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Maledetti o contraffatti. Seattle dopo gli anni del grunge in un romanzo di Mark Lindquist

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Academic year: 2021

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s h a k e e d i z i o n i

Come gather

‘round friends…

Ácoma per Bruno Cartosio e Alessandro Portelli

a cura di Donatella Izzo, Giorgio Mariani e Stefano Rosso

(2)

© 2013 ShaKe

ShaKe Edizioni, Milano e Rimini info@shake.it

Stampa: Xxxx xxxxxxx

ISBN: 978.88.97109.31.0

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MALEDETTI O CONTRAFFATTI. SEATTLE DOPO GLI ANNI DEL GRUNGE IN UN ROMANZO DI MARK LINDQUIST

Fiorenzo Iuliano

Che il grunge fosse morto è stato ripetuto più volte, anche da Kurt Cobain in persona. In pochi, tuttavia, si sono interrogati sul suo

lasci-to. Il romanzo di Mark Lindquist Never Mind Nirvana1prova a fare i

conti con l’esperienza della Seattle dei tardi anni Novanta, raccontan-do, attraverso la storia di un ex musicista e del suo rapporto con il passato, ciò che la città sarebbe diventata qualche anno dopo la sta-gione grunge.

La musica, presenza costante del romanzo, nei numerosi riferimenti a band e canzoni, diventa il filtro attraverso cui si compie il lento per-corso di Pete Tyler dalla tarda adolescenza all’età adulta. Pete, che ha abbandonato da tempo la sua carriera artistica per diventare avvocato, ha vissuto in prima persona la trasformazione della mecca rock di qualche anno prima in un’ordinaria metropoli americana, dove i fatti passati continuano a vivere in una sorta di aura mitica. Il grunge, già controcultura designata a esprimere il senso di insoddisfazione e disa-gio disa-giovanile verso il presente e, allo stesso tempo, l’assenza di qualsia-si speranza o aspettativa futura, nelle pagine di Lindquist è ormai pri-vato di ogni traccia di ribellione e ridotto a innocua colonna sonora della città, al più uno dei tanti miti attraverso cui Seattle ha costruito la propria identità urbana.

Pete Tyler potrebbe essere, per certi aspetti, il personaggio di un romanzo di Bret Easton Ellis, uno yuppie che (seppure con qualche anno di ritardo) viene ritratto al culmine della sua realizzazione pro-fessionale e, al tempo stesso, messo a nudo nella sua assoluta

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zialità individuale e umana.2Tuttavia, la struttura monodimensionale

dei romanzi di Ellis in questo caso è sostituita dalla presenza di un passato, individuale e collettivo, che affiora costantemente nella narra-zione. Pete immagina che sposarsi possa essere, allo stesso tempo, il modo per segnare il proprio accesso all’età adulta e la definitiva abiu-ra rispetto a un passato che invece pare non voglia allontanarsi. Quasi come in un ritorno agli anni trascorsi, ma alla luce più prosaica del presente, inoltre, è proprio Pete a dover portare avanti le indagini nei confronti di Keith, un musicista rock indagato per violenza sessuale, a indagare, per dirla con Eric Brace, “a musician who might as well be

his former self”.3 Le fratture che si aprono in momenti diversi della

storia del protagonista, espressione di un rapporto controverso con il passato, rivelano il suo senso di inadeguatezza rispetto alla realtà che lo circonda. Queste fratture, rese in termini narrativi come pause della narrazione e improvvisi momenti di riflessione e di autocoscienza, mostrano la resistenza di Pete a identificarsi con quei modelli norma-tivi di maturità, in termini di genere e di classe sociale, che lo obbliga-no a incarnare tutto ciò che il grunge obbliga-non era e obbliga-non sarebbe dovuto diventare, a voler tenere fede alle sue origini.

La sensazione che la trasformazione di Pete in un giovane profes-sionista rappresenti un sostanziale tradimento dello spirito ribelle che aveva segnato la sua esperienza da musicista, tuttavia, è bilanciata da una sorta di falsa coscienza, dall’idea che in fondo la partecipazione alla scena musicale della Seattle grunge non abbia mai comportato l’a-desione a un modello culturale o sottoculturale vero e proprio, ma sia stata una semplice performance, la partecipazione acritica a un feno-meno mediatico e di costume. Il romanzo, quindi, si muove sul conti-nuo slittamento tra due diverse modalità attraverso cui l’esperienza grunge viene ricostruita: da un lato, il protagonista è consapevole che qualcosa di simile a una sottocultura grunge è realmente esistito, ma che è stato immediatamente assorbito dai circuiti mediatici e di con-sumo; dall’altro, la sua esitante transizione da una “extendend

adole-scence”4alla maturità rivela un’ingenua nostalgia degli anni giovanili,

2Non a caso una delle prime recensioni del romanzo definiva lo stesso Lindquist “a

one-time Brat Pack writer, 15 years later” (Claire Dederer, Novel’s Trial Based in the

Heart of Grunge, “The Seattle Times”, 1 maggio 2000).

3Eric Brace, Facing the Music – and a Midlife Crisis, “The Washington Post”, 30

maggio 2000.

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nei quali la musica era uno strumento per scandalizzare i benpensanti più che l’espressione di una qualsivoglia posizione critica o di dissen-so. La posta in gioco dell’intero testo viene a essere l’opposto di quanto è esplicitamente narrato: la continua messa in scena degli esiti ultimi della stagione degli anni Novanta di Seattle suggerisce, implici-tamente, che è esistito un altrove della musica grunge basato su pre-supposti ormai del tutto dimenticati. Questo meccanismo di rimandi testuali e spazio-temporali è giocato sulla contrapposizione di quelle che diventano le due figure centrali del testo: il protagonista Pete, e l’icona della musica grunge, Kurt Cobain.

Seattle e il grunge: gli scarti di un mito

NIRVANAS […] lived in Aberdeen 190 miles from Seattle. Aberdeens population Consists of Highly bigoted Redneck – snoose

chewing – deer shouting, faggot killing – logger types who “Ain’t to [sic] partial to weirdo New Wavers.” […] NIRVANA […] usually dont have jobs. So they can tour anytime.

(Kurt Cobain, Journals)

Il romanzo di Lindquist, quindi, adotta una strategia narrativa e reto-rica che ribadisce l’originalità del grunge attraverso la messa in scena di una sua derivazione contraffatta e artificiale. In questo senso esso si inserisce appieno nel dibattito sull’autenticità come vero banco di prova di ogni sottocultura, soprattutto musicale: ciò che non è auten-tico viene inevitabilmente etichettato come venduto e assorbito dai meccanismi del mercato, in grado di cooptare e trasformare qualsiasi

cosa in un oggetto di scambio.5

Per comprendere appieno l’operazione di Lindquist, pertanto, è necessario ripercorrere almeno in sintesi il dibattito aperto, in questi termini, sul grunge. Le band grunge erano consapevoli del rischio di

5Proprio a partire da una riflessione sul grunge e sui suoi diversi aspetti, musicali e

socio-culturali, Ryan Moore insiste sul concetto di subcultural capital (Ryan Moore,

Sells Like Teen Spirit. Music, Youth Culture, and Social Crisis, New York University

Press, New York-London 2010, p. 139) come insieme di fattori sociali che produco-no una sottocultura e le conferiscoproduco-no un’identità inequivocabile, individuando nel radicamento nei contesti territoriali e/o sociali a essa più prossimi e nella partecipa-zione diretta due tra i tratti più indicativi di autenticità.

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perdere ogni traccia di autenticità agli occhi dei loro stessi fan, a causa del potere che l’industria culturale aveva acquisito negli anni immediatamente precedenti all’esplosione del fenomeno grunge. Un articolo uscito su “Rolling Stone” nel 1992 riferisce le parole dello stesso Kurt Cobain: “I don’t blame the average seventeen-year-old

punk-rock kid for calling me a sellout, […] I understand that.”6

L’eredità degli anni Ottanta, che avevano trasformato la musica in una semplice componente dell’industria dello spettacolo, rendeva più dif-ficile qualsiasi rivendicazione di autenticità per tutte le band che ave-vano alle spalle un contesto socio-culturale reale e che voleave-vano riven-dicarne la veracità, senza rischiare di finire nelle maglie dello show business. Inoltre, il grunge in quanto tale, come espressione musicale di una complessa dimensione geografica e culturale, rappresenta un caso ancora più scivoloso a causa dei paragoni, spesso fuorvianti, che sono stati fatti con altre sottoculture, come il punk o l’hip hop.

Facendo riferimento a Theodor Adorno e alla sua critica dell’indu-stria culturale, giornalisti e studiosi hanno spesso ritenuto che una delle responsabilità del grunge sia stata quella di avere mercificato il

rock indipendente,7 o, più modestamente, di avere ceduto alle

sedu-zioni del capitalismo e del mercato.8Che il grunge possa essere

consi-derato espressione autentica di uno scenario sottoculturale è uno degli interrogativi che pone Adam Krims, che, concentrandosi nello specifico su rap e hip hop, sostiene che è il rapporto con la scena urbana a offrire, in ultima analisi, un valore sociale e culturale alle sottoculture musicali, e dal momento che il rapporto tra il grunge e la dimensione urbana di Seattle sia stato un fenomeno creato e messo in circolazione dall’industria mediatica, si può dedurre che non sia

pos-sibile parlare del grunge come di una vera sottocultura.9Ancora più

problematico il rapporto con il punk, che aveva effettivamente

6Michael Azerrad, Inside the Heart and Mind of Kurt Cobain, “Rolling Stone”, 628

(aprile 1992), pp. 37-40, 37.

7Stephen Tow, The Strangest Tribe: How a Group of Seattle Rock Bands Invented

Grunge, Sasquatch Books, Seattle 2011, p. 229.

8Moore, Sells, cit., p. 155.

9Adam Krims, Music and Urban Geography, Routledge, New York-London 2007, p.

121. Che la rappresentazione mediatica di Seattle e della sua sottocultura abbia con-tribuito notevolmente alla ricezione del fenomeno grunge è innegabile; tuttavia, l’a-nalisi di Krims si concentra su una fase già successiva alla nascita di ciò che sarebbe poi stato etichettato come grunge, ignorando quanto c’era stato prima.

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influenzato il grunge in termini musicali e culturali.10 Le

considera-zioni di Krist Novoselic, il bassista dei Nirvana, sull’impossibilità di ricostruire una scena punk nel Nordovest degli Stati Uniti, e la sua polemica verso un certo conformismo che aveva cominciato a carat-terizzare la musica e la sottocultura punk, non solo fanno pensare che sia tutto sommato riduttivo parlare del grunge esclusivamente come una derivazione del punk, ma rivelano pure l’esistenza di non pochi nessi tra il cosiddetto Seattle sound e la complessa realtà locale. Non è mancato poi chi ha definito il grunge, al più, come una post-sottocultura, vale a dire, una sottocultura priva di quelle componenti autenticamente rivoluzionarie che avevano caratterizzato le sottocul-ture degli anni Sessanta e Settanta, e ormai ridotta a un semplice

effetto mediatico.11In tutti i confronti tra punk e grunge è stato più

volte messo in luce il carattere derivativo di quest’ultimo e la sua incapacità (o mancanza di volontà) di esercitare una qualsivoglia cri-tica alle questioni sociali e politiche, sostituendo un desiderio

generi-co di ribellione generi-connotato in senso individualista.12

Certo, è innegabile che il grunge, forse più di altre sottoculture musicali che lo hanno preceduto, abbia subito un massiccio processo di mercificazione, per altro criticato dai suoi musicisti e produttori. Così Art Chantry, uno dei grafici che realizzarono buona parte delle copertine degli album dei Nirvana, reagiva alla sola parola grunge: “I

hate that word – that’s a marketing term, not a descriptive.”13 L’ormai

famoso hoax pubblicato sul “New York Times” da Rick Marin, che elencava una serie di parole ed espressioni completamente inventate

10 Krist Novoselic, Of Grunge and Government. Let’s Fix This Broken Democracy!,

Akashik Books, New York 2004, pp. 11-13.

11Dylan Clark, The Death and Life of Punk, the Last Subculture, in David

Muggleton e Rupert Weinzierl, a cura di, The Post-subcultures Reader, Berg, Oxford-New York 2003, pp. 223-236, 232.

12Thomas C. Shevory, Bleached Resistance: The Politics of Grunge, “Popular Music

and Society”, 19, 2 (1995), pp. 23-48, 31-32. L’avere prodotto una forma di ciò che Shevory definisce “punk mainstream” (44) è stato in seguito riconosciuto come un merito del grunge: basti pensare alla mostra permanente all’Experience Music Project Museum di Seattle, Taking Punk to the Masses, che mette in risalto proprio come il grunge fosse riuscito a raggiungere anche quanti di solito erano poco inte-ressati alla musica e ai circuiti sottoculturali.

13Gregg Prato, Grunge Is Dead. The Oral History of Seattle Rock Music, ECW

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e spacciate per un fantomatico gergo grunge,14mostra chiaramente il

livello di notorietà del grunge all’epoca, e la sua avvenuta

trasforma-zione in fenomeno mediatico.15

In Never Mind Nirvana, la transizione temporale compresa nei dieci anni successivi alla cosiddetta esplosione della scena grunge a Seattle coincide, da una parte, con il processo di commercializzazio-ne e mercificaziocommercializzazio-ne del grunge, e, dall’altra, con l’impossibilità di mantenere quella tensione ideale e utopica, per quanto ingenua, che aveva caratterizzato il grunge nella sua espressione più nota. Entrambi i processi possono essere assimilati a una trasformazione simile a quella che Roland Barthes sostiene sia messa in opera dal mito: un processo di deformazione che sottrae ai significanti originari parte del loro valore, pur conservandoli e conservandone la funzione

significante.16 L’operazione narrativa e culturale compiuta da

Lindquist, tuttavia, consiste nel tentativo di comprendere non tanto in che modo questa trasformazione si sia compiuta, ma quali sono stati i suoi scarti, i residui materiali rispetto al processo di mitizzazio-ne del grunge e alla sua avvenuta cooptaziomitizzazio-ne da parte dell’industria culturale. Mi limito qui a riprendere tre dei significanti mitici che intervengono nel romanzo, e che rinviano a corrispettivi significati storici più o meno dimenticati: il rapporto tra il grunge e la città di Seattle, le problematiche sociali di classe, e l’identificazione genera-zionale e di genere. Pur mantenendo vivi i significanti originari, Lindquist dà conto della loro avvenuta concrezione in configurazioni mitiche. Ciò che il romanzo non dice espressamente è ribadito assio-maticamente proprio per effetto del processo di mitizzazione; la dimensione storica delle origini, travisata e mitizzata, ritorna come narrazione residuale e rimossa.

14Rick Marin, Grunge: A Success Story, “The New York Times”, 15 Novembre 1992. 15 Non sono mancati, naturalmente, studiosi (tra i quali Giles Hooper, Mark

Mazullo, Neil Nehring) che hanno respinto l’accusa di inautenticità, affermando che, quanto meno, andrebbe bilanciata con un adeguato riconoscimento di ciò che i Nirvana hanno rappresentato all’epoca, in termini musicali e socio-culturali, ad esempio prendendo atto di una serie di temi (relativi all’identità e ai ruoli di genere o di classe) che ritornano nella musica dei Nirvana come tratti di originalità critica oltre che creativa (cf. Catherine Strong, Grunge: Music and Memory, Ashgate, Farnham 2011, p. 137).

16Roland Barthes, Mythologies, Editions du Seuil, Paris 1957 (trad. it. Miti d’oggi,

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Il primo mito celebrato da Lindquist è il nesso che dovrebbe unire il grunge a Seattle, dato per scontato nel romanzo e che una accurata ricostruzione storica porta a demolire. Prima di arrivare a diventare il Seattle sound, infatti, il grunge era stato espressione di diverse band il cui unico tratto comune era quello, salvo poche eccezioni, di non provenire da Seattle. Come è chiaramente visibile in un pannello esposto nell’EMP Museum di Seattle, era l’intera regione del Nordovest americano a essere interessata a questo fenomeno musica-le: c’è Aberdeen per Nirvana e Melvins, e poi Olympia, Portland, Ellensburgh, Tacoma, Eugene, Boise. C’erano alcune band originarie di Seattle (U-Men, Madhoney, Alice in Chains, Skinyards e qualche altra), ma la maggior parte dei musicisti che finirono raggruppati sotto il termine grunge, almeno all’inizio della loro carriera, non ave-vano niente a che fare con la città, provenendo spesso da realtà peri-feriche. È questo proprio il caso dei Nirvana: l’immagine di Aberdeen come di un’anonima cittadina sperduta in un angolo remo-to del Nordovest rurale, conservatrice e perfino violenta, riremo-torna negli scritti di Kurt Cobain e in numerose testimonianze di quanti, in momenti diversi, si sono occupati di grunge e di Nirvana. Raccontando gli anni trascorsi ad Aberdeen, Krist Novoselic sottoli-nea l’importanza che un posto simile ha avuto per se stesso e per

Cobain, soprattutto nel loro rapporto con la musica.17

Dando voce al mito del Seattle sound, invece, il romanzo crea un nesso tra la città e il grunge, ponendolo come ovvio e indiscusso. Parte della stessa economia retorica che caratterizza Seattle, il grunge di Never Mind Nirvana è ormai a tutti gli effetti uno dei landmarks cittadini, componente essenziale della geografia urbana e culturale di Seattle, non solo per la frequenza con cui i personaggi nel romanzo lo ricordano, ma pure perché arriva quasi a rispecchiare e replicare i miti culturali della città. Il downtown di Seattle è subito trasformato in una metafora dell’esistenza di Pete: la continua attesa di qualcosa che sta avvenendo altrove, oppure è già avvenuta, senza che il prota-gonista possa averne goduto appieno, dà voce a quel senso di frustra-zione e di continua delusione che, nell’accefrustra-zione comune, avrebbe caratterizzato il grunge: “To the south is Pioneer Square […] To the east are Gibson’s and the Night Lite […] To the north is the Belltown area, home to […] the Crocodile, where every decent

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Seattle band has played”.18Il mondo di Pete sembra essere racchiuso

tra le strade della città e la musica, che sostanzialmente conferisce loro un significato e un ruolo simbolico.

A tratti, tuttavia, il testo sembra mettere in dubbio la coerenza e l’autosufficienza dell’avvenuto processo di mitizzazione. Ad esempio, in una scena del romanzo Pete è insieme alla sua compagna Esmé, mentre attraversano in auto le strade di Seattle. L’intero scenario cit-tadino, a uso e consumo dell’immaginario turistico, “the Space

Needle, Queen Anne Hill, Lake Union, and the I-5 bridge”,19si apre

davanti ai loro occhi, e da qualche parte comincia a suonare una delle più famose canzoni dei Nirvana, In Bloom. Tutto sembra perfetta-mente equilibrato: la città e la sua musica sarebbero la cornice perfet-ta per ogni storia d’amore. Quesperfet-ta scena, tutperfet-tavia, è turbaperfet-ta da qual-cosa che Pete percepisce come inopportuna, e che non riesce a

defi-nire altrimenti che “musical abuse of Nirvana”,20 una sensazione di

disagio rispetto a un equilibrio apparentemente perfetto tra la città e la musica che sembra rivelare la percezione dell’artificialità del rap-porto tra Seattle e il grunge (e i Nirvana), così come è stato contrab-bandato dall’industria culturale e dai più sottili meccanismi di auto-rappresentazione della città stessa.

“Rather be dead than cool”: il grunge tra memoria e mistificazione

Full of hopes an’ full of fears, full of laughter, full of tears Full of dreams to last the years, in Seattle. (Perry Como, Seattle)

C’è un’altra questione sostanziale a determinare lo sviluppo narrativo del romanzo e le scelte retoriche dell’autore, ed è il conflitto genera-zionale e l’inconciliabilità di posizioni tra una giovinezza che sembra dilatarsi all’infinito e un’età adulta che, di conseguenza, non è chiaro quando e se mai sarà raggiunta. In questo discorso la tematizzazione del grunge come musica e come sottocultura svolge un ruolo di

pri-18Lindquist, Never Mind, cit., p. 5. 19 Ivi, p. 119.

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missimo piano, non solo perché il grunge è stato più volte definito come espressione di un non meglio specificato malessere della gene-razione degli adolescenti degli anni Novanta, ma pure perché, spe-cialmente nella musica dei Nirvana, quella del teenager è tra le cate-gorie fatte più spesso oggetto di ironia, in quanto costruzione arbitra-ria del mercato e della società dei consumi.

Più in generale, oltre al tema dell’appartenenza o dell’affranca-mento generazionale, è la percezione della temporalità a giocare un ruolo fondamentale nel testo, che intesse un discorso interessante sul futuro in quanto aspettativa continua e continuamente dilazionata come uno dei punti nodali dell’esistenza di Pete. L’avvicinarsi all’età adulta e il rimpianto per la gioventù trascorsa, inoltre, si caricano di una connotazione in termini di identità e identificazione sessuale. È infatti la maschilità normativa ed eterosessuale a essere presentata come unico legittimo orizzonte di attesa per un uomo come Pete, marcando ancora una volta il distacco dall’eredità (sotto)culturale grunge e dalla sua forte ostilità verso il patriarcato e verso ogni strut-tura sociale basata su di esso. Si tratta di un dettaglio tutt’altro che secondario: la musica grunge ha più volte valorizzato la critica all’i-deologia patriarcale e familistica come uno dei pochi mezzi rimasti per dare corpo a un’identità e a un progetto rivoluzionari, sia perché il patriarcato era percepito come nucleo originario di ogni forma di potere e violenza, sia perché qualsiasi altra forma di ribellione (in senso politico, per esempio) appariva inutile o antiquata, per ragioni storiche (il conservatorismo negli anni Ottanta, la fine delle utopie rivoluzionarie all’inizio dei Novanta) e per via della mentalità reazio-naria e piccolo borghese della provincia americana. D’altra parte, la critica al patriarcato rappresentava pure il rovesciamento delle aspet-tative che la società benpensante riponeva su qualsiasi uomo giovane,

bianco ed eterosessuale.21

Se e a quali condizioni fosse possibile trovare una via d’uscita da ogni rappresentazione convenzionale della giovinezza sembra essere uno dei punti chiave di Never Mind Nirvana, che in sostanza non pone alternative tra una scelta conformista e tradizionalista (che è poi la scelta di Pete) e la coerenza assoluta con il rifiuto della logica bor-ghese e delle sue norme comportamentali, espressa in maniera tragica

21 Novoselic, Of Grunge, cit., p. 22; Strong, Grunge, cit., p. 108; Jan Muto, He Was

the Woman of His Dreams: Identity, Gender, and Kurt Cobain, “Popular Music and

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dal suicidio di Kurt Cobain, che rappresenta la radicalizzazione del paradosso di ogni sottocultura giovanile: l’impossibilità di sopravvi-vere a se stessa. La morte tragica di Cobain, definita l’episodio dopo il quale “the Nirvana phenomenon instantly gained the status of

myth”,22 sancisce la fine simbolica del grunge, confermandone, allo

stesso tempo, il processo, già ampiamente in corso, di trasformazione in una semplice moda. Allo stesso modo, Never Mind Nirvana diven-ta il romanzo dell’elaborazione del lutto nel momento in cui è com-pleta la consapevolezza della natura fittizia dei miti dei quali il testo e il suo protagonista vivono e si alimentano. La morte del grunge, in questo senso, è necessaria per procedere alla sua consacrazione come genere musicale pienamente legittimo, e tuttavia privo del suo poten-ziale culturale (rivoluzionario-distruttivo) delle origini.

Lo svelamento finale dei sottintesi narrativi del testo è affidato al capitolo The Thing about Kurt Cobain. Pete e Scott, in compagnia di due giovani donne, stanno attraversando in barca la Elliot Bay, men-tre il paesaggio di Puget Sound si presta a diventare il perfetto sfon-do per l’intera scena. Mentre parlano del caso giudiziario sul quale stanno lavorando, il tema della loro conversazione si sposta su Kurt Cobain. Di nuovo, ritorna il tema dell’autenticità come conferma del-l’esistenza di un capitale (sotto)culturale. Tuttavia, l’unica forma pos-sibile di autenticità rimasta pare essere l’elaborazione di un lutto.

“The thing about Kurt Cobain”, Helen says, “is that he never wanted to be a star. […] the thing about Kurt is he never lost his artistic integrity. He always gave off this incredible thing of pureness. […] the thing about Kurt” […] “the thing about Kurt Cobain,” Pete says, “is that

he’s dead”.23

La morte di Cobain è stata spesso motivata come la reazione al peso insopportabile del ruolo di star e portavoce involontario della “Generazione X”, “the reluctant figurehead of the grunge

move-ment”.24 Come riassume Catherine Strong, “the death of Kurt

22 Mark Mazullo, The Man Whom the World Sold: Kurt Cobain, Rock’s Progressive

Aesthetic, and the Challenges of Authenticity, “The Musical Quarterly”, 84, 4 (2000),

pp. 713-749, 716.

23Lindquist, Never Mind, cit., p. 195. 24Huq, Beyond Subculture, cit., p. 138.

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Cobain has often been linked to the pressures placed on him to live up to the ideals of authenticity demanded by his audience and the

media”.25C’è chi ha sostenuto che Cobain non fosse in sintonia con il

suo ruolo pubblico di rockstar, e che invece desiderasse “a deeper

aesthetic purpose in his work”;26 o chi ha individuato nella musica

dei Nirvana una tensione e un conflitto reali,27 e non un semplice

effetto del reale, inteso in senso postmoderno, secondo cui perfino il suicidio di Kurt Cobain, oltre al fenomeno grunge nel suo comples-so, è stato un caso di pura medialità, privo di qualsivoglia nesso con i

fatti.28 Quest’ultimo discorso si salda perfettamente con la teoria di

Adorno sulla musica “leggera” esclusivamente come prodotto dell’in-dustria culturale, e sembra trovare un riscontro nel romanzo di Lindquist: il grunge è stato un’invenzione, e ciò che è davvero esistito era un gruppo di ragazzi che approfittavano del successo per diver-tirsi e fare colpo sulle donne.

Tuttavia, la doppia articolazione retorica del romanzo, basata sulla contrapposizione tra Pete e Kurt Cobain, suggerisce che il grunge non possa essere liquidato come un mero fenomeno mediatico. Facendo interagire, sul piano narrativo, la perdita di autenticità del grunge e la morte di Cobain, commemorata dai suoi (reali o presunti) seguaci, Lindquist sembra sottintendere una connessione profonda tra le due cose, se non addirittura un rapporto di causa ed effetto. Niente è espresso in maniera esplicita, naturalmente; è il meccanismo retorico del romanzo a indicare che nell’equivalenza tra ciò che il grunge era alle sue origini e ciò che è diventato in seguito sia l’equi-voco che ha prodotto, quasi simultaneamente, il soffocamento di

25 Strong, Grunge, cit., p. 22. 26Mazullo, The Man, cit., p. 717.

27Neil Nehring, Popular Music, Gender, and Postmodernism. Anger Is an Energy,

Sage, Thousand Oaks-London-New Delhi 1997, pp. 90 e 104 (il capitolo su Cobain

è emblematicamente intitolato Kurt Cobain Died for Your Sins).

28Che la morte di Cobain fosse stata un evento mediatico al pari della guerra nel

Golfo in versione MTV è l’ipotesi avanzata in un articolo di Matty Karas uscito nel 1994 (Kurt Cobain’s Death: MTV’s Persian Gulf War?, “American Journalism Review”, Giugno 1994, p. 10); non sono mancate neppure in seguito le teorie di quanti hanno analizzato l’impatto del suicidio di Cobain sui media come una sorta di effetto del reale: è il caso del saggio di Roger Beebe, Mourning Becomes…? Kurt

Cobain, Tupac Shakur, and the “Waning of Affect” (in Roger Beebe, Denise

Fullbrook e Ben Saunders, a cura di, Rock over the Edge. Transformations in Popular

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ogni potenzialità critica (o rivoluzionaria) del grunge stesso, e la defi-nitiva rinuncia del suo esponente più rappresentativo.

In cosa consistessero queste origini, però, Lindquist non lo dice; ed è il caso, allora, di cercare altrove qualche spunto utile alla com-prensione. Uno studio di Roopa Huq, ad esempio, si sofferma sul grunge come sottocultura radicata in precisi segmenti della società americana: “grunge is inseparable from its constituency and context of white youth in the US suburbs. […] In grunge […] we can see a reaction to the Reagan-Bush axis with its central belief that ‘greed is

good’”.29In maniera più esplicita, Deena Weinstein parla di

“identifi-cation with the homeless and the destitute” da parte delle prime band grunge, per poi aggiungere: “The slacker generation is referred to in the mass media as the Baby Bust generation-the ones who were suffering from the austerity involved in paying for the economic excesses of the 1970s and 1980s and know that they face a contracted

horizon of opportunity”.30

Alla luce di queste riflessioni, non è illegittimo chiedersi se il falli-mento del grunge come sottocultura possa essere attribuito al passag-gio da una realtà rurale e marginale (come Aberdeen) a una scena musicale perfettamente inserita in un contesto metropolitano. Il grunge muore andando a Seattle, o, almeno, questo è ciò che succede all’icona grunge più nota. Il passaggio sulla scena di Seattle produce lo slittamento da un contesto nel quale la musica era ancora uno stru-mento di lotta contro nemici reali (la disoccupazione, la subalternità sociale, l’ideologia patriarcale, la violenza omofoba) a uno nel quale poteva al più dare voce a una categoria sociale (e giovanile) semplice-mente annoiata dal proprio status benestante e borghese, e pronta a identificarsi nei miti proposti dall’industria culturale. Se questa ipo-tesi è percorribile, bisognerebbe dedurre che il disagio di Cobain fosse di natura politica più che individuale. In questo senso, la sua differenza con Pete Tyler acquista un significato chiaro: le categorie di classe e di genere diventano i luoghi di contraddizione reale (oltre che di lotta) tra ciò che Kurt Cobain era e il modo in cui i media pre-ferivano descriverlo. Più che di una indifferenziata Generazione X, infatti, sarebbe stata opportuna la qualifica di portavoce di quella generazione di adolescenti cresciuta nelle realtà marginali e

periferi-29 Huq, Beyond Subculture, cit., p. 139.

30Deena Weinstein, Alternative Youth: The Ironies of Recapturing Youth Culture,

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che degli Stati Uniti degli anni Ottanta, che invece vivevano il sogno delle mille luci di New York e cantavano “girls [ma anche boys] just wanna have fun”, mentre una larga fascia della popolazione subiva un processo inesorabile di impoverimento e marginalizzazione.

Consapevole di questo, il narratore di Never Mind Nirvana conclu-de recuperando in chiave ironica l’attitudine retorica conclu-dell’intero testo. Pete ha finalmente capito chi dovrà essere la sua futura moglie; tuttavia, quando le dichiara il suo amore, Winter (questo il nome della ragazza) gli mostra un anello di fidanzamento appena

ricevu-to.31Eppure, nonostante la delusione, Pete resta ottimista:

Pete clicks on his headlights. In his view ahead is downtown and the Space Needle.

Well, you still have Seattle. Possibilities. He turns the radio on.32

Le ultime tre righe rivelano appieno il senso del gioco di parole con-tenuto nel titolo del romanzo. Never Mind Nirvana, infatti, più che un riferimento a Nevermind, il disco più noto dei Nirvana, di cui il romanzo riproduce perfino la copertina, è un’esortazione letterale: meglio lasciar perdere i Nirvana e ciò che hanno rappresentato. La città, i suoi miti e le sue opportunità sono molto più allettanti. Laddove il grunge era stato la rappresentazione cinica e realistica di una generazione che, in maniera furente, ribadiva di non (volere) avere un futuro, Seattle e i suoi luminosi stereotipi, musicali e non, rappresentano ancora un orizzonte di aspettative perenne. Kurt Cobain, per sua fortuna, era morto da un pezzo.

31 Lindquist, Never Mind, cit., p. 236. 32Ivi, p. 239.

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