza. E’ stato ipotizzato che se il controllo inibitorio impedisse ad un

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31 ricordo indesiderato di accedere alla consapevolezza consciente, tale procedura potrebbe cogliere l’essenza della rimozione (come sostenuto da Freud, 1915). Pertanto, si assume che tale procedura permetta di misurare le conseguenze dell’arresto del recupero (Anderson e Green, 2001). Nell’ultima fase della procedura TNT, allo scopo di misurare gli effetti comportamentali della soppressione, i soggetti vengono sottoposti a un test finale, nel quale vengono presentati i suggerimenti studiati e viene chiesto di rievocare il ricordo bersaglio. È stato dimostrato che vi è una significativa differenza nella capacità di recupero nel test finale fra gli item della condizione think e quelli della condizione no-think. Questa differenza rappresenta l’effetto totale di controllo della memoria e mostra che l’intenzione di controllare il recupero altera la ritenzione. L’aggiunta di una condizione di base, ovvero di un terzo insieme di coppie di parole che i soggetti apprendono nella fase iniziale, e che non sono presentate durante la procedura think/no-think consente la misura dell’effetto di controllo positivo e delll’effetto di controllo negativo. L’effetto di controllo positivo è rappresentato dal fatto che la rievocazione degli item nella condizione think è superiore alla rievocazione di base, ed è determinato dal recupero intenzionale. L’effetto di controllo negativo è rappresentato dal fatto che il ricordo degli item nella condizione no-think è inferiore alla rievocazione di base, ed è dovuto all’arresto intenzionale del recupero (soppressione). Ne deriva che quando una persona non vuole che un ricordo sia risvegliato, la presentazione di un suggerimento innesca processi inibitori che indeboliscono il ricordo (Anderson, Levy, 2009; Levy, Anderson, 2008). Diversi studi hanno dimostrato che questi risultati sono riportati anche in compiti che utilizzano materiale non verbale, come oggetti e volti (Hart, 2006), e quando gli stimoli target per la soppressione sono costituiti da immagini avverse (ad esempio, incidenti stradali; Depue et al, 2006, 2007). Una ricerca di Depue e collaboratori (2006) ha indagato gli effetti della procedura TNT

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32 utilizzando fotografie di valenza emozionale neutra e a valenza negativa, mostrando che il meccanismo di soppressione indagato dal paradigma TNT può essere efficace per la soppressione di stimoli a valenza emotiva, e rafforzando l'ipotesi che si tratti di un modello utile a comprendere il meccanismo di soppressione motivato della memoria.

Alcuni ricercatori hanno sostenuto che il paradigma TNT non sia rilevante per la comprensione della rimozione freudiana, perché non rende conto di come gli individui possano avere un deficit di richiamo esplicito rispetto a un evento traumatico, pur conservandone e manifestandone memoria implicita per esso (Kihlstrom, 2006). A questo proposito, alcuni autori hanno dimostrato che l'inibizione nel paradigma TNT può influenzare la memoria esplicita, pur lasciando intatta la memoria implicita (Kawaguchi, Hotta, e Takei (2006). I risultati dimostrano un'influenza persistente delle informazioni inibite, relegate al di fuori della consapevolezza (Kawaguchi, Hotta, e Takei, 2006; Bjork e Bjork, 2003).

Nel complesso, i deficit di memoria osservati in studi mediante procedure di tipo TNT suggeriscono che i meccanismi di controllo inibitorio possono essere una strategia di controllo cognitivo messa in atto al fine di evitare che i ricordi indesiderati siano accessibili alla consapevolezza. Questa scoperta ha implicazioni evidenti per le situazioni in cui le persone desiderano evitare i persistenti e intrusivi pensieri legati a esperienze emotivamente dolorose. In quest’ottica, l’evitamento persistente dei ricordi intrusivi a seguito dell’esposizione a eventi traumatici può causare disturbi a carico della memoria di lunga durata: questi risultati indicano che la compromissione a carico della memoria è sostenuta da un meccanismo di controllo inibitorio che impedisce ai ricordi indesiderati di accedere alla consapevolezza, come suggerito dall’ipotesi del deficit di controllo esecutivo di Anderson e Green (2001; 2004; 2006).

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33 La base neurobiologica della soppressione del recupero risiede a livello dell’ippocampo (Anderspn, Weaver, 2009; Anderson et al., 2004): gli studi di brain imaging evidenziano che l’attività dell’ippocampo è ridotta quando i soggetti sopprimono il recupero, il che indica che le persone possono controllare intenzionalmente l’attivazione ippocampale per evitare la rievocazione. Si osserva anche l’attivazione a carico della corteccia prefrontale laterale ed una ridotta attività ippocampale durante le prove no-think, dimostrando che la corteccia prefrontale interrompe l’attività neurale dell’ippocampo (down-regulation) e ciò impedisce ai ricordi indesiderati di accedere alla consapevolezza conscia. Quando un soggetto vuole intenzionalmente evitare di risvegliare un ricordo indesiderato, l’inibizione dei ricordi è detrminata dall’inibione dell’attivazione ippocampale (Anderson e Weaver, 2009). Inoltre, lo studio di Depue e coll. (2007) ha mostrato una riduzione dell'attivazione anche a carico dell'amigdala, in coerenza con il coinvolgimento di questa regione cerebrale nella regolazione emozionale. La ricerca ha evidenziato che durante le prove di soppressione (no-think), l'ippocampo e l'amigdala mostrano una significativa riduzione dell’attivazione rispetto a quanto osservato durante le prove nella condizione think.

Nel complesso, i risultati di questi studi suggeriscono un modello neurocognitivo coerente a sostegno dell’ipotesi per cui un meccanismo di controllo esecutivo sia responsabile della soppressione del recupero di memorie indesiderate. In particolare, si suggerisce che i soggetti impediscano ai ricordi indesiderati di emergere alla consapevolzza conscia inibendo l’attivazione delle aree che sostengono la memoria dichiarativa.

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1.5 I

DENTITA

E

M

EMORIA

A

UTOBIOGRAFICA

:

I

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M

ODELLO

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I

C

ONWAY

Lo studio sistematico della memoria autobiografica ha una storia più recente rispetto a quella della maggior parte degli altri aspetti della memoria episodica; un tentativo di sviluppare una teoria complessiva della memoria autobiografica è stato condotto da M. Conway, il Self Memory System (SMS; 2005).

Conway e Pleydell-Pearce (2000) hanno descritto le memorie autobiografiche come costruzioni mentali dinamiche transitorie generate da sottostanti informazioni di base che si intrecciano sia con le conoscenze semantiche che il soggetto ha di sé, sia con il sistema motivazionale dello stesso. Nel Self Memory System è centrale il concetto di conoscenza di base della memoria autobiografica, composto da conoscenze relative al sé organizzate in un magazzino di memorie autobiografiche secondo tre livelli di specificità: il livello piu alto si riferisce ai ricordi relativi ad ampi periodi di vita associati a tema prevalenti come le esperienze infantili; il livello intermedio comprende gli eventi generali, sia unici che ripetuti nel tempo, e relativi a tempi piu brevi come mesi, settimane o giorni; il livello piu basso si rifersice alla conoscenze specifica di ricordi di episodi unici, dettagliati e specifichi della durata di poche ore, minuti, o secondi (Conway e Pleydell-Pearce, 2000). All’interno del modello di Conway e Pleydell-Pearce (2000) un elemento centrale è il working self, un insieme gerarchico di processi che struttura in ricordi autobiografici le rappresentazioni cognitive delle proprie esperienze personali, regolando e limitando la discrepanza tra una rappresentazione ideale della realtà e una maggiormente veritiera ma mai contraddittoria. In sintesi, il Working-Self è un sistema di supervisione con due fondamentali funzioni: da un lato, operando sulla base dei ricordi autobiografici pre-esistenti, riordina, aggiorna e ridefinisce i modelli mentali del soggetto, e dall’altro, riorganizza e trasforma le nuove esperienze

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35 autobiografiche in relazione alla conformità con i modelli preesistenti; esso si occuperebbe quindi dell’immagazzinamento, dell’organizzazione e del recupero dei ricordi, inibendo il recupero dei ricordi in conflitto con il sistema di rappresentazioni del soggetto. La conoscenza di base della memoria autobiografica e il Working-Self interagiscono tra loro per il recupero di una memoria, e l’attivazione dei tre livelli di conoscenza può essere generata attraverso due differenti processi: il recupero generativo e il recupero diretto, una forma spontanea di recupero che fa seguito all’attivazione diretta della conoscenza autobiografica (Conway e Pleydell-Pearce, 2000).

Il modello sostiene che i ricordi autobiografici sono transitori e costruiti dinamicamente, a partire da una base di conoscenza autobiografica. La base di conoscenza varia da rappresentazioni generiche relative a vari periodi di vita dell’individuo a episodi sensoriali-percettivi, che vengono rapidamente perduti. L’intero sistema si basa sull’interazione fra la base di conoscenza e il Sé operante, il quale svolge nella memoria autobiografica un ruolo simile a quello svolto nella cognizione della memoria di lavoro (Conway e Pleydell-Pearce, 2000). A partire da tali ipotesi è stata sviluppata una teoria dettagliata del modo in cui il Sé interagisce con la memoria (Conway, 2005).

Il Sé operante comprende un complesso insieme di scopi attivi e di immagini di Sé che modula l’accesso alla memoria a lungo termine, ed è a sua volta influenzato dalla MLT. Il Sé operante comprende anche la conoscenza concettuale che ognuno ha di se stesso (lavoro, storia personale, aspirazioni personali) che, a sua volta, è costruita socialmente sulla base del proprio contesto familiare, dell’influenza dei pari, della formazione scolastica, delle narrazioni, che nel loro insieme costituiscono la complessa rappresentazione che ognuno ha di se stesso. Ne deriva che il Sé operante rappresenta una modalità di codificare un’informazione su ciò che è, ciò

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36 che è stato, ciò che può essere (Conway, Pleydell-Pearce, 2000). Per funzionare correttamente deve essere coerente rispetto alla realtà esterna, e la perdita di questo nesso può determinare alterazioni che, in casi estremi, possono dare origine alla confabulazione e al delirio. A questo proposito, ad esempio, Conway e Tacchi (1996) descrivono un paziente con un danno a carico del lobo frontale che riportava ricordi confortanti ma completamente falsi sul sostegno fornitogli dalla famiglia. La base di conoscenza autobiografica ha una struttura gerarchica; la storia autobiografica complessiva è collegata a diversi temi generali, come il lavoro e le relazioni personali; questi temi a loro volta si articolano in finestre temporali distinte (per esempio “quando studiavo all’università”, “le mie aspirazioni per il futuro”), in essi sono compresi diversi eventi generali, che possono includere individui, istituzioni e attività. Questa organizzazione è categorizzata ad un livello relativamente astratto, e a sua volta, può condurre al ricordo di episodi specifici (ad esempio l’ultima lezione assistita all’università). Questi episodi possono essere stati immagazzinati a un livello più elementare contenenti informazioni sensoriali-percettive più particolareggiate (ad esempio il tono di voce del professore X). Alla rievocazione di un evento risultano particolarmente importanti nell’orientare l’individuo rispetto alla consapevolezza che un ricordo sia genuino e non una confabulazione. Si tratta di dettagli che hanno per lo più carattere visivo, e ciò è uno dei motivi per cui il flashback visivo sono molto convincenti (Jhonson et al.,1988). Il processo che permette la rievocazione di questi dettagli e il loro riconoscimento come familiari è basato secondo Conway sulla coscienza autonoetica, ovvero la capacità di autoriflessione sui propri pensieri (Tulving, 1989). L’accesso a tale conoscenza particolareggiata tende ad essere relativamente lento (tipicamente richiede alcuni secondi), mentre l’accesso alla memoria semantica è in genere immediato (Haque, Conway, 2001). Questo modello è coerente con la difficoltà riscontrata nei pazienti

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37 con lesioni a lobo frontale sia ad accedere ai ricordi autobiografici sia, ad accesso avvenuto, a valutarli come non accurati.La teoria di Conway offre un utile quadro di riferimento per organizzare le conoscenze sulla memoria autobiografica, sebbene il modello debba essere ancora validato in svariati aspetti, tra cui occorre verificare l’ipotesi che il database autobiografico sia articolato come proposto dal modello costruttivista di Conway (2005), e un’ulteriore sfida è rappresentata dalla necessità di fornire una spiegazione dei numerosi dati relativi a situazioni in cui la memoria autobiografica è alterata perché insolitamente ricca di dettagli o perché deteriorata o distorta a causa di eventi stressanti e/o patologici.

1.6 I

NFLUENZA

D

EI

F

ATTORI

S

OCIALI

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D

E

MOZIONALI

S

ULLA

M

EMORIA

A

UTOBIOGRAFICA

La rievocazione è un processo di natura ri-costruttiva, e per conseguenza la memoria in generale e la memoria autobiografica in particolare, risultano fortemente influenzate da fattori personali quali le aspettative, le speranze e previsioni future, i bisogni personali (Neisser, 1981). Nei ricordi autobiografici si osserva la forte tendenza a mettere sè stessi al centro della scena, e ciò è stato messo in relazione allo scopo di mantenere l’autostima elevata (Conway, 1990). È stata dimostrata la comune tendenza ad attribuire il merito del successo a sè stessi, a seguito di eventi postivi, e ad attribuire il fallimento la responsabilità alla responsabilità ad altri (Zuckerman, 1979). Inoltre, si osserva che nei casi in cui questo processo di selezione non funziona, si ha una forte difficoltà a dimenticare le sconfitte e ricordare i successi

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