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L’analisi sullo stato del diritto alla privacy, sul suo riconoscimento e sulla sua percezione da parte della società nel corso del ‘900 - secolo che inizia appena dieci anni dopo l’articolo di Warren e Brandeis - è un’impresa alquanto complicata. Il Novecento si presenta come un secolo controverso, che inizia con la Belle Époque ma che dopo poco più di un decennio dà vita alla Prima Guerra Mondiale ed ai regimi che daranno inizio al secondo conflitto. 


In particolare, parlare di privacy nell’Europa novecentesca rende inevitabile incrociare il cammino proprio con i regimi totalitari che hanno afflitto il vecchio continente. Per quanto riguarda gli Stati Uniti occorre invece un approccio diverso, poiché i totalitarismi qui non sono mai arrivati, e perché hanno avuto entro i loro confini il primo

tentativo di dare un senso unitario al concetto di privacy ipotizzando un diritto che potesse essere riconosciuto e tutelato dai tribunali. 


Se in Europa saranno i regimi e il caos bellico a rendere tutt’altro che semplice lo sviluppo di una protezione della vita privata, oltreoceano invece, come vedremo, ci vorrà del tempo prima che l’articolo di Warren e Brandeis possa insinuarsi nelle corti e sortire i suoi effetti nel sistema statunitense. 


1.7.1. Il Novecento in Europa: le guerre e i regimi


Il Novecento, soprattutto in Europa, è il secolo dei grandi conflitti. 
 La guerra inevitabilmente tende a modificare le abitudini di una popolazione sviluppatesi negli anni precedenti, trattandosi di una situazione sempre inedita e sempre caratterizzata non solo da violenze e sangue, ma anche da fame, povertà, incertezze e paure. 


Si verificò, avvicinandosi al 1914 ed ancora di più in seguito, quello che Caracciolo identifica come effetto della “mobilitazione generale

delle forze armate delle grandi potenze” . In questa fase prebellica e 50

bellica vennero rimessi in discussione molti fattori ormai pressoché acquisiti, si spezzarono cioè le difese del privato, prevalsero le obbligazioni determinate da un dovere generale, e interi blocchi di valori, di affetti, e di certezze, vennero molto rivalutati. La guerra abbatte certezze ed abitudini, quindi, niente può essere come prima. 
 Le popolazioni europee rinunciarono anche alla propria dimensione interiore, e si distaccarono dal proprio privato anche e soprattutto emotivamente per unirsi attorno ai colori delle divise a seconda degli

A. CARACCIOLO, Caratteristiche della vita privata, in P. ARIÈS e G. DUBY, La

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schieramenti, i confini tra pubblico e privato si fecero sempre più instabili e impercettibili. Bisognerà aspettare il dopoguerra per beneficiare, almeno in una parte della popolazione, della ripresa economica e delle conseguenti comodità quotidiane per iniziare a riacquistare, non solo una dimensione privata della sfera domestica, ma anche una speranza maggiore per tentare la realizzazione della propria indipendenza da essa.


Come già accennato, però, attraversare il ‘900 lungo la strada che porta all’idea ed alla disciplina vigente relativa alla privacy impone di prendere in considerazione oltre ai conflitti mondiali anche e soprattutto i regimi totalitari. Essi caratterizzarono il XX secolo europeo per circa la sua metà, sia a livello temporale che territoriale, e niente di ciò che avvenne dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale può dirsi casuale, bensì possiamo dire che gran parte di ciò che accadde sotto il profilo normativo nell’Europa postbellica ha soprattutto radici storiche, come forte reazione ai regimi e cura delle ferite da essi lasciate.


Così Hannah Arendt cerca di spiegare in modo molto forte quello che è lo scopo di un regime totalitario nella sua manifestazione più riuscita:

“l’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne né al riassetto rivoluzionario dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana che, cosi com’è, si oppone al processo totalitario” .
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Questo modo di vedere il totalitarismo ne evidenzia gli effetti, non tanto sul piano politico, quanto su quello umano. In particolare, pone l’attenzione sulla figura del soggetto inserito in un regime totalitario, privato dei suoi diritti e delle sue libertà, abituato a farne a meno, perfettamente collocato in una società costituita non più da classi ma

H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano, 1967, pag. 628.

da una massa indistinta di adepti. 


All’alba dell’instaurazione del regime fascista vigeva lo Statuto fondamentale del Regno di Sardegna , il c.d. Statuto Albertino, quale 52

legge fondamentale del Regno d’Italia. Esso prevedeva all’art. 26 la garanzia della libertà individuale e il divieto di arresto se non nei casi e modi previsti dalla legge, all’art. 27 l’inviolabilità del domicilio, all’art. 28 la libertà di stampa bilanciata con la possibilità di reprimerne gli abusi e all’art. 29 l’inviolabilità della proprietà privata.
 Tutte queste garanzie, seppur scarne, furono totalmente smantellate progressivamente dal fascismo a partire dagli anni ’20 del '900 fino alla conquista del potere sotto la guida di Benito Mussolini. 


Tuttavia, conquistato il potere, al fascismo non bastò l'ideologia negativa. Dovette darsi una dottrina . 
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In particolare il regime riuscì a portare sotto il proprio dominio ogni forma di manifestazione privatistica dei soggetti, imponendo modelli comportamentali tipizzati e modelli ideali di famiglia, tenendo sotto stretto controllo ogni manifestazione pubblica e privata del proprio essere. Le informazioni private delle persone venivano usate per gli scopi del regime, per il controllo serrato delle opinioni dissenzienti, della famiglia o della razza.


Un regime totalitario non permette la vita privata e la libertà di scegliere ciò che può o non può essere sottratto agli occhi degli estranei, bensì mira ad una vigilanza costante dell’essere umano costruendone un modello al quale ogni membro della massa è tenuto ad adeguarsi. 


Editto numero 674 del 4 marzo 1848, in https://www.150anni.it/webi/_file/

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documenti/risorgimento/italiaprimaedopounita/statipreunitari/RegnoSardegna/ sardegna03.pdf .

“Questa costruzione era molto semplice e si può riassumere così: l'individuo è

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nulla, lo stato è tutto”. In N. BOBBIO, Dal fascismo alla democrazia. I regimi, le ideologie e le culture politiche, a cura di Michelangelo Bovero, Baldini&Castoldi, Milano, 1997, pag. 51.

Al modello italiano si ispirò quello tedesco di Adolf Hitler, durante il cui regime si affermò l’idea del c.d. uomo di vetro, privo di ogni filtro tra sé e il potere statale. Soprattutto a partire dalla c.d. Legge dei pieni poteri approvata dal Reichstag il 24 marzo 1933 che, pur nel rispetto 54

formale delle leggi nazionali, finì per riconoscere pieni poteri a Hitler aprendo la strada all’instaurazione in Germania di un altro regime europeo sulla scia di quello italiano. 


Con l’inizio delle prime iniziative belliche e nel corso della Seconda Guerra Mondiale iniziata nel 1939, questi due modelli iniziarono a contaminare gli altri stati europei, si pensi come esempi alla prima guerra civile spagnola o al Governo di Vichy in Francia, guidato formalmente dal maresciallo Pétain ma controllato dalla Germania di Hitler. 


Sarà soltanto il Dopoguerra a permettere due sviluppi fondamentali: da un lato, la ricostruzione dell’ordine democratico nel continente mediante l’approvazione delle varie costituzioni dei paesi europei particolarmente improntate alla tutela dei diritti fondamentali dei soggetti; dall’altro lato si avrà l’inizio del processo di costruzione e integrazione europea che darà il via a quella produzione normativa sovranazionale essenziale per la disciplina della privacy nel diritto comunitario e che avremo modo di approfondire nel capitolo successivo.


Decreto del Presidente del Reich per la difesa del Popolo e dello Stato, 28

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febbraio 1933, in https://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/documentazione/ formazione-pdc/viaggio-visivo/i-campi-di-concentramento-nel-novecento/le-origini- del-sistema-nazista/il-nazismo-al-potere/approfondimenti/decreto-del-presidente-del- reich-per-la-difesa-del-popolo-e-dello-stato-28-febbraio-1933 .

1.7.2. Il Novecento statunitense


Quando si parla di diritto alla privacy negli Stati Uniti nel corso del XX secolo occorre fare un discorso diverso rispetto a quello appena esposto relativamente al continente europeo, poiché gli Stati Uniti non conobbero i regimi e parteciparono alle due guerre soltanto negli anni conclusivi e a molta distanza dal proprio territorio. Ciò non significa che l’articolo di Warren e Brandeis abbia dato alla luce un diritto immediatamente riconosciuto e applicato; avremo modo di vedere come in realtà saranno necessari diversi anni prima di vedere il diritto alla privacy entrare nei tribunali americani, ma ciò non fu certamente dovuto ai totalitarismi. 


Come è ben noto, nel sistema statunitense un contributo fondamentale per il riconoscimento dei diritti viene dalla giurisprudenza delle corti, accompagnata a sua volta da una produzione dottrinale notevole, oltre che da un’opinione pubblica attiva e pronta a recepire i cambiamenti, ma soprattutto ad incoraggiarne di altri, a seconda di quelli che sono i valori percepiti come prevalenti all’interno della società.


Certamente, come anticipato, il cammino del diritto alla privacy non fu semplice nemmeno negli Stati Uniti, ma è indubbio come questo paese sia stato di un’importanza fondamentale, soprattutto considerando l’influenza che ha avuto ed ha tutt’oggi sulla cultura e sui costumi dell’intero mondo occidentale.


1.7.2.1. La discontinuità del riconoscimento della privacy


durante il processo Boyd v. United States , la Corte Suprema degli 55

Stati Uniti aveva riconosciuto che il IV ed il V Emendamento conferivano una tutela esplicita contro tutte le intrusioni del Governo nella casa e nell’intimità della vita delle persone. Come scritto da Krauss nel 1977: ”il governo, secondo Boyd, non può entrare in questa

zona, costringendo un individuo a testimoniare contro se stesso o citandolo in giudizio o sequestrando i suoi libri e documenti per essere usati come prova contro di lui in un procedimento penale o quasi penale. La Corte ha riscontrato un ‘rapporto intimo’ tra i due emendamenti in modo tale che la ricerca e il sequestro di libri e documenti possano essere ‘irragionevoli’ anche se condotti in base ad un ordine del tribunale” . Si trattava evidentemente di una tappa 56

piccola, ma assolutamente da non ignorare, prima dell’elaborato di Warren e Brandeis, limitatamente, in questo caso, all’ambito processuale. 


In verità, nonostante i segnali incoraggianti sul finire del 1800, la ricostruzione di Warren e Brandeis non riuscì a penetrare in tempi brevi le mura delle corti statunitensi, ma ebbe semmai una certo ritardo ed una certa incostanza. 


Nel 1902 la Corte d’Appello di New York si pronunciò sul caso

Roberson v. Rochester Folding-Box Co. rigettando la richiesta di

risarcimento formulata da una giovane donna il cui ritratto era stato usato, senza il suo previo consenso, in una pubblicità di una società produttrice di farina. La Corte, in particolare, affermò che non esisteva nella legge un diritto alla privacy da poter sottoporre alla giurisdizione di una Court of Equity, così come tale diritto non aveva ancora trovato

Boyd v. United States, United States Supreme Court, 116 U.S. 616 (1886) in https://

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supreme.justia.com/cases/federal/us/116/616/ .

S.D. KRAUSS, The Life and Times of Boyd v United States (1886-1976), in

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una posizione stabile nella giurisprudenza al punto di avere un’autorità sufficiente a legittimare il risarcimento di un presunto danno alla sensibilità della ricorrente . 
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Nel 1905 ci fu invece una sentenza in direzione opposta alla precedente, quella della Corte Suprema della Georgia sul caso

Pavesich v. New England Life Ins. Co. et al. . Il caso riguardava la 58

pubblicazione in un numero dell’Atlanta Constitution, un giornale pubblicato nella città di Atlanta, di una raffigurazione non consentita del signor Pavesich rappresentato in cattive condizioni di salute e con l’indicazione che egli aveva sottoscritto un’assicurazione sulla vita con la società convenuta. In questa sentenza la Corte riconobbe l’esistenza di un diritto alla privacy derivante dalla legge naturale e la cui esistenza poteva essere ricavata anche dalle espressioni usate dai commentatori e dai giudici in casi già decisi, e quindi poteva legittimamente fondare una richiesta di risarcimento per i danni cagionati dalla pubblicazione non consentita di quella raffigurazione considerata offensiva e degradante oltre che accompagnata da informazioni false. 


Nel 1940, infine, la Corte d’Appello di New York decise di dare torto ad un ex ragazzo prodigio della matematica, William James Sidis, il quale fece causa al The New Yorker per violazione della privacy, chiedendo di essere risarcito per i danni causati dalla diffusione non consentita di informazioni umilianti e degradanti sulla sua vita privata dopo che ormai era passata l’onda del successo. La Corte ritenne di

"An examination of the authorities leads us to the conclusion that the so-called

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"right of privacy" has not as yet found an abiding place in our jurisprudence, and, as we view it, the doctrine cannot now be incorporated without doing violence to settled principles of law, by which the profession and the public have long been guided.” In Roberson v. Rochester Folding Box Co., 64 N.E. 442 (NY 1902), New York Court of Appeals in https://www.courtlistener.com/opinion/3641834/roberson-v-rochester- folding-box-co/ .

Pavesich v. New England Life Insurance Co., 122 Ga. 190, 50 SE 68, 1905,

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non poter concedere a tutti i dettagli della vita privata una totale immunità dalle intromissioni della stampa, e che “ad un certo punto

l’interesse pubblico ad ottenere informazioni diventa dominante rispetto al desiderio individuale di privacy” . 
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Questi brevi riferimenti giurisprudenziali ci permettono di notare la discontinuità nell’accettazione di un diritto alla privacy. Nelle corti non sempre viene riconosciuto e applicato, non sempre viene fornito un rimedio alle violazioni e le due sentenze sopracitate testimoniano come fosse determinante la persona del giudice nel ritenere sussistente o meno un diritto alla privacy. 


Questa che sembrava essere una dolce illusione priva di una stabilità rassicurante venne percepita non solo sotto il profilo giuridico ma anche letterario. In particolare possiamo fare riferimento all’opera

“Privacy” di William Faulkner, il quale nel 1955 decise di sfogare la

propria frustrazione per una società invasiva con un personale impeto in un pamphlet memorabile che partiva da premesse analoghe a quelle di Warren e Brandeis. L’autore ricevette l’avvertimento da parte di un amico circa le intenzioni di un giornale di scrivere sulla sua vita privata. Faulkner era convinto invece che di un’artista potessero essere rese note solo le opere che egli aveva scelto di pubblicare, mentre la vita privata doveva rimanere totalmente sottratta ad occhi indiscreti in mancanza della volontà dell’interessato. La sua convinzione si scontrò con il muro della realtà della quale prese amaramente atto: “il punto è

che oggi in America qualsiasi gruppo o organizzazione, per il semplice fatto di operare sotto la copertura di una espressione come Libertà di Stampa o Sicurezza Nazionale o Lega Anti Sovversione, può postulare a proprio favore la completa immunità riguardo alla violazione

Sidis v. FR Pub. Corporation, 113 F.2d 806 (2d Cir. 1940), U.S. Court of Appeals

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for the Second Circuit, in https://law.justia.com/cases/federal/appellate-courts/ F2/113/806/1509377/ .

dell’individualità - la privacy senza la quale l’individuo non può essere tale e senza la quale individualità egli non è più nulla che valga la pena essere o continuare a essere - di chiunque non sia a sua volta membro di un qualche gruppo o una qualche organizzazione abbastanza potente e numerosa da far spaventare e tener tutti alla larga” . Faulkner quindi si scagliò molto duramente contro un 60

bilanciamento sproporzionato tra libertà di stampa e privacy del soggetto, in quanto riteneva che alla prima fosse data una prevalenza eccessiva e incondizionata a spese della persona, infrangendo quel sogno americano che doveva il suo fascino anche al riconoscimento di uno spazio protetto e incontaminato per gli individui. 


1.7.2.2. Dall’articolo di Prosser al Privacy Act


Nel corso degli anni il concetto di privacy elaborato da Warren e Brandeis iniziò a vacillare, arrivò cioè ad essere percepito da alcuni giuristi come difficilmente applicabile in concreto, seppur notevole, poiché eccessivamente unitario e onnicomprensivo di quelle che in realtà si riteneva potessero essere considerate delle forme diverse di violazione. 


Nel 1960 il giurista William L. Prosser scrisse un articolo dal titolo

“Privacy”, pubblicato sulla California Law Review. Prosser riteneva

che la violazione della privacy non fosse data da un unico illecito, bensì da un complesso di quattro diversi tipi di illecito, con caratteristiche proprie e che avevano in comune il solo fatto di essere, ciascuno a modo proprio, una violazione del “right to be let alone”: il primo consisteva nell’intrusione nella solitudine o negli affari privati;

W. FAULKNER, Privacy, Adelphi, Milano, 2003, pagg. 26 - 27.

il secondo nella diffusione al pubblico di fatti imbarazzanti riguardanti il privato; il terzo nella pubblicità che pone un soggetto in cattiva luce agli occhi del pubblico; il quarto nello sfruttamento a vantaggio di un determinato individuo del nome o delle caratteristiche di un altro . 
61

Da qui le cose iniziarono a cambiare con un drastico aumento dei casi di riconoscimento di violazioni del diritto alla privacy, oltre il quintuplo rispetto a quelli registrati dal 1890 al 1960. 


In particolare possiamo citare a titolo esemplificativo una pronuncia fondamentale, considerata da molti come il leading case in materia: la sentenza della Corte suprema sul caso Griswold v. Connecticut del 62

1965. Il caso verteva sulla costituzionalità di una legge dello Stato 63

del Connecticut risalente al 1879 nella quale si proibiva l’uso di qualunque droga, metodo medico o altro strumento per promuovere la contraccezione per il controllo delle nascite, così come ogni forma di assistenza sanitaria in tale campo, e nonostante che questa legge fosse stata applicata raramente, i tribunali erano comunque riusciti a resistere alle contestazioni. La Corte suprema concluse per l’incostituzionalità della legge statale del Connecticut in quanto attuava una politica di lotta alla contraccezione mediante un’invasione irragionevole della sfera matrimoniale e familiare, le quali beneficiavano, secondo la

W. L. PROSSER, Privacy, in California Law Review, Volume 48, Issue 3, August

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1960, pag. 389.

Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965), U.S. Supreme Court, in https://

62

supreme.justia.com/cases/federal/us/381/479/ .

Per meglio inquadrare il caso esposto nel sistema statunitense, si veda la celebre

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sentenza della Corte Suprema sul caso Marbury v. Madison nella quale la Corte ha affermato per la prima volta il concetto di incostituzionalità della legge, riconoscendo in capo al potere giudiziario il potere di disapplicare una legge in contrasto con la Costituzione, favorendo l’applicazione di quest’ultima, mediante un controllo di costituzionalità di tipo diffuso.

Corte, di una “zone of privacy” riconosciuta implicitamente dal Bill 64

of Rights della Costituzione federale. 


Da questa pronuncia che riconosceva un implicito diritto alla privacy nella Costituzione federale, seguì, negli anni successivi, l’introduzione di riferimenti espliciti a tale diritto anche nelle leggi fondamentali di Alaska, California, Florida, Hawaii e Montana. 


Se rimane fermo lo spazio lasciato alla discrezionalità delle normative statali come previsto dal sistema statunitense - salvo i casi di incostituzionalità eventualmente rilevati o rilevabili dal potere giudiziario - occorre accennare anche alle conseguenze a livello di legge federale, poiché nel 1974 venne approvato dal Congresso il

Privacy Act, che costituisce ancora oggi la normativa federale di

riferimento, pur oggetto di interventi di riforma e adeguamento nel corso degli anni. 


Il Privacy Act nacque soprattutto come risposta alla crisi dovuta agli 65

atti di spionaggio (e di violazione della privacy), passati alla storia come scandalo Watergate, che portarono alle dimissioni dell’allora Presidente Richard Nixon e che inevitabilmente ebbero un forte impatto sull’opinione pubblica non solo statunitense, suscitando una sensazione collettiva di mancanza di protezione.


La normativa era finalizzata innanzi tutto a rafforzare le garanzie poste dal IV Emendamento con limiti specifici ispirati alla ragion di Stato, in particolare per esigenze di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si veda ad esempio il mancato riconoscimento del diritto a far valere la privacy rispetto ad agenzie governative come la CIA, la cui attività era

B. HARDING, MARK J. CRISER, MICHAEL R. UFFERMAN, Right to be let

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alone - Has the adoption of article I, section 23 in the Florida Constitution, which explicitly provides for a State right of privacy, resulted in greater privacy protection

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