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Attività fisica e ritmo circadiano

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Academic year: 2021

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INDICE

Capitolo 1

Ritmo circadiano

p.3

1.1 Nucleo soprachiasmatico p.7 1.2 La luce come stimolo dominante p.9 1.3 Output del pacemaker p.10

Capitolo 2

Apparato endocrino

p.11 2.1 Ormoni associati all’attività fisica p.13 Testosterone, cortisolo, ormone della crescita

Capitolo 3

Influenza del ritmo circadiano sull’attività fisica

p.18 3.1 Ormoni p.18 Testosterone e cortisolo, ormone della crescita

3.2 Performance p.21 3.3 Studi sperimentali p.25

Capitolo 4

(2)

2

Capitolo 5

Quando allenarsi

p.31 5.1 Mattina p.33 5.2 Pomeriggio p.35 5.3 Sera p.36

Capitolo 6

Conclusioni

p.37

Bibliografia

p.38

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1. RITMO CIRCADIANO

Durante la rotazione terrestre, in ogni istante metà del pianeta è illuminato dal sole mentre l’altra metà si trova al buio. Questo fenomeno di alternanza tra luce e buio, giorno e notte, è alla base dei ritmi circadiani, dal latino circa diem.(1)

Dai batteri agli umani, quasi tutti gli organismi viventi reagiscono a tali cambiamenti di condizione attraverso adattamenti endogeni geneticamente determinati, persistenti nel tempo in assenza di stimoli esogeni (Mairan 1729). Questi si differenziano dai ritmi giornalieri, definiti come quei ritmi fisiologici, biologici o comportamentali che si ripetono circa ogni 24 ore (3).

Nei mammiferi i ritmi circadiani influenzano e sono a loro volta influenzati da un’ampia varietà di funzioni comportamentali e fisiologiche, quali l’alternanza sonno/veglia, variazioni sulla performance psicofisica e sensoriale, secrezione ormonale e regolazione della temperatura basale (Fig. 2). Nell’uomo le luci notturne, il lavoro a turni e il jet leg sono fattori che possono alterare il ritmo circadiano dell’organismo, andando a causare disturbi metabolici (4) (Fig. 3).

Come accennato in precedenza, il ritmo persiste anche in assenza dell’alternanza luce/buio, essendo dunque una funzione regolatoria generata dal sistema nervoso centrale, mediata dal sistema ritmico circadiano (CTS, circadian timing system), un gruppo di strutture neuronali specifiche che organizza le funzioni fisiologiche e comportamentali.

Per poter compiere la propria funzione, il CTS necessita di almeno tre componenti: 1) fotorecettori e vie visive che trasducano l’informazione luminosa correlata 2) pacemaker (generatore di ritmo, N.d.R.) che generi un segnale circadiano 3) vie efferenti in grado di accoppiare il pacemaker ai sistemi effettori.(1)

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(Fig.1) Luce come stimolo dominante (1)

L’uomo rientra nella categoria degli animali diurni, quelli cioè che avendo sviluppato come capacità sensoriale prevalente la vista, sfruttano i momenti di luce per svolgere le proprie attività, mentre riposano durante il buio. Questo accade per permettere di migliorare attività come la nutrizione, la riproduzione e la fuga dai predatori.

Diversi studi hanno stabilito il fatto che i ritmi circadiani vengano generati da pacemaker endogeni, arrivando alla scoperta di veri e propri orologi neuronali e del sistema ritmico circadiano (CTS). Tra tutti, Colin Pittendrigh e Jurgen Aschoff hanno fornito osservazioni rilevanti sui mammiferi e sull’uomo, riconoscendo nel ritmo circadiano una funzione fondamentale del sistema nervoso centrale. In seguito, Curt Richter suggerì che un pacemaker circadiano deputato al controllo dei ritmi attività/riposo era situato nell’ipotalamo anteriore.

Altro fattore su cui si rivolse l’attenzione era l’ormone secreto dalla ghiandola pineale, la melatonina, identificata da Aaron Lerner. Questa viene sintetizzata e secreta secondo un

Output LUCE Occhio (fotorecettore) Sincronizzazione Pacemaker Oscillatori dipendenti Circadianità delle funzioni

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pattern circadiano, che va ad agire sulla serotonina al livello della ghiandola pineale. In un lavoro di Moore, vennero sezionate tutte le vie ottiche una ad una, tranne il chiasma ottico. Sebbene gli animali fossero ciechi e non mostrassero più riflessi pupillari alla luce, essi esibivano ancora un ritmo circadiano della melatonina.(1)

In seguito ad altri studi, per dimostrare quale potesse essere la via di trasmissione dei segnali luminosi al cervello (per giustificare il legame luce-ritmi circadiani), in cui le vie ottiche erano state interrotte, si arrivò alla scoperta dell’esistenza di una proiezione diretta di fibre dalla retina al nucleo soprachiasmatico (SCN) dell’ipotalamo. Si è giunti quindi alla dimostrazione sperimentale della teoria che il tratto retinoipotalamico (RHT) che termina nel SCN è sufficiente a garantire la ritmicità circadiana. Una sua sezione chirurgica, al suo ingresso nel SCN, determina una incapacità nella regolazione delle funzioni circadiane senza una perdita della vista vera e propria.

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(Fig.2) Architettura del sistema circadiano (3)

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1.1 NUCLEO SOPRACHIASMATICO

Nei mammiferi il SCN è costituito da un gruppo di piccoli neuroni sopra il chiasma ottico su ciascun lato del terzo ventricolo nella sua porzione ventrale. Esso costituisce il pacemaker circadiano principale e presenta caratteristiche importanti: 1) è il sito di terminazione della via retinoipotalamica e l’ablazione di questa cancella i ritmi circadiani, 2) lesioni al SCN alterano solo l’organizzazione temporale di una funzione, ma la funzione in quanto tale non subirà modifiche (ad esempio alterazione del ritmo sonno-veglia ma non della quantità totale di sonno e di veglia né tantomeno la quantità di sonno REM e non-REM), 3) l’isolamento del SCN, sia in vivo che in vitro, non altera la sua capacità di generare un segnale circadiano, 4) il trapianto di SCN in un ospite reso aritmico ripristina il ritmo circadiano, con un periodo che riflette quello del donatore e non dell’ospite.(1) Si è visto come la regione dorso mediale del SCN sia costituita da neuroni piccoli e poco arborizzati, mentre nelle regioni ventrale e laterale sia la dimensione che l’arborizzazione dendritica aumentano, fino addirittura ad andare oltre l’apparente confine del SCN.

I neuroni dorsomediali contengono arginin-vasopressina (AVP) o angiotensina II (AII) e GABA. Le afferenze in questa regione originano dall’ipotalamo, dal prosoencefalo basale e dalla corteccia limbica. La regione ventrolaterale contiene il VIP (peptite intestinale vasoattivo), il GRP (peptide che provoca il rilascio di gastrina) ed il GABA. Vie ottiche afferenti, principalmente il tratto retinoipotalamico e le proiezioni ottiche secondare provenienti dalla benderella intergenicolata (IGL) del gruppo genicolato laterale, terminano nella porzione ventrolaterale. Inoltre, in questa regione, afferiscono informazioni dai neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe mesencefalico. Questa seconda porzione, la ventrolaterale, viene detta core, poiché riceve afferenze primarie e contiene neuroni pacemaker. La restante parte costituisce invece il guscio.(1)

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Per quanto riguarda l’attività di pacemaker, esistono due ipotesi:

1) singoli neuroni nati come oscillatori si sono poi accoppiati con connessioni neuronali per formare un pacemaker;

2) in alternativa tale funzione è generata dall’interazione di neuroni con un ritmo inferiore alle 24 ore.

Dai dati raccolti la teoria più accreditata risulta la prima, in quanto il ritmo circadiano origina già in periodo fetale, dove non sono presenti sinapsi, e poiché singoli neuroni del SCN mantenuti in coltura presentano ciascuno una scarica ritmica. Non è però ancora ben chiaro se solo i neuroni del core abbiano attività pacemaker o se questi siano presenti anche nel guscio.

Ciò che è certo è la formazione del SCN nel feto. Questo si genera con ritmi in rapporto al SCN materno, tuttavia l’ablazione del SCN della madre nelle prime fasi della gravidanza non impedisce la formazione del SCN nel feto, che presenta però ritmi indipendenti l’uno dall’altro e dall’ambiente. A mediare la sincronizzazione tra SCN materno e fetale sembra essere coinvolta la melatonina, anche se non sono ancora chiari i processi alla base del fenomeno.(1)

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1.2 LA LUCE COME STIMOLO DOMINANTE

Lo stimolo sincronizzante dominante del pacemaker è la luce, che ne stabilisce sia la fase che il periodo. In assenza di questa, il pacemaker lavora liberamente con un periodo di poco superiore alle 24 ore.(1)

Ciò che stimola il sistema è la quantità totale di luce, con un picco di risposta ad una lunghezza d’onda di circa 500 nm, ma con un ampio intervallo di sensibilità. L’informazione luminosa viene utilizzata da speciali cellule gangliari retiniche che proiettano nel SCN e nella benderella intergenicolata, una componente talamica del CTS. Il neurotrasmettitore utilizzato in questa via, la retinoipotalamica, è il glutammato.

Gli stimoli non-fotici vengono mediati dall’IGL, che proiettando al core del SCN con NPY, produce spostamenti di fase, con anticipi durante il giorno e ritardi durante la notte. Tali modifiche si verificano con l’attività locomotoria, ma la risposta finale dell’IGL è data da un’integrazione degli stimoli provenienti dalla retina e dall’attività, influenzando cosi nel SCN la funzione di pacemaker.

Altra influenza sulla regolazione del SCN deriva dai neuroni serotoninergici del rafe mesencefalico che ne innervano fittamente la parte interna modulando le risposte alla luce. Questi si attivano durante la veglia, calano la loro attività nel sonno a onde lente e sono silenti nella fase REM.(1)

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1.3 OUTPUT DEL PACEMAKER

Le efferenze dal SCN arrivano per lo più all’ipotalamo, nella zona subparaventricolare. In questa zona si nota una fitta rete di proiezioni, tanto da pensare che possa avere il compito di regolare i sistemi effettori del SCN. Altre efferenze giungono in diverse zone dell’ipotalamo, come l’area preottica mediale, l’area ipotalamica laterale, l’area retrochiasmatica, il nucleo paraventricolare, il nucleo dorsomediale e l’area ipotalamica posteriore. Al di fuori dell’ipotalamo il SCN proietta nel prosencefalo basale (il nucleo del letto della stria terminale ed il nucleo del setto laterale, il talamo centrale) e nell’IGL.(1)

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2. APPARATO ENDOCRINO

L’apparato endocrino è costituito da formazioni ghiandolari (ghiandole endocrine) deputate alla produzione di determinate sostanze, gli ormoni, che attraverso il circolo sanguigno raggiungono gli organi bersaglio, spesso situati molto lontano nel corpo, sui quali agiscono con le loro funzioni(2). Di seguito andremo ad analizzare alcuni tra gli organi endocrini, e i relativi ormoni, le cui funzioni sono correlate con l’attività fisica. Tra le principali formazione endocrine troviamo l’ipotalamo dove è presente il nucleo soprachiasmatico, secernente vasopressina (ADH) e ossitocina, ormoni octapeptidici, che vengono veicolati verso la neuroipofisi. La stretta correlazione anatomo-funzionale tra ipotalamo e ipofisi prende il nome di asse ipotalamo-ipofisario. Da questo dipende il corretto funzionamento della maggior parte delle ghiandole endocrine del nostro organismo e quindi di molte funzioni vitali.

L’ipofisi è costituita da due porzioni fuse insieme, di diversa origine e funzione, ma entrambe connesse funzionalmente con l’ipotalamo. Anteriormente, l’adenoipofisi, produce il GH, grazie allo stimolo del GHRH ipotalamico. La produzione dell’ormone della crescita è massima nel bambino e decrementa con il passare degli anni. Si ha inoltre la produzione di FSH e ICSH, che hanno funzioni connesse al rilascio degli ormoni delle gonadi, e di ACTH, responsabile della stimolazione delle ghiandole surrenali, nella loro porzione corticale. La neuroipofisi, o lobo posteriore dell’ipofisi, è collegata anatomicamente all’ipotalamo, dal quale riceve gli assoni del nucleo soprachiasmatico e paraventricolare passando nel peduncolo ipofisario, all’interno del fascio ipotalamo-ipofisario. Sull’estremità posteriore del III ventricolo troviamo l’epifisi (ghiandola pineale), una ghiandola endocrina secernente melatonina. L’attività di questa ghiandola è correlata all’alternanza luce/buio secondo un ritmo circadiano. Durante il buio, le fibre

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postgangliari simpatiche, derivanti dal ganglio cervicale superiore, liberano noradrenalina che stimola la produzione di melatonina che va a sua volta ad inibire l’attività gonadica. L’epifisi produce, inoltre, serotonina, con un picco durante le ore diurne e un minimo in quelle notturne.(2)

Spostandoci a livello della fossa lombare troviamo le ghiandole surrenali. Queste producono cortisolo, ormone fondamentale per il metabolismo del glucosio. Esso infatti stimola la degradazione del glicogeno epatico, e anche delle proteine, affinché le cellule possano sfruttare le risorse energetiche. La produzione di questo ormone, stimolata dal ACTH ipofisario (a sua volta attivato dal CRH ipotalamico), è generalmente associata a condizioni di stress o emergenza.(2)

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2.1 ORMONI ASSOCIATI ALL’ATTIVITÀ FISICA

TESTOSTERONE

Il testosterone interagisce con quasi tutti gli organi del corpo umano. Le sue funzioni includono la promozione della spermatogenesi, la crescita muscolare, lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, l’eritropoiesi e la regolazione del matabolismo osseo. Il range normale nella prima mattina di testosterone totale in adulti maschi sani varia approsimativamente tra 300 e 1000 ng/dL. Se è stato dimostrato da diverse fonti il ritmo circadiano del testosterone, stessa cosa non si può dire per quanto riguarda un suo ciclo stagionale, per il quale vi è scarsità di risultati. Inoltre le concentrazioni dell’ormone variano in base all’età. In adulti maschi sani a partire dalla terza decade i livelli calano ogni anno dell’1-2%.(5)

Il livello più alto viene registrato tra le 05.30 e le 08.00, con un calo successivo che porta ad un minimo circa 12 ore dopo. L’ampiezza della variazione di testosterone totale, che viene stimata come differenza tra concentrazione massima e minima, è circa del 6 -12% nella maggior parte degli studi. Sono stati pubblicati solo pochi lavori dove i livelli arrivavano fino a un massimo del 24%. Tale grandezza decresce con l’avanzare dell’età. Per esempio, a 30 anni, i livelli di testosterone alle 16.00 sono circa il 76% rispetto a quello mattutino, mentre a 70 anni corrispondono all’89%. Per quanto riguarda il DHT (diidrotestosterone) i valori di variazione giornaliera corrispondono all’83% a 30 anni e al 95% a 70. Si tratta quindi di differenze minime tra i livelli mattutini e pomeridiani.(6) Il testosterone è associato a diversi parametri influenti sulla salute, sullo stile di vita e sulla performance fisica. Per esempio, Bhasin et al. (2001) hanno riportato relazioni favorevoli tra la somministrazione di testosterone esogeno e la composizione corporea, la prestazione

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fisica e i livelli lipidici sanguigni in giovani maschi sani. Analogamente, già nel 1996 Bosco et al. avevano mostrato il rapporto tra livelli basali di testosterone e l’aumentata capacità prestativa (vertical jump, 30m di sprint) in giocatori di calcio.

É risaputa l’azione anabolica del testosterone tramite la ritenzione di azoto, la trasmissione neuromuscolare e il potenziamento dell’azione dell’ormone della crescita, che porta a un miglioramento della composizione corporea, con aumento di massa magra e perdita di massa grassa. Sempre Bosco et al. hanno però mostrato come, tra atleti di pari livello, mostrassero risultati migliori nel test di Cooper quelli con valori di testosterone basale più bassi. Similmente nel 2005 Daly et al. hanno trovato valori ridotti di testosterone basale in atleti che effettuavano allenamenti aerobici di alto livello.(7)

Sebbene l’SHBG (globulina legata agli ormoni sessuali) abbia un ruolo cruciale nella biodisponibilità del testosterone circolante, pochi studi hanno indagato sul suo contributo sullo stato di salute. Tuttavia, sono state osservate forti associazioni tra i lipidi circolanti e l’SHGB con i valori di testosterone. Un aumento di SHGB è stato rilevato negli uomini dopo i 50 anni e in uno studio di 8-12 settimane su regime di allenamento militare. Anche Hammami et al. nel 2017 hanno mostrato un aumento di SHGB su giocatori di calcio rispetto al gruppo di controllo.(7)

(Fig.4) Differenze giornaliere dei valori di testosterone con misurazioni alle 08.00 e alle 16.00(6)

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CORTISOLO

Il cortisolo è un ormone steroideo, appartenente alla classe dei glucocorticoidi, secreto dalle ghiandole surrenali. Regola diversi processi metabolici tra cui la glicogenolisi, la lipolisi e la proteolisi(8).

La secrezione del cortisolo viene regolata secondo un ritmo circadiano tramite meccanismi che coinvolgono il SNC. In particolare la presenza di ACTH prodotto a livello dell’ipofisi, a sua volta attivato dal CRH ipotalamico, va ad agire a livello delle ghiandole surrenali stimolando la secrezione di cortisolo. Questo a sua volta, secondo un meccanismo di regolazione a feedback negativo, inibisce il circuito. Ciò che determina la natura circadiana nella produzione di questo ormone è l’attivazione del CRH. Questo infatti viene secreto al momento del risveglio, momento in cui il nucleo soprachiasmatico riduce la sua azione inibitoria sul nucleo paraventricolare e sull’eminenza mediana favorendo così il rilascio di CRH. Avremmo quindi una maggior concentrazione di ormone durante le prime ore della mattina, che andrà poi a calare con il passare della giornata. Esiste poi una ritmicità ultradiana, ovvero la secrezione dell’ormone avviene in maniera intermittente, con un ritmo che varia da soggetto a soggetto. Nell’arco delle 24 ore sono stati registrati da 8 a 16 picchi di rilascio di cortisolo intervallati da 1-3 ore. Le conseguenze del ritmicità vanno a determinare a livello del SNC differenti risposte morfofunzionali. Infatti alte concentrazioni stimolano l’attività del fattore neurotrofico, che porta a un rimodellamento dendritico e a una maggior plasticità sinaptica, compresa la formazione di spine dendritiche postsinaptiche dopo l’esecuzione di compiti motori. Inoltre la quantità di cortisolo agisce a livello comportamentale: è stato mostrato come vi sia una proporzionalità inversa tra la presenza di ormone e i livelli di positività riferiti dagli individui. Inoltre è stato sperimentato come l’intermittenza della secrezione dell’ormone sia alla base dell’equilibrio comportamentale e della performance mentale dei soggetti.

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Infatti alti livelli costanti di cortisolo creano stati di ansietà e diminuiscono le capacità intellettive degli individui. (9)

Come citato precedentemente, la sua natura catabolica aumenta il consumo e la degradazione del glucosio, degli acidi grassi liberi e degli aminoacidi. Per questo livelli elevati di cortisolo inducono il catabolismo con riduzione di peso e di massa magra(8). (7)Una relazione inversa è stata trovata tra i valori di cortisolo e la capacità aerobica in individui allenati di pari livello. Spesso, infatti, il cortisolo viene utilizzato come parametro per valutare gli stati di overreaching/overtraining ed eccessivo stress negli atleti con conseguente calo della performance.

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ORMONE DELLA CRESCITA

L’ormone della crescita (GH), ormone peptidico secreto dall’ipofisi anteriore, gioca un ruolo centrale nella modulazione della crescita dalla nascita fino alla fine della pubertà. Inoltre contribuisce al controllo del peso corporeo e della sua composizione(10). La sua secrezione è soggetta a un ritmo circadiano che segue lo schema sonno/veglia. In particolare, il picco di GH viene raggiunto durante il sonno nelle ore notturne. Problemi del sonno possono diminuire la produzione di questo ormone, anche se rilasci intermittenti giornalieri possono compensare tale carenza. Questo suggerisce che la secrezione di GH non è legata al solo ritmo sonno/veglia, ma è anche regolata a un livello più alto(11),in particolare dall’attività di feedback a corto e lungo raggio, positiva e negativa, dell’ipotalamo attraverso il GHRH e la somatostatina(10). Attività che intervengono in questa regolazione sono il sonno, l’esercizio fisico, lo stress psicofisico e altri fattori come l’ipoglicemia, l’iperglicemia e lo schock ipovolemico. Inoltre sono state mostrate differenze nel rilascio di GH tra i due sessi, con una secrezione “intermittente” nell’uomo a fronte di una “continua” nella donna. In entrambi i casi, i livelli di ormone secreto calano con l’età(12). La difficoltà nello studiare la circadianità dell’ormone, ed in particolare del suo gene (hGH1), sta nella mancanza di campioni ipofisari umani premortem.(11)

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3. INFLUENZA DEL RITMO CIRCADIANO

SULL’ATTIVITÀ FISICA

3.1 ORMONI

Gli ormoni giocano un ruolo centrale nella regolazione delle attività metaboliche. La maggior parte di questi presentano una natura circadiana, non solo dovuta a stimoli esterni e comportamentali, ma anche a meccanismi anticipatori presenti in un organismo in salute. La rottura dei normali schemi circadiani provoca un danno a livello endocrino con conseguente ripercussione sull’omeostasi.(4)

TESTOSTERONE E CORTISOLO

L’ottimizzazione degli adattamenti in seguito ad allenamenti contro resistenza sembra che si verifichi nel tardo pomeriggio, momento in cui il rapporto tra cortisolo e testosterone è maggiormente sbilanciato a favore del secondo. Si tratta di un parametro fondamentale, più delle relative concentrazioni, per valutare la capacità anabolica di un organismo e quindi dell’adattamento ipertrofico e in termini di forza(14). Deschenes et al.(15) hanno mostrato come le concentrazioni di testosterone e di cortisolo abbiamo un andamento simile nel corso della giornata, con valori più alti al mattino e più bassi la sera. Contrariamente a quanto questo possa far credere, Deschenes ha suggerito che l’allenamento contro resistenza durante il tardo pomeriggio possa creare maggior benefici in termini di aumento di sintesi proteica grazie all’aumento del rapporto testosterone/cortisolo (TC ratio). Gli autori hanno concluso

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che l’aumento del TC ratio possa indicare il miglior momento per ottenere vantaggi da un elevata attività anabolica per produrre massa muscolare. Quello che non è ancora ben chiaro è il ruolo che può avere l’attività fisica sul ritmo circadiano ormonale, in particolare del testosterone e del cortisolo. Secondo Hakkinen et al. una settimana di allenamento intenso contro resistenza non è sufficiente a creare delle variazioni significative sul bilancio ormonale giornaliero. Per questo Sedliak et al. hanno deciso di estendere lo studio ad un periodo di dieci settimane, trovando risultati che mostravano una differenza di concentrazione di testosterone a riposo, facendo così ipotizzare che un periodo prolungato di allenamento ad una determinata ora possa far modificare la circadianità della performance sportiva(16). Le prestazioni di forza senza un allenamento tempo-specifico sembrano sollecitare il tipico schema diurno, così come gli adattamenti dell'allenamento contro resistenza. Quindi è importante che nei protocolli di lavoro il momento dell’allenamento, e quindi degli adattamenti, coincida con l’apice della performance, tendendo quindi in considerazione la risposta ormonale individuale.(14)

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ORMONE DELLA CRESCITA

Il rilascio intermittente di ormone della crescita (GH) con variazioni giornaliere è regolato da un sistema di autoregolazione a feedback negativo che può essere influenzato da diversi fattori.

Tra questi troviamo l’esercizio fisico, un potente stimolante del rilascio di GH, il quale inizia ad essere secreto dopo circa 15 minuti dall’inizio dell’attività(12). Il fenomeno può variare da soggetto a soggetto, secondo fattori individuali quali l’età, il sesso e la composizione corporea. In ogni caso però, per ottenere un rilascio importante di GH sono richiesti almeno 10 minuti di attività ad alta intensità, con carichi quindi sopra al 80% dell’ 1RM. A parità di durata, l’esercizio che utilizza il metabolismo anaerobico è quello in grado di stimolare maggiormente il rilascio dell’ormone(12).

Inoltre è stato mostrato come l’ormone della crescita sia elevato nei 15-30 minuti post-esercizio dopo una sessione di allenamento contro resistenza, a patto di uno stimolo sufficientemente intenso. In particolare, protocolli di lavoro ad alto volume di intensità medio-alta, con brevi tempi di recupero e con stress di grandi gruppi muscolari tendono a produrre una maggior quantità di ormoni (testosterone, GH e cortisolo) rispetto a programmi di allenamento a basso volume, intensità alta e lunghi tempi di recupero.(13)

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3.2 PERFORMANCE

Risultati del 2018 mostrano come le fibre muscolari scheletriche presentano una natura circadiana intrinseca, indipendente dal controllo del SNC. Questa ritmicità può pero essere modulata dall’attività fisica che ne modifica l’ampiezza e la fase. I mitocondri stessi seguono un andamento circadiano, mostrando un picco di capacità ossidativa intorno alle 23.00h. Anche in questo caso l’esercizio può creare alterazioni nel ciclo di attività dei mitocondri con esiti in acuto e cronici.(17)

La variazione giornaliera nella performance sportiva solitamente mostra un picco nel tardo pomeriggio, in coincidenza con il picco della temperatura corporea. Questo modello circadiano può essere spiegato dall’effetto di tale aumento sulla viscosità ed elasticità muscolare e sulla velocità della conduzione nervosa. Altri fattori come il miglior ROM articolare, il maggior afflusso sanguigno ai muscoli, il miglioramento della glicogenolisi e glicolisi (il glicogeno epatico mostra un picco del 17% nel tardo pomeriggio(3)) e l’aumento della temperatura ambientale(31) possono risultare determinanti ai fini della prestazione sportiva(14). Youngstedt e O’Connor (1990) hanno mostrato sette variabili che potrebbero spiegare il calo di performance mattutino: differenze nello stato nutrizionale tra mattina e sera; minor flessibilità al risveglio; insufficiente tempo per recuperare dall’inerzia del sonno; momento della giornata preferito per allenarsi; differenza di recupero tra le sessioni test; differenze individuali della risposta fisiologica; differenze sulla motivazione e l’aspettativa personale. Possiamo quindi affermare che ad influire sulla performance siano un insieme di fattori esterni (ambientali) ed interni (fisiologici). Tra i primi, purtroppo non controllabili, troviamo, oltre alla già citata temperatura esterna, la risposta psicologica e fisiologica del soggetto al contesto in cui si trova durante la

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performance. Per quanto riguarda i secondi, fondamentali sono i ritmi biologici del soggetto ed il suo stile di vita. Come mostrato il picco di temperatura corporea si raggiunge nel secondo pomeriggio, con una differenza di circa 0,9°C rispetto al valore minimo(8). Questo, oltre a migliorare la flessibilità riducendo la viscosità muscolare, contribuisce probabilmente ad aumentare l’utilizzo dei carboidrati come substrato energetico al posto dei grassi. Inoltre favorisce lo scorrimento delle catene actina-miosina (quest’ultimo fattore viene influenzato anche dalla concentrazione di fosfato inorganico che sembra avere un ritmo circadiano). A dimostrazione di quanto detto nel 2011 Taylor et al. hanno mostrato come l’estensione del warm-up nella sessione mattutina sia utile a diminuire il gap di performance con il pomeriggio(30). In particolare venti minuti in più di riscaldamento attivo sono risultati utili ad aumentare la temperatura del core contribuendo in tal modo al miglioramento dell’efficienza fisica. Sull’importanza del warm-up si sono anche espressi Atkinson et al. che già nel 2005 avevano mostrato l’influenza della temperatura corporea sulla prestazione di ciclisti(16).

Per quanto riguarda gli esercizi di alta intensità e breve durata circa il 20% della popolazione studiata ha mostrato differenze circadiane con differenze di potenza massina dell’8% e di potenza media dell’11%(17), con un picco di performance tra le 16.00 e le

20.00 e un nadir tra le 06.00 e le 10.00(16)(29). Nel caso di allenamenti contro resistenza, è stato mostrato come la differenza giornaliera nella performance (tra il 3% e il 18% con un valore medio dell’8%(17)), venga attenuata con allenamenti mattutini, mentre aumenta se le sedute sono svolte nel pomeriggio. Questo porta alla conclusione secondo la quale l’allenamento della forza svolto durante la mattina determina un aumento della

performance nell’intera giornata, mentre sedute pomeridiane creano adattamenti tempo-specifici. In conclusione un atleta che non conosce l’orario della competizione dovrebbe allenare la forza durante la mattina, ma se l’evento gara è programmato nel pomeriggio le

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23 sedute in palestra dovranno essere inserite in tale orario al fine di migliorare la performance.(18).

Ciò nonostante un protocollo di allenamento contro resistenza effettuato durante la mattina sembra causare una maggiore alterazione del ritmo circadiano a causa di un maggior stress ossidativo e danno muscolare rispetto ad allenamenti effettuati nel pomeriggio o di sera(19).

Vi è invece confusione a proposito dell’attività aerobica di lunga durata. Non c’è infatti uniformità nei risultati ottenuti nei vari studi(21). Hill et al. hanno mostrato come l’allenamento aerobico a un’ora specifica della giornata produca uno spostamento della

soglia anaerobica in tale momento, rendendo così anche in questo caso l’adattamento tempo-specifico.

Anche Hobson et al.(25) suggeriscono che vi sia una dipendenza tra il momento della giornata in cui viene svolto l’allenamento e la sua performance (Fig.6-7). Nel loro studio i test condotti sulla pedalata al 65% del VO2 max hanno mostrato risultati migliori durante la mattina. Anche nello studio di Boukelia et al.(20) la performance mattutina in un trail di 10km è risultata leggermente migliore rispetto al pomeriggio. Al contrario secondo Hill et al.(26) la capacità aerobica è risultata più ampia durante il pomeriggio. Pertanto si può affermare come non vi sia totale chiarezza tra l’interazione tra attività aerobica e ritmo circadiano, sebbene siano appurate differenze che dipendo però da una molteplicità di fattori quali la durata e l’intensità dell’esercizio uniti alla sempre presente componente soggettiva.

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(Fig.6) Effetti dell’allenamento tempo specifico nella prestazione di breve durata (21)

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3.3 STUDI SPERIMENTALI

Nello studio di Heishman et al.(23) su dieci giocatori di basket della NCAA si mettono in evidenza le differenze di performance tra la mattina e il tardo pomeriggio. In particolare i dati ottenuti nel countermovement vertical jump e in termini di potenza sono risultati migliori nel pomeriggio rispetto alla mattina, mentre la prontezza e la reattività non hanno evidenziato particolari differenze. Inoltre i giocatori hanno dichiarato una maggior quantità di ore di sonno dopo gli allenamenti pomeridiani, anche se non è stata indagata la qualità del riposo stesso.

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In un altro studio condotto da Chtourou et al. viene preso in considerazione il rapporto tra allenamento e momento della giornata in cui questo viene svolto. Trenta soggetti maschi, studenti di scienze motorie, sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo (MTG) ha effettuato esercizi di forza la mattina dalle 07.00 alle 08.00; il secondo (ETG) ha seguito lo stesso protocollo del primo gruppo, tre allenamenti settimanali per una durata totale di 8 settimane, ma nel tardo pomeriggio, dalle 17.00 alle 18.00; infine il gruppo di controllo (CG) si è limitato alla solo attività fisica accademica, senza sottoporsi all’allenamento della forza. Una settimana prima dell’inizio del programma di allenamento e due settimane dopo

la fine si sono svolti i test. Tutti i partecipanti hanno eseguito squat jump, countermovement jump e Wingate test alle 07.00 e alle 17.00 indipendentemente dal loro gruppo di appartenenza. I risultati mostrano innanzitutto l’efficacia del protocollo di

lavoro, in quanto il CG non ha ottenuto miglioramenti in termini di forza, e in seconda analisi la differenza di adattamento tra i due gruppi sperimentali. Si nota infatti un aumento di performance in entrambi ma la cosa interessante è che il MTG ha mostrato miglioramenti sia la mattina (momento solitamente deficitario della performance) sia la sera, sebbene i risultati più alti siano stati raggiunti la mattina. Contrariamente nell’ETG i

cui guadagni di forza si sono manifestati solamente alle 17.00, orario ritenuto più adatto a questo tipo di allenamento, ma non la mattina. Da questo studio si può quindi evincere che l’allenamento mattutino della forza sia in grado di colmare quel gap prestativo mostrato

dalla letteratura, che viene invece esasperato da allenamenti serali, grazie ai quali però sono stati raggiunti i più alti livelli di forza.(24)

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(Fig.9) Miglioramenti del picco di potenza nel Wingate test dei tre gruppi alle 07.00 e alle 17.00(24)

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(Fig.11) Miglioramenti nello squat jump dei tre gruppi alle 07.00 e alle 17.00(24)

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4. PROGRAMMAZIONE DEI PASTI

Altro fattore fondamentale è la pianificazione dei pasti in relazione all’allenamento. Infatti è importante programmare, oltre alle sedute di allenamento stesse, anche la tempistica dei pasti per far si che l’efficacia della seduta sia massima e nel rispetto dei ritmi biologici. È stato visto, ad esempio, che effettuare un allenamento intenso la sera senza un importante reintegro di carboidrati, con conseguente calo nella disponibilità glucidica (muscolare ed epatica), stimola l’attivazione dell’ossidazione lipidica a livello delle fibre muscolari.(17) È stato mostrato come nell’uomo saltare la colazione sia associato a un aumento di rischio di problemi metabolici, quali obesità e scarso controllo glicemico. Inoltre cene in tarda serata o notturne, ripetute nel tempo, provocano un aumento di massa grassa e di conseguenza del BMI. Quindi la giusta programmazione dei pasti nella giornata è fondamentale per il bilanciamento energetico nel breve e lungo termine. Infatti la limitazione di assunzione di cibo alle sole ore diurne, anche se con una dieta sbilanciata, riduce l’insorgenza di patologie metaboliche.(22)

Indipendentemente dall’attività fisica e dall’orario dei pasti, il livello di glucosio nel sangue presenta un ritmo circadiano. In particolare si ha un picco di glicemia a digiuno la mattina, durante il passaggio dal sonno alla veglia (3). Interessante è anche il fatto che in questo momento della giornata la tolleranza glucidica sia a livelli più alti, scendendo poi fino a raggiungere il punto più basso durante la sera. Se da una parte l’assunzione di cibo non è necessaria a creare una ritmicità nei livelli insulinici, dall’altra la programmazione dei pasti all’interno della giornata può creare importanti rimodellamenti a livello dell’orologio biologico tissutale. In particolare l’assunzione di cibo solo durante le ore diurne ha mostrato una minor produzione di massa grassa a parità di introito calorico;

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i pasti notturni vanno invece ad alterare le funzioni metaboliche e determinano un maggior aumento di peso.(4)

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5. QUANDO ALLENARSI

Il metabolismo energetico è regolato da diversi ormoni, enzimi, sistemi di trasporto, e il ritmo circadiano influisce su questi andando a modulare la loro espressione, secrezione e attivazione. L’energia prodotta ed immagazzinata viene utilizzata per le attività metaboliche quali il mantenimento del metabolismo basale, l’attività fisica e la termogenesi indotta dalla dieta. Già nel 1915 Francis G Benedict aveva mostrato variazioni circadiane nel metabolismo energetico. Più tardi Haugen et al. hanno confermato una differenza nella spesa energetica totale giornaliera, con un aumento del 6% nel pomeriggio.

Due studi hanno misurato i ritmi circadiani nella spesa energetica e nell’ossidazione dei substrati. Uno di questi ha utilizzato la calorimetria indiretta in 7 giovani maschi sani e ha riportato, una variazione del 17% sulla spesa energetica, con picco tra le 09.00 e le 12.00, contrariamente a Haugen, e valori minimi tra le 24.00 e le 06.00. Il secondo studio in 10 giovani uomini sani, ha misurato il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica trovando un piccolo picco del 6% in ciascuna delle variabili prese in considerazione. Entrambi gli studi non hanno riportato variazioni importanti sul quoziente respiratorio (RQ), il che indica una differenza relativa nell’ossidazione dei substrati. Un altro studio su 15 adulti obesi, mantenuti a digiuno nelle 24h ha mostrato un picco di consumo energetico tra le 13.15 e le 17.23.(3)

Altri studi hanno mostrato una differenza nella spesa energetica post prandiale. In particolare la termogenesi indotta dalla dieta è più alta del 44% durante la mattina rispetto al pomeriggio o alla sera. Non sono invece state trovate differenze con il primo pomeriggio.(3)

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Tra i vari fattori che influenzano la spesa energetica, l’attività fisica è uno dei principali ed in particolare la sua collocazione all’interno della giornata. Inoltre il momento dei pasti risulta determinante per il consumo energetico. Diversi studi indagano sulla relazione tra pasto ed attività fisica per capire come queste due attività interagiscono in termini di spesa energetica anche se non vi sono ancora risultati molto chiari. Comunque è stato mostrato un aumento di utilizzo nelle scorte di glicogeno e di acidi grassi in performance a digiuno favorendo così la perdita di peso.(8)

Alla luce di quanto è stato mostrato precedentemente, sulla base degli studi scientifici presenti in letteratura, è quindi possibile creare dei programmi di allenamento capaci di assecondare i ritmi biologici circadiani dell’organismo, con il fine ultimo di ottimizzare in primis le prestazioni e in secondo luogo creare i migliori presupposti fisiologici per l’adattamento e quindi la supercompensazione.

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5.1 MATTINA

Le sedute di allenamento mattutine, come visto, non sono in grado, nella maggior parte dei casi, di rendere tanto quanto quelle pomeridiane, soprattutto in termini di intensità. È altresì vero, però, che la più alta concentrazione di cortisolo mattutina, come esposto nel secondo capitolo, è in grado di stimolare il rimodellamento dendritico. Questo suggerisce nel corso delle prime ore della giornata attività i cui scopi siano quelli di apprendere nuovi pattern motori o nozioni tattiche. Tra l’altro, l’allenamento di tali capacità implica, secondo la teoria dell’allenamento, basse intensità di lavoro e soprattutto tempi di recupero prolungati, in modo da rendere possibile il ripristino del sistema nervoso tra un’esercitazione e l’altra, determinando così una bassa densità del carico allenante.

Basato su altri principi, ma pur sempre attuabile poco dopo il risveglio, è l’allenamento aerobico a digiuno. Questo può essere utile nei casi in cui la perdita di peso sia il focus primario dell’attività fisica. Come visto nel passaggio da sonno a veglia, anche senza assunzione di cibo, vi è un innalzamento glicemico utile ad evitare crisi ipoglicemiche durante l’allenamento, purché l’intensità dello stesso non si elevi eccessivamente. Al contempo l’assenza del pasto pre-training stimola la degradazione lipidica, attraverso un’ergogenesi che utilizza prevalentemente acidi grassi. Di contro però tale condizione potrebbe portare ad una alterazione del controllo glicemico, con depauperimento delle scorte di glicogeno muscolare ed epatico, vanificando sia l’allenamento stesso o il recupero.

Bisogna però includere in questo momento anche l’allenamento della forza, in quanto gli adattamenti di questa capacità condizionale, se il programma di allenamento si estende per diverse settimane, risultano più uniformi e duraturi nell’intera giornata, rendendo quindi l’eventuale atleta in grado di realizzare performance di alto livello indipendentemente dall’orario della gara.

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Bisogna però ricordare che il momento del risveglio è delicato anche da un punto di vista cardiaco(27), in quanto si ha il passaggio dal sistema vagale a quello simpatico. In questa situazione l’attività fisica potrebbe costituire un trigger per problematiche cardiovascolari(27). Per questo è consigliabile mantenere bassi i livelli di intensità dell’esercizio, soprattutto in soggetti che presentano fattori di rischio.

Ricapitolando, dunque, l’attività fisica mattutina è ottima quando va a stimolare le sinapsi nervose, nell’acquisizione di nuovi gesti o nel rafforzamento di quelli già conosciuti(9), può essere sfruttata per il dimagrimento, e, specie negli atleti, può portare a guadagni di forza importanti e non tempo-specifici(18).

L’allenamento mattutino può quindi prevedere: - ginnastica dolce

- esercizio aerobico a bassa intensità - esercizi di forza

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5.2 POMERIGGIO

Sono diversi i motivi per cui la performance pomeridiana, dopo le 17.00, risulta migliore rispetto agli altri momenti della giornata. Inoltre gli adattamenti all’allenamento, soprattutto in termini ipertrofici e di forza, correlati ai migliori valori di TC ratio, risultano più evidenti. L’aspetto negativo sta però nel fatto che l’aumento di forza risulta tempo-dipendente, rendendo quindi il miglioramento della performance limitato al solo tardo pomeriggio.

In questo momento della giornata sono comunque consigliati programmi di ipertrofia, ma anche attività di endurance di media ed alta intensità. L’allenamento della forza è da collocare nel pomeriggio qualora l’evento gara sia programmato nel medesimo momento della giornata. Sono inoltre consigliabili allenamenti ad alta intensità e scarso reintegro calorico per stimolare la lipolisi a livello delle fibre muscolari (17).

Risulta evidente dagli studi che il pomeriggio, soprattutto tardo, sia il momento migliore per allenarsi. In particolare in questa fascia oraria è possibile effettuare tutti i tipi di allenamento senza particolari controindicazioni, e con risultati soddisfacenti. In termini di performance è noto come le maggiori manifestazioni mondiali inseriscano nei propri programmi le gare principali nel tardo pomeriggio, per esaltare le capacità prestative degli atleti.

Nelle sedute pomeridiane sono quindi indicati: - esercizi aerobici a media ed alta intensità - esercizi di forza ed ipertrofia

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5.3 SERA

Il picco dell’attività mitocondriale, trovato alle 23.00, potrebbe suggerire l’esecuzione di allenamenti aerobici proprio in questa fase della giornata, anche se manca di supporti scientifici. Inoltre è stato visto come l’attività fisica durante le ore di buio sia in grado di shiftare il ritmo della melatonina, creando quindi possibili alterazioni nella qualità del sonno(28). In questa fase della giornata quindi è consigliabile attività aerobica a basso impatto, in modo da incidere il meno possibile sui ritmo sonno/veglia.

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6. CONCLUSIONI

In conclusione possiamo asserire che il controllo e l’importazione di un allenamento in relazione al ritmo circadiano può essere una valida risorsa per l’atleta. Ovviamente le scelte riportate precedentemente sono esclusivamente a grandi linee in quanto esiste sempre una variabilità genetica con cui fare i calcoli. Infatti l’espressione di alcuni geni o l’adattamento a determinate condizioni di training o alimentari può influenzare enormemente la prestazione. Tutto quello appena detto fa parte di una riflessione importante a cui il tecnico motorio deve far riferimento se ha intenzione di strutturare l’allenamento in relazione al ritmo circadiano.

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