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La villa di Poggio Reale. Decadenza e trasformazione dal XVI al XIX secolo

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(1)

Atti dell’AccAdemiA

(2)
(3)

SOcietà nAziOnAle di Scienze, letteRe e ARti in nApOli

RENDICONTI

DELLA

ACCADEMIA DI ARCHEOLOGIA

LETTERE E BELLE ARTI

nUOVA SeRie VOlUme lXXVi 2011-2013

GiAnnini editORe nApOli mmXiii

(4)

SOcietà nAziOnAle di Scienze letteRe ed ARti – nApOli AccAdemiA di ARcHeOlOGiA letteRe e Belle ARti Via mezzocannone, 8 - 80133 napoli – tel. 0815527549

l’Accademia di Archeologia lettere e Belle Arti ringrazia gli enti che hanno con-tribuito alla pubblicazione del volume:

il volume è stato curato dal Segretario, prof. Giovanni polara.

(5)

INDICE

Attività dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti

negli anni 2011-2013 pag. 7

Salvatore SettiS, Ricordo di Marcello Gigante “ 15

Note e contributi

valentina CaruSo, Sul secondo coro nelle Supplici di Euripide “ 31 DomeniCo GiorGio, Confessioni, diari e dolore nella scrittura

devozionale del Seicento “ 59

Massimo Visone, La villa di Poggio Reale. Decadenza e

trasformazione dal xvi al xix secolo “ 79

Donato De Gianni, il comandamento più importante (Mt 22, 34-40)

nella riscrittura esametrica di Giovenco (4, 38-44) “ 95 melania GiarDino, Metamorfosi di divinità e catasterismi nell’Oratio

ad Graecos 10 di Taziano “ 105

laurent Pernot, i misteri della retorica “ 121

mario PaGano, il tempietto del S. Salvatore del Clitumno e la trasformazione in chiesa di S. Angelo in Formis. Due monumenti

commemorativi della riconquista dell’italia di Giustiniano “ 131 antonella Prenner, La fisica del movimento atomico in Lucrezio “ 145 mario PaGano - uGo Zannini, Una iscrizione da Sinuessa del 540 d.

C. e un nuovo duoviro di Forum Popili “ 169

leonarDo Di mauro, La collana di storia urbana diretta da Giancarlo

Alisio: venticinque anni dopo “ 179

Carlo KniGht, il viaggio per l’italia nell’anno 1740 del padre di Goethe

“ 187

Chiara GarZya, Ortus ab Aenea tangit cognata Numina: sull’Ara

pacis Augustae “ 233

Carlo KniGht, Premesse, trattative e stesura del contratto nuziale di

(6)

Giovanna GreCo, Un ginnasio ad Elea/velia “ 347

Presentazioni di libri

a.v. naZZaro, Teodoro Studita, Catechesi - epitafio per la madre, Testo edito per la prima volta con Introduzione, Traduzione e

Indici a cura di Adriana Pignani, Napoli 2007 “ 371 a.v. naZZaro, Mario Mello, Paestum. Ricerche di storia antica,

Napoli 2012 “ 373

a.v. naZZaro, Giuseppina Pugliano, Le Accademie napoletane di via Mezzocannone. i restauri dell’antica sede e la rinascita del

secondo dopoguerra, Napoli 2012 “ 376

a.v. naZZaro, Alfredo Carannante, A Tavola tra Mari e vulcani. La gastronomia flegrea da 3500 anni, tra bioarcheologia, storia ed

ecologia, Napoli, 2012 “ 379

m. rotili, Marcello Rotili, Montella: ricerche archeologiche nel

donjon e nell’area muraria (1980-92 e 2005-2007), Napoli 2011 “ 382 m. rotili, Hugeburc di Heidenheim, vita Willibaldi episcopi

Eichstetensis. Il vescovo Willibald e la monaca Hugeburc: la scrittura a quattro mani di un’esperienza odeporica dell’VIII

secolo, a cura di Mario Iadanza, Firenze 2011 “ 385 G. Polara, Antonella Prenner, Mustione “traduttore” di Sorano di

Efeso, Napoli 2012 “ 392

G. Polara, Claudio Buongiovanni, Gli Epigrammata Longa Del Decimo Libro di Marziale. Introduzione, Testo, Traduzione e

Commento, Pisa 2012 “ 395

G. Polara, Alessandra Romeo, Orfeo in Ovidio. La creazione di un

nuovo epos, Soveria Mannelli 2012 “ 399

G. Polara, Lorenzo Viscido, Carmi latini. Raccolta e versione italiana a cura di Leonardo Calabretta, introduzione di Giacinto

Namia, Catanzaro 2013 “ 403

m. PaGano, Alessandro Pierattini, Manuale del restauro archeologico

di Ercolano, Roma 2009 “ 407

G. Greco, Atti del Convegno Ethne, identità e tradizioni: la “terza” Grecia, a cura di L. Breglia, A. Moleti e M.L. Napolitano, Pisa 2011, e G. Greco, Renata Calce, Graikoi ed Hellenes: storia di due etnonimi, Pisa 2011

“ 416

(7)

M

assiMo

V

isone

La villa di Poggio Reale.

Decadenza e trasformazione dal xvi al xix secolo

Da alcuni anni con Leonardo Di Mauro sto affrontando la ricostruzione del complesso percorso di formazione della villa di Poggio Reale1, su cui

intervie-ne Giuliano da Maiano a partire dal 1487 per il duca di Calabria, e delle sue trasformazioni attraverso l’analisi di elementi e persistenze ancora presenti sul territorio, incrociando gli esiti con la rilettura delle fonti, sulla base degli ap-porti storiografici più recenti. La storiografia si è soffermata soprattutto sulla fabbrica principale, mentre risulta ancora frammentaria e lacunosa la lettura dell’intero complesso con il parco e il giardino, dati per dispersi nel progressivo degrado che si è succeduto nei secoli.

L’individuazione del Plan des restes d’un Edifice en etat de ruine a 1½ mille de Naples, connu sous le nom de Poggio Reale nel Fondo Pâris presso la Bi-bliothèque municipale di Besançon2, ovvero della restituzione grafica eseguita

da Pierre-Adrien Pâris sulla base di un rilievo di Stefano e Luigi Gasse dei pri-mi anni dell’Ottocento, ha rappresentato un punto di riferimento importante da cui sono ripartite una serie di considerazioni per la corretta configurazione spaziale e metrica della villa aragonese, che nuove ricerche aiuteranno a com-prendere in maniera sempre più chiara3. invece, ambigua e contraddittoria è

1 La bibliografia su Poggio Reale è molto vasta ed eterogenea; pertanto si rinvia

ai più recenti: Quinterio 1996, pp. 438-469; Beyer 1998, pp. 453-456; Beyer 2000, pp. 137-145, oltre ai testi citati nelle note a seguire.

2 Cfr. Lenza 2004; toscano 2005; Lenzo 2006.

3 Ulteriori approfondimenti e nuovi apporti sulla villa sono avvenuti in recenti

comunicazioni e in pubblicazioni in corso di stampa. Nell’ambito della conferen-za internazionale Vitruvianism: its origins and transformations (Berlin, 14-16 luglio 2011) è la comunicazione di Leonardo Di Mauro, Vitruvius and the suburban villa concepts in the fifteenth century, a cui fanno seguito gli atti in corso di pubblicazione, con un mio contributo su The Villa of Poggio Reale in Naples: transformations and persistences. Più recenti sono le comunicazioni di Leonardo di Mauro (Per un recupero archeologico della Villa di Poggioreale), Paola Modesti (Poggioreale restituita: nuove acquisizioni e ricerche) e Massimo visone (Il giardino di Poggioreale: declino e perimetrazione) nell’ambito del seminario Nuove ricerche sulla villa di Poggioreale (Napoli, 26 aprile 2012) e ancora quella di Paola Modesti, Alberto Sdegno e Dimitrij Pozar (Le delizie ritrovate. Poggioreale e la villa del Rinascimento nella Napoli aragonese) nell’ambito della giornata di studi Architettura in Italia fra Quattrocento e Cinquecento (venezia, 9 maggio 2013). Tra le pubblicazioni

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80 Massimo Visone

stata l’analisi critica della villa durante il corso del Novecento, un secolo in cui la storiografia ha considerato l’opera ‘scomparsa’, in anni non sempre precisa-ti, talvolta situandola malamente sul territorio immediatamente fuori la cinta daziaria della città.

in realtà, già nel 1862, Giuseppe Fusco, «non con animo di ripetere il già conosciuto, ma di raddrizzare i giudizi di altri che mi sono sembrati falsi, o di dare notizie a niuno note», dichiarava che a quella data il palazzo «benché ora è del tutto rovinato, mostrava nondimeno a memoria dei padri nostri, qualche cosa della sua pristina real magnificenza»4, ma, ripeteva più avanti, «che ai

no-stri giorni, tranne pochi ruderi, non vi sieno rimaste se non le sole fabbriche sotterra»5. È Roberto Pane però che, nel 1977, rinveniva «alcuni resti della villa

– fra i quali due piedistalli di lesena in pietra serena – nello spazio di un cortile abbandonato»6 e da lui riferiti alla loggia sulla peschiera, ma oggi sappiamo

che sono tre e appartenenti alla cosiddetta venezia7, più «qualche superstite

ambiente sotterraneo, nella cui copertura a volta si legge la forma della incan-nucciata che servì a definire l’intradosso»8, probabilmente delle cantine

coin-cidenti con quelle ‘fabbriche sotterra’ anzidette. Poi, Pane annota l’esistenza di «qualche altro frammento in pietra serena ed un semplice portale in piperno, a tutto sesto (appartenente verosimilmente ad un’aggiunta posteriore) [che] com-pletano l’insieme degli elementi», riconoscibili senza il sussidio «di uno scavo sistematico»9.

Ripercorrendo le tappe principali che hanno portato alla decadenza e alla rovina di Poggio Reale, attraverso la rilettura critica di alcuni documenti d’ar-chivio, si è inteso indagare sullo stato della villa dalla fine del regno aragonese fino a individuare con maggiore precisione alcuni elementi e alcune persisten-ze, in particolare del giardino e del contesto ambientale, all’interno dell’odierno tessuto urbano.

Lo schizzo-rilievo abbozzato da Baldassarre Peruzzi10 nel suo soggiorno a

Napoli verso il 1523 è al momento la prima testimonianza grafica dell’opera, oltre a documentare la fama che aveva raggiunto tra gli architetti coevi e la dif-ficoltà a reperire fonti illustrate, oltre alle numerose descrizioni che circolavano attualmente in corso di stampa: Di Mauro 2013; MoDesti 2013.

4 Fusco 1863, p. 205. 5 Ibid., p. 233. 6 Pane 1977, p. 50. 7 Cfr. Di Mauro 2013.

8 Ibid., p. 51. Cfr. anche Pane 2004. 9 Pane 1977, n. 44, p. 72.

(9)

81 La villa di Poggio Reale. Decadenza e trasformazione dal xvi al xix secolo

negli ambienti letterari. il disegno, pur nel tratto rapido tipico di un appunto, mostra il complesso architettonico e parte dei giardini a una data in cui questo era ancora chiaramente visibile nella sua forma compiuta e più prossima alla sua realizzazione. A ciò si aggiunga il modello ideale raffigurato nel 1540 nel terzo libro di Sebastiano Serlio, attraverso il quale Poggio Reale è diventato ce-leberrimo, sulla base della descrizione che Marc’Antonio Michiel fece al tratta-tista, che mai ne vide le strutture. Due diversi documenti risultati fondamentali per avanzare le numerose ipotesi di restituzione grafica e architettonica della villa rinascimentale.

Prima di procedere a un excursus storico sul processo che ha portato alla ‘perdita’ di Poggio Reale, si sottolineano due considerazione che hanno varia-mente condizionato gli studi: da un lato quanto «la reale originalità espressiva della villa aragonese è stata infatti ‘rimossa’ a vantaggio di una pura astrazione culturale»11, dall’altro la damnatio memoriae della sua sopravvivenza, con la

re-lativa difficile localizzazione in situ.

in tal senso, sulla base delle fonti note, andrebbe rivista l’immagine del com-plesso come quella di un’opera a fundamentis, unitaria e moderna, tipica del Ri-nascimento fiorentino, mentre andrebbe evidenziata «una visione dell’architet-tura largamente autonoma e una volontà creativa marcatamente individuale»12

propria dell’ambito napoletano, contrassegnata da una incisiva presenza della committenza durante la realizzazione e da un significativo legame con l’Antico, e con le preesistenze più in generale, dell’ambiente culturale locale.

infatti, come è noto, diverse preesistenze influirono tanto sulla scelta del sito quanto sull’impianto irregolare del complesso, ovvero la presenza di di-versi corsi d’acqua, come lo Sbauzone, il Fosso Reale e altri canali di bonifica, l’acquedotto romano della Bolla13 e un palazzo del Dogliolo, eretto nel 1457 per

Alfonso il Magnanimo, il cui nome evoca la presenza di una cisterna (dal lati-no dolium). Se lati-non è sicura la persistenza dell’edificio e della vasca nei pressi della costruzione, è certo che il 3 agosto 1485 il duca di Calabria era «a la sua massaria la quale nouiter hauea comprato ad ogliuolo: ibi collationauit»14, una

proprietà vicina ai terreni di spettanza reale. Ma, ancora di più, sappiamo che il 20 novembre 1484 già vi lavorava un certo Troilo de Ricca, un impresario adoperato per opere di adattamento che poi sarà impresario di Poggio Reale15.

11 Pane 1977, pp. 55-56. 12 Beyer 1998, p. 445. 13 Cfr. FienGo 1990. 14 LeosteLLo 1883, p. 64. 15 Barone 1884, p. 636.

(10)

82 Massimo Visone

il 17 febbraio 1487, Alfonso d’Aragona «comincio a dare ordine a fare fabri-ca et mando per messer Juliano designatore a fiorenze»16 il primo incarico, da

cui si deduce che un primo scambio con Giuliano da Maiano doveva già essere avvenuto in precedenza, così come sappiamo che questi era stato a Napoli i pri-mi di marzo 1485, forse per Porta Capuana. Un progetto diverso dalla moder-na architettura promossa da Lorenzo il Magnifico, come attesta il disegno del palazzo presentato da Giuliano da Sangallo a re Ferdinando nel 148817. infatti,

alla complessa articolazione spaziale del palazzo dell’architetto di Poggio a Ca-iano18, si contrappone un edificio tanto stereometrico quanto lineare e arioso,

che evoca masserie fortificate e complessi turriti19. Una dimensione arcaica che

si rispecchia non solo appunto nella sua forma turrita, ma anche nell’uso deco-rativo di spolia romane, secondo una tradizione ancora viva nel Regno, come documentano le colonne che erano state «trovate per Napoli»20 e trasportate nel

cortile nel marzo 1488, pur con l’impiego di maestranze fiorentine.

il processo di lento abbandono della villa del duca di Calabria prende avvio ben presto, già nel 1495, con l’accampamento delle truppe francesi e il soggior-no a Poggio Reale di Carlo viii21, quando poi al suo rientro in Francia porterà

ad Amboise, tra i vari artisti italiani, anche il giardiniere napoletano, Pacello da Mercogliano22 e diversi altri oggetti. inizia così per la villa, teatro di

nume-rosi conviti celebrati nelle Effemeridi di Leostello, un nuovo destino nel corso del Cinquecento, grazie proprio alla sua posizione e alla sua conformazione: acquartieramento delle truppe all’assedio di Napoli, residenza di governatori stranieri e foresteria d’eccellenza.

Tutta la zona compresa tra la villa e la costa faceva parte della tenuta ara-gonese, includendo molti terreni privati e diversi mulini, che Alfonso non man-cava di andare a visionare di tanto in tanto durante le battute di caccia o a controllare dopo forti piogge, ma il cui prezzo non venne mai pagato. infatti, dai primi studi documentali di Fusco, poi approfonditi da Antonio Colombo23,

sappiamo che il giovane Ferrandino, al suo rientro, si trova a rendere a Eliseo Raimo una prima masseria, a cederne altre tre e una parte del parco «ubi

de-16 LeosteLLo 1884, p. 132. 17 Cfr. Brothers 2005.

18 Sull’argomento cfr. Burns 2012.

19 Seppure influenzato dalla restituzione di Serlio, una prima considerazione in

tal senso è in hersey 1969, pp. 68-69. Cfr. anche KiBy 1995.

20 Cit. in ceci 1904, p. 786. Sulla cultura architettonica a Napoli nel

Quattrocen-to, cfr. De DiVitiis 2007; rotoLo 2008; raGo 2012.

21 Cfr. PercoPo 1926. 22 Cfr. zecchino 2003. 23 Cfr. coLoMBo 1885.

(11)

83 La villa di Poggio Reale. Decadenza e trasformazione dal xvi al xix secolo

tinebatur cervis, fabricis et muris circumdata»24 ad Alfonso Piscicello a saldo

di un vecchio conto e vendere ulteriori due masserie e altre terre di pertinenza della tenuta a Pietro de Carnago, iniziando quindi una prima parcellizzazione del bosco che giungeva a mare. Dopo il 1496, re Federico vende una casa e una masseria a Berlingiero Carafa, alcune terre a Niccolò Ambrogio Pagano e il gran giardino ad Antonio Rota. infine, prima dell’età vicereale, la villa sarà la residenza di Étienne de vesc, siniscalco di Beaucaire e governatore del Regno di Napoli nel 1501, che affida il 12 settembre a Raimo d’Ambrosio l’incarico di rivendicare quanto era stato precedentemente sottratto e di attuare opere di riparazione e di governo delle stesse proprietà reali25.

Durante i subbugli popolari del 1502, la villa priva di parte del parco non do-veva aver subito ancora gravi danni se Gonzalo de Córdoba, fermatosi a Poggio Reale al suo arrivo a Napoli, vi riceve le chiavi della città il 16 maggio 1503. il Gran Capitano pare curare egli stesso alcuni interventi e vi svolge cerimoniali di corte, ospitando l’ambasciatore dei Turchi il 28 maggio 1504 e tenendo un convito per Antonio di Cardona e Carlo d’Aragona il 25 agosto 1506. Solo nel 1522, con la morte del viceré Ramón Folch de Cardona, a cui si deve un inter-vento sull’acquedotto a monte della villa, si conclude un primo ciclo di vita del vastissimo parco con la chiusura dei «vivaria seu nimpharia quae vulgo dicun-tur li sguazadicun-turi de acqua sunt constructa intus et foris Neapolis a 25 annis […] pro beneficio publico»26, dopo che diversi privati avevano finalmente ottenuto

la restituzione dei terreni occupati a suo tempo da Alfonso e nel momento in cui Peruzzi eseguiva il suo schizzo.

Di particolare interesse sono le vicende relative all’antico acquedotto della Bolla, parzialmente distrutto nell’estate del 1528 da Odet de Foix, visconte di Lautrec, durante l’assedio di Napoli e alloggiato a Poggio Reale. Le fonti che testimoniano il lento declino delle strutture di approvvigionamento idrico della capitale sono numerose e consentono di ricavare dati poco noti sullo stato di conservazione dei giardini della villa durante il governo vicereale. villa sempre mirabile e luogo di eccellenza, come dimostra il banchetto offerto a Carlo v in questi giardini prima del suo ingresso a Napoli nel 1535.

Dopo un lungo silenzio, in cui al momento non è rinvenuta alcuna docu-mentazione su Poggio Reale, sappiamo che nel 1556 è donato da Filippo ii a

24 Ibid., p. 207. Per la documentazione sulle cessioni citate a seguire vedi ivi, nn.

1-3, p. 207 e nn. 1-4, p. 208.

25 Cfr. coLoMBo 1884, pp. 568-569. Sul governatore francese morto a Napoli il 6

ottobre 1501, cfr. De BoisLisLe 1884, p. 202.

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84 Massimo Visone

Bona Sforza27, nipote di Alfonso ii d’Aragona e regina di Polonia. L’anno

suc-cessivo, alla sua morte, il palazzo e il viridariorum podii regalis, che dava ap-punto nome alla villa, tornarono in possesso della regia corte e vennero ammi-nistrati da un governatore, Francisco Diaz, come attesta l’atto di consegna del 12 dicembre 155728.

il 22 febbraio 1570, il viceré Pedro Afán de Ribera, nel rinnovare il bando del 1552 di Pedro de Toledo, relativo all’interdizione di «destri, latrine, e sepolture vicino detto formale» della Bolla e all’eliminazione di alberi nei suoi pressi, ri-corda tra l’altro che nei giardini di Poggio Reale si verificavano «molte fraudi nel pigliare l’acqua soverchia [il corsivo è mio] et darla alla molina», ovvero quella conservata nelle vasche, che alimentava i mulini sottostanti o, alla biso-gna, le fontane secondo un sistema di vasi comunicanti, il cui flusso delle acque era regolato da una tavola29.

il duca d’Alcalà teneva particolarmente a cuore la proprietà regia, come di-mostra l’apertura della nuova strada che conduceva a Poggio Reale, rettificando l’antico percorso realizzato dallo stesso Alfonso d’Aragona. Nel 1569 si assegna il governo della villa al marchese di Lauro, Scipione Pignatelli, a cui rimase fino alle soglie del Seicento, dopo la negativa conduzione dal 1558 del marchese di Oriolo, Marcello Pignone. Nel 1571 il viceré si attiva per impedirne una vendita, così come era stata avanzata dallo stesso Filippo ii, il quale aveva saputo che la fabbrica principale era «muy maltractada y terminos de caerse». Dalla rilettu-ra della consulta, risulta che per distogliere il re fu fatta memoria che «essen-do questa casa la maggiore, et la più principale, e più nobile di questa città la quale sen fu fatta con ottantamila ducati»30, qui furono ospitati di recente Don

Giovanni d’Austria di ritorno da Lepanto e altre persone reali. A quella data, va ricordato che l’edificio principale conservava ancora visibili «sulle mura di fuora […] un’artificiosa pittura la guerra dei baroni»31, mentre le stanze interne

mostravano le pareti dipinte «d’un oltramarino finissimo, senza risparmio»32

fino quasi al 1716. Ma al duca d’Alcalà fa capo un’interessante relazione stila-ta nel 1574 da Benvenuto Tortelli per una Consulstila-ta della Regia Camera della Sommaria.

27 Cfr. Bona Sforza 2000. 28 Cit. in coLoMBo1885, p. 317.

29 Sull’argomento v. anche eDeLstein 2004.

30 asna, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Consultationum, volume Viii,

fogli 189v e 190 v, Consulta del 4 dicembre 1571.

31 De FaLco 1549, cit. in coLoMBo 1885, p. 200. il dipinto è ancora citato in con

-tarini 1569, P. 10.

(13)

85 La villa di Poggio Reale. Decadenza e trasformazione dal xvi al xix secolo

Senza volersi addentrare nella discussione anteriore alla recente pubblica-zione del disegno di Pâris, piace citare nuovamente il documento che Franco Strazzullo trascrive parzialmente nel 196333. Nella consulta è una breve

descri-zione della proprietà e dello stato dell’edificio principale, che consente di fare alcune inedite osservazioni in merito al complesso primitivo.

infatti, nella perizia citata da Strazzullo, si legge che «ne lo intrare de la por-ta grande di detto loco, et giardino ci è uno scoverto con due ali, con corritori circum circa. Appresso era cortiglio, et a le quattro finestre di quello nce sono cancellate di legno et non porte, nemeno nce sono porte a le vinti fenestre che stanno di sopra li decti corritori, ne intempiature.

Et che li quattro cammaroni sono ali fianchi di dicto cortiglio stanno mal-tractati, et minacciano gran ruina per esserno al cielo di essi alcune senghe, et crepature trapilandone acqua quale viene da li cameroni, et appartamenti di sopra causatosi da le fenestre tanto di dicti cameroni como retretti di essi che stanno senza porte et anco da lo esserno in parte scoverti et guasti li tecti di dicti appartamenti di sopra quali cameroni, et stantie stanno anco malctracta per essernoci scricte infinite bructure et parole dishoneste et carboni ale faccie et picture sono in essi.

Et nel giardino per la strada si va alla fontana dellaquila, si sono trovati li bastimenti dove stanno intessute le cetrangole, et le lemoncelle rocti, et fracas-sati che alcune parti sono rapezati et cannuccie, et cosimile si e ritrovato cami-nando per insino ala fontana deli pieczirilli, che appare de necessitate haverno subito de bisognio di renovatione, et abascio verso lo appartamento facto per don Pietro de Toledo [il corsivo è mio] ce mancano ale finestre molti ferri, et alle pergole ci stanno spalatroni in loco destanti, et in molte parte li tecti di decto appartamento sta per cascare, et anco lo ballaturo de ligname che e alo saglire, perché e vecchio, et fracido, et cosi anco la porta per dove si entra alo correturo, et sta senza chiavatura, et le sette finestre del correturo grande dove sono affisse le arme del imperatore sono senza li portecelli, et a la logietta appresso la logia grande seu correturo alle mura ci sono infinite bructure et scritte con carboni di parole dishoneste et infami al simile di taberne, et di sotto di detta logietta a le tre finestre, non ci sono porte, et a la pischera piccola detta la venetia verso la strada ci e una logia coperta che nci mancano li ballaturi in tre parti, et la intempiatura di sopra e guasta, et nce mancano tabole, stando in terra molto sotto, dimostrando essernonci stati bovi, et nellaltro ballaturo ci manca tutto intero uno ballaturo, et alli tre altri ci sono li balaustri, pero ncene mancano

(14)

86 Massimo Visone

cinque, stanno molto sotto interra, et sfossicato, et al scendere di detta pische-ra ne mancano ballaturi, et balaustri stando l’acqua putrida per non correre, et perche l’acqua che piove alasala dele case stanno fora affronte di detto loco di pogio reale, che sono di esso loco dove si fala taverna, trapila allaltra sala di sot-to et che percio hanno di bisogno di accomodatione, talche detta casa, et loco ha di bisogno di grandissima reparatione»34.

Seguendo la lettura del documento sul disegno di Peruzzi, osserviamo nu-merose corrispondenze sia nella numerazione delle aperture che nella distri-buzione degli spazi, come ad esempio l’indicazione dell’ingresso principale di Poggio Reale posto in testa al lato breve del corpo di fabbrica principale.

Due sono i dati che emergono con significativa novità dal documento, da brani che Strazzullo non trascrive e che, quindi, non sono mai stati oggetto di rilievo. Per quanto riguarda la proprietà, all’inizio della consulta si dice che «la taberna et case che sono in frontespizio del loco di pogio reale» appartengono alla villa. Si intendono alcuni fabbricati sull’altro fronte della strada e, quindi, bisogna allargare il perimetro relativo alle pertinenze della villa e, di conse-guenza, aprire la lettura dell’opera a un contesto più ampio di quello finora con-siderato. Appare evidente a questo punto che quel «corso» segnalato da Peruzzi sia l’ippodromo ove Alfonso si recava di frequente a cavalcare con i suoi ospiti, su cui si affacciavano la villa e altre strutture a monte, servito verosimilmente da un accesso secondario. Da quanto detto, è possibile ipotizzare che la strada che Alfonso realizza avesse come suo termine naturale ed esclusivo il Poggio Reale, mentre è solo con il duca d’Alcalà che veniva prolungata la strada pubbli-ca, fino a diventare una felice passeggiata nel corso del Seicento. Quello che era oramai uno dei diporti preferiti dai napoletani fu abbellito nel 1604 dal duca di Benavente, che lo impreziosì con fontane e nuovi alberi, mentre la villa arago-nese era divenuta una meta affollata, come si osserva nel dipinto di Codazzi e Gargiulo nel 164135.

Allo stesso tempo, il documento ci informa che nella villa, verso la loggia sulla peschiera era l’appartamento fatto per il viceré, come è ripetuto in un passaggio successivo: «vicino la loggia facta per lo quondam illustrissimo Don Pietro di To-ledo nelo discoverto dove già era fatta un’altra». Da cui si evince che questi inter-venne sulla villa, presumibilmente prima della realizzazione del palazzo vicereale verso il 1540, rifacendo la nota loggia rinascimentale sull’antica peschiera.

34 asna, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Consultationum, volume V,

fogli 85r-95r, l’ultimo foglio risulta mancante già alla lettura di Strazzullo. Le citazi-oni a seguire fanno tutte riferimento alla medesima Consulta.

(15)

87 La villa di Poggio Reale. Decadenza e trasformazione dal xvi al xix secolo

Diverse sono state le opere di restauro o di ristrutturazione di Poggio Re-ale che hanno lentamente alterato l’aspetto originRe-ale del complesso, come ad esempio la scultura dell’aquila imperiale posta in età vicereale sulla fontana al centro del giardino quadripartito del poggio antico, la cui sistemazione evoca il belvedere sul giardino pensile del Palazzo Ducale di Urbino.

Un disegno in un manoscritto presso la Biblioteca Nazionale di Madrid36,

ri-feribile al 1610 circa, mostra in dettaglio il percorso di attraversamento dell’ac-quedotto nella villa prima di dividersi in due rami: uno proseguiva per la città e l’altro per i mulini delle paludi. Tracciato che è poi confermato dalla mappa del duca di Noja del 177537, in cui è riportato il percorso dell’acquedotto,

partico-lare non ancora osservato dagli studi sulla cartografia. Un dettaglio che attesta la cura del rilievo operato della pianta settecentesca, restando tuttora la fonte antica più attendibile per la nostra ricostruzione.

Per quanto riguarda il tronco dell’acquedotto che attraversa il complesso aragonese, risulta di notevole interesse il documento pubblicato da Fiengo38,

relativo a una trascrizione anonima del 1812 di alcuni fogli da libri del Tribu-nale della Fortificazione e da altri documenti, perduti durante l’ultima guerra. Tra questi è la relazione Tra il contenuto nella descrizione del Regio Formale fatta da Alessandro Ciminiello nel 1626, vi è ciò che siegue, ricavata dalla Platea delle Acque del 1498 e conservata presso l’Archivio Storico Municipale di Napoli.

L’acquedotto giungeva alla tenuta dotato di «suolo fatto con astraco» ed en-trava «dentro Poggio Reale, dove si dice la carriera» ed era a cielo aperto, come si può osservare nella veduta di Baratta del 162939. All’interno della villa, l’acqua

subiva un’ulteriore decurtazione, perché, attraverso tre tubi serviva altrettante fontane «sotto la loggia» per poi passare «alle fontane al incontro di esse sotto le grade». Si staccavano poi altri tre tubi: il primo «detto del isola» alimentava le macine del mulino degli Olivetani, presso il muro meridionale della villa; il secondo portava l’acqua «al Tinello del Palazzo di d.o Poggio»; il terzo passava «per dove va l’acqua al Cavalletto, che passa alla fontana de la Corona, che sta in mezzo d.o giardino delle cetrangole». infine, dalle fontane sotto la loggia, l’acqua «si unisce e gionge con l’acqua, che nasce dentro d.o luogo, che si dice de la venezia, et insieme vanno al Mulino del Brancazziello». All’esterno, l’ac-quedotto ritornava sulla strada, più o meno all’altezza della cosiddetta taverna

36 Cfr. Montuono 2002.

37 Cfr. De seta 1969; Civiltà del ‘700 a Napoli 1980. La migliore riproduzione della

pianta è in Mappa topografica della città di Napoli 2003.

38 Cfr. FienGo 1990, a cui si fa riferimento per il dettaglio dei mulini nel testo. 39 La migliore riproduzione della pianta è in De seta 1986. inoltre, sulla pianta

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di Poggioreale, da cui derivava un altro tubo, che «fa la fontana delle peccirilli al cantone del Palazzo»; al centro della strada vi era un pozzo, «nel quale si de-via l’acqua del Formale quando si vole annettare». Lasciando la strada, il canale ora interrato attraversava la «massaria intitolata del Re, dove sta il Palazzo, o Casa del Arcucci»; qui, presso «certi piedi di pigne», proprio sul fondo del con-dotto, era innestata una chiave d’arresto, che serviva ad alimentare il mulino del ‘Guindazzo’, costruito nel 1505.

Lungo il fosso Sbauzone, altri tre mulini erano collocati in prossimità della villa di Poggio Reale: il mulino ‘dell’Armi’, il ‘Brancacciello’ e quello degli Oli-vetani. il primo nel 1746 era in possesso del barone Onofrio Cassetta, mentre il secondo era a ridosso del muro meridionale della tenuta, in fitto a Gennaro Baino nel 1737, che usufruiva dell’acqua della venezia, come attestano le fonti cinquecentesche e seicentesche. Quello del monastero di Monteoliveto è tra i più antichi allora esistenti ed era rifornito dalla canalizzazione della Bolla, se-condo un privilegio concesso nel 1496 da Ferdinando ii a Lanzalao Mormile, primo proprietario.

Alcune proteste furono mosse ai responsabili del mulino del monastero di Monteoliveto, i quali avevano sostituito la vecchia conduttura sottostante la te-nuta reale con una nuova di sezione maggiore, probabilmente in sostituzione di quel formale che consentiva i giochi d’acqua. inoltre, quanto il sistema di irro-razione fosse gestito malamente è documentato dallo stesso Lettieri che trovava esagerato che «le fonte nove fatte per N.S. Marchese di Lauro, et anco quell’una vecchia nominata del serpe» zampillassero sempre, invece che «quando venes-se in poggio reale alcuna persona di qualità come venes-se faceva prima».

Del 1617, raccontano le cronache, è lo spettacoloso convito che don Pietro Giron, duca di Ossuna, organizzò per diecimila persone, con i nobili a pranzare nel casino, mentre i giardini erano apparecchiati per il ’popolo’. infine, prima che dal 1644 la peschiera smette di essere riempita d’acqua, il duca Medina de las Torres organizzò un festino presso il bagno grande, ove la corte su dieci va-ghissime e ben adorne barchette si dilettò alla pesca.

Carlo Celano40, che proprio intorno al 1644 aveva visto ancora intatte le

tor-ri, le logge, le colonne marmoree, le statue, le pitture del palazzo e i giardini ancora adorni di ricca vegetazione e abbelliti dalle fontane, ci informa che dopo 45 anni, ovvero dopo i moti di Masaniello, la peste e il terremoto del 1688, Pog-gio Reale non era più quella di prima. Le pitture di fuori apparivano divorate dal tempo, quelle delle stanze superiori, ricostruite ex novo, erano state

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se o scialbate, e appena nel piano inferiore se ne scorgevano alcune degne di visita. Mentre delle immagini a mezzo busto in terracotta, spezzate o distrutte a colpi di schioppo nel 1647, avanzavano solo i rottami; e le fontane tramanda-vano acqua alla buona «e i giuochi d’acqua erano tutti andati via essendo stati dall’indiscreta avidità d’alcuni tolti i condotti di piombo che stavano sotterra». Allo stesso modo era sparito il boschetto «ceduto a diversi» e dentro al giardi-no «giardi-non si vedeva più negli alberi d’aranci, se giardi-non quello che li dà la natura, perché l’arte aveva lasciati di coltivarli». infine, segnala che si vedono «alcuni casini che sono stati dei cacciatori regi come si è ricavato da alcuni istrumenti in tempo degli Aragonesi in occasione di vendita».

in tali condizioni, agli inizi del Settecento, il re di Spagna dona il palazzo e il giardino al duca di Campomele di casa Miroballo, che pensò solo a cavare una rendita dai suoli e dal rifornimento idrico ai mulini circostanti. Nel 1776, Carletti osserva oramai «che tutto era andato a male, e appena si scoprivano le posizioni delle antiche lodevolissime cose»41; mentre nel 1789, Sigismondo dice che il

pa-lazzo era «totalmente diruto, ed appena se ne veggono delle antiche vestigia»42.

il 24 ottobre 1734, cinque mesi dopo l’insediamento di Carlo di Borbone sul trono di Napoli, Montealegre, marchese di Salas, in qualità di segretario di Stato, diede ordine di disporre affinché l’ingegnere Simon Poulet de Monfoison potesse realizzare un progetto di «Stagno reale per uso di caccia»43 di uccelli

acquatici presso Poggio Reale nell’area del Pascone, di proprietà della Certosa di San Martino, dove il re potesse dar sfogo alla sua passione venatoria. Lo sta-gno, non realizzato e di cui esistono due disegni44, era da collocarsi sulla

«stra-da, che dall’angolo di detto Palazzo di Poggio Reale guida sino al Molino detto del Capece, che sta nel cantone del Pascone». La grande vasca mistilinea, delle dimensioni poco superiori a quelle di un campo di calcio, risultava così in asse con il giardino sul poggio rinascimentale, contribuendo a recuperare un dialo-go visivo con il complesso aradialo-gonese, di cui evoca le forme della vasca grande, pur se non direttamente dichiarato nelle relazioni dei tecnici.

L’attenzione al rinascimentale Poggio Reale di Alfonso d’Aragona risulta an-cora viva in Ferdinando iv, quando fa includere nel Servizio dell’Oca alcune

ve-41 carLetti 1776, p. 340.

42 siGisMonDo 1789, ed cons. a cura di Lauro M.P., p. 14, consultabile su <http://

www.memofonte.it/home/files/pdf/SiGiSMONDO_iii>.

43 asna, Pandetta miscellanea, fascio n. 34, fascicolo 22, ff. 1-18: Scritture per il

Stagno ordinato da S. Maestà, Dio Guardi, nelle Padule di questa Città per uso di cac-cia per servizio della Sua Reale Persona sito nel Pascone delli RR.di PP. della Certosa di Napoli passato il Ponte Reale, cit. in FienGo 1990, pp. 139-143.

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90 Massimo Visone

dute relative alla villa e al territorio, in cui risultano visibili interni ed esterni del complesso, nonché il tratto a giorno dell’acquedotto, più un rudere romano nella campagna vicina (un dolium?), non tutti emersi alla vista degli studi più recenti45.

i numerosi disegni relativi a protesti e perizie nei limitrofi terreni delle palu-di delineano con particolare dettaglio le strade, gli alvei e i mulini circostanti la villa alla fine dell’Ottocento. in particolare, i suoli interessati erano le paludi che appartenevano alla Mensa Arcivescovile, ai signori vincenzo de Monte, volpicelli e qualche altro. in particolare a ridosso della vecchia linea ferroviaria Napoli-Caserta era il «Lago di Buonocore» e, più a occidente, un casamento con giardino e un mulino dello stesso proprietario. il complesso fu espropriato nel 1778 dal Real Corpo di Artiglieria e adattato a Reale Ferriera, la quale venne soppressa il 4 novembre 1859, dopo essere stata trasformata in fabbrica d’armi portatili nel 1833, e quindi rilevato dalla famiglia Guida per la realizzazione di ‘stoviglie’46.

il tracciato ferroviario realizzato nel 1843, l’abbandono dei mulini per l‘in-dustrializzazione dell’area orientale e le opere del nuovo Camposanto saranno tra le principali cause della modifica dei corsi d’acqua nelle paludi e del defini-tivo declino della villa di Poggio Reale. Le numerose infrastrutture realizzate nelle paludi durante l’Ottocento contribuirono a sconvolgere il locale e antico equilibrio idraulico dell’area. Tra i primi interventi si ricordano l’alveo comune dei torrenti di Pollena del 1824, le due strade ferrate per Caserta-Capua e Ca-stellammare, la rettifica della strada da Poggio Reale allo Sperone.

A migliorare l’odierna conoscenza dell’area posta immediatamente a sud della villa di Poggio Reale e percorsa dai ‘fiumi’ Ferriera e Reale, concorre un progetto di ignazio Rispoli del 1843. il disegno richiama l’attenzione non tanto per i lavori di bonifica preventivati, quanto come accurato rilievo di un ampio settore delle Paludi di Poggio Reale, ormai sconvolto dalle sistemazioni in cor-so in questa area cor-soggetta a un’intensiva industrializzazione. Quasi al centro campeggiava il cosiddetto «mulino di Bonaventura», già da diversi anni in stato d’abbandono, unitamente al lagno che lo alimentava e che confluiva al «ponte affogato». Più a est, i terreni erano ricchi di «sorgive», incanalate in altrettanti alvei, i quali si innestavano a pettine su un maggior lagno, anch’esso indiriz-zato verso «ponte affogato». Tutta l’area ubicata a sud-est del suddetto canale, denominata «Acque stagnanti», era «un basso fondo, il quale nella stagione

45 Cfr. Quinterio 1999. Sulle raffigurazioni nel servizio, vedi Vedute di Napoli

1995.

46 Cit. in ruBino 1978, pp. 201-210. vedi anche il regio decreto n. 1825 del 1

lug-lio 1813, con cui viene dato un terreno ai Buonocore per rilevare definitivamente le acque dalla ditta allora fallita. Per un contributo esaustivo sulla Ferriera di Poggio Reale cfr. Parisi 1998, pp. 35-37.

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invernale ed in primavera resta per molti palmi d’altezza coverto dalle acque, e nello spogliarsi dalle medesime rimane quella regione frastagliata da un consi-derevole numero di fossetti in diversi sensi e direzioni». Un tempo essa era in soddisfacente condizione idraulica, grazie all’esistenza di una fitta rete drenan-te; ma poi l’equilibrio si era rotto, «per la modifica apportataci dai proprietari precedenti al sig. de Monte, sotto il fallace scopo di guadagnar la parte di suolo occupata dalla» detta rete.

Nota presentata dal Socio ordinario Leonardo Di Mauro nella tornata del 9 novembre 2011

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