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Utero artificiale e diritti del genitore sull'embrione e sul feto: considerazioni bioetiche

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Academic year: 2021

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Maurizio Balistrieri

Utero artificiale e diritti del genitore sull’embrione e sul feto: considerazioni bioetiche

Anche se oggi l’attenzione di parte del dibattito bioetico italiano e internazionale è comprensibilmente rivolta alle questioni morali e giuridiche dalla gestazione per altri (GPA), con questo contributo si vuole provare a immaginare alcune problematiche che nel futuro potrebbero emergere con lo sviluppo dell’ectogenesi. Domani, infatti, la gestazione degli embrioni e dei feti potrebbe avvenire anche in uteri artificiali. Il momento della fecondazione potrebbe avvenire in laboratorio (cioè, in vitro) come avviene oggi negli interventi di riproduzione assistita ma, dopo il concepimento, gli embrioni prodotti non sarebbero più trasferiti nell’utero di una donna, bensì in una macchina che, vicariando le principali funzioni svolte oggi dal corpo umano, permetterebbe loro di completare lo sviluppo fino alla formazione di nuovi individui. Anche se la produzione di un utero artificiale non sembra semplice, le difficoltà non sembrano veramente insormontabili in quanto si tratterebbe di «riprodurre artificialmente un insieme di membrane e di meccanismi di scambio che assicurano il funzionamento di una placenta, del liquido amniotico, delle membrane e delle pareti dell’utero che costituiscono l’ambiente normale di un embrione durante la gravidanza» (Atlan, 2006). Abbiamo già avuto occasione di confrontarci con queste preoccupazioni e di mettere in luce la chiara debolezza delle principali critiche avanzate nei confronti dell’ectogenesi (Balistreri, 2016). Anche se, cioè, è importante confrontarsi con i rischi che l’ectogenesi apre, tuttavia non sembrano esserci ragioni per ritenere che un’eventuale perfezionamento della gravidanza extra-corporea sarebbe intrinsecamente inaccettabile. Al contrario, essa potrebbe essere molto vantaggiosa sia per quelle persone che, oggi, vorrebbero avere un figlio, ma che non possono portare avanti una gravidanza che per quelle che, pur non avendo problemi, preferirebbero non avere una gravidanza. Nelle pagine che seguiranno, pertanto, si assumerà, come punto di partenza, che l’accettabilità morale della gravidanza extra-corporea sia stata già mostrata e ci si concentrerà sulle conseguenze che la sua introduzione avrà, prevedibilmente, sulla vita delle persone e, soprattutto, sulla loro libertà riproduttiva. Al centro dell’analisi sarà la questione se, al tempo della gravidanza extra-corporea, le persone avranno ancora il diritto di interrompere lo sviluppo dell’embrione. Immaginiamo, ad esempio, una persona che ricorre all’utero artificiale e avvia, quindi, la procedura per il concepimento e, poi, per il primo sviluppo dell’embrione. Questa persona potrà ancora chiedere la distruzione del proprio embrione? Oppure, considerato che quest’embrione può sopravvivere al di fuori del corpo umano, esso merita ormai un diritto alla vita che nessuno dovrebbe mettere in discussione?

Prima di passare ad analizzare la questione se un’eventuale gravidanza extra-corporea possa essere ancora compatibile con il diritto morale e giuridico di interrompere il suo sviluppo, è importante precisare che la questione non riguarderebbe più soltanto

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le donne. Innanzi tutto, con lo sviluppo dell’ectogenesi, gli uomini e le donne contribuirebbero allo stesso modo allo sviluppo di una nuova vita e, di conseguenza, non ci saranno più ragioni per privilegiare gli interessi delle une rispetto a quelli degli altri. A differenza, poi, di quanto accade oggi, la nascita di una nuova persona non sarebbe più legata alla crescita di un embrione e, quindi, di un feto nell’utero di una donna e, pertanto, un’eventuale estensione dei diritti sull’embrione agli uomini non minaccerebbe di interferire con il controllo delle donne sul proprio corpo e sulla propria integrità. Dobbiamo considerare, oltretutto, che la gravidanza extracorporea potrebbe essere scelta non soltanto da una coppia di uomini, ma anche da un uomo soltanto. Almeno oggi, la riproduzione delle persone dello stesso sesso e, in particolare, delle coppie gay, è fortemente condizionata e, soprattutto, limitata dal fatto che esse hanno comunque ancora bisogno di una donna che porti avanti una gravidanza nel loro interesse. Ci sono, poi, ancora pregiudizi importanti contro l’idea che persone dello stesso sesso possano essere una famiglia e, soprattutto, avere e crescere un figlio insieme, per cui spesso non hanno accesso alle tecniche di riproduzione assistita e all’adozione. Il fatto, però, che un numero sempre maggiore di paesi riconosca alle coppie dello stesso sesso il diritto non soltanto di sposarsi, ma anche di avere dei figli, lascia immaginare che in futuro anche le coppie gay potranno riprodursi per ectogenesi. Peraltro, con lo sviluppo della gravidanza extracorporea e dei gameti in vitro, essi non soltanto non avrebbero più bisogno di ricorrere a una madre gestazionale, ma non avrebbero più nemmeno la necessità di utilizzare le cellule uovo di una donatrice, in quanto potrebbero ottenerle direttamente dalle loro stesse cellule somatiche. E, in questo modo, dato che potrebbero avere un figlio come e quando vogliono, gli uomini raggiungerebbero la piena uguaglianza con le donne in campo riproduttivo.

Finora negli ordinamenti che riconoscono alle donne il diritto all’interruzione di gravidanza, il diritto alla vita del feto è in genere collegato alla sua capacità di sopravvivere al di fuori del corpo della donna, e, di conseguenza, il diritto all’aborto, anche in quei paesi in cui viene ammesso, viene meno nel momento in cui il feto è viabile. È legittimo domandarsi, pertanto, se l’interruzione di gravidanza sarà ancora permessa nel momento in cui le tecnologie riproduttive avanzeranno al punto tale da permette lo sviluppo di un utero artificiale e, quindi, la sopravvivenza di qualsiasi embrione o feto, indipendentemente dal suo stadio di sviluppo e dalle sue caratteristiche. La questione relativa al diritto di interrompere lo sviluppo dell’embrione riguarderebbe soprattutto la persona oppure la coppia che sceglie di avere un figlio con una gestazione extracorporea di un embrione concepito in vitro. Tuttavia, con lo sviluppo dell’utero artificiale, anche le donne che scelgono una gravidanza corporea potrebbero avere poi una difficoltà a rivendicare un diritto di abortire, in quanto, anche nel caso in cui non volessero più avere un figlio, il loro embrione potrebbe essere trasferito, in qualsiasi momento dal suo concepimento (anche dopo qualche giorno), in un utero artificiale e qui continuare il suo completo sviluppo (Overall, 2015). È questo, del resto, lo scenario che viene immaginato da chi ipotizza che l’eventuale sviluppo dell’ectogenesi potrebbe offrire la soluzione definitiva al dibattito sull’aborto. Oggi il diritto all’interruzione di gravidanza non

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viene accettato da coloro che ritengono che l’embrione sia persona o vada trattato come persona dal momento del concepimento, in quanto, dalla loro prospettiva, l’aborto non sarebbe altro che un omicidio. Le cose, comunque, in futuro potrebbero cambiare, in quanto, con lo sviluppo dell’ectogenesi, l’aborto non comporterebbe più, necessariamente, la distruzione dell’embrione e, pertanto, esso potrebbe essere accettato anche dai “pro life” (ovvero sia da coloro che attribuiscono all’embrione un inviolabile diritto alla vita). Ma, affinché questo accada, alla donna che vuole interrompere la gravidanza si chiederebbe non soltanto di acconsentire agli interventi più favorevoli al successivo trasferimento dell’embrione in un utero artificiale, ma anche di accettare la sua sopravvivenza (Overall, 2015).

Tuttavia, la speranza che lo sviluppo dell’utero artificiale possa porre termine al dibattito sull’interruzione di gravidanza non tiene conto del fatto che le persone che hanno scelto di avere un figlio potrebbero successivamente cambiare idea o avere ancora il desiderio di riprodursi, ma non volere che nasca quell’embrione che hanno concepito. Anche se, pertanto, l’embrione potesse sopravvivere dal momento del concepimento al di fuori del corpo materno, si porrebbe, comunque, ancora la questione se le persone hanno il diritto e quindi la libertà di interrompere il suo sviluppo. Resta, cioè, ancora una questione aperta se «la capacità di continuare una gravidanza in un utero artificiale» oppure di iniziarla al di fuori dal corpo materno comporterà che «ogni gravidanza indesiderata dovrà essere completata in un utero artificiale» (Bard, 2006).

È prevedibile che sulla scelta delle nostre società in materia peseranno soprattutto due ordine di questioni: innanzi tutto, quella della personalità dell’embrione. Da che momento del suo sviluppo, cioè, l’embrione può essere considerato persona. Inoltre, la questione relativa alle condizioni che potrebbero giustificare la distruzione dell’embrione, a prescindere dalla questione della sua rilevanza e anche ammesso che, per il suo stadio di sviluppo, vada già trattato come persona. Nel dibattito di bioetica è ampiamente diffusa la convinzione che la questione circa l’accettabilità dell’interruzione di gravidanza possa essere determinata soltanto dopo aver stabilito qual è la rilevanza morale dell’embrione, nei suoi diversi momenti di sviluppo (Mori, 2010). Le valutazioni morali variano a seconda del valore che si attribuisce all’embrione e ognuna di esse identifica un momento diverso in cui l’embrione oppure il feto diventerebbe persona e acquisterebbe, di conseguenza, un pieno diritto alla vita. Quelle prospettive che affermano che l’embrione è persona (o vada, comunque, trattato come persona) dal momento del concepimento ritengono che la distruzione dell’embrione sia moralmente inaccettabile, in qualsiasi momento del suo sviluppo. Chi ritiene, invece, che l’embrione diventi persona soltanto al quattordicesimo giorno dal concepimento e, di conseguenza, in coincidenza con l’annidamento e dell’individuazione, ritiene moralmente permessa la sua distruzione, fino a quella data. Se, poi, il momento in cui l’embrione diventa persona venisse posto più avanti, diventerebbe consentito “abortire” anche embrioni ad una fase più avanzata di sviluppo (Mori, 1990). Quelle posizioni, infine, che ritengono che la piena rilevanza morale si acquista soltanto dopo alcune settimane dalla nascita, legittimano anche l’infanticidio, a prescindere, a volte, dalle motivazioni e dalle

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conseguenze per le altre persone coinvolte. Non importa, cioè, quale ragione possiamo presentare per interrompere il suo sviluppo: dato che il neonato non è persona, possiamo fare di lui quello che più vogliamo. È facile immaginare che questo disaccordo morale continuerà a sussistere anche nel momento in cui avremo la possibilità di ricorrere a una gravidanza extracorporea ed influenzerà le politiche in materia che i parlamenti nazionali prenderanno.

In presenza di posizioni così diverse sulla personalità dell’embrione (e del feto), una soluzione coerente per le società liberal-democratiche potrebbe essere quella di lasciare alle persone la possibilità di decidere se interrompere oppure no lo sviluppo dell’embrione (o del feto) che hanno prodotto sulla base delle proprie convinzioni. In questo modo chi crede che l’embrione sia persona (o vada trattato come persona) dal momento del concepimento potrebbe rinunciare a chiedere la sua distruzione; coloro che, invece, hanno una posizione diversa avrebbero il diritto di farlo. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di adottare in materia una regolamentazione capace di valutare qual è la concezione sulla personalità dell’embrione (o del feto) più plausibile e quindi accettabile dal punto di vista scientifico. È vero che in entrambi i casi le profonde divergenze sulla personalità dell’embrione, potrebbero rendere estremamente difficile, se non impossibile, raggiungere un compromesso veramente soddisfacente per le diverse parti interessate. Se consideriamo, però, che soluzioni di questo tipo sono state percorse, oltre che nel caso dell’interruzioni di gravidanza, dalla questione della ricerca sugli embrioni (in particolar modo per quelle ricerche finalizzate ad ottenere cellule staminali embrionali), non abbiamo ragione di escludere che esse possano essere praticabili anche relativamente alla questione che riguarda il trattamento degli embrioni (o feti) viabili prodotti in vitro e il cui sviluppo è stato avviato attraverso una gestazione extracorporea. Tuttavia, se per gli embrioni concepiti in vitro e sviluppati per ectogenesi venissero applicate le stesse regole che valgono oggi per la ricerca sugli embrioni, le persone avrebbero soltanto quattordici giorni (due settimane) per cambiare eventualmente idea e aver diritto a chiedere la distruzione del proprio embrione. Un tempo, cioè, molto breve, che non lascerebbe spazio sufficiente ai possibili ripensamenti che possono avvenire, per le più disparate cause, durante una gravidanza (ad esempio separazione, morte del partner, perdita del lavoro, gravi malattie). Le persone che in futuro ricorressero alla gestazione extra-corporea potrebbero avere più tempo per interrompere lo sviluppo dell’embrione da loro prodotto soltanto se l’embrione venisse considerato persona dal momento in cui si forma un sistema nervoso completo che rende possibile l’esercizio delle facoltà razionali. In questo caso, infatti, l’«aborto» verrebbe permesso almeno fino al terzo mese. Si può prevedere, inoltre, che esigenze pratiche possano poi giustificare forme di regolamentazione che prevedano esplicitamente una soglia, oltre la quale l’interruzione dello sviluppo di un embrione (oppure del feto) viabile è categoricamente vietata oppure consentita soltanto in presenza di particolari condizioni. La soglia identificata può non essere giustificata da un punto di vista razionale, ma può, comunque, rispondere alla necessità di distinguere le richieste accettabili di distruzione dell’embrione in via di sviluppo da quelle, invece, non

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accettabili e, di conseguenza, di fissare delle regole chiare e precise per chi ricorrere all’ectogenesi.

È immaginabile, poi, che con lo sviluppo della gravidanza extracorporea, si aprirà anche uno spazio di riflessione circa le condizioni che rendono la distruzione dell’embrione accettabile, anche se possiamo avere ragioni per considerarlo già persona. La tesi assiologica del vitalismo medico secondo la quale «la vita biologia è sempre buona in sé (un valore prioritario) e la morte sempre il peggiore dei mali» (Mori, 2012) è sempre meno accettabile non soltanto come tesi descrittiva ma anche come premessa della tesi deontologica per cui è sempre bene fare tutto il possibile per prolungare la vita. La distruzione di un embrione o feto viabile potrebbe, ad esempio, essere giustificata sulla base degli interessi e del benessere della persona che altrimenti nascerà. Anche, cioè, indipendentemente da se l’embrione o il feto in questione sia già una persona, si potrebbe, comunque, sostenere che, in certi casi, sia lecito, se non doveroso per un genitore, interrompere il suo sviluppo, per non danneggiare il proprio bambino. Naturalmente si possono immaginare situazioni anche molto diverse che possono rappresentare una condizione dannosa per la persona che verrà al mondo: dalla difficoltà di trovare persone che sarebbero disposte a prendersi cura di lei con amore alla carenza di quelle risorse necessarie a rendere la sua vita degna di essere vissuta. Come oggi, inoltre, gli embrioni concepiti o, comunque, trasferiti dopo il concepimento in vitro nel corpo della donna possono sviluppare gravi anomalie, genetiche o morfologiche, che compromettono il benessere della persona che verrà al mondo. Così, domani, gli embrioni che si svilupperanno in un utero artificiale potrebbero presentare - a causa ad esempio di un cattivo funzionamento della tecnologia o per altre ragioni - caratteristiche incompatibili con un’esistenza accettabile.

Oggi è la donna che ha il diritto di valutare l’importanza di questi eventuali scenari e, di conseguenza, di scegliere se, nel caso specifico, interrompere la gravidanza, in quanto l’embrione (oppure il feto) può svilupparsi soltanto nel suo corpo. Domani, con lo sviluppo della gravidanza extracorporea, i soggetti più indicati a prendere decisioni di questo tipo sembrerebbero quelli che hanno prodotto l’embrione, in quanto sono le persone che non soltanto avranno maggiormente investito, non tanto economicamente quanto emotivamente, nel suo concepimento e sviluppo, ma che avranno anche riflettuto di più sugli interessi ed il benessere del nascituro. Tuttavia, se consideriamo che nelle decisione mediche che riguardano il trattamento dei grandi prematuri le preferenze dei genitori non sono, in genere, vincolanti, è legittimo chiedersi se, con lo sviluppo e il ricorso alla gravidanza extracorporea, le scelte dei genitori circa il destino dell’embrione saranno ancora rispettate. C’è il rischio, cioè, che i dottori, che hanno avviato il concepimento dell’embrione e seguito il suo sviluppo per ectogenesi potrebbero poi voler decidere, al posto dei genitori, se le vite in questione sono veramente così non degne di essere vissute. Oppure, come è successo in passato nel caso dei pazienti che avevano bisogno della dialisi, si potrebbe ritenere necessario coinvolgere in queste decisioni un comitato etico e chiedere eventualmente il loro parere circa la decisione moralmente più appropriata. Resta aperto, infine, il ruolo che la società prenderà in queste particolari situazioni.

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Lascerà ad altri soggetti (medici e/o genitori) il diritto di decidere nel singolo caso oppure stabilirà degli standard minimi di salute che l’embrione viabile deve avere e sotto i quali la sua distruzione sarà non soltanto permessa, ma anche obbligatoria? E, in questi casi - come ricorda Jennifer Bard - i suoi “genitori” potrebbero appellarsi contro quest’impostazione, affermando che, comunque, per loro la vita di quell’embrione, e, in particolar modo, della persona che potrebbe nascere, è preziosa (Bard, 2006)?

Anche se molte questioni restano comunque ancora aperte, si può ragionevolmente ipotizzare che l’eventuale sviluppo di tecnologie che permettono la gravidanza extracorporea sia compatibile con forme di regolamentazione che consentiranno ancora alle persone di scegliere se distruggere l’embrione che hanno prodotto. Al momento è difficile stabilire con precisione quanto ampia sarà questa libertà, in quanto essa dipenderà soprattutto dal tipo di rilevanza che verrà attribuita all’embrione. Più in là nel corso del suo sviluppo l’embrione sarà considerato persona, tanto maggiore sarà la libertà dei “genitori” di scegliere se porre termine alla sua esistenza. Oltre questa soglia, la distruzione dell’embrione (o del feto) appare ancora possibile, ma c’è il rischio che essa venga sottratta alla libertà di scelta delle persone più interessate, ovvero sia di coloro che l’hanno prodotto e deciso di avviare il suo sviluppo.

Bibliografia

 Atlan H., L’utero artificiale, Derive, Milano, 2006.

 Balistreri M., Il futuro della riproduzione umana, Fandango, Roma, 2016.  Bard S., Immaculate gestation? How will etogenesis change current

paradigms of social relationships and values?, in Gelfand S., Shook J.R. (a cura di), Ectogenesis. Artificial womb technology and the future of human reproduction, Rodopi, Amsterdam-New York, 2006.

 Mori M., Il feto ha il diritto alla vita? Un’analisi filosofica dei vari argomenti in materia con particolare riguardo a quello di potenzialità, in Lombardi Vallauri L. (a cura di), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano, 1990.

 Mori M., Manuale di bioetica, Le Lettere, Firenze, 2010.

 Mori M., Introduzione alla bioetica, Espress Edizioni, Torino, 2012.

Overall C., Rethinking abortion, ectogenesis, and fetal death, in “Journal of Social Philosophy”, vol. 46 n. 1, 2015.

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