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Studio fisiologico e agronomico su specie alofite coltivate in idroponica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione

degli Agroecosistemi

Studio fisiologico e agronomico su specie alofite

coltivate in idroponica

Candidato:

Antonio Bindi

Relatori:

Chiar.mo Prof. Alberto Pardossi

Anno Accademico 2019-2020

Correlatore :

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III

Dichiarazione

Con la presente affermo che questa tesi è frutto del mio lavoro e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da un'altra persona né materiale utilizzato per l’ottenimento di qualunque altro titolo o diploma dell'università o altro istituto di apprendimento, a eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo. Antonio Bindi

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INDICE

1 INTRODUZIONE

1.1 La salinizzazione e la sfida alimentare attesa per il 2050

1.2 Le piante alofite: descrizione e classificazione

1.3 Strategie di adattamento alle condizioni saline esercitate dalle alofite

1.4 Le dinamiche di assorbimento del cloruro di sodio nelle alofite

1.5 Le alofite come alternative alle colture tradizionali

1.6 Le alofite nell’alimentazione umana

1.7 Le alofite come foraggi per animali

1.8 Alofite come colture proteiche e oleaginose

1.9 Fitodepurazione con le alofite

1.10 Alofite per acquaponica

2 Parte sperimentale

2.1 Scopi della tesi

2.2 Disegno sperimentale

2.3 Materiali e metodi

2.4 Risultati

 Esperimento con B. vulgaris var. cicla  Esperimento con Beta vulgaris ssp. maritima  Esperimento con Salicornia europaea

2.5 Conclusioni

3 Bibliografia

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1) INTRODUZIONE

1.1 ) La salinizzazione e la sfida alimentare attesa per il 2050

La popolazione umana raggiungerà i 9.1 miliardi entro il 2050 e la produzione di cibo dovrà crescere del 70 % per sostenere tale incremento (FAO., 2011). Questo richiede un aumento delle rese agricole annuali di 44 milioni di tonnellate per i prossimi 40 anni (Tester and Langridge., 2010). La difficoltà della sfida è acuita dalle nuove condizioni imposte dal cambiamento climatico, che provocheranno un aumento nella frequenza e nella severità di fenomeni legati allo stress idrico (Setter and Waters., 2003). All’interno della vasta rosa di cambiamenti che minacciano l’agricoltura che verrà si colloca la salinizzazione, processo con cui s’intende l’incremento di sali totali disciolti nel terreno e nell’acqua dovuto sia a fenomeni naturali (salinizzazione primaria), che antropogenici (salinizzazione secondaria) (Ghassemi et., al 1995). I terreni interessati da salinizzazione coprono approssimativamente il 7% della superficie terrestre e quelli che presentano eccessi di sodio sono addirittura più diffusi (Flowers et al., 1997)( Fig.1).

La salinizzazione secondaria è dovuta in larga misura all’impiego di acque salse o di bassa qualità e alla rimozione di foreste per fare spazio alla coltivazione di foraggi e alla pastorizia. (Lambert and Turner., 2000; Barrett-Lennard., 2002). Su una scala globale i terreni irrigui rappresentano il 15% dei terreni coltivati e producono 1/3 del cibo totale (Munns., 2005) di questi l’11% sono interessati dalla salinizzazione (FAO., 2012). Il tasso di espansione del fenomeno è particolarmente allarmante in Bangladesh dove ha raggiunto 1 Mha di estensione (Hossain., 2010), India 7 Mha (Vashev et al., 2010) e Pakistan 3-6 Mha (Vashev et al. 2010; Qureshi et al., 2008). Tuttavia, non sono solo i paesi più poveri a soffrire questo problema, ma anche quelli più economicamente sviluppati (Yensen., 2006). Un’indagine condotta in Australia nel 2002 dimostra che 2 Mha di terreno agricolo manifestano segni di salinità e di questi quasi 820.000 ha sono stati giudicati a tal proposito inadatti alla coltivazione di piante di interesse commerciale (Australian Bureau of statistics, 2004).

La maggior parte delle specie agronomicamente apprezzate manifestano una ridotta tolleranza alle condizioni saline del terreno e sono pertanto definite glicofite, nelle quali, superata una certa soglia di salinità la produzione scende fino ad essere commercialmente insostenibile. Per la maggior parte di queste piante in concomitanza di valori di EC compresi tra 4 e 8 dS/m si osserva un calo delle rese del 10% (Tab. 1). Una specie particolarmente sensibile è il mais dove

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per ogni unità di incremento salino che provoca il superamento del valore di 1.7 dS/m si registra un abbattimento della produzione del 21% (Blanco et al., 2008). La tolleranza alla salinità è una peculiarità dipendente da molte variabili di natura sia fisiologica che genetica, motivo per cui gran parte dei programmi di miglioramento genetico avviati a tal proposito nel ventesimo secolo non hanno avuto successo (Flowers., 2004).

Fig. 1. Mappa della distribuzione mondiale dei suoli affetti da salinità. tratto da : “ Energy & Environmental Science”-The global technical and economic potential of bioenergy from salt-affected soils; (Birka W. et al., 2011)

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Tab. 1. Effetti della salinità sulle principali colture mondiali Fonte: Adattato e modificato da FAOSTAT., (2013) e calcolato col metodo Steppuhn et al., (2005a, b).

1.2 Le piante alofite: descrizione e classificazione

Le alofite sono piante evolute naturalmente in ambienti salsi e rappresentano almeno il 2% delle piante conosciute (Flowers and Colmer., 2008). Possiedono la capacità di tollerare concentrazioni saline proibitive per almeno il 99% delle piante sensibili ai sali e pertanto devono essere prese in considerazione come nuove colture (Glenn et., al 1999).

Il termine “alofita” (dal greco halo: sale e phyte: pianta) è utilizzato per indicare piante capaci di concludere il loro ciclo vitale in condizioni ambientali eccezionalmente saline per la presenza di sodio, cloro, potassio e carbonati. Viceversa, le piante suscettibili alle condizioni saline vengono chiamate glicofite. Sulla base della resistenza e della tolleranza al sodio, le alofite sono

classificate in:

 obbligate, vere alofite o eualofite, resistenti a condizioni estreme di salinità (>1.5 %);  transitorie, che caratterizzano gli ambienti di transizione, ossia gli ambienti intermedi tra

suoli salini e suoli non salini;

 facoltative, che crescono in suoli non salini, ma che tollerano abbastanza bene un certo grado di salinità, in genere non superiore a 0.5 %.

Coltura Area coltivata (milioni di ha) Produzione (milioni di t) Resa (t/ha)

ECe (dS/m) associata con Diminuzione del 10% della resa Diminuzione del 50% della resa Riso 164 723 4,4 3,5 6,8 Sorgo 35 54 1,53 7,7 9,6 Orzo 49 134 2,76 9,8 17,5 Mais 170 883 5,18 2,5 5,5 Grano 220 704 3,19 7,2 12,6 Canna da zucchero 25 1794 70,5 3,9 9,8 Patata 20 374 19,4 2,5 5,5 Barbabietola 5 271 53,7 8,5 15 Soia 103 261 2,5 5,5 7,2 Patate dolci 8 0,34 13,1 2,5 5,7 Cotone 35 77 2,19 9,4 16,8 Fagioli verdi 2,1 3,9

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Le eualofite vivono in terreni ricchi di sali come possono essere quelli limitrofi alle spiagge dove la concentrazione salina può raggiungere il 10%, con un pH generalmente inferiore a 8.5, ciò non esclude però che possano crescere anche in terreni tipici delle glicofite. Secondo alcuni ricercatori nessuna alofita è veramente obbligata, tuttavia la loro diffusione in terreni non particolarmente salini e dunque più idonei alle glicofite è limitata dal fatto che non sono in

grado di competere efficacemente con queste ultime.

Infine, si possono individuare altre due categorie: le idroalofite, che prosperano in suoli salsi e umidi come ad esempio le mangrovie (Rhizophora spp., Bruguiera spp., Ceriops spp.) o le cannucce (Praghmites spp.); le xeroalofite (Salicornia spp.) diffuse in terreni altrettanto salini che in certi periodi dell’anno possono divenire aridi, si tratta di un gruppo di piante tipiche dei deserti (Pessarakli., 1999).

1.3 Strategie di adattamento alle condizioni saline esercitate dalle alofite

La capacità più sorprendente di queste piante è quella di utilizzare ioni inorganici come Na+ e

Cl- per effettuare degli aggiustamenti osmotici nei loro tessuti quando crescono in condizioni

saline, ciò è possibile grazie al fatto che ioni tossici come quelli del sodio possono essere sequestrati all’interno delle cellule di foglie e radici (Apse and Blumwald., 2007). Questo fenomeno è coadiuvato dal controllo espresso dai canali ionici veloci (FV) e lenti (SV) capaci di impedire che l’Na+ torni nel cytosol (Bonales-Alatorre et al., 2013 a, b). Diversamente, le glicofite manifestano una scarsa abilità di uso dello ione sodio come osmolita operando invece una sintesi ex novo di osmoliti organici con grande dispendio di carbonio ed energia (Raven., 1985; Shabala and Shabala., 2011). Le alofite sono in grado di adattarsi a condizioni di elevata salinità nel terreno grazie a due differenti strategie: tolleranza al sale ed esclusione del sale. Per quanto riguarda la prima si fa riferimento a tre meccanismi differenti: riduzione dell’influsso di Na+, compartimentalizzazione ed infine espulsione degli ioni sodio (Flowers and Colmer.,

2008, 2015). Per esclusione s’intende l’insieme di processi come secrezione, perdita delle foglie deputate all’accumulo di sali e succulenza (Waisel., 1972; Rozema., 1995; Aslam et al., 2011; Shabala et al., 2014). La secrezione è un fenomeno complesso che può avvenire attraverso delle strutture deputate (peli, ghiandole) dove il sale in eccesso viene espulso in forma liquida per poi cristallizzare rapidamente a contatto con l’aria fino ad essere visibile sulla superficie della pianta (Fig.2) oppure, come accade in altre alofite tramite il distacco delle foglie più vecchie, ossia quelle che hanno accumulato più sale in maniera tale da evitare effetti tossici.

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Fig. 2. Sale cristallizzato su Distichlis spicata. Autore: Michael Rigsby (www.seafoodwatch.org)

Il meccanismo di tolleranza al sale è vincolato al segnale di trasduzione, ai pathways di generazione e detossificazione delle ROS, all’osmoregolazione o omeostasi ionica attraverso agenti osmoprotettivi, all’espressione differenziata dei geni deputati alla difesa dagli eccessi di sale e infine grazie ad alcuni fattori trascrizionali (Flowers and Colmer., 2008; Rajalakshmi and Parida., 2012; Himabindu et al., 2016; Khan et al., 2016; Muchate et al., 2016).

Un altro meccanismo chiave nella risposta allo stress salino è rappresentato dal sequestro di sale all’interno dei vacuoli cellulari, che avviene per mezzo di trasportatori deputati a mantenere un elevato rapporto K+/Na+ nel citosol e di conseguenza regolarne la concentrazione di sale

interna (Kronzucker and Britto., 2011; Sreeshan et al., 2014). Anche alcune molecole osmoprotettive, come prolina, glicina, betaina, polifenoli, zuccheri solubili e ioni inorganici, vengono impiegate quotidianamente dalle alofite per affrontare gli stress. (Lokhande and Suprasanna., 2012; Patel et al., 2016). L’acido abscissico (ABA) è riconosciuto da tempo come un importante fitormone la cui produzione trova una correlazione positiva con il deficit idrico nella rizosfera, pertanto, lo stress salino provoca seppur indirettamente un aumento nella sintesi di ABA (Suzuki et al., 2014). Infatti, l’acido abscissico è il principale responsabile dell’adattamento ai cambiamenti di salinità nel terreno essendo necessario per il trasporto ionico (Behl and Jeschke., 1979), idrico (van Steveninck 1976., 1984), e per l’apertura stomatica (Raschke., 1975). In uno studio mirato ad indagare il ruolo dell’ABA nell’adattamento alle condizioni saline, sono state misurate le concentrazioni endogene di ABA in germogli di Suaeda maritima coltivati in un medium di crescita a concentrazioni variabili da

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0 fino a 400 mol/m3 di NaCl. Sono state allestite due prove: nella prima i germogli sono stati esposti ad un aumento di salinità da 0 fino 200 mol/m3 NaCl mentre nella seconda da 200 fino a 400 mol/m3 . Come si evince dal grafico in (Fig.2) l’aumento più marcato di ABA si è registrato nella tesi a salinità crescente da 200 a 400 mol/m3 di NaCl nell’arco delle prime 24h (Fig 3; B). Il picco è stato osservato dopo sole sei ore con un incremento di circa 5 volte il valore iniziale di ABA passando da 25 a 127 ng/g di peso fresco. Nella tesi dove le piante sono state testate da 0 a 200 mol/m3 (Fig 3; A) l’incremento si è registrato nel medesimo periodo ma in ritardo rispetto alla prima , passando da 76 a 157 ng/g peso fresco. In entrambi i casi i livelli di ABA sono scesi rapidamente dai valori massimi, ma in tempi diversi, ovvero 72 h per le piante coltivate da 0 a 200 mol/m3 e 180 h per quelle portate da 200 a 400 dove i livelli del fitormone sono rimasti maggiori rispetto a quelli osservati prima dell’incremento. Inoltre, il contenuto di ABA è stato misurato in una seconda prova dove l’incremento di sale è stato variato secondo le quantità riportate in (Fig.4). In tutte e due le prove le concentrazioni di ABA sono aumentate in maniera proporzionale all’incremento di molarità del sale, tuttavia c’è stata una piccola differenza tra le piante allevate in assenza di sale o quelle “partite” da 200 mol/m3

NaCl rispetto alle piante soggette ad un incremento di 105 mol/m3 ( -0,5 MPa) e 209 mol/m3 (-

1 MPa) NaCl (Fig.4). Diversamente, se i risultati delle piante controllo delle prove a 0 e a 200 mol/m3 di NaCl si paragonassero a quelli delle prove dove gli incrementi di concentrazione

salina sono stati di 312 mol/m3 (- 1,5 MPa) e 414 mol/m3 (- 2 MPa) le differenze nei tenori endogeni di ABA cambierebbero rispettivamente dal 213 al 257% e dal 616 al 625% (Clipson et al., 1988). Confrontando questi risultati con quelli ottenuti in esperimenti analoghi con le glicofite, come nel caso di una prova condotta su piante di tabacco dove l’incremento di 100 mol/m3 nella soluzione nutritiva ha provocato un aumento di ABA del valore massimo di 450 ng/g di SS dopo 4 giorni (Mizrahi et al., 1972). Oppure, come accade in piante di pomodoro allevate ad una salinità di 130 mol/m3 NaCl dove il picco di ABA del valore di 3,5 ng/g SS è stato registrato dopo 2 giorni (Walker and Dumbroff., 1981) o ancora come riportato in piante di vite cresciute a 100 mol/m3 di NaCl nelle quali la concentrazione massima di 900 ng/g peso fresco è stata osservata dopo un giorno (Downton and Loveys., 1981). Allora si può dire che nel caso di S. maritima (Fig. 3) è stata constatata una risposta più rapida, con un picco dopo 6-24h per poi ritornare ai livelli precedenti all’aumento di salinità dopo 48-72 h seppur ad una concentrazione (circa 150 ng/g su peso fresco) inferiore rispetto agli esempi sopracitati con le glicofite.

Nonostante l’acido abscissico sia considerato un componente nella regolazione stomatica nelle glicofite (Raschke., 1975; Walton., 1980) il suo ruolo in S. maritima appare meno chiaro. Un

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articolo su S. maritima riporta che durante le prime 6h di esposizione ad una concentrazione di 200 mol/m3, necessarie per raggiungere lo stadio stazionario, l’assorbimento di ioni è aumentato di 2 volte mentre fotosintesi e traspirazione hanno registrato un calo di circa il 20% (Clipson., 1987). Questo suggerisce che in seguito ad un repentino aumento della salinità esterna l’aggiustamento osmotico attraverso un’accelerazione nel trasporto ionico verso i germogli, sia una strategia quantitativamente più importante della perdita di acqua fogliare. Di conseguenza è possibile che il ruolo dell’ABA nella risposta alle fluttuazioni di salinità sia più probabilmente quello di coordinare il trasporto di acqua e ioni in radici e germogli piuttosto che di regolare la perdita d’acqua a livello fogliare. Molto interesse gravita attorno al ruolo dell’ABA nel controllo del trasporto di ioni e acqua, specialmente a livello radicale. Il suo effetto tuttavia sembra ambiguo (van Steveninck and van Steveninck., 1983), infatti pare che inibisca (Cram and Pitman., 1972; Shaner et al., 1975) e al contempo stimoli (Mizrahi and Richmond., 1972; Collins and Kerrigan., 1973) Il trasporto ionico.(Glinka and Reinhold., 1971, 1972) affermano che l’ABA incrementa la permeabilità alla diffusione nelle radici e la conduttività idraulica, viceversa altri autori asseriscono che la conduttività non è modificata (Pitman e Wellfare., 1978). Ulteriori studi evidenziano che l’ABA non sortisce effetti sul flusso idrico dovuto all’osmosi (Erlandsson et al., 1978). Nel caso di S. maritima il trasporto ionico verso i germogli è stato massimo tra le le 0 e le 12h successive all’incremento di 200 mol/m3

di NaCl sia per le piante partite in assenza di sale sia per quelle allevate sin da subito a 200 mol/m3. La concentrazione massima di ABA conseguente all’incremento salino è stata osservata a 24h e 6h rispettivamente, con concentrazioni rimaste superiori a quelle dello stadio stazionario per un periodo considerevole di tempo dopo il picco. Questo suggerisce che qualsiasi relazione tra ABA, trasporto ionico e di acqua è complessa e che laddove ABA regolasse effettivamente un qualche aspetto di questo processo, sarebbe probabilmente quello di coordinare l’assorbimento e la velocità di trasporto degli ioni dopo l’incremento iniziale dello stesso, piuttosto che esserne la causa (Clipson., 1987). L’accumulo di ABA può mitigare l’effetto inibitorio causato dalla salinità sulla fotosintesi, traslocazione degli assimilati e quindi per la crescita della pianta (Han et al., 2015). La correlazione positiva tra lo stoccaggio di ABA e la tolleranza al sale può essere almeno in parte spiegata grazie all’accumulazione di K, Ca2+ e soluti compatibili come prolina e zuccheri nei vacuoli dei tessuti radicali, utili a bilanciare l’ingresso di ioni sodio e cloro (Cabot et al., 2009; Gurmani et al., 2013; Hussain et al., 2016). All’ABA è stato attribuito un ruolo fondamentale nel modulare l’espressione di diversi geni responsabili della risposta ai deficit (Li et Al., 2014). L’acido abscissico infatti può regolare l’espressione di numerosi geni in concomitanza di stress osmotico e salino. L’elemento di

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risposta ABA conosciuto come ABRE è il principale cis-elemento responsabile dell’espressione genica ABA-dipendente. L’ABRE-binding protein (AREB)/ABRE- binding

factor (ABF) e dei fattori di trascrizione (TF) in concerto coordinano l’espressione genica

ABRE-dipendente. Tuttavia, anche altri fattori di trascrizione sono coinvolti nel processo di espressione genica ABA-dipendente. Le chinasi proteiche SNF1-2 sono identificate come regolatori chiave del segnale veicolato da ABA e includono il regulone AREB/ABF (Nakashima e Yamaguchi-Shinozaki., 2013). Recentemente i recettori PYR/PYL/RCAR ABA, le proteine fosfatasi 2C (PP2Cs) e la sottoclasse III SnRK2 ovvero una chinasi proteica sono stati individuati come costituenti nevralgici nella segnalazione ABA (Kim et al., 2012). Studi recenti suggeriscono che potrebbe esserci un’interazione tra i principali pathways di segnalazione dell’ABA e altri fattori di segnalazione coinvolti nella risposta agli stress. È necessario dire però che la maggior parte degli studi molecolari sulla segnalazione dell’ABA sono stati condotti su glicofite, dunque la conoscenza sulle alofite rimane scarsa. I livelli di ABA endogeno crescono proporzionalmente all’aumento di ostilità abiotiche come aridità, freddo e salinità.

L’applicazione di ABA esogeno provoca un’attenuazione degli effetti negativi provocati da temperatura, aridità, salinità e freddo grazie al sistema antiossidante indotto dallo stesso (Anbarasi G., et al., 2015). Ulteriori studi riportano le stesse evidenze riguardo una correlazione positiva tra la produzione endogena di ABA e la resistenza agli stress ed anche un effetto positivo dovuto alla somministrazione di ABA esogeno nell’adattamento della pianta agli stress (Zhang et al., 2005; Khadri et al., 2006; Travaglia et al., 2007; Yang et al., 2007). In un'altra prova l’alofita Suaeda maritima è stata trattata con diverse concentrazioni di ABA (10µM; 50µM; 100µM; 150µM) e ciascuna di esse ha manifestato un incremento nei parametri di crescita rispetto al controllo. Quando sono state controllate le variazioni nel tenore idrico di radici, foglie, nel contenuto di pigmenti, di proteine e di osmoliti è emerso che le applicazioni di ABA provocano un aumento nella crescita e nell’accumulo degli stessi. In particolar modo è stata la tesi di 50 µM a fornire i risultati più promettenti e persino migliori delle tesi a concentrazioni più elevate, anche se necessario sviluppare ulteriori approfondimenti sul tema, studi come questo gettano le basi per indagare ulteriormente la rete di risposte mediate dall’acido abscissico (Anbarasi G et al., 2015). Riguardo le ragioni genetiche della tolleranza al sale si può dire che questa è determinata da molti geni e prodotti di geni (Fig.5) piuttosto che essere dovuta a palesi differenze qualitative con le glicofite. (Anjum et al., 2012; Rai et al., 2012; Bartels and Dinakar., 2013; Sreeshan et al., 2014; Joshi et al., 2015; Volkov., 2015; Muchate et al., 2016).

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La differente risposta allo stress salino potrebbe essere attribuita ad una maggiore espressione dei geni coinvolti nella tolleranza allo stress salino oppure al fatto che le proteine delle alofite sono intrinsecamente più attive rispetto alle corrispondenti proteine delle glicofite. (Anjum et al., 2012; Das and Strasser., 2013; Himabindu et al., 2016; Muchate et al., 2016).

Fig. 3. Contenuto endogeno di ABA nei germogli di piante portate da 0 a 200 mol/m3 NaCl (A) e da 200 a 400 (B) in un arco temporale di 180 h successive al trasferimento (significa ± l’errore standard di tre campioni)

Fig. 4. Contenuto endogeno di ABA di germogli trasferiti da 0 (A) a 200(B) mol/m3 NaCl con concentrazioni crescenti di 105, 209, 312 e 414 mol/m3 NaCl corrispondenti a -0,5; - 1; - 1,5; - 2 Mpa misurati a 6h

dall’incremento di sale. C= piante non trasferite (significa ± l’errore standard di tre

campioni).

Nonostante i meccanismi di tolleranza al sale coinvolgano una articolata serie di sistemi cellulari, di tessuti e in ultima analisi dell’intera pianta (Fig. 5) ( Cheeseman., 1988; Leach et

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al., 1990; Flowers and Yeo., 1995) alcuni biologi molecolari sostengono che pochi processi, correlati al deficit idrico e allo stress osmotico dei processi cellulari, siano sufficienti a spiegare la tolleranza alle condizioni saline (Bohnert et al., 1995; Serrano., 1996; Serrano and Gaxioloa., 1994; Zhu et al., 1997). Gli stessi autori asseriscono che questi meccanismi esistono nelle glicofite cosi come nelle alofite, ma che siano meglio sviluppati in queste ultime. Il fulcro di questa discussione verte sul definire le dinamiche dell’omeostasi ionica, in particolare sul ruolo del Na+ anche se, lo ione Cl- che naturalmente bilancia il sodio gioca un ruolo altrettanto importante a livello cellulare. Na+ tuttavia, ha ricevuto più “attenzioni” a causa del suo effetto inibitorio sull’attività enzimatica e della sua capacità di interferire con l’assorbimento del sodio e con le funzioni del Ca 2+ (nelle glicofite) (Cheeseman., 1988).

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Fig. 5. Schema generale del meccanismo di tolleranza allo stress salino in una pianta fonte: “Halophytes: Potential Resources for Salt Stress Tolerance Genes and Promoters” (Avinash

Mishra1, 2 and Bhakti Tanna-2017).

Sebbene il flusso di Na+ verso l’interno delle cellule potrebbe essere elevato, la concentrazione di quest’ultimo all’interno del citoplasma è mantenuto a livelli non tossici che si stimano da 10 a 150 mM (Binzel et al., 1988; Cheeseman., 1988; Flowers et al., 1986; Fitzgerald et al., 1992). Il turgore cellulare viene mantenuto immagazzinando NaCl nel vacuolo, che contiene il 90% o più di acqua cellulare. Il potenziale idrico nel citoplasma delle alghe alofile e delle piante

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superiori è regolato dall'accumulo di soluti organici (Bohnert et al., 1995; Gorham et al., 1980; Koehl., 1997; Storey et al., 1977; Rhodes and Hanson., 1993). Gli stessi soluti possono anche funzionare come osmoprotettori, membrane stabilizzanti e strutture enzimatiche funzionali alla rimozione dei radicali liberi in un ambiente ad alta osmosi (Bohnert et al., 1995). Questo metodo di aggiustamento osmotico richiede almeno tre tipi di adattamento rispetto alla sola omeostasi ionica: (1) la capacità di assorbimento controllato ma rapido di Na + e Cl– nelle cellule per supportare la crescita guidata dal turgore; (2) sequestro efficiente di Na + e Cl– nei vacuoli cellulari; (3) meccanismi per mitigare gli effetti dell'eccessivo ingresso di NaCl nella pianta. Per attivare questi processi le alofite richiedono dunque la capacità di elaborare grandi quantità di osmoliti compatibili. (Rhodes e Hanson., 1993; Bohnert et al., 1995).

1.4 Le dinamiche di assorbimento del cloruro di sodio nelle alofite

È poco noto come il Na+ penetri nelle cellule e nei tessuti delle alofite (Cheeseman., 1988). In alcune piante come il riso, il 20% o più dell'ingresso d'acqua avviene tramite il flusso traspiratorio, mediante il quale l'acqua viaggia attraverso la radice negli spazi extracellulari piuttosto che nel simplasto, bypassa dunque l'endoderma per entrare direttamente nel flusso di traspirazione. Se è presente un tenore di 50 mM NaCl nella soluzione esterna abbastanza Na + può essere trasportato al germoglio tramite flusso di bypass, fino ad esercitare un effetto tossico sulle foglie, mentre in altre piante come il grano lo stesso flusso è basso (Garcia et al., 1997). Na+ penetra nella pianta attraverso il simplasto delle cellule corticali radicali legandosi competitivmente ai trasportatori K+ o ai canali cationici (Rubio et al., 1995; Schachtman e Schroeder., 1994; Schachtman et al., 1991). Questo fenomeno provoca l’ingresso di ioni Na + fino a raggiungere livelli dannosi per la pianta, oltre a deprimere l'assorbimento di K+. Per quanto riguarda il Cl- invece, nelle piante che crescono a bassa salinità le concentrazioni di questo ione possono superare quelle esterne fino a due ordini di grandezza, anche se in generale sembrano aumentare proporzionalmente alla disponibilità esterna (Flowers., 1988). L'assorbimento di Cl– sembra essere mediato dall'operazione di un simporter di Cl– / 2H + della membrana plasmatica in Chara (un'alga verde) (Sanders., 1980) e forse anche dell'orzo (Jacoby e Rudich., 1980).

Tuttavia, questi meccanismi non sembrano plausibili per le alofite almeno per quanto riguarda l'ingresso di Na +. Questo perché le alofite dispongono di spessi strati spessi di suberina o doppi

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flusso di bypass della traspirazione (Anderson., 1974; Poljakoff-Mayber., 1974; Kramer., 1984).

Fig. 6. Crescita di alofite dicotiledoni e glicofite tolleranti al sale lungo un gradiente di salinità ascendente in un esperimento di screening in serra (Glenn e O'Leary., 1984). Dieci specie sono sopravvissute solo a 0,18 mol / l NaCl (cerchi aperti = specie meno tolleranti) mentre altre 10 sono sopravvissute a 0,72 mol / l NaCl (cerchi chiusi = specie più tolleranti). I pannelli mostrano i tassi di crescita relativi (RGR); pressione osmotica fogliare sviluppata da Na+, K+ e Cl-, acqua e rapporto Na:K nelle foglie. Le barre rappresentano l’errore standard calcolato tra le medie delle specie

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Fig. 7. Crescita di alofite monocotiledoni e glicofite tolleranti al sale lungo un gradiente di salinità in un esperimento di screening in serra (Glenn., 1987). Quindici specie sono sopravvissute solo a 0,18 mol / l NaCl (cerchi aperti = specie meno tolleranti), mentre altre 12 sono sopravvissute a 0,54 mol / l NaCl (cerchi chiusi = specie più tolleranti). I pannelli mostrano i tassi di crescita relativi (RGR); pressione osmotica fogliare esercitata da; Na+, K+ e Cl-, acqua e rapporto Na:K nelle foglie

Misurazioni dirette in Aster tripolium non hanno mostrato virtualmente alcuna penetrazione di NaCl oltre l'epidermide della radice se non per assorbimento nel simplasto (Zimmerman et al., 1992). Diversamente da quanto constatato nelle glicofite l'assorbimento cellulare di Na + e K +

sembra apparentemente scollegato nelle alofite, che mantengono tassi costanti di assorbimento di K + parallelamente alla disponibilità di ampi intervalli di Na + esterno e alla velocità di

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Koehl., 1997 a, b; Reimann., 1992; Reimann e Breckle, 1993, 1995) (Fig. 6 e 7). Quindi, è improbabile che Na+ si introduca nelle cellule alofite tramite i carriers di K+.

I tassi di assorbimento di Na+ nelle alofite possono essere estremamente alti (Yeo e Flowers., 1986; Cheeseman., 1988). In alofite succulente come Suaeda maritima, che cresce a 340 mM NaCl, l'assorbimento di Na+ da parte delle radici è 10 mmol / gSS / giorno, ovvero 10 volte maggiore dell'assorbimento di K+, quindi, è probabilmente troppo rapido per i processi di trasporto finora conosciuti (Yeo e Flowers., 1986). Inoltre, l'assorbimento attivo potrebbe non essere necessario perché c'è un gradiente elettrochimico di Na+ attraverso la membrana cellulare (Cheeseman., 1988). L'assorbimento di Na+ e Cl– nelle cellule alofite può avvenire sia tramite canali anionici che cationici e persino tramite vescicole (Cheeseman., 1988; Yeo e Flowers., 1986; Kurkova et al., 1992; Kurkova e Balnokin., 1994). Delle micrografie elettroniche di quattro alofite cresciute a 400 mM NaCl hanno mostrato invaginazioni pinocitiche sulla membrana cellulare e corpi vescicolari nei vacuoli, che sono state interpretate come prova del fatto che il trasporto ionico dall' apoplasto al vacuolo negli organi epigei di alofite capaci di accumulare sale avvenga tramite pinocitosi (Kurkova e Balnokin., 1994).

1.6 Le alofite nell’alimentazione umana

Ad oggi 30 specie forniscono il 90% del cibo alle persone con riso, mais, grano e patate che da soli rappresentano il 50% di questo valore (Khan et al., 2006). Contestualmente le specie alternative, incluse le alofite, si confermano le migliori candidate alla coltivazione nelle regioni ricche di suoli salini e dove l’acqua dolce scarseggia tipiche, ad esempio, del Medio Oriente dove l’impiego di alofite come colture da reddito andrebbe valutato e promosso. Diversamente, in aree non particolarmente interessate da salinità il consumo di alofite come la quinoa (Chenopodium quinoa) è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni.

Nel caso della quinoa, l’incremento esponenziale dell’importazione ha provocato un innalzamento dei prezzi tale da renderla economicamente insostenibile per i produttori stessi, difatti questo accade già nell’altipiano meridionale della Bolivia (Tab.2) (Jacobsen., 2011; Jacobsen., 2012). Il consumo di alofite da parte degli uomini è diffuso da tempo, la pianta perennante Distichlis palmeri ad esempio è legata all’alimentazione dei nativi sud Americani da centinaia di anni, così come dai Cocopah in Messico. Questa specie manifesta un contenuto in fibra più alto del grano (8,4% contro 2,6% ) (Yensen et al., 1985) ed è utilizzata per fare pane e biscotti in varie parti del mondo (Yensen., 2006), inoltre produce in maniera interessante

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persino in terreni allagati con acque a tenore salino pari a quello del mare fino a rendere 1,25 t/ha di granella a elevato profilo nutrizionale (Pearlsteina et al., 2012).

Fig. 8. Una coltivatrice peruviana di quinoa. tratto da“Agrobiodiversity for food security, health and income” (Kahane R. et al., 2009).

Analogamente la quinoa, che è tra le colture di base nella dieta dei sud Americani (Fig.8), può sopportare valori di salinità superiori ai 40 dS/m (Adolf et al., 2013). Questa chenopodiacea viene venduta a prezzi considerevoli per il mercato europeo (Tab.2) anche in ragione delle qualità nutrizionali per certi versi superiori a quelle dei cereali tradizionali (Vega-Gàlvez et al., 2010). I suoi semi sono ricchi in lisina (un aminoacido essenziale), ferro, magnesio, vitamina E, rame e fosforo oltre ad essere gluten-free (James., 2009). Delle ricerche condotte in Argentina sostengono che questa coltura, in climi temperati, può superare i 5,2 t/ha di resa in granella (Gomez et al., 2011). Un altro caso interessante è quello del miglio perlato (Pennisetum

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dS/m. Questa specie trova impiego come coltura da seme e raggiunge rese superiori a 1,6 t/ha ovvero valori analoghi a quelli del grano in condizioni seccagne non saline (Jaradat., 2003).

Le foglie delle alofite hanno un gusto paragonabile a quello delle verdure da foglia tradizionali,

Atriplex triangularis ad esempio ha un gusto che ricorda quello dello spinacio (Islam et al.,

1987).

Tab. 2. Prezzo della quinoa pagato ai coltivatori di Bolivia e Perù comparati con i cereali fonte: FAOSTAT., (2013).

Molte di queste specie, infatti, vengono già destinate al consumo umano in Olanda, Belgio e Portogallo (Leith et al., 2000). Accade lo stesso per i giovani germogli di Chenopodium album e Amarantus spp. che sono usati come insalate e verdure, oppure come nel caso di Capparis

decidua i cui frutti crudi vengono consumati regolarmente come fossero cetrioli in diverse aree

dell’India. (Dagar., 2005; Rameshkumar and Eswaran., 2013).

1.7 Le alofite come foraggi per animali

Alcune alofite sono impiegate da tempo come foraggio alternativo in molte aree del mondo coinvolte dal fenomeno di salinizzazione. (Aronson., 1985; Masters et al., 2007). La carenza stagionale di foraggi è un fattore limitante per l’allevamento di animali in diversi posti del globo dove le alofite rappresentano una potenziale soluzione al problema. (Malcolm., 1969; Aronson., 1989; El Shaer., 2010). Uno studio afferma che 100.000 ha nel bacino del mediterraneo sono impiegati per la coltivazione di Atriplex spp. a destinazione foraggera (Le Houérou., 1994). A tal proposito sono stati allestiti esperimenti su larga scala condotti al NIAB (nuclear institute

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for agriculture and biology), una stazione di ricerca in Pakistan, utilizzando specie tolleranti

alle condizioni saline (Aslam et al., 1993). Il progetto è stato realizzato sfruttando diverse zone climatiche come Faisalabad, Peshawar, Bhawalpur e Karachi in Pakistan e hanno evidenziato che specie quali Atriplex spp. e Maierana spp. ed altre rappresentano una risorsa importante sotto il profilo foraggero (Hollington et al., 2001). Foraggi e prodotti dei semi delle alofite possono rimpiazzare con successo le colture tradizionalmente adottate sinora a questo scopo tuttavia, in alcuni casi bisogna fare attenzione a dosare correttamente la percentuale di queste specie all’interno della dieta animale al fine di evitare tenori eccessivi di sali e composti antinutrizionali. (Glenn et al., 1999; Rogers et al., 2005). L’uso di alofite come foraggio dipende inoltre dalla produzione in biomassa, dall’assunzione volontaria da parte degli animali (quindi dall’appetibilità) e naturalmente dalle proprietà nutritive (Norman et al., 2013). Qualche alofita come il Pennisetum Clandestinum possiede proprietà antimetanogeniche in particolar modo se consumata da bovini e pecore, offre quindi la speranza di ridurre le emissioni di gas serra nel settore dell’allevamento (Muscolo et al., 2013).

Ad ogni modo specie come pecore (Swingler et al., 1996), cammelli, ed alcuni bovini riescono a prosperare con diete a base di certe alofite (Khan and Ansari., 2008). una salicornia (Salicornia bigelovii) è stata testata con irrigazione a base di acqua marina nella regione costiera orientale della penisola araba ed è stato dimostrato che potrebbe rimpiazzare il 25% di erba medica nelle diete animali (Abdal., 2009). Come evidenzia la (Tab.3), le alofite foraggere più importanti raggiungono delle rese di 10-20 t/ha in SS quando vengono irrigate con acque salse, pareggiando quelle delle foraggere tradizionali in condizioni non saline (O’Leary et al., 1985; Glenn et al., 1999; Masters et al., 2007) (ICBA., 2011b).

P

iù di 800 genotipi di specie differenti sono stati studiati dall’International centre of biosaline

agriculture per valutare la loro adattabilità alle condizioni dell’area degli Emirati Arabi (ICBA.,

2011b). Nel 2011 l’ICBA ha sviluppato tre modelli di produzione agricola per produrre foraggi a partire da arbusti, alberi ed erbacee tolleranti al sale. Nella realizzazione dell’esperimento sono state utilizzate acque irrigue con valori di conduzione elettrica superiori ai 15 dS/m nella regione occidentale degli emirati di Abu Dhabi (ICBA., 2012). Lo stesso istituto ha condotto molte altre collaborazioni in progetti di ricerca in Arabia Saudita, Pakistan e Bangladesh per realizzare dei modelli produttivi di foraggi a base di alofite come S.virginicus,D.spicata,e specie di Atriplex (Atriplex halimus, A. nummularia e A. lentiformis) (ICBA., 2007).

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Tab. 3. Produzione annuale in termini di biomassa (t SS/ha) di alcune alofite foraggere irrigate con acque saline.

Specie Salinità delle acque irrigue (dS/m) Produzione di biomassa (t/SS/ha)

Tipo di suolo Bibliografia Località

Atriplex lentiformis 3,5 16 Alcalino sabbioso/argilloso Jordan et al., (2009) Arizona, USA 3,5 18 15-22 18 Alcalino/sabbioso argilloso

Soliz et al., (2011) Arizona, USA O’Leary et al., (1985) Arizona, USA 13,9 20 10 9 25 14,7 Argilloso franco/argilloso

Diaz et al., (2013) California, USA ICBA, UAE ICBA., (2007) Watson et al., (1987)

A.deserticola 18 2,2-5,5 Watson and

O’Leary., (1993)

A.nummularia 10 12 Watson et al.,

(1987)

A.halimus 20 14 ICBA., (2007) ICBA,

UAE Spartina gracilis 13,9 8,5 Argilloso franco/argilloso Diaz et al., (2013) Spartina patens 46,9 14,4 Gallagher., (1985) Delawere, USA Salicornia bigelovii 62,5 13,9 12-18 7,6 Sabbioso Argilloso franco/argilloso Glenn et al., (1991;1997;1999) Diaz et al., (2013) California, USA Leymus triticoides

13,1 10-13,8 franco/argilloso Suyama et al., (2007)

California, USA

Festuca arundinacea

12,1 4,5 franco/argilloso Suyama et al., (2007)

California, USA

Sporobolus Airodes

12,4 6,7 franco/argilloso Suyama et al., (2007) California, USA Sporobolus virginicus 30 45 ICBA., (2004) ICBA, UAE Distichlis spicata 30 45 Masters et al., (2007) Allenrolfea occidentalis 13,9 17 Argilloso franco/argilloso

Diaz et al., (2013) California, USA

Bassia hyssopifolia

13,9 3,8-17 Argilloso franco/argilloso

Diaz et al., (2013) California, USA

Sebbene il report evidenzi degli aspetti molto promettenti è bene spendere qualche parola di cautela, difatti la maggior parte del lavoro è stato condotto da agronomi che si sono focalizzati sulla produzione di biomassa piuttosto che su quella del bestiame, inoltre anche altri fattori

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andrebbero presi in considerazione: primo fra questi il fatto che quantità crescenti di sale nella dieta potrebbero far sorgere problemi a lungo termine, specialmente per animali che pascolano alofite dicotiledoni (Norman et al., 2013). Quasi tutto il sale ingerito dagli animali viene estratto dai reni e questo aumenta l’energia necessaria a metabolizzare il mangime così come il fabbisogno di acqua dolce. Infine, l’energia metabolizzabile per il bestiame viene fornita dalla digestione della sostanza organica, anzichè dal totale della sostanza secca. Alla luce di queste evidenze se si andasse a confrontare l’energia metabolizzabile resa disponibile dalle alofite foraggere sarebbe inferiore rispetto a quella delle colture tradizionali (O’Connell et al., 2006). Questo non significa che debbono essere scartate, ma suggerisce piuttosto che devono essere combinate con un supplemento di cereali per fornire energia sufficiente (ICBA., 2007; Norman et al., 2013).

1.8 Alofite come colture proteiche e oleaginose

Sono note almeno 50 specie alofite da seme candidate ad essere colture proteiche o da olio tra cui S. bigelovii (Glenn et al., 1991), Suaeda moquinii (Weber et al., 2001), Kosteletzkya

virginica (Gallagher., 1985; He et al., 2003), Suaeda aralocaspica (Wang et al., 2012), Salvadora persica (Rao et al., 2004; Reddy et al., 2008), Batisma ritima (Marcone., 2003), Crithmum maritimum and Zygophyllum album (Zarrouk et al.,2003), Nitraria sibiria, Suaeda salsa, Chenopodium glaucum e Descurainaia sophia (Yajun et al., 2003). Una nota positiva di

queste specie è che la maggior parte dei loro semi sono privi o quasi di sale, anche laddove le concentrazioni di sale nel resto della pianta sono elevate (Jaradat., 2003).

S. bigelovii è stata testata in varie regioni del mondo come ad esempio nel medioriente (Jaradat.,

2005; Abdal., 2009) India (Rameshkumar and Eswaran., 2013), Messico (Grattan et al., 2008) e Africa (Zerai et al., 2010). Ci sono state sperimentazioni finalizzate a valutare la produttività commerciale della salicornia anche in USA, Eritrea e Arabia Saudita (ICBA., 2007). Le rese della salicornia coltivata sulle coste deserte messicane sono state addirittura maggiori di quelle di piante come girasole o soia irrigate con acqua dolce (Tab. 4). Persino in situazioni di elevata salinità (70 g/l di sali totali disciolti nella rizosfera) la produzione di seme e biomassa si è

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mantenuta elevata, mentre nella prova di irrigazione con acqua di mare a 40 g/l di sale la resa si è attestata sulle 2 t/h di seme (Glenn et al., 1999). I semi di S. bigelovii possiedono il 30% di olio e il 35% di proteine (Ho and Cummins., 2009) l’olio ha delle proprietà analoghe a quelle del cartamo (Glenn et al., 1991; Zerai et al., 2010) (Tab. 4).

Tab. 4. Caratteristiche di oli e proteine ottenute da semi di alofite.

Specie Resa (kg/ha)

Fattori nutrizionali Descrizione Bibliografia

Salicornia bigelovii

2000 28% olio; 31% proteine

Rese e qualità analoghe alla soia

Glenn et al., (1991); Glenn et al. (1999) Kosteletzyka virginica 638-1460 8-25% proteine; 11,28-15% olio Gallagher., (1985); He et al., (2003); Liu et al. (2012) Suaeda torreyana 89,6% acidi grassi insaturi; 25,25% olio Qualitativamente simile all’olio di canola Weber et al., (2001) Suaeda fruticosa 74% acidi grassi insaturi Weber et al. (2007) Salvadora persica 25-40% olio, ricco di acido laurico (C12) e miristico (C14) importanti sotto il profilo industriale Olio industriale idoneo alla fabbricazione di sapone e detergenti Reddy et al., (2008)

Analogamente la malva marittima (K. virginica) produce semi che contengono il 32% di proteine e il 22% di lipidi (Gallagher., 1985). Il frutto di C. maritimum è ricco in lipidi (44% su base secca) con composizione prevalente di acido oleico (78,6 % sul totale degli acidi grassi) (Atia et al., 2011). Un’altra pianta i cui semi sono candidati alla produzione di olio adatto al consumo umano è la Suaeda fruticosa perché vanta il 74% di acidi grassi insaturi (Weber et al., 2007). S.persica è utilizzata in India come coltura da olio e può essere coltivata in terreni con valori di EC che spaziano dai 25 ai 65 dS/m, tuttavia la produzione cala del 40-47% quando la salinità aumenta fino a 55-65 dS/m se paragonata a quella ottenuta a 25-35 dS/m (Rao et al.,

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2004). Il seme di questa pianta contiene il 40/45% di olio ricco in acido laurico (C-12) e miristico (C-14) ed è utilizzato nell’industria farmaceutica e cosmetica (Reddy et al., 2008).

1.9 Fitodepurazione con le alofite

La rapida industrializzazione ha innescato un aumento della produzione, ma anche l’accumulo nei terreni paludosi bagnati dalla marea di metalli pesanti come Pb, Cu, Cd, Zn (Flowers et al., 2010; Govindasamy et al., 2011). L’arsenico è stato trovato come componente principale di insetticidi e conservanti del legno; il cadmio per pigmenti e vernici; il piombo dall’industria delle batterie, degli insetticidi e come scarto petrolifero infine Il mercurio come rifiuto del settore ospedaliero. (Ali et al., 2013; Wuana and Okieimen., 2011). L’accumulo di questi elementi nei corpi idrici può mettere in pericolo la salute delle persone e di altri organismi (Khan et al., 2010). La “pulizia” di questi suoli è necessaria quanto impegnativa, soprattutto in termini economici poiché processi tradizionalmente impiegati come l’incenerimento o il lavaggio sono estremamente onerosi. (Sheoran et al., 2011; Wuana and Okieimen., 2011). L’impiego di piante accumulatrici di questi elementi potrebbe abbattere drammaticamente i costi di ripristino dei terreni inquinati. Qualche alofita ha manifestato la capacità di crescere in questi terreni e sono quindi ottime candidate per fitorimediazione, fitoestrazione e fitostabilizzazione (Tab. 5) (Sheoran et al., 2011; Wuana and Okieimen., 2011).

Tab. 5. Accumulo di metalli pesanti da parte di alcune alofite espresso in mg/kg SS. Specie Elemento Quantità accumulata

(mg/kg SS)

Bibliografia

Sesuvium portulacastrum As 155 Lokhande et al., (2011 a,b)

Atriplex halimus Cd 830 Lutts et al., (2004)

Atriplex halimus Zn 440 Lutts et al., (2004)

Atriplex species B 192 Watson et al., (1994)

Sesuvium portulacastrum Cd 350-700 Ghnaya et al., (2005) 1.10

Alofite per acquaponica

Per acquaponica s’intende una tecnica di coltivazione combinata che prevede la presenza di pesci e piante all’interno di un sistema senza terra dove l’acqua viene riciclata. Questi sistemi sono pensati per allevare grandi quantità di pesci in volumi di acqua relativamente piccoli, dove i rifiuti tossici vengono smaltiti e l’acqua rimessa in circolo. Durante questo ciclo, i nutrienti

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non tossici e la materia organica si accumulano e vengono indirizzati verso una coltura da reddito, o che comunque apporti dei benefici alla produzione ittica. Questa tecnica offre diversi vantaggi, in primo luogo i nutrienti derivanti dalla decomposizione batterica dei rifiuti dei pesci vengono recuperati dalle piante, operazione per la quale sarebbero necessari dei costosi biofiltri. Ciò riduce gli scarti ed estende l’utilizzo dell’acqua, rendendo dunque il sistema compatibile anche con climi aridi. In seconda battuta la distribuzione giornaliera di mangime per i pesci garantisce una disponibilità costante di nutrienti per le piante ed elimina il bisogno di smaltire, aggiustare e rimpiazzare le soluzioni nutritive esauste come accade invece per la coltivazione idroponica (Rakocy et al., 2006). L’integrazione di piante vascolari nell’acquacoltura marina, o acquaponica salina (Fig.9), è un settore di ricerca in forte ascesa. Ad oggi l’interesse principale è quello di utilizzare le suddette piante come biofiltri di macronutrienti, viceversa è stata dedicata poca attenzione all’importanza che rivestono i micronutrienti per l’allevamento di animali acquatici e di piante ad interesse commerciale (Quintã et al., 2015).

Fig. 9. Piante di Salsola spp. cresciute in acquaponica. Tratto da: “Small-scale Aquaponic Food Production: Integrated Fish and Plant Farming” (Somerville C. et al., 2014).

Particolarmente interessante è l’esperimento condotto in un sistema di acquacoltura integrata applicando la biofloc technology (BFT), una particolare tecnica impiegata per l’allevamento del gambero bianco del Pacifico mirata a ridurre al minimo il ricambio di acqua (Samocha et al., 2012). In questa prova i nutrienti prodotti dal gambero Litopenaeus vannamei (Boone) si sono dimostrati essere una buona fonte trofica per l’alofita Sarcocornia ambigua (Pinheiro et al.,

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2017). In uno studio analogo, si è allestito un sistema di acquacoltura multitrofica integrata (IMTA) basato sull’integrazione di livelli trofici differenti nello stesso contesto ambientale. Questa tecnica funziona grazie alla conversione dei residui delle specie principali in cibo o fertilizzante per altre specie (Chopin et al., 2001). È dimostrato che l’allevamento combinato di gamberi con le tilapie, (López-Gómez et al., 2017) di piante come la salicornia (Pinheiro et al., 2017) e pomodoro (Mariscal-Lagarda et al., 2012) aumenti la resa del sistema. All’interno di questo contesto le alofite si collocano ad un livello trofico differente dai gamberi e dalle tilapie, essendo organismi fotoautotrofi (Fig. 10).

Fig. 10. Diagramma di flusso dell’unità integrata sperimentale in ambiente BFT che comprende gamberi (Litopenaeus vannamei), tilapie (Oreochromis niloticus) e sarcocornia (Sarcocornia

ambigua) fonte:“Integrated multitrophic aquaculture applied to shrimp rearing in a biofloc system” (Poli et al., 2019).

Tuttavia, essendo tolleranti al sale possono essere incluse con successo nel sistema IMTA dove i gamberi vengono allevati con l’ausilio di BFT, applicando comunque i princìpi di coltivazione acquaponica (Pinheiro et al., 2017). Alla luce di questi dati incoraggianti è stato sviluppato un ulteriore esperimento dove sono state incluse tilapie del Nilo (Oreochromis niloticus) e sarcocornia (Sarcocornia ambigua) all’interno di un sistema di allevamento integrato con gamberi (Litopenaeus vannamei). Sono state allestite due prove in ambiente BFT, una completa di gamberi, sarcocornia e tilapie in un sistema IMTA (Fig.10) e un’altra uguale ma senza piante, a rappresentare il controllo (Poli et al., 2019).

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I risultati dell’esperimento riportano una differenza significativa nella concentrazione di nitrati nelle acque dei due trattamenti, nella prova IMTA infatti, il tenore in nitrati è stato inferiore a quello del controllo (Tab.6). Ciò può essere ricondotto alla preferenza che le alofite manifestano nell’assorbire azoto in forma di nitrato, arrivando a rendere il 60% in più rispetto alle stesse piante fertilizzate con azoto ammoniacale (Ventura e Sagi., 2013). Comunque, questo risultato è stato diverso rispetto a quello osservato in un altro esperimento dove non è stata registrata una differenza nei tenori di nitrato tra i trattamenti con e senza sarcocornia in un sistema acquaponico con gamberi in ambiente BFT (Pinheiro et al., 2017). Nell’esperimento condotto sul sistema integrato multitrofico (IMTA) la performance di crescita dei gamberi è stata simile tra i due trattamenti (Tab.7), difatti i risultati dimostrano che la presenza di tilapie e sarcocornia non ha inficiato lo sviluppo dei gamberi. La crescita media dei gamberi è stata 1.4 ± 0.005 g/settimana, dunque più alta di quella riportata da altri autori (Krummenauer et al., 2011; Baloi et al., 2013; Schveitzer et al., 2013; Poli et al., 2019). Anche la performance delle tilapie è stata simile tra i due trattamenti (Tab. 7), pareggiando o quasi le rese riportate da altri autori, sempre in ambiente BFT (Pérez-Fuentes et al., 2016; Azim e Little, 2008; Crab et al., 2007). La produzione delle alofite è piuttosto variabile in funzione delle specie e della concentrazione salina (Ventura et al., 2011; Ventura and Sagi., 2013). In questo studio, la performance di produzione della sarcocornia (Tab.7) è stata inferiore a quella riportata in una prova condotta su un sistema acquaponico marino (Pinheiro et al., 2017) e in uno idroponico marino (Ventura et al., 2011). Ciononostante, questi risultati sono stati simili a quelli riportati da un altro studio dove le piante sono state irrigate con le acque di allevamento di gamberi per 150 giorni (Izeppi., 2011). Ad ogni modo la priorità dell’esperimento è stata quella di dimostrare che la presenza di sarcocornia all’interno del sistema IMTA potesse ridurre la concentrazione di nitrati (Tab. 6). Questo rappresenta un notevole vantaggio ecologico in termini di biomassa, ma soprattutto di riduzione di reflui da allevamento. Nel sistema integrato la biomassa totale dei gamberi, delle tilapie e della salicornia è stata maggiore rispetto a quella del controllo (Tab. 7).

Altri studi riportano un incremento di produzione grazie all’allevamento combinato del gambero bianco del pacifico in ambiente BFT con altre specie. Ad esempio, l’integrazione di

S. ambigua con il gambero bianco ha sviluppato delle rese due volte maggiori rispetto a quelle

della monocoltura (Pinheiro et al., 2017). Oppure, come accade in un altro studio dove è stato riportato un aumento della produzione del 31,2 % grazie a l’integrazione di tilapie e gambero bianco del pacifico allevate in BFT. Nello stesso studio la resa del trattamento IMTA ha registrato un aumento del 21,05% rispetto al controllo (Poli et al., 2019).Un aspetto che merita

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una riflessione è l’assorbimento di azoto, difatti, in media solo il 25% dell’azoto viene incorporato dagli animali acquatici (Crab et al., 2007; Avnimelech, 2015). La restante parte viene espulsa in acqua sotto forma di ammoniaca che, peraltro, diventa tossica per gli organismi acqatici. Inoltre, l’acquisto di mangime incide per oltre il 50% sui costi di produzione dell’acquacoltura e proprio l’azoto si distingue per essere l’ingrediente più oneroso. Il fosforo, assieme all’azoto è anch’esso fonte di inquinamento acquatico ed il suo tasso di recupero per i gamberi è di circa l’11% (Avnimelech e Ritvo., 2003). Anche in questo caso la restante frazione dell’elemento va a disperdersi nell’ambiente circostante. Un recente studio riporta un incremento del 223% nel recupero di fosforo in un sistema biofloc IMTA di gamberi e tilapie se paragonato all’allevamento di soli gamberi (Poli et al., 2019). Sebbene non sia stata registrata una differenza nell’assorbimento di N e P tra i due trattamenti (Tab.8), i valori raggiunti sono superiori a quelli osservati nella monocoltura di gamberi (Poli et al., 2019). Similmente, anche in un altro esperimento dove i gamberi sono stati integrati con l’alofita Sarcocornia ambigua è stato rilevato un incremento del 20% nel recupero di azoto rispetto alla monocoltura di gamberi (Pinheiro et al., 2017). Ciò rafforza l’idea che i sistemi integrati abbiano una migliore efficienza d’uso dell’azoto ricevuto dai mangimi.

Tab. 6. Variabili fisiche e chimiche dell’acqua per Litopenaeus vannamei, Oreochromis

niloticus e Sarcocornia ambigua in un sistema di coltura integrata biofloc per 57 giorni. fonte:

“Integrated multitrophic aquaculture applied to shrimp rearing in a biofloc system” (Poli et al., 2019).

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Alla luce delle evidenze riportate da questi articoli emerge un quadro piuttosto positivo riguardo i vantaggi portati dall’integrazione multitrofica in tema di coltivazione acquaponica. Ridurre l’impiego di acqua, azoto e fosforo sono prerogative di un allevamento sostenibile e, in senso lato, anche di un modello di produzione alimentare moderno ed efficiente. Le alofite si collocano in maniera interessante all’interno di questo contesto offrendo un contributo, o quantomeno senza compromettere le performance di crescita degli altri organismi. Tuttavia, è necessario che la ricerca in tal senso proceda ulteriormente affinchè si individuino le soluzioni e gli equilibri migliori per un assetto di acquaponica integrata più performante.

Tab. 7. Performance di Litopenaeus vannamei, Oreochromis niloticus e Sarcocornia ambigua in un sistema integrato biofloc per 57 giorni fonte:“Integrated multitrophic aquaculture applied to shrimp rearing in a biofloc system” (Poli et al., 2019).

Tab. 8. Recupero di azoto e fosforo di for Litopenaeus vannamei, Oreochromis niloticus e

Sarcocornia ambigua in un sistema integrato di coltura multitrofica in ambiente biofloc per

57 giorni fonte:“Integrated multitrophic aquaculture applied to shrimp rearing in a biofloc system” (Poli et al., 2019).

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2. PARTE SPERIMENTALE

2.1 Scopi della tesi

La coltivazione idroponica di piante di interesse agrario in combinazione all’allevamento intensivo di pesci, conosciuta come acquaponica, presenta alcune difficoltà tecniche rispetto alla coltivazione idroponica classica. La presenza dei pesci influenza infatti la composizione della soluzione nutritiva, che spesso non coincide con l’optimum di crescita delle piante. Viceversa, nelle coltivazioni idroponiche è più facile usare soluzioni con la concentrazione desiderata per l’intero periodo di coltivazione. Nei sistemi acquaponici marini, come quello SIMTAP (www.simtap.eu), le colture devono essere coltivate con soluzioni nutritive molto ricche in sali (10 o 35 g/l), relativamente povere di azoto (1-2 mM N-NO3) e molto ricche al

contrario di Mg e B (oltre che di Na e Cl), e con anomali rapporti molari tra i vari elementi nutritivi (molto alti per Mg/K), rispetto alle soluzioni nutritive standard delle coltivazioni idroponiche (Goddek S. et al., 2019)

Lo scopo principale della tesi è stato pertanto quello di analizzare la risposta di crescita di tre specie di piante alofite obbligate o facoltative, e glicofite alo-tolleranti coltivate in idroponica in condizioni sub-ottimali di disponibilità di azoto nella soluzione nutritiva e con diversi livelli di salinità. Le specie studiate, tutte appartenenti alla famiglia delle Chenopodiacee (Amaranthaceae secondo la classificazione APG, Angiosperm Phylogeny Group), sono state:

Salicornia europeae (o S. perennans; alofita obbligata); Beta vulgaris ssp. maritima (alofita

facoltativa), Beta vulgaris var. Cicla (glicofita alo-tollerante).

Lo studio è stato condotto nell’ambito del Progetto PRIMA (2018) “SIMTAP: Self-sufficient Integrated Multi-Trophic AquaPonic systems for improving food production sustainability and brackish water use and recycling”. Il Progetto SIMTAP prevede la costruzione di un impianto di acquaponica marina per l’allevamento di orate e spigole. In questo impianto, saranno coltivate soprattutto la sali la S. europeae e altre specie di alofite.

2.2 Disegno sperimentale

Il disegno sperimentale prevedeva tre esperimenti separati con le tre specie prima indicate. In ogni esperimento sono state confrontate diverse soluzioni nutritive diverse per livello di salinità e di azoto nitrico (Tab. 9).

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La salinizzazione della soluzione nutritiva è stata scelta in base ad un ipotetico abbinamento della coltura idroponica con l’allevamento di pesce di mare (es. orata) ed è stata ottenuta aggiungendo ad acqua di pozzo o potabile cloruro di sodio oppure un prodotto largamente utilizzato nel settore degli acquari, noto come Instant Ocean (IC; http://www.instantocean.com/products/sea-salt-mixes/sea-salt-mixture.aspx), che è composto in larga misura da cloruro di sodio, oltre ad altri sali a base dei principali macro e microelementi necessari alla vita degli organismi acquatici. L’IC è particolarmente ricco in calcio, magnesio e solfo (solfato), oltre ovviamente al sodio e al cloro (cloruro).

Tab. 9. Disegno sperimentale.

Specie Tipo di acqua Livello di salinità (g/L) Concentrazione di azoto nitrico (mM) Tipo di sale utilizzato Abbreviazione B.vulgaris var. cicla Potabile 10 1,0 IC IC10-1 Potabile 10 10,0 IC IC10-10 Pozzo 0 1,0 - IC0-1

Pozzo 0 10,0 - IC0-10 (Controllo)

B.vulgaris ssp. maritima

Potabile 10 1,0 IC IC10-1

Potabile 10 10,0 IC IC10-10

Pozzo 0 1,0 - IC0-1

Pozzo 0 10,0 - IC0-10 (Controllo)

S. europeae

Potabile 35 1,0 IC IC35-1

Potabile 35 10,0 IC IC35-10

Pozzo 35 10,0 NaCl Controllo

La composizione minerale delle soluzioni nutritive utilizzate nei vari trattamenti di controllo è riportata nella Tab. 10. Le altre soluzioni si differenziavano ovviamente soprattutto per l’azoto nitrico (1 o 10 mM). Le altre differenze sono dovute al contributo dell’Instant Ocean e sono dunque proporzionali all’aumentare della sua concentrazione nei rispettivi trattamenti. Le soluzioni preparate con l’IC sono caratterizzate da un elevato contenuto di Ca, Mg e S-SO42- rispetto alle soluzioni nutritive normalmente impiegata nelle colture idroponice, come la soluzione di controllo utilizzata nei tre esperimenti.

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Tab. 10. Concentrazione minerale delle soluzioni nutritive impiegate negli esperimenti con le due specie di bietola e con la salicornia. Soluzione nutritiva EC (dS m-1) N-NO3- mM P-H2PO4- mM K mM Ca mM Mg mM Na+ mM Cl- mM S- SO 4-mM B mM Fe mM Mn mM Cu mM Zn mM B.vulgaris var. cicla IC10-1 14,44 1,0 0,5 9,0 4,83 16,41 134,68 155,98 11,41 0,166 0,04 0,01 0,003 0,01 IC10-10 13,87 10,0 0,5 9,0 4,83 20,89 134,68 155,98 11,41 0,166 0,04 0,01 0,003 0,01 IC0-1 3,16 1,0 0,5 9,0 4,50 1,23 8,58 14,87 5,00 0,04 0,04 0,01 0,003 0,01 IC0-10 (Controllo) 3,11 10,0 0,5 9,0 4,50 2,00 8,58 14,87 1,26 0,04 0,04 0,01 0,003 0,01 B.vulgaris ssp. maritima IC10-1 15,20 1,0 0,5 9,0 4,83 16,41 134,68 155,98 11,41 0,166 0,04 0,01 0,003 0,01 IC10-10 15,21 10,0 0,5 9,0 4,83 20,89 134,68 155,98 11,41 0,166 0,04 0,01 0,003 0,01 IC0-1 2,95 1,0 0,5 9,0 4,50 1,23 8,58 14,87 5,00 0,04 0,04 0,01 0,003 0,01 IC0-10 (Controllo) 3,08 10,0 0,5 9,0 4,50 2,00 8,58 14,87 1,26 0,04 0,04 0,01 0,003 0,01 S. europeae IC35-1 42,2 1,0 0,5 11,33 11,97 55,21 469,48 544,08 28,50 0,538 0,04 0,01 0,003 0,01 IC35-10 41,7 10,0 0,5 11,33 11,97 59,69 469,48 544,08 28,50 0,538 0,04 0,01 0,003 0,01 Controllo 51,3 10,0 0,5 11 4,50 5,71 611,58 617,87 6 0,04 0,04 0,01 0,003 0,01

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Tab. 11 Dati cronologici e climatici relativi agli esperimenti con Beta vulgaris var. cicla e Beta vulgaris ssp. maritima

Data Operazione Durata del

trattamento (giorni) Temperatura media giornalieria (°C) UR media giornaliera (%) RAD media giornaliera (MJ/m2) RAD cumulata (MJ/m2) 17/02/2020 Semina 9/03/2020 Trapianto 19/03/2020 I salinizzazione: + 5 g/l 24/03/2020 II salinizzazione: + 5 g/l 6/04 Primo taglio 13 21,8 41,7 11,7 20/04 Secondo taglio 14 23,2 35,4 12,8 4/05 Terzo taglio 14 23,1 44,5 12,7

Valori medi dell’intero periodo 41 22,7 40,5 12,4 6015,8

Tab. 12 Dati cronologici e climatici relativi agli esperimenti con Salicornia europaea.

Data Operazione Durata del

trattamento (giorni) Temperatura media giornalieria (°C) UR media giornaliera (%) RAD media giornaliera (MJ/m2) RAD cumulata (MJ/m2) 5/02/2020 Semina 9/03/2020 Trapianto 10/03/2020 I salinizzazione: + 7 g/l 11/03/2020 II salinizzazione: + 7 g/l 12/03/2020 III salinizzazione: + 16 g/l 19/03/2020 III salinizzazione: + 5 g/l 16/04/2020 Primo taglio 28 22,5 38,4 12,5 30/04/2020 Secondo taglio 14 22,5 47,6 10,8 14/05/2020 Terzo taglio 14 24,1 46,2 13,9

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2.3 Materiali e metodi

Materiale vegetale

Gli esperimenti sono stati condotti nel periodo di febbraio-giugno 2020 in una serra del laboratorio di Orticoltura e Floricoltura del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.

Per le prove sono state impiegati i semi forniti da tre diverse ditte sementiere: per Beta vulgaris

var. cicla, Gargini Sementi, Lucca; per Beta vulgaris ssp. Maritima Pennard Plants, East Pennard, Regno Unito; per Salicornia europaea, Alsagarden, Niederhaslach, Francia.

Tecnica colturale

La tecnica di coltivazione idroponica usata è il floating system. Per ognuno dei 3 o 4 trattamenti a confronto, sono state allestite due vasche contenenti circa 50 L e 720 piante di bietola o 200 di salicornia, per una densità colturale, rispettivamente, di 720 o 200 p/m2 di serra. Le semine e le altre operazioni colturali, compresi i tagli della parte area, sono state eseguite nelle date riportate nelle Tab. 11 e 12. I semi sono stati seminati in cubetti di lana di roccia, ricoperti con uno strato di vermiculite e posti a germinare all’interno della serra. Il trapianto è avvenuto il 9/03/2020. Le condizioni climatiche durante le prove sono riportate nelle Tab. 11 e 12.

La salinizzazione della soluzione nutritive è stata effettuata progressivamente aggiungendo la metà o un terzo della dose necessaria per raggiungere la concentrazione salina finale desiderata (Tab. 11 e 12). I sali impiegati per preparare le soluzioni nutritive sono stati: nitrato di magnesio; solfato di magnesio eptaidrato; diidrogeno fosfato di potassio; nitrato di magnesio; cloruro di calcio, nitrato di potassio e solfato di potassio. Per quanto riguarda i microelementi sono stati impiegati chelati di Fe (EDDHA), Cu (EDTA), Zn (EDTA) e Mn, molibdato di sodio e acido borico.

Durante gli esperimnti, le soluzioni nutritive sono state campionate una (salicornia) o due (bietola) volte la settimana per l’analisi rapida dei nitrati (con riflettometro RQFlex, Merck; https://it.vwr.com/store/product/594832/riflettometri-rqflex), allo scopo di mantenerne la concentrazione il più possibile vicina ai valori ai valori prefissati, che sono stati ripristinati con nitrato di magnesio quando necessario. Le perdite di acqua causate dall’evapotraspirazione sono state compensate con soluzione nutritiva completa.

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40 Determinazioni di laboratorio

Ad ogni taglio, le piante sono state campionate per la determinazione dei parametri di crescita e del contenuto minerale delle foglie di bietola (Fig.11 e 12) o degli steli (detti anche articoli; Fig. 13) nel caso della salicornia. Il peso secco dei campioni è stato determinato dopo aver essiccato i campioni freschi in una stufa ventilata a 70°C, fino a peso costante.

Fig. 11 Foglia di Beta vulgaris var. cicla.

(http://luirig.altervista.org/schedenam/fnam.php?taxon=Beta+vulgaris+ssp.+cicla)

Fig.12. Foglie di Beta vulgaris ssp. maritima. (https://www.healthbenefitstimes.com/sea-beet/nggallery/image/10325)

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Fig.13. I fusti trasformati (cladodi) di Salicornia europaea. (https://www.britannica.com/plant/glasswort)

L’indice di succulenza è stato calcolato come rapporto tra il contenuto di acqua (differenza tra peso fresco e peso secco) e il peso secco delle foglie o degli articoli.

Per le analisi chimiche di laboratorio, i campioni secchi stati macinati e digeriti a caldo in ambiente acido (240 °C, 2 ore; miscela 5:2 v/v di acido nitrico 65% e perclorico 65%). Sul prodotto della digestione è stato determinato il contenuto dei seguenti elementi:

1) P con il metodo del molibdato (Olsen et al., 1982);

2) Ca, Mg e microelementi (Fe, Mn, Zn e Cu) con uno spettrofotometro ad assorbimento atomico (Varian Model Spectra-AA240 FS, Australia).

3) K e Na con un fotometro a fiamma.

Inoltre, sui campioni disidratati è stato determinato il contenuto di N ridotto, N-NO3- e cloruri.

Per la determinazione dell’N ridotto è stato utilizzato il metodo Kjeldahl (Kacar, 1972). Per la determinazione del contenuto di N-NO3- l’estrazione dei campioni è stata effettuata con acqua

distillata e il contenuto di N-NO3-, nella soluzione ottenuta con l’estrazione, è stato determinato

con il metodo colorimetrico dell’acido salicilico (Cataldo et al., 1975).

Lo stesso estratto è stato utilizzato per la determinazione della concentrazione dei cloruri con un cromatografo ionico (Dionex).

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42 Analisi statistica

I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA) ad una (esperimento su salicornia) o due (esperimento con le due specie di bietola) vie. Le medie sono state separate con il test di Duncan (P=0,05).

2.4 Risultati

Esperimento con B. vulgaris var. cicla

Riguardo all’analisi di crescita (Tab. 13; Fig. 14), né la salinità né la concentrazione di nitrato della soluzione nutritiva ha influenzato il peso secco della parte aerea (essenzialmente foglie). La concentrazione di nitrato non ha influenzato nemmeno il peso secco delle radici e il rapporto tra radici e parte aerea. L’interazione ‘salinità x concentrazione di nitrato’ è stata significativa solo per il peso fresco della parte aerea e l’indice di succulenza.

La salinità elevata (10 g l-1 di IC) e la concentrazione ridotta di nitrato ha ridotto di un terzo circa il peso fresco della parte aerea e aumentato (salinità) o ridotto (concentrazione di nitrato) allo stesso modo il contenuto fogliare di sostanza secca.

Fig.14. Piante di Beta vulgaris var. cicla coltivate in idroponica con dierse soluzioni nutritive (v. testo per il significato delle abbreviazioni).

IC0-10 (controllo)

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