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FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA: TRATTAMENTI ATTUALI E PROSPETTIVE FUTURE.

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INTRODUZIONE

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una patologia respiratoria progressiva, cronica e gravemente invalidante, con prognosi infausta, che colpisce nel mondo 8-16 persone ogni 100 000 abitanti (1). Essa fa parte del più ampio gruppo delle interstiziopatie polmonari (ILD: Interstitial Lung Diseases). Si stima che ogni anno oltre 5.000 persone ricevano una diagnosi di IPF in Italia; dati recentemente pubblicati hanno dimostrato che l’incidenza è in aumento (2).

Il termine fibrosi polmonare significa cicatrizzazione del tessuto, con conseguente perdita di funzionalità respiratoria nel tempo. Il termine idiopatica viene utilizzato poiché la causa della fibrosi polmonare è ancora sconosciuta. La IPF solitamente si manifesta in soggetti adulti di età compresa tra 50 e 70 anni, in particolare nei fumatori o ex fumatori e colpisce in misura maggiore gli uomini rispetto alle donne. Nonostante la comprensione generale della patogenesi dell’IPF rimanga ancora compresa solo in parte, gli sforzi della ricerca negli ultimi anni hanno raggiunto traguardi significativi, in particolare per gli studi in ambito sperimentale e per la messa in evidenza di molti dei fenomeni molecolari alla base della progressione della malattia. I singoli fattori genetici ed epigenetici rimangono i più importanti per lo sviluppo del processo fibrotico, sebbene il contributo delle varianti finora identificate o la loro interazione con i presunti fattori esterni non sia stata ancora chiarita. In questo scenario di suscettibilità genetica, la ripetuta micro-lesione dell’epitelio alveolare è stata riconosciuta come il primum movens di un processo di riparazione alterato in cui

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diverse cellule polmonari sviluppano comportamenti aberranti, portando all’insorgenza e al mantenimento del processo fibrotico. I sintomi clinici descritti, almeno inizialmente, sono simili a quelli di altre patologie respiratorie; per questo motivo in molti pazienti la IPF non viene inizialmente riconosciuta e diagnosticata come tale, determinando spesso un ritardo nella diagnosi per una patologia che ha un’aspettativa di vita dal momento della sua identificazione di 3-5 anni. Pertanto, chi soffre di IPF accusa dispnea, tosse secca, che si aggraveranno con il tempo così da rendere sempre più difficoltoso lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Un altro aspetto della patologia che ne impatta negativamente il decorso e la prognosi riguarda le riacutizzazioni gravi, ovvero rapidi peggioramenti dei sintomi nell’arco di giorni o settimane. Queste recrudescenze sono purtroppo legate ad un aumento della mortalità. Per l'alto tasso di mortalità e morbilità è necessaria una diagnosi precoce, non invasiva e attendibile, una più accurata stratificazione della patologia e un approccio terapeutico personalizzato.

FATTORI DI RISCHIO

AMBIENTE

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che le esposizioni ambientali sono coinvolte nella patogenesi dell’IPF. Sebbene le prove della relazione dose-risposta siano limitate, i risultati hanno fortemente associato il fumo di sigaretta e la polvere di metallo con il rischio di sviluppare IPF, anche per le forme familiari di fibrosi polmonare (3). Anche dopo la sua interruzione, il fumo rimane un fattore di rischio di malattia (4). Inoltre i pazienti ex fumatori con IPF hanno una sopravvivenza

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più scarsa rispetto ai non fumatori. Gli agenti microbici (virali, fungini e batterici) svolgono un ruolo potenziale nella patogenesi dell’IPF; è stato infatti osservato uno squilibrio nella composizione delle colonie batteriche nei pazienti con malattia polmonare interstiziale rispetto ai polmoni di pazienti sani. Studi hanno suggerito che l’analisi della composizione del microbioma polmonare di soggetti affetti da IPF può fornire una possibile spiegazione della patogenesi della malattia e può essere utile come biomarcatore prognostico (5). Curiosamente, i pazienti che esprimono un genotipo di allele minore di MUCIN 5B ( MUC5B ) presentano una carica batterica significativamente inferiore rispetto ai pazienti con IPF senza questo genotipo. Inoltre , Huang e collaboratori hanno analizzato i pazienti arruolati nello studio COMET-IPF nei quali è stato possibile riscontrare una relazione tra il profilo di espressione genica delle cellule mononucleate del sangue periferico e la funzionalità del microbioma nel lavaggio bronco-alveolare (BAL) nell’IPF. Infezioni virali come il virus Epstein – Barr, il Citomegalovirus , il virus dell’epatite C e l’herpes virus-8 umano sono state frequentemente riscontrate nei polmoni dei pazienti con IPF e quindi considerate fattori di rischio. Altri studi su farmaci antivirali, antibiotici e antimicotici hanno dato risultati suggestivi dell’opportunità di trattamento delle infezioni nell’IPF consolidando il legame tra microbioma e IPF (6).

GENETICA

La suscettibilità all’IPF è probabilmente correlata ad una combinazione di varianti genetiche e cambiamenti trascrizionali, che provocano la perdita dell’integrità epiteliale. Due grandi

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associazioni su tutto il genoma (GWAS) hanno identificato varianti genetiche comuni cruciali per l’integrità epiteliale, come fattori di rischio dell’IPF (7). Questi studi hanno identificato la potenziale importanza della biologia dei telomeri (TERT, TERC, OBFC1), della difesa dell’ospite (MUC5B, fosfolipide ATPasi 11A-ATP11A, interazione con le proteine TOLLIP) e della funzione di barriera cellulare (desmoplakin DSP, dipeptidyl peptidase 9-DPP9) per lo sviluppo della malattia. Entrambi i GWAS hanno stabilito il ruolo del promotore del gene MUC5B come fattore di rischio di malattia e hanno caratterizzato altre varianti comuni associate all’IPF, ad esempio TOLLIP e recettore TOL-LIKE (TLR) 3. Tuttavia la regione del promotore MUC5B (RS35705950) è stata confermata come il più forte fattore di rischio per lo sviluppo della polmonite interstiziale familiare e dell’IPF sporadica in particolare nella popolazione caucasica (8) (9).

Relazione tra genetica e malattia. Figura tratta da Genetics in Idiopathic Pulmonary Fibrosis Pathogenesis, Prognosis and Treatment di Amarpreet Kaur et al. 2017 reviewed by Brett Ley et al.

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ALTERAZIONI EPIGENETICHE

Qualsiasi processo che modifica l’attività genetica senza cambiare il codice genetico è definito come alterazione epigenetica (10). I principali meccanismi di metilazione del DNA e di modifica dell’istone sembrano mediare l’espressione genica e le caratteristiche della malattia, in particolare con l’età. Un’analisi della metilazione del DNA del tessuto polmonare che ha coinvolto 94 pazienti con IPF e 67 controlli ha riconosciuto 2130 regioni metilate differenziate al livello del genoma, di cui circa un terzo erano associate a cambiamenti significativi nell’espressione genica tra cui varianti comuni associabili all’IPF (11). Il fumo di sigaretta e l’invecchiamento sono i principali effettori delle modificazioni epigenetiche (12). Questa deriva epigenetica potrebbe teoricamente limitare la plasticità cellulare portando allo sviluppo di patologie legate all’invecchiamento come l’IPF (12).

INVECCHIAMENTO

I cambiamenti cellulari e clinici legati all’età svolgono un ruolo importante nell’IPF (13), e influenzano principalmente l’epitelio alveolare. Sono stati suggeriti nove segni distintivi che contribuiscono al processo di invecchiamento: instabilità genomica, perdita di funzioni protettive dei telomeri, alterazioni epigenetiche, perdita di proteostasi, rilevamento di sostanze nutritive deregolate, disfunzione mitocondriale, senescenza cellulare, esaurimento delle cellule staminali e alterazione della comunicazione intercellulare. La senescenza delle cellule

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epiteliali induce la fibrosi polmonare attraverso sia il modello di secrezione anormale dell’epitelio polmonare sia aumentando la resistenza all’apoptosi dei miofibroblasti (14). Un recente articolo (15) suggerisce che i fibroblasti di polmoni di topi vecchi esprimono un fenotipo fibrogenico che porta alla resistenza all’apoptosi e ad una maggiore suscettibilità alla risposta fibrotica dopo la lesione. Questi risultati sono stati parzialmente associati a un aumento dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo1 ( PAI1) il quale è un’effettore del fattore di crescita trasformante Beta 1 (TGF-β1) un fattore chiave nello sviluppo della senescenza attraverso l’induzione di P21 (16).

CONCETTO DI EPITELIO DISFUNZIONALE E PROCESSO ABERRANTE DI CICATRIZZAZIONE

Nel passato la IPF è stata definita come una malattia infiammatoria; attualmente è considerata una malattia epiteliale, in cui l'invecchiamento e le continue micro-lesioni portano a tentativi difettosi di rigenerazione di un epitelio polmonare disfunzionale e alla presenza di interferenze epitelio-mesenchimali aberranti creando uno squilibrio tra mediatori profibrotici e antifibrotici. Si ipotizza che la fibrosi si evolva in un lungo intervallo di tempo nei pazienti con IPF; quando diagnosticata, la struttura polmonare viene modificata in modo rilevante dalla malattia e le caratteristiche patologiche sono rappresentate da diversi stadi di danno epiteliale: iperplasia AEC2s (cellule epiteliali di tipo 2) fibrosi densa e anormale proliferazione delle cellule mesenchimali. Nei polmoni normali, la perdita di AEC1s (cellule epiteliali di tipo 1) dopo una lesione è seguita da una proliferazione e differenziazione di

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AEC2s e cellule staminali, le quali ripristinano l'integrità alveolare coinvolgendo diversi meccanismi: cascata di coagulazione, formazione di nuovi vasi , attivazione e migrazione di fibroblasti, sintesi del collagene e il suo corretto allineamento. Molte chemochine, come TGF-β1, il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF) e fattore di crescita dei fibroblasti (FGF), guidano il processo; se la lesione persiste o la capacità di ripristinare la normalità è compromessa, il processo di guarigione passerà attraverso una fase infiammatoria, con livelli aumentati di interleuchina-1 (IL-1) e fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα) creando un ambiente biochimico che porta alla rigenerazione cronica abortiva e al rimodellamento dei tessuti (17). Si ritiene che nei pazienti affetti da IPF l'epitelio polmonare sia disfunzionale e geneticamente sensibile alla risposta anomala verso le lesioni a causa di mutazioni che influenzano i geni espressi negli AECs. L'espressione genica alterata, con conseguente aberrante trascrizione e traslazione, porta alla produzione di proteine anormali, potenzialmente in grado di danneggiare l'ambiente cellulare, di alterarne il comportamento, nonché di accelerare la senescenza cellulare. Il risultato di tutte queste anomalie è un epitelio fragile, con ridotta capacità di rispondere correttamente a una lesione (18).

AEC2s E L'INIZIO DEL PROCESSO DISFUNZIONALE DI RIPARAZIONE

Gli AEC2 dovrebbero rigenerare le cellule danneggiate; essendo disfunzionali la loro capacità di ristabilire la normalità è seriamente compromessa: questo è il punto cruciale della

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patogenesi dell'IPF (19). L'attività cellulare porta alla sovra-espressione delle proteine e allo stress del reticolo endoplasmatico (ERS). In seguito a questo accumulo di proteine “mal piegate” viene attivata una successiva risposta, l'Unfold Protein Response (UPR: risposta a proteine mal piegate), progettato per ristabilire la normalità nel Reticolo Endoplasmatico (ER) inibendo la sintesi proteica e indirizzando queste proteine verso la degradazione; se questo obiettivi non vengono raggiunti entro un determinato lasso di tempo la risposta UPR porterà ad apoptosi. L'attivazione di UPR inoltre stimola la produzione di mediatori profibrotici, come TGF-β1, PDGF, CXCL12 (chemochine 12) CCL2 (20); il TGF-β1 è probabilmente il mediatore più importante coinvolto nella patogenesi dell'IPF, gli AEC2 possono sintetizzarlo come conseguenza della contrazione citoscheletrica mediata da actina/ miosina indotta da UPR, attraverso l'attivazione dell'integrina α6β6. TGF-β1 è un mediatore pro-fibrotico forte: promuove l'apoptosi delle cellule epiteliali, la transizione epitelio mesenchimale (EMT), la migrazione delle cellule epiteliali, la produzione di altri mediatori profibrotici, il reclutamento dei fibrociti circolanti, l'attivazione dei fibroblasti con conseguente proliferazione e trasformazione in miofibroblasti , la produzione di VEGF, CTGF (fattore di crescita del tessuto connettivo) e altri mediatori proangiogenici. Le cellule epiteliali esprimono geni associati alle cellule mesenchimali, si staccano dalla membrana basale, migrano e riducono la quantità dei loro marcatori (downregulation): il marcatore più caratteristico di queste cellule transizionali è l'αSMA (α Actina della muscolatura liscia) , tipico dei miofibroblasti. La considerevole quantità di proteine prodotte dagli AEC e dalle cellule staminali basali durante la rigenerazione dell'epitelio danneggiato può

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portare a ERS; l'ERS e di conseguenza UPR possono interrompere lo sviluppo cellulare e dirottare i normali processi riparativi verso la fibroproliferazione cronica.

IL RUOLO DELL'ENDOTELIO E DELLA CASCATA DELLA COAGULAZIONE

Il danno alla struttura alveolare con la conseguente perdita di AEC, con interruzione della membrana basale, coinvolge vasi alveolari e porta a una maggiore permeabilità vascolare. Questa prima fase di tentativo di riparazione del danno è caratterizzata dalla formazione di un coagulo; di conseguenza dovrebbero formarsi nuovi vasi e le cellule endoteliali dovrebbero proliferare coinvolgendo le cellule progenitrici endoteliali (EPC). Il danno endoteliale e epiteliale porta all'attivazione della cascata della coagulazione. Le proteinasi della coagulazione hanno diversi effetti sulle cellule coinvolte nella guarigione delle lesioni. L'ambiente di procoagulazione riduce la degradazione della matrice extracellulare (ECM), determinando un effetto profibrotico e inducendo la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti per mezzo di recettori attivati dalla proteinasi.

CELLULE MESENCHIMALI E MATRICE

EXTRACELLULARE

Il contributo delle cellule mesenchimali, in particolare dei fibroblasti e dei miofibroblasti, è cruciale per la patogenesi dell'IPF; queste cellule vengono reclutate, attivate e indotte a differenziarsi, trans-differenziarsi e proliferare nell'anormale ambiente biochimico creato dall'attivazione di cellule endoteliali

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e epiteliali. La letteratura attuale concorda nel definire i fibroblasti e i miofibroblasti come cellule chiave della patogenesi dell'IPF (21).

FIBROCITI

I fibrociti sono progenitori delle cellule mesenchimali derivanti dal midollo osseo. Sono reclutati dai tessuti danneggiati nel momento in cui i processi patologici riducono significativamente le cellule mesenchimali locali: l'epitelio una volta attivato li recluta esponendo CXCL12 (chemochina 12 con motivo CXC- o Fattore 1 Derivato Dalle Cellule Stromali SDF1), CCL2, e secernendo TGF-β1. Nel polmone danneggiato i fibrociti contribuiscono all'IPF attraverso la produzione di ECM differenziandosi in fibroblasti e miofibroblasti e migliorando l'ambiente profibrotico secernendo citochine profibrotiche, inoltre sempre maggiori prove confermerebbero l'aumento della percentuale di fibrociti durante l'esacerbazione acuta di IPF (AEIPF) e successivamente la loro diminuzione una volta terminata la fase iper-acuta: pertanto potrebbero essere considerati promettenti bio-marcatori, con implicazioni prognostiche.

FIBROBLASTI, MIOFIBROBLASTI E MATRICE EXTRACELLULARE

I fibroblasti sono cellule mesenchimali tissutali impegnate a ristabilire una ECM normale e ben strutturata nel processo di riparazione della guarigione delle ferite. Nella patogenesi dell'IPF, i fibroblasti derivati sia dai polmoni che dai fibrociti sono permanentemente esposti ai mediatori profibrotici secreti

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dai fibroblasti attivati , portando alla produzione di ECM e alla trans-differenziazione dei miofibroblasti. Il fattore stimolante più importante per la trans-differenziazione è il TGF-β1, ma anche il PDGF svolge un ruolo significativo. I miofibroblasti sintetizzano più ECM dei fibroblasti e la matrice prodotta dai miofibroblasti è scarsamente organizzata ma molto densa, inoltre persistono più a lungo nei tessuti danneggiati. I miofibroblasti hanno proprietà contrattili dovute all'αSMA , caratteristiche analoghe alle cellule della muscolatura liscia (SMC); la differenza principale tra queste cellule è l'irreversibilità della contrazione dei miofibroblasti, che regola il rimodellamento del collagene inducendo una riorganizzazione spaziale delle fibrille di collagene, aumentando lo stress meccanico e portando a una ECM più rigida. Le caratteristiche meccaniche dell'ECM depositato sono probabilmente il fattore più importante nella regolazione dell'attività dei miofibroblasti, infatti la loro attività di sintesi è potenziata dal contatto con la matrice più rigida, creando un circuito di feedback positivo (21). INFIAMMAZIONI E IMMUNITA’

La patobiologia dell'IPF è guidata da un aberrante crosstalk epitelio-mesenchimale, ma l'infiammazione svolge un ruolo importante. I macrofagi producono immediatamente citochine che stimolano una risposta infiammatoria. Alcune citochine linfocitarie sono considerate profibrotiche con effetti diretti sull'attività dei fibroblasti e dei miofibroblasti, Le cellule T sono state collegate alla patogenesi dell'IPF. Il sottoinsieme Th1 produce IL-1α, TNF-α, PDGF e TGF-β1 con un effetto profibrotico finale , ma le risposte Th2 e Th7 sembrano essere più importanti nella patogenesi dell'IPF. Un aumento dei livelli

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di IL-5, IL-13 e TGF-β1, reclutando macrofagi, mastociti, eosinofili e cellule mesenchimali è direttamente implicato nell'attivazione dei fibroblasti. Inoltre i fibroblasti isolati da pazienti con IPF mostrano iper-attività di IL-13, che ha un effetto positivo sull'attività dei fibroblasti intensificando la produzione di ECM. Sia nel liquido di lavaggio bronco-alveolare che nel sangue periferico dei pazienti affetti da IPF c'è un numero ridotto di cellule T regolatrici CD4 + CD25 + FOXP3+ (Tregs) rispetto ai soggetti sani e ai pazienti con altre malattie polmonari. Le Tregs svolgono un ruolo chiave nella tolleranza immunologica e prevenzione delle patologie autoimmuni, la loro carenza numerica e funzionale può giocare un ruolo cruciale nelle fasi iniziali della patogenensi dell'IPF (22). Nell'IPF i livelli polmonari dell'interferone-gamma (IFN-Gamma) risultano bassi; IFN-Gamma inibisce l'attività fibroblastica e disattiva la risposta di Th2. Malgrado gli avanzamenti sulla conoscenza della fisiopatologia della IPF, sono necessari ulteriori studi in particolare sul ruolo dell'infiammazione per comprendere cosa accade nelle prime fasi della malattia e contribuire a chiarire i meccanismi della sua progressione (23).

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La patogenesi della fibrosi polmonare idiopatica. Figura tratta da Clin Med April 1, 2017 vol. 17 no. 2 146-153.

DIAGNOSI

APPROCCI DIAGNOSTICI ATTUALI

Il segno chiave di questa malattia è l'honeycombing (struttura a nido d’ape) che si caratterizza per la presenza di piccole cisti

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subpleuriche ( da pochi millimetri sino a più di 2 cm) su più strati concentrici, disposte a chiazze con pareti spesse. L'honeycombing è espressione di fibrosi evoluta irreversibile ed è segnalato in HRCT ( High Resolution Computed Tomography/ TAC ad alta risoluzione) nel 24%-90% dei pazienti affetti da IPF. Secondo la dichiarazione congiunta del 2011 dell'American Thoracic Society (ATS), European Respiratory Society (ERS), Latin American Thoracic Association (LAT) e Japanese Respiratory Society (JRS) (24) la diagnosi di IPF può essere stabilita dalla presenza di un modello UIP (Polmonite Interstiziale Usuale) sulla tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) o mediante combinazioni specifiche di modelli radiologici e istopatologici in pazienti sottoposti a biopsia polmonare chirurgica. Una diagnosi HRCT di IPF richiede la presenza di tutti e tre i seguenti criteri: 1 presenza di honeycombing subpleurico basale; 2 reticolazione irregolare periferica che risale verso l'altro; 3 assenza di esteso ground-glass (lesioni tipo “vetro smerigliato”) (24). Il documento del 2011 ha fornito per la prima volta un quadro diagnostico rigoroso, standardizzato e basato sull'evidenza (25).Tuttavia l'applicabilità degli attuali criteri diagnostici nella pratica clinica si è rivelata complessa. Sono state proposte procedure alternative per l'esistenza di sotto popolazioni di pazienti in cui HRCT non era diagnostica e biopsia chirurgica non eseguibile, meno invasive come la criobiopsia transbronchiale, la quale può fornire un'elevata sicurezza diagnostica se eseguita da un operatore esperto (26). Il modello UIP radiologico, come definito dalle linee guida attuali, rappresenta di per sé una fonte di incertezze: la valutazione dell'honeycombing, necessaria per la diagnosi dell'UIP è soggetta a una significativa variabilità in base al punto di

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osservazione anche tra i radiologi esperti in malattie polmonari interstiziali. Le linee guida del 2011 trascurano anche il potenziale ruolo delle caratteristiche cliniche e demografiche (età, familiarità, progressione della malattia) le quali non state incorporate nell'algoritmo diagnostico (27) . Di recente un gruppo di lavoro della Fleischner Society (28) ha pubblicato un aggiornamento sull'approccio diagnostico per l'IPF, proponendo diversi cambiamenti nelle categorie diagnostiche della HRCT, con l'obiettivo di aiutare i medici a fornire ai pazienti una diagnosi più sicura anche senza metodi invasivi. In questo contesto l'assenza dell'Honeycombing ma la presenza di un reticolo con bronchioectasie periferiche è definita come “probabile UIP” e nel giusto quadro clinico, la biopsia è quindi riservata a pazienti che presentano fibrosi ma il loro quadro clinico non presenta criteri diagnostici riscontrabili nel modello UIP e per i pazienti con immagini TC che potrebbero portare ad altre diagnosi.

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Classico honeycombing subleurico segnalato in rosso nella HRCT di un paziente con una diagnosi di Fibrosi Polmonare Idiopatica. Figura tratta da Armanda M K et al. What is the role of high-resolution CT scanning in the work up of idiopathic pulmonary fibrosis (IPF)? Updated 2019

TRATTAMENTI FARMACOLOGICI SINTOMATICI

Gli interventi palliativi comprendono un ampio spettro terapeutico, inclusi l’educazione e il supporto per i pazienti e gli operatori sanitari (29). Sintomi come tosse, affanno, ansia e depressione sono comuni nell’IPF (30) e hanno un impatto importante sulla qualità della vita dei pazienti (31). Per

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migliorare questi sintomi principali interventi palliativi e di supporto sono alternati con interventi non farmacologici e farmacologici. La riabilitazione polmonare è solo uno degli interventi utilizzati per migliorare la dispnea. Uno studio prospettico sulla riabilitazione polmonare ha dimostrato miglioramenti nel questionario respiratori di Saint George, test del cammino di 6 minuti e punteggio della mancanza di respiro (32). Le linee guida internazionali raccomandano l’uso dell’ossigeno terapia a lungo termine nell’IPF. L’ossigeno terapia può aumentare la fiducia in se stessi e la partecipazione attiva alle varie attività quotidiane. Attualmente non vi sono prove in cui l’ossigenoterapia influisca sulla sopravvivenza dei pazienti (33). I tentativi di terapie farmacologiche con oppiacei e benzodiazepine per la gestione della dispnea nell’IPF hanno portato a risultati modesti. Un recente studio ha riportato che la diamorfina a basse dosi riduce la dispnea senza causare una riduzione della saturazione di ossigeno in un gruppo di pazienti anziani affetti da IPF allo stadio terminale (34). Poichè la terapia con morfina orale ha ridotto la dispnea e non ha causato depressione respiratoria, gli oppioidi a basso dosaggio possono essere efficaci e sicuri nella gestione palliativa dell’IPF (35), anche se nella meta analisi del 2016 in 214 partecipanti con varie malattie croniche le benzodiazepine non avevano mostrato alcun beneficio sintomatologico o miglioramento della dispnea. Tuttavia le conclusioni sono limitate a causa dell’eterogeneità degli studi con un numero modesto di partecipanti (36).

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La tosse è presente in più dell’80% dei pazienti con IPF (37). La fisiopatologia e il meccanismo della tosse nell’IPF sono complessi e poco compresi e il trattamento comprende la gestione delle comorbidità che possono influenzare la tosse, come il reflusso gastro-esofageo (GERD) (38). Le terapie con oppioidi migliorano significativamente la tosse e sono associate ad una migliore qualità della vita (39)

Tuttavia, l’impatto terapeutico degli oppioidi sulla riduzione della tosse è estrapolato dai suoi risultati positivi nei pazienti con tosse cronica e ci sono prove limitate relative alla sicurezza e all’efficacia degli oppioidi per la gestione della tosse nelle fasi terminali e il trattamento palliativo dell’IPF. I farmaci specifici per la tosse nell’IPF includono Talidomide. A causa dei suoi effetti immunomodulatori e anti-infiammatori, Talidomide è stato valutato in uno studio in doppio cieco controllato con placebo in pazienti con IPF e tosse. Questo studio incrociato di 24 settimane su 23 pazienti con IPF ha rivelato che Talidomide ha migliorato visivamente e qualitativamente la vita dei pazienti rispetto al gruppo placebo (40). Tuttavia , i pazienti trattati con Talidomide hanno manifestato più reazioni avverse rispetto al placebo (77% contro 22%) . Il verificarsi di questi eventi avversi e le dimensioni ridotte del campione ne hanno limitato l’uso per contrastare la tosse, pertanto sono necessari studi più ampi per dimostrarne ulteriormente la sicurezze e l’efficacia. Attualmente è stato avviato uno studio sul cromoglicato di sodio nebulizzato (PA101) il quale sembrerebbe portare beneficio nei pazienti affetti da IPF con tosse cronica (41).

Per molti anni, l’uso di glucocorticoidi e/o immunosoppressori è stato l’approccio convenzionale per il trattamento dei pazienti affetti da questa malattia con oltre il 50% di pazienti affetti da

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una lieve forma di IPF trattati con un’associazione di due ( Azatioprina + Prednisone) o tre (Azatioprina + Prednisone + N-Acetilcisteina) farmaci. (24)

Tuttavia, la tripla terapia con Prednisone, Azatioprina e N-acetilcisteina è stata dimostrata dannosa per i pazienti con IPF nello studio PANTHER-IPF con aumento del tasso di mortalità e di ospedalizzazione (42).

Percentuale di medici che hanno prescritto ciascuno dei trattamenti specificati nei pazienti con diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica (IPF) : sondaggio Advancing IPF Research 2013. Figura modificata da Vincent Cottin et al. Current approaches to the diagnosis and treatment of idiopathic pulmonary fibrosis in Europe: the AIR survey European Respiratory Review 2014 23: 225-23

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TRATTAMENTO CON FARMACI ANTI-FIBROTICI

Nell'ottobre del 2014 , la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato i primi farmaci per il trattamento non solo sintomatico dell'IPF: Nintedanib (Boehring Pharmaceuticals) e Pirfenidone (InterMune) che sono al momento attuale gli unici due farmaci in commercio in Italia. Il Pirfenidone era già stato autorizzato nel 2011 per il trattamento in Europa, Giappone e in molti altri paesi mentre Nintedanib è stato approvato come trattamento per l'IPF in Europa solo nel 2015.

PIRFENIDONE

Pirfenidone , un composto sintetico derivato dalla piridina è stato approvato per il trattamento dell'IPF da lieve a moderato nel 2011 nell'Unione Europea (UE) e nel 2014 negli Stati Uniti. Il meccanismo d'azione del Pirfenidone non è stato ancora completamente determinato. Tuttavia, dati esistenti indicano che il farmaco esercita sia proprietà anti-fibrotiche che proprietà anti-infiammatorie in una varietà di sistemi in vitro e di modelli animali di fibrosi polmonare. Il Pirfenidone attenua la proliferazione dei fibroblasti, la produzione di proteine e citochine associate alla fibrosi e l'aumento della biosintesi e l'accumulo di matrice extracellulare in risposta a fattori di crescita delle citochine, come il fattore di crescita trasformante beta (TGF-β1) e il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF). Ad oggi, studi randomizzati di fase III controllati con placebo hanno dimostrato che il Pirfenidone rallenta significativamente la progressione della malattia.

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STUDI PRECLINICI

La prima prova in vivo dell'efficacia del farmaco è stata dimostrata in studi sperimentali di Iyer e coll. (43). Sfruttando la fibrosi polmonare indotta da Bleomicina in criceti successivamente alimentati con una dieta a base di Pirfenidone. Gli Autori hanno mostrato un ruolo protettivo dose-dipendente del Pirfenidone il quale riduce la tossicità polmonare indotta dalla Bleomicina e ritarda la fibrosi polmonare stessa. Nei criceti trattati con Pirfenidone era parzialmente evidente una down-regulation dell'espressione genica del procollagene polmonare (procollagene I e III) correlata sia all'attenuazione degli eventi infiammatori sia alla trasformazione della soppressione trascrizionale del fattore di crescita (TGF-β1). In un modello sperimentale di topo in cui era stata indotta la fibrosi polmonare per mezzo della Bleomicina gli autori hanno dimostrato che il trattamento con Pirfenidone ha ridotto la deposizione di collagene, il numero di macrofagi, miofibroblasti, proteine-47 da shock termico (HSP-47) di pneumociti di tipo II e cellule interstiziali nel tessuto polmonare (44). Liu e coll. (45). hanno confermato un significativo effetto anti-fibrotico, ma non immunosoppressivo, del Pirfenidone nei trapianti polmonari e sui fibroblasti di ratto dimostrando che il trattamento con Pirfenidone riduce l'espressione e l'attività delle Arginasi e i livelli di TGF-β1, portando ad un'inibizione della deposizione di collagene e al miglioramento della funzione polmonare. Nel 2012 l'attività anti-fibrotica del Pirfenidone è stata testata per la prima volta nella fibrosi polmonare indotta dal Paraquat nel ratto. Una determinazione quantitativa della fibrosi sulle sezioni polmonari ha mostrato che il trattamento ha ridotto significativamente l'estensione della malattia (46).

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Infine, il Pirfenidone è stato testato anche in combinazione con Edaravone e Eritropoietina per valutare sia l'espansione della fibrosi sia il grado di infiammazione presente nei conigli con fibrosi polmonare indotta da Bleomicina. La sola somministrazione di Pirfenidone ha rallentato la progressione del danno polmonare indotto da Bleomicina, ma la triplice combinazione di farmaci è risultata più efficace nel ridurre l'espansione della fibrosi (47). Conte e coll. (48) hanno studiato gli effetti del Pirfenidone sulla proliferazione dei fibroblasti, la differenziazione miofibroblastica e l'attività fibrogenica utilizzando fibroblasti polmonari umani (derivati da aree istologicamente normali). Lo studio ha dimostrato che il trattamento ha ridotto la proliferazione dei fibroblasti e l'espressione dell'actina del muscolo liscio (SMA) indotta dal TGF-β1 e dal procollagene I influenzando così tutti i processi citati. Il Pirfenidone ha inibito la fosforilazione indotta da TGF-β1 di SMAD3 (Small mother against decapentaplegic - una classe di proteine in grado di modulare l'attività dei ligandi del fattore di crescita trasformante beta) e AKT (proteina chinasica B) fattori chiave negli effetti a lungo termine di TGF-β1 (48). L’effetto citotossico in vitro del Pirfenidone è stato valutato approfonditamente nello stesso anno da Walter et coll. (49). che hanno dimostrato un ruolo dose-dipendente del farmaco nell'aumentare i tassi di apoptosi e nel ridurre al minimo la vitalità cellulare. Il ruolo cruciale degli effetti antifibrotici del Pirfenidone è stato anche studiato in topi in cui era stata indotta fibrosi polmonare tramite Bleomicina focalizzandosi per la prima volta sull'accumulo di fibrociti correlandolo alla produzione del ligando CC-chemokine (CCL) (50). Il Pirfenidone ha migliorato significativamente la condizione del polmone (valutato mediante istologia quantitativa e misurazione

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del collagene) riducendo l'aumento del numero di fibrociti nel tessuto polmonare. Inoltre, uno studio in vitro sui fibrociti isolati dai polmoni di topi ha dimostrato che il trattamento ha inibito la migrazione dei fibrociti verso l'espressione di CCL-2 attraverso l'attenuazione della trascrizione dell'mRNA di CCR2 nei fibrociti (Ref Inomata M uguale a sopra).

Un importante studio di ricerca di Bauer e coll. (51) è partito da un confronto genomico sistematico tra ratti trattati con bleomicina e pazienti con IPF e ha portato all'identificazione di un insieme comune di 12 marcatori genici rilevanti per la malattia. Xie e coll (52) hanno identificato un regolatore del segnalazione della proteina G2 (RGS2) come un gene indotto da Pirfenidone le cui concentrazioni inter-cellulari sono fondamentali per modulare la proliferazione dei fibroblasti e la differenziazione dei miofibroblasti e concludendo che l'effetto benefico del Pirfenidone nell'IPF potrebbe essere spiegato almeno in parte dalla sua capacità di causare una rapida sovra-regolazione di questo gene (52) . La proprietà antifibrotica di Pirfenidone, Prednisone e N-acetilcisteina è stata confrontata in un modello di fibrosi polmonare indotta da Bleomicina in ratti da Yu e coll (53). Tutti i trattamenti hanno dimostrato di essere più efficaci e associati a infiammazione, espansione della fibrosi e espressione del TGF-β1, TNF-α e PDFG rispetto al gruppo placebo. Una differenza significativa nell'efficacia, principalmente sulla fibrosi, è stata invece mostrata tra Pirfenidone e N-Acetilcisteina .

Kurita e coll (54) hanno studiato l'effetto antifibrotico del Pirfenidone nell'attivazione dell'autofagia/mitofagia nei fibroblasti polmonari, concentrandosi sulla differenziazione dei miofibroblasti. Questo meccanismo è considerato cruciale nella

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patogenesi dell'IPF; il Pirfenidone migliora l'apoptosi e la senescenza cellulare delle cellule epiteliali e la differenziazione dei fibroblasti e miofibroblasti. Lo studio è stato condotto su topi knockout Park2 con fibrosi polmonare indotta da Bleomicina. Park2 è infatti uno dei percorsi meglio caratterizzati nell'attivazione della mitofagia; il Pirfenidone ha aumentato la mitofagia mediata da Park2 e ha attenuato la fibrosi polmonare e le modificazioni ossidative.

Il Pirfenidone ha dimostrato di ridurre significativamente la fibrosi polmonare, l'edema, l'infiammazione, la concentrazione di TGF-β1 e la quantità di idrossiprolina nel tessuto polmonare; attraverso l'inibizione dell'infiammazione e dello stress ossidativo e la soppressione dei geni che codificano le citochine profibrotiche e i sistemi enzimatici per la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) (55).

STUDI CLINICI

La raccomandazione delle linee guida internazionali per l’uso di Pirfenidone nei pazienti con IPF si basa sul risultato di tre studi clinici di fase III: CAPACITY-004, CAPACITY-006 e ASCEND (56). I risultati dei due studi concomitanti di fase III ( CAPACITY-004 e CAPACITY-006 ) hanno mostrato che il declino medio della FVC% (Capacità Vitale Forzata allo studio spirometrico) previsto a 72 settimane di trattamento era significativamente ridotto con Pirfenidone rispetto al gruppo placebo (CAPACITY-004 :-8,0% rispetto a -12,4%; ) e il declino di FVC% PRED era di 9,0% ( Pirfenidone ) rispetto a 9,6% (Placebo) (CAPACITY-006) (57).

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Il Pirfenidone è stato generalmente ben tollerato e non sono state segnalate differenze significative nel gruppo di trattamento in nessuno degli studi in termini di esacerbazioni acute. Nello studio ASCEND alla settimana 52, la percentuale di pazienti che hanno manifestato un declino di almeno 10 punti percentuali nella FVC prevista o che sono deceduti è stata ridotta del 47,9% nel gruppo Pirfenidone rispetto al gruppo placebo (16,5% e 31,8%). Gli eventi avversi gastrointestinali e correlati alla patologia erano più comuni nel gruppo Pirfenidone rispetto al gruppo placebo. Sulla base dei risultati di questi studi, la dose giornaliera raccomandata di Pirfenidone nei pazienti con IPF è di 3 capsule da 267 mg 3 volte al giorno durante il pasto per un totale di 2403 mg. La posologia deve seguire il seguente piano terapeutico: giorni1-7: una cps 3 volte al giorno (801mg) ; giorni 8-14 : 2 cps tre volte al giorno ( 1602 mg) ; dal 15esimo giorno in poi : 3 cps tre volte al giorno (20403 mg). RECAP è invece uno studio di estensione a lungo termine in pazienti con IPF che avevano completato ASCEND o CAPACITY (non vi sono restrizioni sulla gravità della patologia per l’ingresso in questo studio) (58). Sono inclusi nello studio anche i pazienti che in precedenza avevano ricevuto Pirfenidone o placebo in CAPACITY e in RECAP viene somministrato 2403 mg/die di Pirfenidone. I pazienti di ASCEND non sono stati inclusi a causa della mancanza di dati FVC nel follow-up. I pazienti sono stati classificati in base alla gravità dell’IPF, valutata a seconda della compromissione della funzionalità polmonare al basale: più avanzata (percentuale di FVC maggiore del 50% e/o DLCO ( capacità di diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio) minore del 35%) e meno avanzata (percentuale di FVC minore del 50% e DLCO minore del 35%). L’efficacia di Pirfenidone in base alla gravità

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dell’IPF è stata valutata con il declino del volume percentuale di FVC e FVC previsto per oltre 180 settimane, misurato utilizzando il cambiamento rispetto all’analisi basale e all’inclinazione lineare del tasso di declino annuale. La sicurezza di Pirfenidone in base alla gravità dell’IPF è stata valutata in base alla comparsa degli eventi avversi (AE) e ai motivi della sospensione per oltre 180 settimane. Queste analisi hanno messo in evidenza che il tasso annuale di declino della FVC è simile con il trattamento a lungo termine con Pirfenidone in pazienti con IPF (3,4- 3,9%), e in linea con il trattamento di Pirfenidone nelle 52 settimane in CAPACITY (5%) (59). Inoltre, il profilo di sicurezza del Pirfenidone è generalmente simile tra i pazienti con differente livello di gravità della malattia (ad eccezione degli eventi avversi correlati alla progressione dell’IPF) e in linea con quello del Pirfenidone in ASCEND e CAPACITY. (59).

Pazienti con un declino di FVC maggiore o uguale del 10% durante gli studi CAPACITY-004 e CAPACITY-006 confrontati con un gruppo placebo. Figura modificata da Kreuter M et al. Pirfenidone: an update on clinical trial data and insights from everyday practice. Respiratory review 23 111-117 2014.

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NINTEDANIB

Nintedanib, un derivato dell'indolone, è un inibitore intracellulare tirosin-chinasico, incluso il recettore del fattore di crescita dei fibroblasti 1, 2, 3, i recettori α e β del fattore di crescita derivato dalle piastrine ( PDGFα, PDGFβ) e dei recettori 1, 2 e 3 del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Nintedanib si lega in modo competitivo al sito di legame per l'adenosina trifosfato (ATP) di questi recettori e blocca la segnalazione cellulare. In questo modo questa molecola interferisce con i processi attivi della fibrosi come la proliferazione, la migrazione, la differenziazione dei fibroblasti e la secrezione della matrice extracellulare.

STUDI PRECLINICI

Nell'era pre-clinica l'effetto antifibrotico di Nintedanib sulla fibrosi polmonare è stato studiato in modelli sia in vitro che in vivo (60). E' stato dimostrato che la somministrazione orale di Nintedanib in ratti trattati con Bleomicina riduce la fibrosi sul tessuto polmonare influenzando la deposizione di collagene e inibendo l'espressione dei geni profibrotici. Ackermann e Coll invece si sono concentrati sull'effetto vascolare di Nintedanib, utilizzando un modello di fibrosi polmonare indotta dalla Bleomicina. Gli autori hanno dimostrato che Nintedanib influenza in modo significativo la riduzione della fibrosi polmonare e la proliferazione vascolare con la normalizzazione

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dell'architettura micro-vascolare distorta e un miglioramento della funzionalità polmonare (61). Anche il meccanismo dell'autofagia è stato testato con questo farmaco. Rangarajan e Coll. hanno riferito per la prima volta che Nintedanib induce l'autofagia, utilizzando fibroblasti isolati dai polmoni di pazienti con IPF. È stato dimostrato che Nintedanib riduce l'espressione della ECM e inibisce la differenziazione dei miofibroblasti indotta da TGF-β1 (62). Molto recentemente la Bleomicina e la ventilazione meccanica (MV) sono state usate per indurre la fibrosi in topi per ottenere una risposta fibro-proliferativa. Gli autori hanno scoperto che l'EMT (Transizione Epitelio-Mesenchimale) è aumentata con MV e che Nintedanib ha ridotto l'EMT e la fibrosi polmonare correlata a MV attraverso l'inibizione della via di segnalazione Scr (Proteina chinasi) e la produzione di TGF-β1.

STUDI CLINICI

Nintedanib è stato studiato in uno studio di fase II (TOMORROW) per l'IPF e i risultati incoraggianti di questo studio hanno costituito la base per lo studio di fase III (INPULSIS). Nei pazienti il Nintedanib somministrato oralmente è rapidamente assorbito e raggiunge la concentrazione massima sanguigna dopo 2-4 ore. La bio-disponibilità di Nintedanib aumenta con l'aumentare delle dosi e concentrazioni plasmatiche stabili sono raggiunte entro 7 giorni. La principale via metabolica di questa molecola avviene tramite la scissione idrolitica regolata dalle esterasi con oltre il 90% di Nintedanib assunto; i suoi metaboliti invece vengono escreti attraverso le feci. L'efficacia e la sicurezza di Nintedanib in pazienti affetti da IPF sono state analizzate con tre studi

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TOMORROW, INPULSIS e INPULSIS-ON. TOMORROW è uno studio di fase II randomizzato, che ha valutato l'efficacia e la sicurezza di Nintedanib per via orale, a quattro dosaggi (50 mg una volta al giorno, 50 mg due volte al giorno, 100 mg due volte al giorno e 150 mg due volte al giorno), in 432 pazienti con diagnosi di Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) con un gruppo di controllo trattati con placebo per 52 settimane (63). I risultati hanno suggerito che rispetto al gruppo placebo, i pazienti trattati con Nintedanib 150 mg per due volte al giorno presentano una riduzione del declino annuale della capacità vitale forzata (FVC, analizzata con spirometria) un minor numero di esacerbazioni acute ottenendo quindi il mantenimento della qualità di vita dimostrato anche tramite il questionario del St George Hospital, ideato per conoscere meglio i disturbi respiratori e i punti di vista dei pazienti affetti da IPF. Nello studio INPULSIS sono stati randomizzati 1066 pazienti in 24 paesi, 3 su 2 ricevevano Nintedanib 150 mg 2 volte al giorno o il placebo per 52 settimane seguito da un periodo di follow up di 4 settimane. L'interruzione del trattamento e la riduzione della dose da 150 mg 2 volte al giorno a 100 mg due volte al giorno potevano permettere il controllo degli effetti collaterali (64).

I pazienti che hanno completato il periodo di trattamento di INPULSIS di 52 settimane e la visita di follow-up 4 settimane dopo, avevano diritto di passare allo studio INPULSIS-ON (65). L’intervallo di tempo tra INPULSIS e INPULSIS-ON era di 4-12 settimane. I pazienti che hanno ricevuto Nintedanib 150 mg due volte al giorno o placebo alla fine dello studio INPULSIS hanno ricevuto Nintedanib 150 mg due volte a giorno in INPULSIS-ON. I pazienti che assumevano Nintedanib 100 mg

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due volte al giorno o placebo alla fine dello studio INPULSIS potevano ricevere 100 mg due volte al giorno o 150 mg due volte al giorno di Nintedanib in IMPULSIS-ON. I test spirometrici sono stati effettuati nelle settimane 2,4,6,12,24,36,48 e successivamente ogni 16 settimane. L'endpoint primario di INPULSISI-ON è stato quello di caratterizzare la sicurezza e la tollerabilità a lungo termine del farmaco. Per poter partecipare agli studi i pazienti dovevano avere almeno 40 anni e avere un FVC almeno del 50% del valore previsto o superiore, una DLCO ( capacità di diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio) tra il 30%-70% del valore previsto e un volume espiratorio forzato nel rapporto 1s/FVC di almeno 0,7. Le biopsie polmonari chirurgiche qualora disponibili sono state riviste a livello centrale e utilizzate per confermare l'idoneità per essere ammessi a partecipare agli studi. Sulla base di questi criteri di selezione negli studi INPULSIS è stata arruolata una varietà più ampia di pazienti rispetto a quelli che soddisfacevano i rigidi criteri di diagnosi per l'IPF secondo le linee guida descritte nel 2011 (66). L'endpoint primario in entrambi gli studi INPULSIS era rappresentato dalle variazioni del declino del FVC (ml/anno) nell'arco dell'anno. In entrambi gli studi Nintedanib ha costantemente rallentato la progressione della malattia riducendo in modo significativo il declino di FVC rispetto al gruppo placebo durante l'arco dell'anno. Il tasso annuo di declino della FVC è stato di -114,7 ml/anno con Nintedanib rispetto a -239,9 ml/anno con placebo (una differenza di 125,3 ml/anno) nell' INPULSIS-ON e -113,6 ml/anno con Nintedanib rispetto a -207,3 ml/anno con placebo ( una differenza di 93,7 ml/anno) in INPULSIS. Gli endpoint chiave secondari negli

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studi INPULSIS sono stati il tempo di comparsa delle prime esacerbazioni acute riscontrato e i cambiamenti delle linee basi del questionario di Saint-George (SGRQ). Risultati discordanti sono stati osservati su questi endpoint tra gli studi INPULSIS: in favore di Nintedanib valutando il tempo di comparsa della prima esacerbazione acuta e i punteggi totali rispetto alle linee basi del questionario di Saint-George nell'INPULSIS-ON mentre nessuna particolare differenza tra i gruppi nell'INPULSIS. In un'analisi dei dati di entrambi gli studi (67) , non è stata osservata alcuna differenza significativa tra Nintedanib e placebo fino alla comparsa della prima esacerbazione acuta o in base alla variazione del punteggio totale del SGRQ (Saint George’s Respiratory Questionnaire) rispetto alle linee basi. In un’analisi congiunta dei dati sugli studi INPULSIS e TOMORROW, è stata dimostrata una riduzione non significativa della mortalità per tutte le cause in pazienti trattati con Nintedanib 150 mg due volte al giorno rispetto al placebo per 52 settimane; risultati simili sono stati riscontrati anche per la mortalità respiratoria. Nintedanib aveva un profilo di sicurezza accettabile e un profilo di tollerabilità gestibile. Negli studi INPULSIS, la percentuale di pazienti che presentavano almeno una reazione avversa grave nei gruppi Nintedanib e placebo era molto simile (30,4% con Nintedanib e 30,0% con placebo); l'effetto avverso più frequentemente riportato nel gruppo Nintedanib è stato la diarrea, riportata nel 62,2% dei pazienti rispetto al 18,4% dei pazienti nel gruppo placebo. Quasi tutte le reazioni avverse di diarrea sono state lievi o di intensità moderata e solo il 4,4% dei pazienti trattati con Nintedanib ha interrotto prematuramente la terapia di prova a causa di questo effetto indesiderato (68).

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Protocolli degli studi INPULSIS e TOMORROW Figura modificata da Richeldi L et al. Oral presentation at the International Colloquium on Lung and Airway Fibrosis, Mont Tremblant, Canada 20-24 2014

CONFRONTO DEI MECCANISMI DI AZIONE DI NINTEDANIB E PIRFENIDONE

L'attività antifibrotica dei 2 farmaci è stata confrontata studiando l'attività di TGF-β1 mediata dall'integrina αVβ6 nei fibroblasti embrionali di topo. Gli autori hanno osservato che entrambi i farmaci inibivano moderatamente l'espressione genica indotta da TGF-β ma non erano coinvolti nell'attività di TGF-β mediata da αVβ6, quindi l'uso ipotetico di questi trattamenti in combinazione con agenti neutralizzanti αVβ6 potrebbe essere utile per i pazienti con IPF (69). Un recente

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studio (70) ha valutato l'espressione e la funzione della proteina 10 che lega FK506 (FKBP10) come nuovo potenziale bersaglio del farmaco per il trattamento dell'IPF, poichè coinvolto nell'elaborazione di molecole complesse come il collagene. L'espressione di FKBP10 è stata trovata sovra-regolata nei polmoni in cui era stata indotta fibrosi tramite bleomicina e nei campioni polmonari di pazienti con IPF. La forma knockdown FKBP10 ottenuta tramite l'interferenza di RNA ha attenuato la sintesi e secrezione di collagene I, collagene V e α-SMA. Questa forma knockdown di FKBP10 ha mostrato un'efficienza simile a Nintedanib nell'inibire la secrezione di collagene, mentre il Pirfenidone non ha avuto alcun effetto su questo processo. Gli autori, data l'importante influenza di questa proteina sulla secrezione e sul rimodellamento del collagene, hanno previsto una futura pianificazione su uno specifico trattamento anti-FKBP10 da associare al trattamento con Pirfenidone (70) . Lehtonen e coll. (71) per la prima volta hanno esaminato gli effetti del Pirfenidone e del Nintedanib sulla struttura e sulla funzione dei fibroblasti e dei miofibroblasti utilizzando solo cellule stromali primarie ottenute da 7 pazienti con IPF (tramite campioni di BAL o biopsia polmonare) e 4 pazienti di controllo (tessuto normale). In vitro sia Pirfenidone che Nintedanib hanno dimostrato di ridurre la proliferazione delle cellule fibroblastiche in modo dose-dipendente e quando entrambi i farmaci sono stati usati in combinazione è stata osservata un'ulteriore riduzione della proliferazione. Sia il Pirfenidone che il Nintedanib sono stati in grado di ridurre la quantità di espressione di α-SMA e l'aspetto miofibroblastico (71). In uno studio in vitro Knuppel e coll (72) hanno studiato un nuovo meccanismo anti-fibrotico. Lo scopo era di valutare in modo completo gli effetti del Pirfenidone e del Nintedanib sulle

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diverse fasi della sintesi e della maturazione del collagene nei fibroblasti polmonari umani di 7 pazienti con IPF e 3 donatori sani. Per entrambi i farmaci, la microbiopsia elettronica delle colture di fibroblasti nei pazienti con IPF ha rivelato un numero inferiore e più sottile di fibrille di collagene rispetto ai pazienti non trattati. Gli autori hanno concluso che entrambi i farmaci hanno capacità di influenzare importanti livelli regolatori nella sintesi e nell'elaborazione del collagene, ma Nintedanib è stato più efficace nella regolazione dell'espressione genica profibrotica e nella secrezione del collagene.

STUDI DI ASSOCIAZIONE PIRFENIDONE-NINTEDANIB Lo studio INJOURNEY (73) ha come endpoint primario quello di esaminare la tollerabilità e sicurezza della terapia di combinazione tra Nintedanib e Pirfenidone, rispetto alla somministrazione singola di Nintedanib, in 105 pazienti con IPF, per un periodo di 12 settimane. Il numero totale degli effetti avversi è simile nei due gruppi; tuttavia, nausea e vomito si sono verificati con maggiore frequenza nel gruppo di combinazione. Nonostante ciò, i tassi di aderenza sono risultati simili in entrambi i gruppi, concludendo così che la terapia con Nintedanib più Pirfenidone possiede un profilo di sicurezza e tollerabilità praticabile nell’IPF. Anche se i dati devono essere interpretati con cautela, poichè lo studio non è stato adeguatamente sviluppato per valutare l’efficacia, ci sono risultati promettenti sul declino della funzione polmonare nella terapia di combinazione rispetto al solo Nintedanib ( declino FVC di 12 settimane di -13,3 ml vs -40,9 ml rispettivamente) (73). In un ulteriore studio, la sicurezza di Nintedanib aggiunta al trattamento pre-esistente di Pirfenidone in 89 pazienti con IPF

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non ha mostrato nuovi segnali positivi per il profilo di sicurezza noto di entrambe le terapie (74). Preoccupazioni riguardanti le interazioni farmaco-farmaco tra Pirfenidone e Nintedanib che incidono sulla farmacocinetica e sulla biodisponibilità (75) sono state confutate (76). Mentre questi dati sono promettenti per quanto riguarda la tolleranza e la sicurezza, sono ancora mancanti studi più ampi e controllati per studiare l’efficacia di queste terapie di combinazione.

ALTRE TERAPIE DI SUPPORTO PER PAZIENTI CON IPF.

I pazienti con IPF accusano spesso comorbidità come ipertensione polmonare, enfisema, BPCO (Broncopneumopatia cronica ostruttiva), infezione polmonare, cancro ai polmoni, reflusso gastro esofageo. L’ipertensione polmonare, definita come una pressione media dell’arteria polmonare di oltre 25 mm Hg verificata con il cateterismo del cuore destro può colpire i pazienti nella fase iniziale o nel corso della malattia. L’ipertensione polmonare provoca dispnea da sforzo più grave e aumenta la mortalità a 1 anno dei pazienti rispetto a quelli senza questa patologia. Inoltre è importante rilevare altre comorbidità che possono causare o contribuire all’ipertensione, come OSA (apnea ostruttiva nel sonno), insufficienza cardiaca ed embolia polmonare (77). Attualmente i farmaci approvati per il trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare non hanno mostrato alcuna utilità nel trattamento dell’ipertensione polmonare associata a IPF (78). L’incidenza del carcinoma polmonare varia dall’1% al 48% ed è stato dimostrato che il carcinoma a cellule squamose è il tipo di tumore più comune con un tasso di sopravvivenza significativamente basso (79). Le

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possibilità terapeutiche devono essere valutate attentamente con un’analisi dettagliata rischio-beneficio. Poichè la chirurgia può provocare eventi avversi e morbilità post-operatoria, l’intervento chirurgico può essere eseguito su un gruppo ristretto di pazienti. Inoltre, ai pazienti con IPF e carcinoma polmonare che non sono trattati chirurgicamente devono essere attentamente trattati con chemioterapia e le indicazioni della chemioterapia e/o della radioterapia, devono essere valutate caso per caso in termini di costi-benefici per il paziente (79). La prevalenza di reflusso gastroesofageo è del 87%-94% e si pensa che sia coinvolta in meccanismi patogenetici e che scateni eventi avversi. L’uso di inibitori di pompa protonica (PPI) rimane controverso: da un lato, Lee e coll. hanno riferito che l’uso di farmaci bloccanti H2 o PPI in un vasto gruppo di pazienti con IPF era associato ad un punteggio più basso di fibrosi di HRCT e sopravvivenza più lunga; d’altro canto, i PPI influenzano solo l’acidità del reflusso senza impedire il reflusso stesso (80). Inoltre, un recente studio di Kreuter e coll. ha scoperto che la terapia antiacida non ha migliorato i risultati nei pazienti con IPF e che potrebbe essere potenzialmente associata ad un aumento di rischio di infezioni in pazienti con uno stadio avanzato della malattia (FVC minore del 70%) (81). Non è chiaro se questo aumento del rischio sia causato da farmaci antiacidi che consentono la traslocazione di batteri dal tratto gastrointestinale superiore nei polmoni. L’uso della terapia antiacida deve essere contestualizzata in base alle caratteristiche cliniche di ciascun paziente con IPF (82). Tuttavia sono in corsi altri studi per valutare il ruolo della terapia antiacida nell’IPF poiché attualmente non è possibile ipotizzare l’efficacia né la

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sicurezza degli IPP nell’IPF. L'ultima linea guida internazionale per il trattamento ha dato una raccomandazione per l'uso di farmaci antiacidi in pazienti con IPF e malattia da reflusso gastroesofageo asintomatico (83). Tuttavia, non ci sono prove da studi controllati randomizzati a supporto di queste raccomandazione e il valore dei farmaci antiacidi nel trattamento dell'IPF rimane oggetto di dibattito (82) anche perché stato suggerito che l'uso di tali farmaci possa essere associato ad un aumentato rischio di infezioni e esacerbazioni acute (84).

Il Sildenafil, farmaco utilizzato nel trattamento dell’ipertensione polmonare, è stato studiato come trattamento per l'IPF in soggetti con grave compromissione dello scambio di gas in due trials clinici: rispetto al placebo in STEP-IPF (85) e in combinazione con Nintedanib rispetto al solo Nintedanib in INSTAGE (86). In entrambi questi studi, l'endpoint primario non è stato raggiunto ma le analisi esplorative degli endpoint secondari hanno suggerito potenziali benefici del Sildenafil; è in corso un ulteriore studio con Sildenafil in associazione con Pirfenidone in pazienti con IPF con grave scambio gassoso.

RIABILITAZIONE POLMONARE

Per anni la riabilitazione polmonare ha avuto un effetto limitato sui pazienti con malattie polmonari croniche gravi come l’IPF (87), principalmente a causa del basso numero di articoli su di essa, il numero piccolo di pazienti e la mancanza di standardizzazione della durata e dell’intensità dei programmi di riabilitazione polmonare, rendendo difficili i confronti. A seguito di una vasta ricerca in crescita in questo settore, la

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riabilitazione polmonare è ora riconosciuta come una componente integrante ed essenziale della gestione dei pazienti con IPF ed è quindi una delle principali raccomandazioni nelle linee guida nazionali ed internazionali (88). Cochrane (una revisione sistematica) che esplora l’impatto della riabilitazione polmonare nell’IPF ha riportato che i miglioramenti della qualità della vita potevano essere visti quasi immediatamente dopo l’inizio della riabilitazione polmonare mentre non sono stati segnalati effetti collaterali (89). Tuttavia, mentre nel breve termine la riabilitazione polmonare nell’IPF mostra effetti significativi sul miglioramento della capacità di esercizio fisico ( test del cammino a 6’) e sulla qualità della vita, sugli effetti a lungo termine questi effetti non vengono mantenuti (90). Inoltre la riabilitazione polmonare si è dimostrata utile nei pazienti con IPF candidati a trapianto polmonare (91). La riabilitazione polmonare dovrebbe includere anche il supporto nutrizionale (83), componenti non fisici come l’educazione (92), psicologia (93) e la gestione dei sintomi (94) che sono tutti di grande importanze nell’IPF. Gli studi clinici in corso si stanno concentrando sugli esiti della riabilitazione polmonare nell’IPF. Uno studio ha testato il test del cammino come risultato primario e il cambiamento nella qualità della vita come risultato secondario tra gruppi di pazienti attivi e inattivi dopo un programma di riabilitazione polmonare di 12 settimane (NCT03542318). Il gruppo attivo ha presentato uno stato funzionale e di salute significativamente migliore dopo la riabilitazione polmonare (95). Un altro studio in corso sta testando gli stessi risultati confrontando pazienti trattati con Nintedanib e pazienti trattati con Nintedanib e riabilitazione polmonare (NCT03717012). Un ulteriore studio in corso mira a determinare gli effetti a breve e a lungo termina della

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supplementazione di ossigeno durante riabilitazione polmonare nell’IPF (NCT03326089).

TRAPIANTO POLMONARE

Il trapianto polmonare è un’opzione di trattamento praticabile nei pazienti con IPF che continuano a peggiorare nonostante l’ottimizzazione terapeutica. Tuttavia, a causa delle relative controindicazioni al trapianto, come la presenza di più comorbidità nella popolazione anziana , il trapianto polmonare è appropriato solo per una minoranza di pazienti con IPF (96). In precedenza, l’INTERNATIONAL SOCIETY FOR HEART AND LUNG TRANSPLANTATION aveva raccomandato il trapianto di polmone a pazienti di età inferiore di 65 anni, ma le modifiche apportate al 2014 lo hanno aumentato a 70 anni in alcuni centri (97). In questo contesto, il registro United Network For Organ Sharing ha riportato risultati comparabili post-trapianto in pazienti di età maggiore ai 70 anni a quelli di età compresi tra 60 e 69 anni (98). Sfortunatamente le richieste per la donazione di organi varia da paese a paese e inevitabilmente in molti paesi muoiono in attesa del trapianto (99). Di conseguenza, il triage appropriato dei pazienti con IPF in base alla gravità della malattia e alle priorità all’interno della lista di attesa sono di vitale importanza. Nel 2005 gli Stati Uniti hanno introdotto il punteggio di allocazione polmonare (LAS), che prevede la priorità al trapianto polmonare in base alla gravità della malattia e alla stima della sopravvivenza post-trapianto. Questo sistema è stato adottato da tutti i paesi Europei. Le prestazioni del LAS hanno aumentato il numero di trapianti polmonari eseguiti su pazienti con IPF portandolo a diventare il sistema di riferimento più comune (89). I progressi nelle

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tecnologie di trapianto polmonare possono influire sulla sopravvivenza del paziente. Oggi giorno sono disponibili trapianti polmonari singoli e bilaterali. Sebbene il numero di trapianti bilaterali sia in aumento (singolo 39% contro il 61% bilaterale ref 143) , il trapianto polmonare bilaterale ha mostrato un aumento della sopravvivenza a lungo termine e meno disfunzioni polmonari post-operatori, mentre il trapianto polmonare singolo è un metodo più rapido e semplice che offre migliori risultati post-operatori (100). In una fascia di età più giovane con un punteggio LAS inferiore il trapianto polmonare bilaterale appare più vantaggioso (101). La gravità della malattia IPF pre-trapianto, l’uso dell’ossigenazione extra-corporea della membrana (ECMO) e la presenza di ipertensione polmonare o depressione, nonché una scarsa qualità della vita e un più altro disagio fisiologico 6 mesi dopo il trapianto possono determinare una sopravvivenza post-trapianto più scarsa (102). L’ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana) può essere indicato in pazienti con IPF sufficientemente robusti con grave insufficienza respiratoria che peggiorano il loro quadro clinico rapidamente nonostante la terapia medica (103). Un recente studio ha dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia ambulatoriale ECMO pre-trapianto hanno avuto esiti post-trapianto migliori rispetto a quelli sottoposti a post-trapianto polmonare da ventilazione meccanica (104).

PROSPETTIVE FARMACOLOGICHE

STUDI CLINICI

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Le ipotesi eziopatogenetiche attuali della IPF suggeriscono uno schema di risposte anormale di tipo fibrotico al danno epiteliale. L’Autotaxina (ATX) è il principale produttore di acido lisofofatidico extracellulare (LPA). Il farmaco GPLG196, un inibitore selettivo di questo enzima ATX, ha dimostrato di essere efficace come anti-fibrotico negli studi preclinici ed è stato testato in uno studio di fase I su soggetti sani (105). Questi dati di supporto hanno portato a uno studio di fase II controllato con placebo (NCT02738801), il quale ha mostrato sicurezza ed efficacia nel follow up breve (106). Due studi di fase III controllati con placebo ( ISABELA1 e ISABELA2) stanno attualmente reclutando pazienti per testare ulteriormente l’efficacia di questo approccio.

FATTORE DI CRESCITA DEL TESSUTO CONNETTIVO (CTGF)

Il fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) noto anche come CCN2 è in grado di regolare in modo complesso molti processi cellulari. I principali effettori della via di transcrizione del gene CCN2 sono citochine come TGF- β e l’interferone-γ. Il CCN2 può mediare l’evoluzione dei disturbi patologici attraverso gli effetti pro-infiammatori e gravi deposizioni di collagene in vari organi (107) . CCN2 è stato proposto anche come possibile biomarcatore per l’IPF ( 108). L’efficacia e la sicurezza di FG-3019 (Pamrevlumab), un anticorpo monoclonale contro CTGF sono state valutate in uno studio di fase II (NCT01890265) (109). I risultati di questo studio controllato con placebo e i dati presentati alla conferenza European Respiratory Society nel 2017 suggeriscono che questo trattamento potrebbe ridurre il tasso di progressione della fibrosi polmonare nei pazienti con IPF (110).

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PBI-4050 è un anticorpo monoclonale che ha dimostrato di ridurre CTGF e la deposizione di collagene in studi preclinici; uno studio di fase II ha valutato la sicurezza e la tollerabilità di 800 mg per die di PBI-4050 in pazienti adulti con IPF (111.)

COLLAGENE(V)

Il Collagene(V) è un tipo di collagene meno espresso nel polmone umano che assembla, configura le fibre di collagene, conferisce elasticità e collega il collagene stromale alla membrana basale (112). Nell’IPF il rimodellamento polmonare

porta all’esposizione al Collagene(V), con conseguente

attivazione dell’autoimmunità. L’immunoterapia con col(V) (IW001) in uno studio clinico di fase 1 ( NCT01199887) ha suggerito che col(V) è sicuro è ben tollerato dai pazienti con IPF

con autoanticorpi Collagene(V) positivi e sembra stabilizzare la

funzione polmonare (113).

PENTRAXINA 2 (PTX-2)

PTX-2 esercita le sue azioni inibendo la differenziazione dei monociti in macrofagi tramite comportamenti pro-infiammatori profibrotici. Uno studio (NCT01254409), in cieco randomizzato controllato con placebo è stato eseguito su volontari sani e soggetti con fibrosi polmonare con una singola dose endovenosa ascendente di PRM-151 ( PTX-2 recombinant Human) . Questo studio ha dato risultati positivi riguardanti la sicurezza e la tollerabilità di PRM-15129. I risultati di uno studio di fase II (NCT02550873) hanno mostrato un declino più lento della funzionalità polmonare nei pazienti con IPF trattati

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con PTX-2 (recombinant Human) rispetto al gruppo placebo (114).

INTERLEUCHINE

Un altro nuovo approccio clinico che è stato adottato è quello di bloccare le interleuchine, IL-4 e IL-5. Uno studio clinico di fase II , progettato per determinare la sicurezza e l’efficacia di un anticorpo specifico, SAR 156597, mirato a bloccare queste due citochine specifiche porti segnali positivi, ha messo in evidenza sicurezza e tollerabilità dell’anticorpo ma risultati modesti sulla capacità funzionale polmonare (115).

CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI (MSC)

La terapia con cellule staminali è emersa come una potenziale nuova strategia negli ultimi anni per L’IPF. Lo studio AETHER ( NCT02013700) (116) è il primo studio clinico progettato per determinare i potenziali benefici delle MSC umane allogeniche IV (hMSC) estratte da giovani donatori maschi usati in pazienti con IPF. Questo studio di fase I ha supportato la sicurezza di una singola infusione di hMSC nei pazienti con IPF mostrando una riduzione degli eventi avversi e un miglioramento dei test delle funzioni polmonari. Uno studio in corso prospettico ( NCT02745184) ha lo scopo di valutare la sicurezza e l’efficacia delle cellule staminali polmonari autologhe isolate dai bronchi del paziente e iniettate attraverso la broncoscopia: i risultati di questo studio non sono stati ancora riportati.

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