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La protezione dei dati personali nei rapporti tra Europa e Stati Uniti

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Academic year: 2021

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(1)

Tesi di laurea


La protezione dei dati personali nei rapporti tra

Europa e Stati Uniti


Candidato Relatore

Zakaria Sichi Prof. Paolo Passaglia


(2)

Alla mia famiglia, 
 a chi c’è sempre stato, a chi avrebbe voluto esserci.

(3)

INDICE

INTRODUZIONE ...8

CAPITOLO I LA GENESI STORICA E CONCETTUALE DELLA PRIVACY: 
 DALLA POLIS ALLA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI 1.1. Vita pubblica e vita privata nella polis greca ...11

1.2. Un primo modello di vita privata a Roma ...13


 1.3. Il Medioevo e la “rivoluzione feudale” ...15

1.4. L’età moderna: tra un nuovo ruolo dello Stato, l’alfabetizzazione e una spiritualità personale ...18

1.4.1. Il nuovo modello statale ...19

1.4.2. L’alfabetizzazione e la “privatizzazione” della lettura ...22

1.4.3. La religione e una nuova pietà interiore ...25

1.5. L’Ottocento: alle soglie della privacy ...28

1.5.1. L’Ottocento europeo ...29 


1.5.2. L’Ottocento statunitense ...31

1.6. The right to privacy ...34


(4)

1.7. Il Novecento ...42


1.7.1. Il Novecento in Europa: le guerre e i regimi ...43

1.7.2. Il Novecento statunitense ...47


1.7.2.1. La discontinuità del riconoscimento della privacy ...47


1.7.2.2. Dall’articolo di Prosser al Privacy Act ...51


1.8. Era digitale, protezione dei dati personali e social media ...54

1.8.1. Privacy e protezione dei dati personali ...56

1.8.2. I dati personali e i nuovi concetti dell’Era digitale ...58


1.8.2.1. Big data ...58


1.8.2.2. Cloud computing ...60


1.8.3. Il web 2.0: i social network ...62

CAPITOLO II LA PRIVACY E LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI NEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 2.1. Un’introduzione alla privacy europea ...66


2.2. La privacy e la protezione dei dati personali come diritti fondamentali ...68


2.2.1. Un primo riconoscimento: l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ...69


2.2.2. La Convenzione 108 del Consiglio d’Europa ...72


2.2.2.1. La Convenzione 108+: il protocollo di modifica della Convenzione 108 ...75


2.2.3. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ...76


(5)

2.3. Il diritto alla protezione dei dati personali nel diritto primario

dell’Unione europea……….……..………..79


2.4. Il diritto alla protezione dei dati personali nel diritto derivato dell’Unione europea ...81


2.4.1. La Direttiva 95/46/CE ...83


2.4.1.1. Definizioni e soggetti della protezione dei dati personali 85 .. 
 2.4.1.2. Le condizioni generali di liceità del trattamento e il tema del consenso ...87


2.4.1.3. Il trattamento dei dati sensibili e sicurezza ...89


2.4.1.4. Il diritto di opposizione dell’interessato ...92

2.4.1.5. Il trasferimento dei dati verso paesi terzi ...94


2.4.2. Il nuovo Regolamento (UE) 2016/679 ...98


2.4.2.1. La “funzione sociale” della protezione dei dati ...101


2.4.2.2. La scomparsa del riferimento al diritto interno e l’ambito di applicazione territoriale ...103


2.4.2.3. Le definizioni e la nuova figura del titolare del trattamento dei dati ...104


2.4.2.4. Il consenso dell’interessato nel GDPR ...108


2.4.2.5. Il diritto di opposizione ...112


2.4.2.6. Il diritto all’oblio ...114


2.4.2.7. Il trasferimento dei dati verso paesi terzi nel GDPR ...117



 2.5. La protezione dei dati personali nella giurisprudenza della Corte di giustizia ...124

CAPITOLO III

(6)

IL CASO SCHREMS: DAL SAFE HARBOUR AL EU - US PRIVACY SHIELD

3.1. Il modello americano di privacy e di protezione dei dati personali.

Un approccio utilitaristico ...132

3.1.1. Una disciplina “settoriale” ...134


3.1.2. Il limite della sicurezza nazionale: l’esempio recente del Cloud Act ...136



 3.2. Le difficoltà dei rapporti tra Unione europea e Stati Uniti nella protezione dei dati personali ...139

3.3. Il Safe Harbour ...141


3.3.1. I Safe Harbour Privacy Principles: profili generali, limiti e struttura ...143

3.3.2. Struttura e contenuti dei Principles ...148

3.3.2.1. I principi generali del Safe Harbour Agreement ...148

3.3.2.2. Le Frequently Asked Questions and Answers (FAQs) ...151


3.3.2.3. La supremacy clause ...154


3.3.3. I poteri delle autorità statunitensi ed europee ...156


3.3.4. Le raccomandazioni della Commissione europea ...160

3.4. Il caso Schrems. I fatti ...163


3.4.1. Il ruolo e i poteri delle Autorità nazionali ...166


3.4.2. L'invalidità della decisione 520/2000/CE e l’inadeguatezza del Safe Harbour ...169


(7)

3.5. Il EU - US Privacy Shield ...176
 CONCLUSIONI ...182 
 BIBLIOGRAFIA ...189 
 
 GIURISPRUDENZA ...209 
 
 NORMATIVA ...212

(8)

INTRODUZIONE

In una società in continuo movimento, dove la globalizzazione si affianca all’incessante sviluppo delle nuove tecnologie, la difesa delle informazioni personali, sempre più esposte e vulnerabili, diventa un interesse di primaria importanza. Gli strumenti che consentono la raccolta e la conservazione dei dati personali sono alla portata di tutti, dai social media ai motori di ricerca, ma la tecnicità della materia e le lacune nelle informazioni fornite agli utenti, fanno sì che milioni di soggetti siano esposti ad ingerenze con una portata assai maggiore di quella immaginabile. A ciò si aggiunga la disomogeneità normativa che, seppur superata a livello comunitario, rimane invece nei rapporti con altri modelli.


Questo lavoro si pone proprio l’obiettivo di evidenziare i rischi legati alla raccolta ed alla conservazione dei dati personali attraverso i servizi di uso comune, in particolare i social media, e ad esporre quelle che sono state, negli anni, le difficoltà di conciliare due dei modelli vicini nella quotidianità dei rapporti, ma al contempo estremamente distanti nella disciplina della protezione dei dati.

Ora, seppure la nozione di privacy sia di elaborazione relativamente recente, attribuita storicamente agli avvocati bostoniani Warren e Brandeis, ed ancor più recente sia quella di protezione dei dati, nel primo capitolo si cerca di ricostruire, non solo la nascita e lo sviluppo di suddetti concetti giuridici, ma anche e soprattutto i cambiamenti nella considerazione dei soggetti, in diverse epoche, per la propria sfera privata, e come nei secoli sia emersa l’esigenza sempre più forte di possedere uno spazio interamente proprio, da proteggere dalle intromissioni esterne e dalla curiosità, dapprima inteso come spazio

(9)

meramente fisico, e in seguito esteso ad una tutela da forme di controllo ed ingerenza non più limitate alla casa e alla famiglia, ma comprendenti anche le proprie informazioni personali da proteggere dai nuovi fattori di rischio. 


Tuttavia, se da un lato l’approccio evolutivo consente di inquadrare come i concetti di privacy e protezione dei dati siano nati prima come bisogni della collettività, e poi come concetti giuridici veri e propri, solo un’analisi del diritto consente di inquadrare e capire i rischi, le differenze e gli strumenti elaborati dal legislatore per tutelare gli interessati.


In questa direzione, il secondo capitolo è volto all’esame del primo termine di confronto tra il modello comunitario e statunitense, vale a dire la disciplina della protezione dei dati nel diritto dell’Unione europea. Si tratta cioè di individuare i principi alla base del sistema di protezione e di evidenziare come, sia il legislatore europeo sia la Corte di giustizia, si siano adoperati negli anni per rispondere ai crescenti fattori di rischio ed alle esigenze di armonia ed uniformità della disciplina tra gli Stati membri, nel segno della libera circolazione dei dati nel territorio dell’Unione, ma senza pregiudicare la tutela delle informazioni personali dei cittadini europei, che rimane casomai centrale, soprattutto nell’ambito del flusso transfrontaliero dei dati verso paesi terzi ed in modo particolare verso gli Stati Uniti. 


Infine, diventa essenziale la breve analisi dell’altro termine di confronto, il modello statunitense, seppur con le difficoltà dovute alla complessa articolazione normativa, ed occorre farlo soprattutto alla luce delle differenze profonde con il modello europeo, che permettono di evidenziare le difficoltà di conciliazione e le problematiche emerse negli anni a causa di queste difficoltà.


(10)

d’incontro sono gli accordi internazionali siglati tra i due ordinamenti, il Safe Harbour del 2000 ed il Privacy Shield del 2016, con i quali si è cercato di conciliare i due modelli provando a raggiungere un compromesso che potesse da un lato garantire la continuazione dei rapporti, e dall’altro la piena tutela dei soggetti. Tra il primo e secondo accordo, a far emergere tutti i pericoli e le disfunzioni del sistema, e a dare una visibilità decisiva al tema anche a livello mediatico, c’è la storica sentenza sul caso Schrems, riconosciuto come il leading case sul rapporto tra Europa e Stati Uniti in materia di protezione dei dati personali dei cittadini comunitari. 


In conclusione, può essere utile capire, per quanto difficilmente prevedibili, quali sviluppi è possibile aspettarsi in futuro in materia di protezione dei dati. Per fare ciò, sarà necessario valutare brevemente la prima fase di attuazione del nuovo regolamento europeo e del Privacy Shield da poco vigenti, ed attendere nuovi eventuali interventi della Corte di giustizia. In questo modo sarà possibile comprendere se, finalmente, si sarà raggiunta una stabilità normativa ed una tutela adeguata dei cittadini europei rispetto alle tendenze statunitensi di sorveglianza di massa, o se la strada da percorrere sarà ancora lunga e piena di ostacoli come lo è stata fino ad oggi.

(11)

CAPITOLO I

LA GENESI STORICA E CONCETTUALE DELLA PRIVACY: 
 DALLA POLIS ALLA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

1.1 Vita pubblica e vita privata nella polis greca

Nell'antichità greca la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata corrispondeva all'opposizione tra dimensione domestica e dimensione politica . All’uomo greco, quindi, si presentava una scelta tra ciò che lo 1

poneva come parte fondamentale della società, e ciò che invece lo escludeva. La nascita della polis costituì senza dubbio una svolta fondamentale nel bilanciamento tra le due sfere della vita umana. Come scritto da Hannah Arendt, infatti, “il sorgere della città-stato significò, per l'uomo, ricevere accanto alla sua vita privata una sorta di seconda vita, il suo bios politikos" . 
2

Nel pensiero aristotelico, la nascita dell’organizzazione cittadina avvenne mediante la distruzione delle comunità pre cittadine, e la polis non fu che il prodotto finale. Dapprima vi fu l’associazione tra marito e moglie e tra padrone e schiavo, dalle quali nacque la famiglia, la comunità di tutti i giorni. Dall’insieme di più famiglie nacquero i villaggi, i primi a spingere l’uomo a fare un passo oltre la quotidianità, e dai villaggi, infine, fu eretta quella città che nelle parole di Aristotele “sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

1

protezione dei dati personali, CEDAM, Padova, 2006, pag. 2.

H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 2012, pag. 55.

(12)

condizioni di una buona esistenza” . 
3

Nella cultura dell’epoca, la famiglia era vista come l’ambiente nel quale l’uomo rispondeva ai suoi bisogni e ambiva alla conservazione di sé, ma era soprattutto luogo fertile per il seme del dominio radicato nella posizione di supremazia dell’uomo sulla moglie e sugli schiavi. La nascita della polis, il suo invadere la sfera privata e casalinga, il suo controllarla, quindi, significò anche e soprattutto eguaglianza e libertà seppur entrambe limitate ed ancora distanti dalla loro fisionomia odierna. 


La considerazione per il focolare domestico, tuttavia, non andò mai perduta del tutto, ma ciò che può apparire come una contraddizione è in realtà una sottolineatura decisiva al pensiero dominante nella cultura greca. Ciò che impediva alla polis di violare la vita privata dei suoi cittadini e ritenere sacri i confini di ogni proprietà, non era il rispetto della proprietà privata come da noi intesa, ma il fatto che senza la casa un uomo non poteva partecipare agli "affari" della città, perché in essa non aveva un luogo che fosse propriamente suo . Non a caso, ad Atene, 4

la sfera pubblica trovava la sua massima espressione nell’ecclesia, l’assemblea di tutti i cittadini maschi liberi, e la condizione per potervi accedere era la proprietà, la casa, che quindi non era un luogo nel quale rinchiudersi, bensì la porta d’ingresso alla città.

Lo stesso Platone riteneva che tutto ciò che di materiale veniva concesso al singolo non era che proprietà di tutti, e il controllo rigido di queste concessioni era finalizzato al mantenimento dello Stato come unitario e solido, privo di ingiustizie e di eccessi. 


Meglio si comprende, alla luce di queste considerazioni, la concezione

ARISTOTELE, Politica e Costituzione di Atene, a cura di C. A. Viano, UTET,

3

Torino, 1955, pag. 52.

H. ARENDT, “Vita activa. La condizione umana”, Bompiani, Milano, 2012, pag.

4

(13)

aristotelica di uomo come politikòn zôon, animale politico più di ogni altro esistente, definizione non solo estranea ma anche opposta alla associazione naturale praticata nella vita domestica . 
5

Ecco quindi che si va a delineare nella cultura ellenica un mondo ancora distante da quella che noi oggi definiamo privacy, non solo per i tempi ancora assai acerbi, ma soprattutto per la concezione negativa e antisociale di essa, percepita come privazione - tipica di schiavi e barbari - dell’unica vita meritevole di essere vissuta pienamente: quella politica della polis.

1.2 Un primo modello di vita privata a Roma

La cultura greca fu senza dubbio estremamente influente nella società della Roma antica in diversi settori, dalla religione alla politica, passando per l’arte e la musica.

Tuttavia, per quanto concerne strettamente la materia oggetto di questa trattazione, la cultura romana fece un passo piccolo ma importante rispetto alla cultura ellenica. 


Tale premessa, però, necessita di alcune precisazioni.

Servio Tullio, sesto Re di Roma che secondo la tradizione regnò dal 578 a. C. al 539 a. C., istituì il censimento: “ogni cittadino doveva presentare una stima dei propri beni, dichiarando età, nome del padre, della moglie e dei figli” . I Comizi centuriati, infatti, noti come la più 6

importante assemblea dell’epoca che racchiudeva tutti i cittadini romani, erano divisi in classi, dette centurie, basate sul reddito. 


Ibidem.

5

L. FEZZI, Modelli politici di Roma Antica, Carocci, Roma, 2015, pag. 29.

(14)

Le Leggi Licinie Sestie del 367 a. C., invece, introdussero il divieto per i capifamiglia di possedere più di 500 iugeri di agro pubblico . 7

Il controllo sulla ricchezza, quindi, era ancora molto stringente, nonché decisivo per gli equilibri politici della comunità cittadina.

In epoca repubblicana, fondamentale fu l’introduzione della censura come strumento di controllo della moralità pubblica, che prevedeva, tra le altre cose, la possibilità di punire i cittadini con una nota di biasimo, detta nota censoria, non solo per le loro condotte pubbliche ma anche private.

Se quindi, almeno fino a questa fase non si notano particolari differenze rispetto alla cultura greca, con l’Impero romano, ma già in una fase compresa nei decenni immediatamente precedenti ad esso, come osserva Sergio Niger, “si può giungere, non senza incertezze, a delineare un modello di vita privata” . 8

Un dato importante ci arriva dall’architettura dell’epoca. Le dimore degli aristocratici si caratterizzavano per ampie aree pubbliche consone alla dignitas del padrone, come pinacoteche, biblioteche ed atri lussuosi, ma anche per aree di vita privata dedicate alla famiglia ed all’accoglienza di parenti, amici e clienti, oltre che alla costruzione della propria influenza politica con gli altri membri di alto rango della città. Infatti, seppure il centro della vita politica fosse il Foro, era nel segreto delle stanze private delle case nobiliari che si preparavano le azioni politiche e quelle violente, che venivano istruite in segreto e attuate all’aperto, davanti al popolo . A questo peculiare aspetto si legò 9

anche la nascita dei primi pettegolezzi, delle prime curiosità verso la

Ibidem.

7

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

8

protezione dei dati personali, cit., pag. 6.

A. CARANDINI, Le case del potere nell’antica Roma, Laterza, Roma - Bari, 2010,

9

(15)

sfera privata altrui, con lo scopo di penetrare quella maggiore percezione di importanza delle mura domestiche sia sotto il profilo delle strategie politiche che della vita familiare. Non era cosa rara inviare i propri schiavi ad osservare i comportamenti dei membri della comunità per strappare situazioni imbarazzanti o informazioni che poi il servo soleva riportare all’orecchio del padrone, a conferma di come forme di vita privata fossero presenti e accompagnate dalle primissime attività di intrusione. Ciò colpì soprattutto i personaggi più in vista, senza esclusione dei regnanti: pensiamo, come esempi noti, ai racconti dell’incesto di Caligola con la sorella, o alle cronache sentimentali di Cesare e Cleopatra, fino alle voci di vario tipo sulla vita sessuale degli imperatori.


A Roma, da un lato, la vita privata non fu in generale né completamente sacrificata né tantomeno moralmente condannata in assoluto, ma dall’altro non andò del tutto persa nemmeno la convinzione che la vita politica fosse la più elevata delle attività umane così come la percezione della comunità come centro essenziale, e non si chiuse mai del tutto il grande occhio della comunità sui singoli. Per i romani, comunque, non vi era quella impellente necessità tipicamente ellenistica di oscurare la dimensione domestica e privata con la dimensione politica ad ogni costo, bensì questi due domini potevano esistere solo nella forma della coesistenza .
10

1.3. Il Medioevo e la “rivoluzione feudale”


Alla grande tradizione imperiale romana seguì una fase di maggiore espansione del privato, che portò a quella che Georges Duby chiama

H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, cit.

(16)

“rivoluzione feudale” . Si tratta cioè di una fase di privatizzazione del 11 potere, nel corso della quale assistiamo a un restringimento parziale del pubblico, una distribuzione ideale di segmenti di potere nelle case delle famiglie, segmenti di quella comunità che nella polis assorbiva l’ambiente domestico. 


La trattazione del tema della vita privata in età medievale, con un approccio maggiormente attento alle persone, impone di partire da un aspetto terminologico introdotto ancora una volta da Duby. “Nei dizionari della lingua francese compilati nel secolo XII, cioè nel momento in cui la nozione di vita privata assumeva il suo pieno significato, il verbo priver, nel senso di apprivoiser, addomesticare, assume un significato preciso: sottrarre all’ambito del selvaggio e trasferire nello spazio familiare della casa” . Dal verbo priver, 12

invece, deriva l’aggettivo privé, privato, il quale, nel Medioevo, si collegava all’idea di famiglia e di casa. I termini legati al privato, in verità, evocavano in questa fase storica anche ciò che non era festivo, e che quindi si trovava in disparte, ragion per cui, in contrapposizione ai gesti ed agli allestimenti della festa, si collocava ciò che era riservato ai comportamenti intimi.

Non bisogna però farsi ingannare da questo primo aspetto, poiché ancora non siamo giunti ad una concezione individualistica, bensì ci troviamo di fronte una vita privata intesa principalmente come vita di famiglia, basata sulla fiducia e sulla convivenza in uno spazio ristretto ma non ancora del tutto appartenente al singolo in via esclusiva. 


Certo è che, almeno in questa prima fase dell’età medievale, il maggior

G. DUBY, Potere privato, potere pubblico, in P. ARIÈS e G. DUBY, La vita

11

privata, dal feudalesimo al rinascimento, Laterza, Bari, 1987, pag. 11. Ibidem, pag. 5.

(17)

segno dell’appropriazione della privacy divenne lo steccato, la recinzione, segno di grande valore giuridico . 13

Nonostante steccati e recinzioni, il nucleo della famiglia tese ad aprirsi parzialmente ad un più ampio spazio territoriale, vale a dire il quartiere, che assolveva essenzialmente a funzioni importanti di sviluppo della propria identità locale, dei sensi di protezione e di appartenenza, e ciò si rifletteva sulla struttura di molte grandi dimore che si caratterizzavano spesso per una varietà di aree dedicate alla notte e alla famiglia, ma anche per altre aree dedicate invece ad amici e ospiti. Tuttavia questa forma di collettività sia familiare che extrafamiliare prestava il fianco alle prime manifestazioni di insofferenza che si traducevano in esigenze di isolamento, di minor privacy puramente familiare e più spazio per sé.

I segni più evidenti delle conquiste di un’autonomia personale si moltiplicarono nel corso del secolo XII. Questa è l’epoca in cui si scoprono, nei documenti d’archivio, menzioni sempre più numerose di casseforti o di borse, in cui gli scavi trovano più resti di chiavi; si tratta di indizi di una volontà dichiarata di chiudere, per sé, dei beni naturalmente mobili, di risparmiare e di rendersi così meno dipendenti dai propri familiari . Si andava affermando quindi il concetto di 14

libertà, e prendevano avvio le iniziative individuali con una progressiva crescita del valore della persona.

Tuttavia è necessario precisare come la possibilità, o quantomeno il tentativo, di appartarsi e rendersi indipendenti, fosse pressoché un privilegio dei benestanti, ossia di chi aveva i mezzi per trovare i propri spazi anche nelle aree urbane, oppure di coloro i quali abitavano

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

13

protezione dei dati personali, CEDAM, Padova, 2006, pag. 11.

G. DUBY, Situazione della solitudine. Secoli XI - XIII, in P. ARIÈS e G. DUBY, La

14

(18)

lontani dalle città, come monaci, pastori e agricoltori. Chi viveva nelle zone cittadine ma non versava in condizioni privilegiate, era costretto spesso a dover condividere anche il riposo notturno con più soggetti, così come ogni aspetto della vita domestica. 


Quindi, primo approccio alla ricerca della propria intimità, ma non per tutti e non come possibilità riconosciuta generalmente.

L'affermazione della privacy, come esigenza bisognosa di autonoma tutela, infatti, si avvia con il disgregarsi della società feudale , e in 15

modo particolare a partire dalla successiva età moderna e con il nuovo ruolo assunto dallo Stato.

Ancora nel secolo XV, come rilevato da Philippe Braunstein, “l’indagine sulle vestigia della sfera interiore è ben lungi dall’essere esaurita” . 16

1.4. L’età moderna: tra il ruolo dello Stato, l’alfabetizzazione e una spiritualità personale

La trattazione delle caratteristiche e del ruolo che la vita privata assunse nel corso dell’età moderna prende le mosse da quella che è la società che ci si lascia alle spalle alla fine del Medioevo. Troviamo in particolare un soggetto che scopre una dimensione familiare ben più marcata di quella romana, una sorta di privacy conviviale e non ancora individuale. Essa però si va ad affiancare ad una solidarietà più collettiva e comunitaria, quella cioè dei quartieri e delle comunità rurali, piccole società né pubbliche né private. L’altro volto di una

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

15

protezione dei dati personali, cit., pag. 15.

G. DUBY, Situazione della solitudine. Secoli XI - XIII, cit., pag. 525.

(19)

siffatta comunità, però, conduce alle prime esigenze di allontanamento e di ricerca della propria intimità.

Nell’età moderna, il cammino per l’avvicinamento progressivo alla nostra idea di privacy, compie un ulteriore passo, probabilmente il più ampio fino a questa fase storica.

In particolare, scrive Ariès, “saranno tre gli avvenimenti che modificheranno le mentalità, in particolare l’idea di sé e del proprio ruolo nella vita quotidiana della società” . 17

Il primo grande cambiamento che si impose nella civiltà occidentale fu dato dal nuovo ruolo assunto dallo Stato moderno, impersonale e distaccato. Il secondo fu invece la crescente alfabetizzazione e la diffusione delle nuove capacità di leggere e scrivere. Il terzo, infine, fu rappresentato dall’intervento delle riforme religiose che pretesero maggiore interiorità ed intimità dai fedeli.

“Tutti questi cambiamenti contribuirono a creare un nuovo costume prima riservato all'uomo di corte, poi diffuso a tutto l'insieme della società. Nacque così la sfera del privato” . 18

1.4.1. Il nuovo modello statale

Nel corso del XVI secolo si affermò progressivamente un nuovo modello statale nato dalla frantumazione del sistema feudale, il quale si caratterizzava per un intreccio di diritti di sovranità dei diversi signori, per la presenza di una pluralità di centri di potere dislocati su un territorio tutt’altro che unificato e rapporti di potere contrattualistici e

P. ARIÈS, Per una storia della vita privata, in P. ARÈS e G. DUBY, La vita

17

privata, dal rinascimento all’illuminismo, Laterza, Bari, 1987, pag. VII.

S. NIGER, “Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

18

(20)

personali. Lo Stato moderno propose invece caratteristiche quasi opposte a quelle del suo antecedente storico, caratterizzandosi per una maggiore concentrazione del potere, la tendenza ad unificare il territorio, ma soprattutto una funzione sovrana unica e indivisibile, priva di deleghe a soggetti dotati di poteri rilevanti, bensì meri funzionari burocratici. Questa nuova figura, assumendo il monopolio dell’esercizio legittimo della forza in un contesto nel quale gli individui erano mossi più dall’apparire che dall’essere, dette vita a quello che Matteucci definisce “un rapporto impersonale e pubblico con il governato” . Fu almeno a partire da Luigi XIII che lo Stato 19 20

cominciò a farsi carico di un forte controllo dell’apparire, in particolare ciò avvenne mediante misure particolarmente incisive quali il divieto dei duelli o l’intervento nelle relazioni familiari mediante gli ordini di esilio o di prigione. La costruzione di un siffatto modello statale, sempre più burocratico, fu certamente una condizione fondamentale per l’individuazione di un pubblico ben definito, dal quale distinguere in modo più netto un privato da vivere e proteggere, ponendo quindi le basi di questa contrapposizione che da allora si è evoluta e adattata ai tempi.

Jean Bodin, uno dei maggiori teorici dell’assolutismo e della sovranità, fu particolarmente critico nei confronti dell’idea collettivista e invasiva dello Stato, e fece una distinzione precisa tra res publica e res privata: “la Res publica sottolinea la cosa pubblica, la cosa del popolo, il bene comune, la comunità, gli affari pubblici, contrapposta alla res privata” . In particolare, il concetto di sovranità permise di 21

distinguere ciò che apparteneva alla realizzazione dell’interesse

N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno, lessico e percorsi, Il Mulino, 1997, pag. 17.

19

Re di Francia e Navarra dal 1610 fino alla sua morte nel 1643.

20

A. DI BELLO, Stato e sovranità nel De Republica libri sex di Jean Bodin, Liguori,

21

(21)

comune senza che quest’ultimo finisse per assorbire la sfera privata, nemmeno quella del sovrano stesso. Nel pensiero di Bodin, il potere sovrano era impersonale e non suscettibile di essere coperto da un 22

diritto di proprietà, bensì da una mera reggenza da parte di colui il quale si trovava ad esercitare suddetto potere nel periodo di sua competenza. 


A tal proposito si distingueva fra il re come persona fisica e il re come detentore del potere, così come fra il patrimonio privato del re e quello della Corona, alienabile il primo, inalienabile il secondo, perché “pertiene all’ufficio” . Se nemmeno chi esercitava il potere poteva 23 ritenersi interamente sottratto alla propria sfera privata, a maggior ragione questo può dirsi per coloro i quali erano solo destinatari di quel potere. L’impersonalità dello Stato e della sua burocrazia quali elementi caratteristici della sua forma moderna, sembrarono quindi facilitare l’allontanamento, delimitando ciò che non derivava più dal pubblico, rafforzando un privato in costruzione, a partire soprattutto dalla famiglia, dalla quale inevitabilmente passava la conquista dell’intimità individuale. La famiglia non era più solo unità economica o fonte di vincoli, ma era diventata un luogo nel quale nascondersi, di affettività e costruzione dei rapporti. Citando ancora Ariès,“nello sviluppare le sue nuove funzioni, la famiglia, da una parte, assorbe l'individuo che essa accoglie e difende; dall'altra, si separa più

“Ho detto che tale potere è perpetuo. Può succedere infatti che a una o più

22

persone venga conferito il potere assoluto per un periodo determinato, scaduto il quale essi ridivengono nient’altro che sudditi; ora, durante il periodo in cui tengono il potere, non si può dar loro il nome di prìncipi sovrani, perché di tale potere essi non sono in realtà che custodi e depositari fino a che al popolo o al principe, che in effetti è sempre rimasto signore, non piaccia di revocarlo”, così Jean Bodin, cit. in I sei libri dello Stato, a cura di M. I. Parente, UTET, Torino 1964, pag. 345.

N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno, lessico e percorsi, cit., pag. 90.

(22)

nettamente di prima dallo spazio pubblico col quale comunicava. Si espande a spese della socialità anonima della strada, della piazza” . 24 Questo è l’inizio di un cambiamento che poi troverà la sua consacrazione nel XIX e XX secolo, con una progressiva e maggiore attenzione al singolo anche nella sua individualità.

1.4.2. L’alfabetizzazione e la “privatizzazione” della lettura

Preliminarmente è necessario precisare che quel processo di alfabetizzazione che caratterizzò l’Europa a partire dal secolo XVI non fu un un processo omogeneo e globale, bensì dipendente da fattori diversi quali la religione, le condizioni sociali ed economiche, e condizionato da una società eterogenea. Inoltre, saper leggere e saper scrivere, non sempre furono capacità simultanee, bensì anche queste due capacità si manifestarono a volte separate in base alle condizioni sopracitate.

Uno degli indici, seppur parziale, per quantificare il livello di alfabetizzazione, fu senz’altro la capacità di firmare; non a caso le fonti principali utilizzate per scopi statistici furono essenzialmente gli atti notarili, parrocchiali o giudiziari con firma in calce. 


Dopo vari dibattiti si giunse a riconoscere l’idoneità delle firme a rappresentare in maniera più o meno globale e quantitativamente esatta la capacità di scrittura in una determinata società, senza però poter

P. ARIÈS, Per una storia della vita privata, cit., pag. XIV.

(23)

essere considerate una misura diretta di una competenza culturale particolare . 25

Fatta questa premessa, ciò che a noi interessa è che tra XVI e XVIII secolo in Europa si registrò un incremento sensibile di firme, che possiamo cautamente considerare come aumento del tasso di alfabetizzazione. Questo sviluppo fondamentale, che conobbe lo stadio maggiormente degno di considerazione solo in una fase avanzata dell’età moderna, andò a toccare una pluralità di aree del vecchio continente. Dalle firme degli sposi nei registri parrocchiali in Francia, sul finire del ‘600, a quelle dei testimoni presso la High Court of Justiciary in Scozia intorno alla metà del 1700, si evidenziano 26

incrementi importanti documentati su vasta scala.

Tuttavia sono necessarie delle specificazioni ulteriori. Innanzi tutto questo sviluppo non fu costante, bensì subì diverse fasi di arresto e di arretramento importanti, mostrando quindi anche dei difetti di costanza che non inficiano comunque il carattere fondamentale dello sviluppo dell’alfabetizzazione in età moderna, ma lo distanzia da quello che si avrà nei secoli successivi e in particolare nel secolo XIX. Inoltre, come anticipato, la diffusione della capacità di scrittura in Europa fu sensibile ma non sempre equamente distribuita, e le differenziazioni infatti furono di vario tipo. In primo luogo, le differenze tra uomini e donne, dove i primi avevano evidentemente maggiore accesso alla

“In effetti, nelle società dell’Ancien Régime, nelle quali l’apprendimento della

25

scrittura è successivo a quello della lettura e concerne solo una parte di ragazzi studenti, è chiaro che se è vero che tutti coloro che firmano sanno leggere, non è altrettanto vero che tutti coloro che leggono sanno firmare. É altrettanto evidente che non tutti coloro che sanno mettere la propria firma sanno senz’altro scrivere, o perché la firma ha costituito il punto d’arresto del loro processo di apprendimento culturale, o perché essi hanno perduto, per mancanza di esercizio, la capacità di scrivere pur appresa un tempo, capacità di cui la firma rimane dunque come una specie di reliquia.” Così Roger Chartier, Le pratiche della scrittura, in P. ARÈS e G. DUBY, La vita privata, dal rinascimento all’illuminismo, Laterza, Bari, 1987, pag. 77.

Tribunale Penale Supremo con competenza per i reati più gravi e investito altresì

26

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scrittura rispetto alle seconde. In secondo luogo, una disomogeneità la si poteva riscontrare tra i ceti e i mestieri, poiché sia le disponibilità economiche che le esigenze professionali potevano senz’altro incidere sull’approccio degli europei dell’epoca all’alfabetizzazione. Infine, sono documentate differenze anche tra le regioni europee a livello geografico, in particolare le aree del Nord e Nord - Ovest vivevano uno sviluppo culturale più avanzato, soprattutto nei paesi scandinavi e in Scozia.

Questi diversi approcci portarono a disuguaglianze inevitabili e possibilità maggiori e minori di emanciparsi e diventare indipendenti. Lo sviluppo dell’alfabetizzazione e il diffondersi della lettura sono quindi quegli avvenimenti fondamentali che hanno contribuito a modificare l’idea che l’uomo occidentale aveva di se stesso e del suo rapporto con gli altri.

La diffusione della capacità di leggere tra XVI e XVIII ebbe come conseguenza diretta la nascita di nuove abitudini, a partire da quella che Chartier chiama la “privatizzazione della lettura” . Questo 27 fenomeno - non più riservato ai soli copisti dei monasteri medievali, seppur ancora circoscritto a coloro i quali avevano maggiore familiarità con la scrittura - consisteva in un nuovo modo di concepire la lettura come un’attività riservata a se stessi. 


Nasceva quindi la lettura silenziosa, senza più la necessità di farlo ad alta voce, una lettura personale che rendeva anche lo stesso lavoro intellettuale un atto dell’interiorità, aprendo strade ancora inesplorate e introducendo novità importanti. L’invenzione della stampa fu una 28

tappa ulteriore, poiché alle copie uniche ricopiate a mano se ne sostituirono molte altre. Infatti, nel corso del XVI, secolo si registrò un

R. CHARTIER, Le pratiche della scrittura, cit., pag. 90.

27

Attribuita a Johann Gutenberg, che tra il 1448 e il 1454 stampò a Magonza il primo

28

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aumento di libri posseduti privatamente nelle proprie case, per cui molti iniziarono a familiarizzare con essi ed a sentirli propri, instaurando un rapporto di forte intimità con il libro, spesso elevato a strumento di evasione. All’aumento dei possessori di libri seguì - ovviamente per chi se lo poteva permettere - una diffusione delle biblioteche, che assunsero un ruolo fondamentale nel processo di privatizzazione che caratterizzò i tre secoli dell’età moderna. La biblioteca diventò un luogo di intimità, dove si realizzava la relazione tra l’uomo e il suo libro. Le ore passate nella biblioteca assicuravano una doppia forma di privatizzazione: “separazione rispetto al pubblico, alle preoccupazioni proprie alla città e allo Stato; separazione in rapporto alla famiglia, alla casa, alle socialità dell’intimità domestica” . 29

Altro fenomeno in crescita nel corso dell’età moderna fu sintomo di una “volontà di conservarsi e conoscersi meglio” , si trattava cioè 30 della diffusione dei diari privati, delle lettere, e delle confessioni. 
 In questa fase, un nuovo gusto per la solitudine e una maggiore protezione e conoscenza di se stessi iniziavano a soppiantare quella considerazione dell’isolamento come una povertà dell’essere umano.

1.4.3. La religione e una nuova pietà interiore

Fin dalle sue origini il cristianesimo si propose come una religione caratterizzata da una apparente contraddizione di fondo. Da un lato religione personale che invitava il fedele alla pietà, alla cura della propria anima ed alla salvezza individuale; dall’altro lato una religione

R. CHARTIER, Le pratiche della scrittura, cit., pag. 99.

29

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

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collettiva connotata da cerimonie e riti comuni. La storia del cristianesimo sarà a lungo caratterizzata da questa dialettica tra fede personale e fede collettiva, e certamente le origini della Chiesa romana posero l’accento sul secondo aspetto, mentre la Chiesa protestante tese ad insistere maggiormente sul rapporto diretto tra fedele e Dio.

La prima caratteristica fondamentale dell’appartenenza alla Chiesa cattolica - che sarà tale ancora nel corso del secolo XVI - consisteva nella partecipazione alla messa, con un ruolo del fedele come soggetto passivo tenuto prevalentemente alla semplice recitazione del rosario, quantomeno fino alla predica, momento in cui questa presenza individuale si interrompeva, nel segno di quella dialettica accennata prima. In verità, la pubblicazione dei messali diventò sì uno strumento che favorì la partecipazione dei fedeli tramite la recitazione delle stesse preghiere, tuttavia si trattò non di un’unica recitazione comunitaria bensì a voce bassa e individuale.

Un tipico obbligo del fedele cattolico era ed è la confessione. Questa si svolgeva in forma collettiva mediante l’assoluzione generale. 


Il problema di questa forma di confessione, però, era il suo valore non sacramentale, idonea solo a rimettere i peccati lievi, e solo la confessione individuale racchiudeva in sé la sostanza sacramentale dell’istituto. Agli inizi del secolo XVI, la forma collettiva iniziò a scomparire, la confessione individuale diventò la forma più diffusa, e solamente a Pasqua confessarsi rimaneva un’abitudine di carattere obbligatorio, poiché nel resto dell’anno invece era piena libertà del fedele decidere se e quando farlo. Da un gran numero di fedeli, inoltre, questa pratica iniziò ad essere mal vista, e incominciarono a rifiutare l’idea di sentirsi obbligati a confessare i propri peccati e la propria vita privata ad uno sconosciuto. 


(27)

faccia a faccia con il penitente, lo costringe, con delle domande precise, a farsi, se non l’ha già fatto prima, l’esame di coscienza, gli ricorda la gravità delle sue colpe e i castighi cui va incontro, gli impone una penitenza adeguata prima di pronunciare la formula dell’assoluzione. In queste condizioni, la confessione annuale viene sentita quasi sempre come un obbligo penoso che uno cerca di assolvere al minor prezzo” . 
31

Al di là di queste specificazioni, lo sviluppo della pratica della confessione e il suo deteriorarsi agli occhi di una parte di fedeli sarà un passaggio importante per la scoperta di una pietà personale.

Un’altra pratica che tese a diffondersi specialmente in età moderna fu quella delle opere di bene. In particolare la concezione di queste attività verso il prossimo assunse un carattere molto personale, nella misura in cui quanto più pubbliche sono le opere di carità, tanto più perdono di significato . 32

Oltre alla preghiera individuale come alternativa a quella collettiva della messa, anche le esperienze mistiche contribuirono in modo particolare allo sviluppo di una devozione più intima e personale. Esse consistevano nel più stretto contatto tra il fedele e Dio, senza l’intermediazione di terze parti, e permettevano quindi al soggetto di sviluppare una spiritualità interamente propria nei momenti di ritiro individuale al di fuori delle mura delle istituzioni religiose.

D’altronde, il cristianesimo coltivò nell’uomo l’aspirazione alla salvezza individuale. La speranza dell’immortalità dell’anima produsse un rovesciamento nel rapporto tra uomo e mondo circostante, e in

F. LEBRUN, Le Riforme, in P. ARIÈS e G. DUBY, La vita privata, dal

31

rinascimento all’illuminismo, Laterza, Bari, 1987, pag. 54.

“Infatti è chiaro che se un’opera buona diventa nota e pubblica, perde il suo

32

carattere specifico di bontà, dell’esser compiuta per nessun altro scopo che la bontà. Quando la bontà viene alla luce non è più tale, anche se può ancora essere utile come carità organizzata o come atto di solidarietà”. Così Hannah Arendt in Vita activa. La condizione umana, cit., 2012.

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particolare a danno della vita politica, poiché finì col dare speranza a coloro i quali erano condannati ad una vita terrena mediocre. L’aspirazione ad elevare il proprio nome tramite il successo in società iniziò ad essere degradato da molti a necessità illusoria, Invece, “fu precisamente la vita individuale che venne ad occupare la posizione prima tenuta dalla vita del corpo politico” . 
33

Con questo rovesciamento, l’avvento del cristianesimo, finì per portare alla progressiva minimizzazione e scomparsa soprattutto di quel carattere di privazione intrinsecamente negativo ed antisociale che connotava la vita privata.

1.5. L’Ottocento: alle soglie della privacy

Nel corso del secolo XVIII e alle porte del XIX, il confine tra pubblico e privato si assottiglia. Il pubblico si spoglia di ciò che ancora aveva di privato e si pone come figura statale impersonale, mentre il privato abbandona la sua caratterizzazione negativa e misera. Per questo, secondo molti, i secoli XVIII e XIX rappresentano la c.d. “età aurea del privato” . 
34

In Europa, e ancor di più negli Stati Uniti, ci si appresta ad accogliere la nascita del concetto di privacy e la sua prima teorizzazione.


H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, cit., 2012.

33

S. NIGER, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla

34

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1.5.1. L’Ottocento europeo

Rispetto a quanto appena accennato, almeno in Europa, la Rivoluzione francese sembrò frenare lo sviluppo della privacy verso quel concetto col quale oggi noi tutti abbiamo familiarità. 


I rivoluzionari iniziarono ad avere un’idea di nuovo negativa del privato come zona d’ombra faziosa e ambigua nella quale si facilitavano i complotti. Nessuno doveva in qualche modo contaminare la volontà generale della Nazione con i propri interessi particolari, e nessun corpo intermedio doveva frapporsi tra cittadino e Stato. Tutto doveva essere pubblico nell’interesse della rivoluzione, dalle assemblee alle vite dei soggetti, poiché una figura nuova di cosa pubblica doveva accompagnarsi ad una figura nuova di uomo. Il privato era “anti - rivoluzionario” e la sovranità risiedeva nella Nazione . 35

Con la Rivoluzione francese la vita privata subì un assalto enorme, solo la figura della donna fu inquadrata come figura simbolo del privato - lasciando lo spazio pubblico all’uomo - e come figura fragile da proteggere dalle minacce esterne, ma ciò solo in virtù del suo ruolo di angelo del focolare da conservare per non correre il rischio di rovesciare l’ordine naturale delle cose.

Tuttavia questo progetto di pubblicizzazione totale non riuscì a concretizzarsi nella sua totalità, bensì produsse un effetto contrario, aumentando la ricerca della propria dimensione domestica e personale. Il rifugio dalla politicizzazione della vita privata era di nuovo la famiglia, cellula della società civile e garante della moralità naturale.

Art. 3 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino: "Il principio di

35

ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa”, in https://www.conseil- constitutionnel.fr/le-bloc-de-constitutionnalite/declaration-des-droits-de-l-homme-et-du-citoyen-de-1789 .

(30)

La famiglia, nella filosofia di Hegel, era composta dagli elementi del matrimonio, della proprietà e dell’educazione dei figli oltre che dallo scioglimento della famiglia stessa, poiché questa si componeva di soggetti autonomi, e “ciò che costituirono nella famiglia per un momento determinato, lo mantengono nella separazione” . 
36

Il matrimonio era inteso come monogamico e fondato su un atto di volontà espressione di un mutuo consenso, la proprietà e il patrimonio rappresentavano una necessità, e l’educazione dei figli era essenziale, in quanto essi erano non solo membri della famiglia ma anche individui singoli che poi a loro volta sarebbero divenuti uomini capifamiglia e donne madri.

In particolare fu però il pensiero liberale francese, nel corso del XIX secolo, a fare un passo importante rispetto al ruolo della famiglia, partendo dall’importanza della difesa degli interessi privati e del rispetto della ricchezza privata, inquadrando questi due aspetti nell’ottica di un maggiore attaccamento e rispetto verso la Nazione. L’amore verso la Repubblica non doveva, secondo loro, essere strappato con forza, bensì accompagnato dal riconoscimento di uno spazio privato e familiare, e guardando al passato proposero una felice contrapposizione tra gli antichi, che vivevano per e nell’Agorà, e il mondo moderno, nel quale si erano ormai affermati l’industria e il commercio e rispetto al quale lo Stato doveva provvedere a “lasciar fare”. L’uomo ottocentesco finì per scoprire che la propria libertà si trovava nell’intimità e nella stabilità, e quell’allargamento di natura conviviale nei quartieri che caratterizzò il medioevo venne superato definitivamente con un certo senso di riluttanza verso le intromissioni e le curiosità. 


La società dell’epoca era percorsa da un forte desiderio di intimità, non

G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello

36

(31)

solo familiare ma anche personale, poiché, oltre all’ambito familiare, anche le spinte individualistiche subirono una forte accelerazione. 
 In particolare, il desiderio di sapere e la curiosità che caratterizzarono questo secolo soprattutto con lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, un secolo di maggiore chiusura nella propria sfera privata, fecero emergere l’urgenza della protezione della persona , a 37

maggior ragione laddove il diritto arrivava dopo rispetto alle esigenze della società, col riconoscimento tardivo di istituti quali il segreto epistolare.

Con il passare degli anni il singolo inizierà a maturare una ribellione anche agli schemi del vivere collettivo e agli obblighi familiari, reclamando l’esigenza di rispondere solo a se stesso. In particolare la città stimolerà questo desiderio di uscire e camminare con le proprie gambe, creando opportunità per individui isolati e pronti a sfidare le incertezze alla ricerca di una felicità che sarà sempre più identificata nella scelta del proprio destino.


1.5.2. L’Ottocento statunitense

Nel 1789 oltreoceano entrò in vigore la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Il preambolo della legge fondamentale statunitense inizia con una frase composta da solamente tre semplici parole: “We the

”All'inizio del secolo, a Charendon, si apre una significativa controversia fra il

37

direttore della fabbrica e il medico locale, Royer-Collard: quest'ultimo vorrebbe aprire un dossier su ogni paziente, in cui venga ricostruita la sua storia medica e sociale; il primo si oppone a un procedimento che gli sembra sulla linea di una inquisizione di tipo ecclesiastico. Ambiguità di una concezione moderna in cui il potere della scienza e difesa della propria individualità camminano di pari passo.” Così Roger Chartier espone un caso concreto risalente a inizio secolo dove si ha un forte istinto protettivo dell’intimità anche sotto il profilo del rapporto medico - paziente. In R. CHARTIER, Il segreto dell’individuo, in P. ARIÈS e G. DUBY, La vita privata. L’Ottocento, Laterza, Bari, 1987, pag. 330.

(32)

People” . Esso non ha forza normativa, ma colloca comunque in 38

apertura un esplicito e immediato riferimento a chi sia il titolare della sovranità. 


Originariamente la Costituzione si componeva di soli sette articoli dedicati ai poteri ed alla separazione degli stessi. Soltanto dal 1791 fu aggiunto il c.d. Bill of Rights, la Dichiarazione dei diritti - che prese a modello quella già prevista dalla Costituzione dello Stato della Virginia del 1786 - contenente i primi dieci emendamenti alla Costituzione riferiti ad un’ampia gamma di diritti dell’individuo quali la libertà di parola, la libertà di culto o il diritto di possedere armi. 
 Per molti anni i primi dieci emendamenti rimasero vincolanti per gli americani soltanto in quanto cittadini degli Stati Uniti d’America nel loro complesso, e non per il loro essere anche cittadini dei singoli Stati. Il 23 luglio 1868 venne ratificato il XIV Emendamento a seguito di una proposta del Congresso del luglio 1866. Il nuovo emendamento alla Costituzione, ai sensi della Sezione 1 , volle riconoscere la 39

cittadinanza della Federazione e del singolo Stato a tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, riconoscendo loro protezione da ogni violazione da parte della legislazione dei singoli Stati di quel catalogo di diritti contenuti nei primi dieci emendamenti, non solo quindi come americani, ma anche come cittadini degli Stati federati.

“The opening words of the US Constitution refer to “We the People,” and it is

38

common to refer to the US government as a “democracy.” Così John R. Vile parla del preambolo alla Costituzione statunitense affiancandolo al concetto di democrazia, presupponendo quindi l’attribuzione della sovranità al Popolo americano, e non alla Nazione. In J.R. VILE, The United States Constitution. One document, many choices, Palgrave Macmillan, New York, 2015, pag. 6.

XIV Emendamento, Sezione 1: “Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati

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Uniti e sottoposte alla relativa giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge (il due process of law); né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi.” In https://constitutionus.com .

(33)

Negli anni la Corte Suprema ha interpretato questa clausola per garantire un gran numero di diritti, quelli elencati nel Bill of Rights come accennato, nonché altri diritti fondamentali non menzionati espressamente nella Costituzione, tra i quali anche il diritto alla privacy. Come scritto anche da Vile, ad evidenziare l’importanza di questo risultato, “alcuni studiosi hanno paragonato ciò ad una seconda rivoluzione americana” . 40

È importante specificare che il diritto alla privacy non è espressamente menzionato nella Costituzione. Il IV Emendamento si riferisce 41

espressamente perlopiù ad un riparo dalle illegittime infiltrazioni del governo ricollegabili in particolare a principi quali il giusto processo, pensiamo ad esempio al riferimento esplicito ad atti d’indagine invasivi come perquisizioni e sequestri. Molti hanno ritenuto che la mancata espressa previsione di un diritto alla privacy nel Bill of Rights fosse dovuta al fatto che una vera e concreta minaccia alla privacy sia emersa soltanto con la diffusione dei mezzi di telecomunicazione e dei media che hanno aperto alla possibilità di lesioni diffuse e immediate a tale diritto.


Ciononostante è fondamentale considerare l’importanza dell’Ottocento statunitense per quanto esposto fino ad ora, soprattutto per quanto riguarda l’aggiunta di un catalogo di diritti alla Costituzione, diritti sia espressi, sia veicolo ideale per il riconoscimento di altrettanti diritti. Prima di arrivare al primo concreto tentativo di elaborare e riconoscere pienamente un vero e proprio diritto alla privacy, e in particolare una

J.R. VILE, The United States Constitution. One document, many choices, cit., pag.

40

94.

IV Emendamento: “Il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale,

41

della loro casa, delle loro carte e dei loro beni, nei confronti di perquisizioni e sequestri ingiustificati non potrà essere violato; e non si emetteranno mandati giudiziari se non su fondati motivi sostenuti da giuramento o da dichiarazione solenne e con descrizione precisa del luogo da perquisire e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare.” In https://constitutionus.com .

(34)

sua piena elaborazione concettuale che avverrà proprio sul finire dell’Ottocento, essa si configurava come una possibilità riservata quasi esclusivamente alla borghesia, realizzabile soprattutto grazie ai risultati della rivoluzione industriale, dell’urbanizzazione e dello sviluppo economico. Per le classi operaie, invece, le condizioni di vita costringevano a rinunciare parzialmente al proprio spazio per l’impossibilità di permettersi materialmente una zona d’ombra del tutto personale. La possibilità di godere di uno spazio intimamente proprio caratterizzava la borghesia dalle altre classi sociali, al punto da accentuare quell’elemento individualistico che portò a sentire il bisogno di isolamento dalla stessa classe borghese di appartenenza. A fine Ottocento, seppure il diritto alla privacy iniziasse ad aleggiare con più forza rispetto al passato, mancava un passo decisivo, più di ogni altro compiuto precedentemente.

1.6. The right to privacy

La nascita della privacy come concetto giuridico è attribuita al celebre articolo pubblicato nel 1890 sulla Harvard Law Review da due avvocati di Boston, Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, intitolato “The right to privacy ”. 42

Occorre preliminarmente chiarire che, seppur la nascita del concetto legale sia relativamente recente, ciò non implica che di fatto la privacy e le esigenze protettive della stessa siano emerse all’improvviso con un tratto di penna. Questo abbiamo cercato di dire sino ad ora. 


Come scritto da Dorothy J. Glancy, “gran parte della forza del loro argomento per il riconoscimento legale e l'applicazione del diritto alla

S. D. WARREN, L. D. BRANDEIS, The right to privacy, in Harvard Law Review,

42

(35)

privacy deriva dalla loro ingegnosa evocazione di un’ampia perlustrazione storica in cui tale riconoscimento e applicazione legale appaiono come sviluppi naturali e inevitabili” . 43

Gli antefatti e le premesse dell’articolo di Warren e Brandeis rappresentano anche il modo diverso di avvicinamento al tema dei due avvocati. 


Warren aveva sposato la figlia di un ricco senatore e ne beneficiava con un tenore di vita particolarmente agiato e dispendioso, attirando a più riprese l’attenzione poco benevola della stampa locale, il Boston Evening Gazette, in un periodo storico di forte innovazione del settore che permetteva ai giornali di diffondersi maggiormente e con più facilità grazie soprattutto all’invenzione della stampa a rotativa. A ciò si accompagnò l’utilizzo della fotografia, che contribuì a rendere il danno derivante dalle pubblicazioni sgradite e non richieste particolarmente invasivo e vasto. 


Brandeis invece era maggiormente preoccupato per la compressione dei diritti individuali in generale, al di là della sola classe borghese, seppure sia stata la borghesia ad aspirare per prima alla conquista di una sfera privata.

Brandeis si rivelerà in futuro un giurista molto attento alle questioni sociali più delicate e di maggiore interesse, facendosi promotore di cause contro consumismo, corruzione e altre battaglie, spesso ritrovandosi a patrocinare cause gratuitamente, soprattutto negli ultimi anni della sua carriera.


Al di là di questa ampia diversità ideologica e culturale tra Warren e


D.J. GLANCY, The invention of the right to privacy, in Arizona Law Review, Vol.

43

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Brandeis, messa in luce anche da Rodotà , l’articolo pubblicato nel 44

1890 rivela una linea comune sul tema che merita di essere approfondita.

All’inizio dell’articolo i due autori evidenziano come, seppur da molto tempo sia appurato come l’individuo necessiti di protezione, i cambiamenti politici, sociali ed economici abbiano reso e rendano necessario riconoscere nuovi diritti tramite un continuo adeguamento del diritto comune. 


Tuttavia in origine la protezione dell’individuo si concretizzava in una protezione meramente fisica, tramite recinti e mura domestiche volte a frapporre tra sé e l’esterno un elemento materiale e tangibile sufficiente a garantire terre e bestiame. A seguito di questa fase, lo sviluppo della società dell’epoca - in particolare con l’urbanizzazione di massa, l’industrializzazione e la diffusione dei mezzi di informazione e di nuove tecnologie come la fotografia - portò al riconoscimento della natura spirituale, dei sentimenti e dell’intelletto del soggetto, e di conseguenza sorse l’esigenza di proteggere una “proprietà” non più limitata al materiale, ma estesa anche all'immateriale. 


Dalla protezione contro lesioni o intromissioni fisiche si è passati alla protezione dai rumori e dai fumi, fino a prendere in considerazione la reputazione e l’onore con le leggi contro le calunnie e le diffamazioni. Al semplice diritto alla vita si affianca un diritto a godersi la vita. 


“Il primo, un conservatore di stampo tradizionale, si mostrava interessato soltanto

44

ai privilegi dell'alta borghesia, considerando con risentimento l'azione di a stampa a caccia di scandali politici e mondani; l'altro, liberal-progressista, pur

preoccupandosi della privacy delle persone più in vista, metteva l‘accento sul danno che alle minoranze intellettuali e artistiche poteva derivare da indiscrezioni

giornalistiche indiscriminate, che avrebbero potuto accrescerne l'impopolarità. Questa duplicità di punti di vista può essere trovata, al di là della specifica cultura americana e con caratteristiche più marcate, nella gran parte dei dibattiti sulla privacy, fino ai giorni nostri.”

Così Stefano Rodotà si sofferma sulle differenze ideologiche di partenza dei due avvocati bostoniani alla vigilia del loro scritto, anticipando anche quello che poi sarà il dibattito successivo sulla materia. In S. RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 23.

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Dalla proprietà corporea sono sorti i diritti incorporei distinti da essa, e da qui l’ampio quadro della proprietà immateriale nei processi della mente, come le opere di letteratura e arte, la buona volontà, i segreti commerciali e i marchi. 


Anche i pensieri, le emozioni e i sentimenti richiedevano, secondo i due avvocati, un riconoscimento legale. Questo è ciò che Warren e Brandeis chiamano “the right to be let alone” . 
45

In realtà questo riferimento a un diritto ad essere lasciati soli non fu una novità assoluta, come ammesso dagli stessi Warren e Brandeis in una nota del loro articolo e come confermato decenni dopo da Dorothy Glancy, bensì fu originariamente coniato da Thomas Cooley nella prima edizione di “A Treatise on the Law of Torts” del 1879 . 46

Probabilmente, anche sotto l’influenza delle vicende personali di Warren, dall’articolo emerge una critica molto forte alla stampa ed in particolare al gossip, non più un semplice passatempo dei più curiosi ma un vero business, anche grazie allo sviluppo tecnologico che permetteva una diffusione più estesa delle notizie e degli affari privati dei malcapitati. Questa ulteriore evoluzione e questa maggiore complessità della vita non hanno fatto altro che intensificare l’esigenza di allontanarsi dal mondo come principale reazione alle crescenti potenzialità dell’invasione della privacy.


Sotto il profilo normativo, Warren e Brandeis si pongono l’obiettivo iniziale di verificare se vi può essere nell’ordinamento statunitense uno strumento in grado di proteggere la privacy dell’individuo. In particolare, individuano una somiglianza con i torts trattati dalle leggi sulla calunnia e sulla diffamazione. Il principio su cui poggia la legge

S. D. WARREN, L. D. BRANDEIS, The right to privacy, cit., pag. 193.

45

Dorothy Glancy evidenzia la non paternità di Warren e Brandeis del “right to be

46

let alone”, ma che invece fu Thomas Cooley, ad affermare qualche anno prima che dietro all’uomo vi era un diritto di totale immunità che costituisce un diritto ad essere lasciati soli. In D. J. GLANCY, The invention of the right to privacy, cit., pag. 3.

(38)

della diffamazione copre, tuttavia, una classe diversa di effetti, si occupa solo del danno alla reputazione inteso come pregiudizio all'individuo nelle sue relazioni esterne. Ciò significa che un’eventuale pubblicazione concernente la vita privata di un soggetto, seppur diffusa, non autorizzata e dannosa, per essere impugnabile deve colpire la persona nei suoi rapporti con gli altri esponendolo al disprezzo o all’ironia dei suoi simili, mentre invece l'effetto della pubblicazione sulla stima di se stesso e sui suoi sentimenti non costituisce un elemento essenziale. Quindi, i diritti considerati dalle leggi sulla calunnia e sulla diffamazione sono nella loro natura materiali piuttosto che spirituali, come una sorta di estensione della protezione riservata alla proprietà. I due giuristi notano dunque come non vi fosse nel loro sistema, in quella fase, una legge che si occupasse di proteggere i sentimenti e l’intimità. 


Con queste premesse poco incoraggianti, ciò che fanno i due giuristi è prendere in considerazione l’applicazione analogica delle norme sulla diffamazione e sulla calunnia, ma soprattutto della disciplina della proprietà intellettuale e artistica. In particolare, quest’ultima assicura ad ogni individuo il diritto di decidere se e in che misura i suoi pensieri, sentimenti ed emozioni devono essere comunicati agli altri, ossia pubblicati. L’esistenza di questo diritto non dipende dal metodo di espressione adottato, sia esso una lettera, un libro o un dipinto, così come non dipende dal valore di ciò che viene espresso. Nessuno può pubblicare qualunque cosa senza il consenso dell’autore, che rimane titolare dell’ultima parola in merito alla divulgazione o meno e ai limiti della divulgazione. La logica di questo diritto di impedire la pubblicazione di opere è, secondo Warren e Brandeis, semplicemente l’applicazione di un “right to property” . 47

S. D. WARREN, L. D. BRANDEIS, The right to privacy, cit., pag. 197.

(39)

Tuttavia, ciò può essere pienamente condivisibile fin quando si tratta di assicurare all’autore il profitto derivante dall’opera. Al contrario, laddove il valore da tutelare non si trovi nel diritto di pretendere i profitti derivanti dalla pubblicazione, ma nella tranquillità e nel sollievo offerto dalla capacità di impedire qualsiasi pubblicazione, risulta complicato considerare il diritto come un diritto di proprietà nella comune accezione del termine. 


Warren e Brandeis sfruttano in modo calzante l’esempio di una lettera. Il divieto di pubblicazione imposto dall’autore non è limitato al pezzo di carta inteso dal punto di vista materiale, ma si estende anche al contenuto, per cui l’oggetto della tutela diviene non il prodotto intellettuale rappresentato dalla lettera, ma semmai il fatto domestico in essa narrato.

La proprietà intellettuale quindi, che godeva già di un’ottima tutela nel sistema statunitense, riguardava anche beni “astratti” come i pensieri e le emozioni in uno scritto o in un dipinto, ed era irrilevante la forma della manifestazione così come la prospettiva di un profitto economico che invece concerne una proprietà più materialistica. 


Anche il diritto alla privacy, in fondo, si propone lo scopo di proteggere un bene, che tuttavia si lega ad una proprietà spirituale appartenente alla sfera sentimentale del soggetto, che non necessariamente deve essere caratterizzata dalla materialità di uno scritto, ma può nascere anche da un dialogo orale o da un’espressione facciale. 


Sull’onda di questa riflessione, Warren e Brandeis - anche a dimostrazione di come la questione in oggetto non fosse del tutto nuova - riprendono dalla giurisprudenza britannica il celebre caso

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