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UNIVERSITA’ DI PISA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA
Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende
TESI DI LAUREA:
LA LEGGE GELLI-BIANCO E LA NUOVA REGOLAMENTAZIONE DELLE LINEE GUIDA PER LA BUONA PRATICA CLINICA
RELATORE
Prof.ssa Luisa AZZENA
CANDIDATO
Alberto PUCCINI
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RIASSUNTO
In questa tesi andrò ad affrontare inizialmente le tematiche relative alla storia e all’evoluzione nel corso del tempo delle varie riforme sanitarie che si sono successe, partendo dall’Unità d’Italia fino ad arrivare alla penultima riforma in ambito sanitario, la Legge Balduzzi, affrontando gli aspetti più importanti introdotti dalla suddetta legge, per poi metterli in correlazione con le differenze riscontrate nell’attuale Legge Gelli-Bianco, introdotta l’8 marzo 2017 n.24. Tratterò temi come la responsabilità civile e penale per i medici e per le strutture sanitarie, l’assicurazione medica obbligatoria e l’onere della prova. Il punto centrale della tesi sarà invece focalizzato sulla produzione delle Linee Guida, la loro metodologia, la loro struttura, le loro valutazioni e la loro rappresentazione. L’elemento chiave che mette in relazione la discussione delle Linee Guida con il tema di diritto amministrativo riguarda le disposizioni presenti negli articoli 5 e 6 della Legge Gelli-Bianco. Il concetto di Linee Guida era già presente nella Legge Balduzzi, ma faceva riferimento solo a un concetto generale senza essere chiarito nello specifico. Nell’articolo 5 si fanno presenti due aspetti importanti, il primo, attraverso una ridefinizione del nuovo modello del Sistema Nazionale per le Linee Guida, che viene affidato alla gestione dell’Istituto Superiore della Sanità, mentre il secondo aspetto riguarda le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche che decidono di produrre Linee Guida standardizzate. Per loro sarà possibile farlo solo attraverso l’iscrizione ad un apposito elenco, che verrà istituito presso il Ministero della Salute, che avrà anche il compito di verificare la presenza e il mantenimento dei requisiti specifici.
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INDICE
INTRODUZIONE 4
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INTRODUZIONE ALLA LEGGE GELLI-BIANCO 7
1.1 Riforme sanitarie: 1861-2012 7
1.2 Legge Balduzzi: Responsabilità civile e penale 14
1.3 Legge Balduzzi: Onere della prova 22
1.4 Legge Balduzzi: Assicurazione Medica Obbligatoria 28
2 LE CARATTERISTICHE DELLA NUOVA LEGGE GELLI-BIANCO 33
2.1 Introduzione 33
2.2 Elementi e novità di carattere amministrativo 37
2.3 Novità in tema di responsabilità penale 41
2.4 La responsabilità civile del medico 48
3 LINEE GUIDA E BUONE PRATICHE 54
3.1 Introduzione al Programma Nazionale per le Linee Guida (PNLG) 54
3.2 Linee Guida: Definizione, procedure e protocolli 61
3.3 I criteri per l’appropriatezza 67
3.4 Conferenze di consenso e Technology Assessment 76
3.5 Linee Guida: la metodologia 80
3.6 Valutazioni economiche ed etico-giuridiche 86
3.7 Struttura e presentazione delle Linee Guida 93
3.8 Le fasi del processo di implementazione delle Linee Guida 101
4 IL SISTEMA NAZIONALE PER LE LINEE GUIDA (SNLG) 107
4.1 La nascita del Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG) 107
4.2 Il nuovo Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG) 116
4.2.1 Il Sistema GRADE per valutare l’innovazione terapeutica 122
4.2.2 Il Decreto Ministeriale 2 agosto 2017 126
4.3 L’istituzione dell’elenco delle società scientifiche 133
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INTRODUZIONE.
Ho scelto il tema specifico riguardante l’introduzione della nuova legge Gelli-Bianco, dell’ 8 marzo 2017, n. 24, in quanto fatta per riformare un settore, quello della sanità pubblica, nel quale vi era un vuoto normativo da regolamentare. Rispetto alla precedente legge Balduzzi, sono stati aggiunti nuovi caratteri normativi sia in tema di responsabilità civile e penale per il medico, con un importante modifica di tipo amministrativa. E’ stato rivisto il tema della responsabilità proprio per dare una maggiore sicurezza al sanitario che potrà svolgere il suo lavoro con maggior tranquillità, liberandolo dalla possibilità di incorrere in responsabilità penale per un’imperizia, un elemento caratterizzante dell’errore.
Come spesso accadeva in passato, i pazienti venivano rimbalzati da uno specialista all’altro, i quali non sempre davano un giudizio sicuro, proprio per il timore di incorrere in una responsabilità penale. Questo ha portato il sistema sanitario nazionale in una fase di spreco di risorse per test e controlli non sempre necessari. In questa situazione deficitaria è stata introdotta la legge Gelli-Bianco, sia per ridimensionare tutto il sistema sanitario sotto l’aspetto amministrativo e gestionale, sia per rivedere le responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie. In questa riforma vi è anche una migliore ridefinizione delle Linee Guida, l’elemento centrale di questa tesi, già accennate nella precedente riforma, ma mai definite.
Queste Linee Guida sono delle raccomandazioni standardizzate accettate dalla comunità scientifica internazionale, sostenute dagli scienziati e medici più illustri e specializzati nei loro campi. Esse servono al medico per avere una maggiore
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sicurezza nella diagnosi di una specifica malattia e tutto il processo di prevenzione e post-intervento da seguire per una corretta guarigione. Se adottate con correttezza ed adeguatezza, esse liberano il medico da una responsabilità penale, su tutti i gradi della colpa per imperizia, mostrando comunque limiti per i casi di negligenza e imprudenza.
In questa tesi affronterò dapprima le differenze sostanziali delle ultime due leggi in tema di sanità, evidenziando gli aspetti che sono stati maggiormente modificati. Successivamente, la parte centrale della tesi riguarderà il processo che porta alla definizione completa di linee guida, dalla fase preparatoria alla produzione, alla metodologia da seguire, alle società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche che decideranno di produrle.
E’ stato un lavoro molto complesso, in quanto le Linee Guida rappresentano un elemento interdisciplinare, un insieme che riguarda ambienti medici, economici e giuridici, combinati tra di loro, per questo mi sono affidato alla lettura specifica di diversi manuali e opere, tra le quali, le più importanti sono:
Manuale Metodologico del Programma Nazionale per le Linee Guida (PNLG), “Come produrre, diffondere e aggiornare raccomandazioni per la pratica
clinica”, pubblicato nel maggio 2002;
Manuale di formazione per il governo clinico: Appropriatezza, della Direzione Generale della Programmazione Saniaria, Ufficio III ex. D.G.PROGS., luglio 2012;
Alberto Polotti Di Zumaglia, “Evoluzione ulteriore della responsabilità del
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Matteo Caputo, “La Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria dopo la n. 24 2017”, Danno e Resp., 2017, 3, 293 (dottrina);
Valentina Selini, “Il passato e il presente dell’obbligo assicurativo in ambito sanitario”, Danno e Resp., 2017, 3, 301 (dottrina);
Arianna Barbarisi, “L’onere della prova nella responsabilità sanitaria”, Contratti, 2017, 2, 217 (commento alla normativa);
D.M. 31 giugno 2004, che istituisce il primo Sistema Nazionale per le Linee Guida, nato dal vecchio PNLG;
D.M. 2 agosto 2017, per la parte relativa alla composizione del nuovo Sistema Nazionale per le Linee Guida, sia per l’istituzione e la regolamentazione dell’elenco presso il Ministero della Sanità.
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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE ALLA LEGGE GELLI-BIANCO
1.1 – RIFORME SANITARIE: 1861-2012
La data di riferimento che viene usata per iniziare a spiegare la storia dell’evoluzione sanitaria italiana, è quella dell’anno dell’Unità d’Italia, il 1861, nella quale venne affidato al Ministero dell’Interno il compito di organizzare l’assistenza sanitaria a livello nazionale, mentre ai prefetti e ai sindaci il compito della gestione a livello locale, segnando il passaggio dell’assistenza ospedaliera finanziata da opere di beneficenza e lasciti a una vera e proprio organizzazione strutturata a livello nazionale; si giunse così alla Direzione Generale per la sanità, che durò fino al 1945. Per agevolare questo passaggio di competenze è opportuno segnalare la L. 17 luglio 1890 (nota come “Legge Crispi”) che trasformò gli ospedali e le case di riposo, da enti privati in istituti pubblici di assistenza e beneficenza (IPAB).
Con l’avvento del regime fascista, che fece emergere l’idea del corporativismo generale, si orientò l’attenzione del sistema assistenziale e previdenziale verso i lavoratori; proprio in quel periodo infatti nacquero enti importanti come l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), l’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) e l’ENPA (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i dipendenti statali).
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Dal 1945, con la fine della guerra e la seguente caduta del fascismo, vi fu il decadimento della Direzione Generale per la sanità in favore dell’Alto commissariato per l’igiene e la sanità (ACIS), con compiti molto precisi in tema di coordinamento e tutela della sanità pubblica e la vigilanza sugli enti e sulle organizzazioni sanitarie, con lo scopo di combattere e prevenire le varie malattie sociali.
Un ulteriore passo importante in tema di riforme sanitarie avvenne dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione con la legge L. 13 marzo 1958, n. 296, la quale introdusse la figura del Ministro della Sanità, subentrando all’ACIS; ebbe la funzione di accentrare in se, a livello nazionale, il potere amministrativo del ramo sanitario-assistenziale, con l’ausilio delle fonti periferiche come gli uffici sanitari del comune e degli studi medici e veterinari provinciali.
A dieci anni di distanza dall’istituzione del Ministero della Sanità vi fu l’introduzione della prima Riforma Ospedaliera, anche a seguito delle varie battaglie nei confronti dei diritti umani e sociali di quel periodo, che vide l’emanazione di due leggi molto importanti: la prima fu la L. 12 febbraio 1968, n. 132 “Legge Mariotti” e rese possibile la trasformazione degli enti autonomi, sotto un'unica organizzazione; l’altra legge, la L. 17 febbraio n. 108, prevedeva invece l’unificazione dei piani assistenziali e sanitari con i piani regionali decentrati, dando anche un notevole contributo in tema di Regioni a statuto ordinario previsto nell’Art. 117 della Costituzione.
Un’ulteriore data storica, a riguardo della riforma sanitaria, è stata con l’entrata in vigore della L. 17 agosto 1974 n. 386, con la quale, l’assistenza ospedaliera diventò gratuita per tutte le persone che fossero iscritte a una mutua. Con questa riforma
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si sono create le condizioni utili per introdurre un sistema sanitario che agiva a livello nazionale.
Dopo 4 anni, infatti, con la L. 23 dicembre 1978 n. 833 si introdusse per la prima volta il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) andando a stravolgere il sistema ospedaliero del Paese, riformando e rivedendo tutta la disciplina sanitaria, fissando una linea guida basata sui principi di unitarietà e universalità. Questa riforma portò due importanti modifiche, una di carattere istituzionale, l’altra di carattere funzionale/strutturale.
Con il riferimento alla prima modifica, vennero istituite le Unità Sanitarie Locali (USL), con lo smantellamento dei vecchi enti mutualistici, i quali offrivano assistenza solo in presenza di malattia e non una procedura di prevenzione della malattia stessa, arrivando ad fornire anche un migliore coordinamento tra gli ospedali e il territorio a livello locale fu creato un Distretto sanitario di base, che potenziò il servizio assistenziale. Con la nascita delle USL si andò a completare il percorso di decentramento della gestione sanitaria, iniziato otto anni prima, continuato poi con la 386/74; ci fu il raggiungimento di tutti gli obiettivi che si erano prefissati, arrivando ad affidare il compito della gestione alle Regioni e agli enti locali. Un esempio ne è la nomina degli organi di gestione delle USL, i direttori sanitari, a cui vennero affidate delle cariche elettive, quindi venivano votati dai cittadini, per dare l’immagine di uno Stato più vicino ai loro bisogni.
Era una struttura operativa che poteva permettere anche l’unione di più Comuni, e le Comunità Montane, a cui vennero affidate molte competenze, come ad esempio l’educazione sanitaria; assistenza medica generica, specialistica e infermieristica, domiciliare, ambulatoriale; assistenza pediatrica e, come già detto in precedenza, la
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prevenzione delle malattie sia a livello individuale che collettiva. Gli organi al suo interno ricordano molto la struttura una società per azioni, ossia:
L’Assemblea Generale: a cui era affidato il compito di fissare il programma di tutte le attività dell’USL; era composto dal Consiglio Comunale, o se prevedeva l’accorpamento di più Comuni, dall’Assemblea generale dell’Associazione dei Comuni.
Il Comitato di Gestione: era eletto dall’Assemblea Generale; il suo compito era quello di compiere tutti gli atti amministrativi che erano previsti dal programma. Il Collegio dei Revisori: formato da tre membri (di cui uno nominato dal Ministro
del Tesoro e uno dalla Regione); aveva il compito di verificare la conformità degli atti della USL con la legge.
Per quanto riguarda la seconda modifica, quella relativa alla struttura e alla funzionalità, sono stati definiti, dal SSN, i principi e gli obiettivi richiamando l’Art. 32 della Costituzione, da cui prende ispirazione:
Principio di universalità: le prestazioni sanitarie devono essere garantite a tutti, senza distinzioni di condizioni sociali, individuali e di reddito;
Principio di uguaglianza: tutti, a parità di bisogno, hanno diritto alle medesime prestazioni;
Principio di globalità: non viene presa in considerazione la malattia, ma la persona stessa, a cui dovranno collegarsi tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione.
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Tra i vari obiettivi invece possiamo citarne alcuni, come la formazione di una moderna coscienza sanitaria; la prevenzione degli infortuni e delle malattie in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro; diagnosi, cura e riabilitazione degli eventi morbosi quali siano le cause, la fenomenologia e la durata; etc.
Nel corso degli anni però vennero alla luce dei grossi limiti, che portarono obbligatoriamente ad una seconda riforma. I problemi che emersero furono di vario tipo, primo tra i quali fu l’aumento dei costi, del SSN, dipeso dalla separazione del potere tra lo Stato, che finanziava, e le Regioni che effettuavano le spese; in aggiunta ci fu il costituirsi di moltissime USL, senza un vero e proprio controllo, le quali a loro volta richiedevano finanziamenti sempre crescenti, creando un vortice di spese incontrollabile. Da tutta questa situazione chi ci rimetteva erano proprio i cittadini, ai quali venivano offerti dei servizi sempre più scadenti, con deficit delle prestazioni e qualità del servizio, in relazione all’aumento della domanda a cui la Regione non seppe sopperire.
Proprio per questo, con il D.Lgs. 7 dicembre 1993 n. 517, ci fu il riordino della disciplina in materia sanitaria, attribuendo allo Stato compiti in materia sanitaria, da approvarsi attraverso un Piano sanitario nazionale triennale; si individuarono anche dei “livelli uniformi di assistenza” i quali dovevano essere garantiti dal SSN ai cittadini, definiti annualmente, i cui costi erano coperti dalle leggi finanziarie e, nel caso di un costo eccessivo “fuori budget”, esso poteva essere coperto con i fondi della Regione. Ancora, si definirono le attribuzioni delle funzioni specifiche delle attività sanitarie gestite dalla USL, attraverso il coordinamento con l’ARPA (Azienda Regionale Protezione Ambientale). Il punto più importante della seconda riforma sanitaria fu iniziare il processo di
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aziendalizzazione, trasformando le USL in vere e proprie aziende con propria personalità giuridica e aventi un’autonomia organizzativa, amministrativa e patrimoniale.
Ci fu anche un intervento di carattere contabile e finanziario, per completare la riforma, che introduceva sia un nuovo sistema di finanziamento che prevedeva la fissazione di tariffe determinate dalla Regione sulla base delle remunerazioni delle prestazioni effettuate e, la separazione degli interventi sanitari da quelli socio-assistenziali: dove i primi erano a carico delle aziende sanitarie mentre i secondi degli enti locali.
Dalla D.Lgs 517/93 si arriva al D.Lgs 19 settembre 1999 n. 229, denominata “decreto Bindi” che apportò un rafforzamento la natura aziendale delle ASL (Associazione Sanitaria Locale) delle ASO (Aziende Sanitaria Ospedaliera), l’affermazione del concetto di autonomia imprenditoriale che prevedeva il costituirsi in aziende con propria personalità giuridica pubblica, già introdotto con la seconda riforma sanitaria; infine l’inserimento di un sistema di responsabilizzazione sui risultati.
Entrando nello specifico, in riferimento alla struttura organizzativa e funzionale delle nuove ASL, è possibile accorgersi subito della nuova figura del Direttore Generale, il quale sottoscrive un contratto quinquennale di natura privatistica, con il quale è chiamato a raggiungere gli obiettivi assegnati alle singole aziende sanitarie attribuiti dal Piano Sanitario Regionale (PSR), attraverso i caratteri di autonomia imprenditoriale e responsabilità diretta dell’amministrazione. Esso nomina poi due Direttori: uno Sanitario, nella figura di medico, con i compiti dirigere e verificare l’aspetto igienico sanitario delle varie aziende; e uno Amministrativo, nella figura di un giurista o economista, con riferimento all’amministrazione dell’azienda, andando a formare il
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Collegio di Direzione per il governo delle attività cliniche. Ci sono poi altri due organi che completano l’organizzazione: il Consiglio dei Sanitari, organo elettivo con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria, e il Collegio Sindacale, che sostituisce il Collegio dei Revisori, con il compito di vigilare sul rispetto della legge e sull’assetto economico-amministrativo.
Alle Regioni, come sancito dall’art. 2 dlgs. 502/92, ebbero il compito di fornire assistenza medica ed ospedaliera; attuarono una serie di procedure amministrative, economiche e organizzative necessarie a raggiungere gli scopi e gli obiettivi che erano stati identificati dal SSN. Attraverso il Fondo Sanitario Regionale esse finanziavano direttamente le USL, garantendo un servizio di copertura nazionale; nel caso in cui le Regioni avessero però deciso di fornire un servizio di qualità superiore e più efficiente, esse potevano erogarlo tramite una manovra di auto-finanziamento. Dovevano far conciliare nello stesso momento sia il programma del PSR riguardo l’ambito locale, sia il PSN a livello locale, disponendo su argomenti specifici come l’intervento sanitario nazionale con gli altri interventi nei settori economici e sociali del territorio, adattando la normativa vigente alle differenti realtà locali, con riguardo alla copertura dei costi del servizio e dei benefici ad esso relativi.
Arrivando infine ai tempi più recenti, c’è un processo di avvicinamento sempre più crescente del cittadino verso lo Stato, anche dovuto dall’era della digitalizzazione. Ne è un esempio la Tessera Sanitaria nella TS-CNS (D.P.C.M. 20/06/2011), a sua volta inglobata nel Documento Digitale Unificato (L. 221/2012) assieme alla Carta d’Identità Elettronica, che consente la registrazione e il riconoscimento del cittadino da parte della PA e l’accesso a tutti i servizi online della stessa.
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1.2 – LEGGE BALDUZZI: RESPONSABILITA’ CIVILE E PENALE
Dopo aver esaminato l’evoluzione delle varie fasi che hanno portato alle riforme sanitarie, e tutte le varie modifiche effettuate nel tempo, grazie anche all’art. 32 della Costituzione e i vari processi tecnologici che hanno costruito il contesto sanitario attuale, andrò a illustrare la “Legge Balduzzi”, n. 189/12, esaminandola sia dal lato della responsabilità del medico e delle strutture sanitarie, sia dal lato degli effetti della colpa medica, con riferimento all’onore della prova, e del quantum relativo al risarcimento. E’ un passo necessario da fare perché rappresenta sia la base della “Legge Gelli-Bianco”, sia mostrerà tutti i fattori e le problematiche che hanno portato poi all’emanazione della legge vigente.
L’articolo della riforma che è stato oggetto di maggior interesse, sia dalla parte della giurisprudenza che dalla parte della dottrina, riguarda l’Art. 3 comma 1 della L. 189/12 che recita: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”,
possiamo dividere l’articolo in due parti, le quali meritano una spiegazione minuziosa e precisa, in quanto hanno segnato un cambiamento significativo rispetto al passato.
La prima parte riaccende la discussione relativa alla responsabilità extracontrattuale, in particolare sulla responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da
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quella relativa al singolo medico che ha posto in essere una condotta colposa pregiudizievole per il paziente; la seconda parte invece, con il terzo periodo di riferimento dello stesso comma, introduce importanti novità in ambito della colpa medica e il risarcimento.
Per quanto riguarda la responsabilità in capo alla struttura sanitaria, sia la Dottrina che la Giurisprudenza, sono d’accordo nell’assegnare lo stesso grado di responsabilità contrattuale, sia in ottica d’accettazione del paziente in ospedale, sia a riguardano motivi di ricovero che per visita specialistica, comporta la stipulazione di un contratto, il cosiddetto contratto atipico di spedalità, che oltre ad effettuare una prestazione principale in oggetto, esegue prestazioni specifiche ed accessorie come il vitto, l’alloggio e l’assistenza. Sul caso singolo del sanitario, si stipula un contratto d’opera professionale direttamente con il paziente, ma la Giurisprudenza si è più volte espressa anche sul tipo di responsabilità relativa al contratto sociale stipulato tra medico e struttura sanitaria (pubblica o privata) per il quale esso esercita. In particolare essa si riferisce, ed ormai diventato un giudizio prevalente, a una responsabilità contrattuale in capo al singolo sanitario, il quale arreca colposamente un pregiudizio ad un paziente che ha fatto accettazione presso una struttura sanitaria, in modo occasionale, che a sua volta diventa solidale con la responsabilità della struttura sanitaria di appartenenza.
La L. 189/12 riprende un’importante sentenza della Suprema Corte, la n. 589/99, dove la Cassazione precisava che: “l'obbligazione del medico dipendente dal
servizio sanitario nazionale per responsabilità professionale nei confronti del paziente ha natura contrattuale, ancorché non fondata sul contratto ma sul <<contatto sociale>>, caratterizzato dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una
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professione protetta. Consegue che relativamente a tale responsabilità, come per quella dell'ente gestore del servizio sanitario, i regimi della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d'opera intellettuale professionale”; introduce la responsabilità extracontrattuale del
medico che arreca danno a terzi, facendo riferimento all’art. 2043 del codice civile, perché al momento dell’accettazione in ospedale e alla presa in consegna del medico curante, sorge con il paziente un’obbligazione senza prestazione; la dottrina ha cercato quindi di colmare quel vuoto interpretativo che si era instaurato tra contratto e torto, caratterizzata dalla presenza di obblighi specifici, ben diversi dagli obblighi generici la cui violazione determina l’applicazione dello schema della responsabilità extracontrattuale, ma ad ogni modo non riconducibili a dei contratti autonomi. Proprio perché essi non rappresentano dei contratti veri e propri, ma solo degli obblighi, il loro oggetto è la protezione della sfera di coloro a cui essi si riferiscono; il medico, in questo caso, ha l’obbligo di protezione da tutti i pazienti con cui entra in contatto. Questa protezione viene data dal contratto sociale, riconducendolo ai fatti delle fonti dell’obbligazione dell’art. 1173 “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto
o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. La Corte di
Cassazione ha sempre ritenuto contrattuale la responsabilità del medico, non considerando più la sua obbligazione “senza prestazione”, bensì viene intrepretata come contratto d’opera professionale; cioè cambia solo la fonte dell’obbligazione, prima derivava dal contratto sociale (o contratto di fatto), d’ora in poi da un altro tipo di contratto (contratto d’opera professionale).
Sempre in riferimento alla prima parte dell’art. 3 comma 1 della L. 189/12, sono state apportate delle critiche, relative all’interpretazione normativa, in
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particolare da parte di due Sezioni del Tribunale di Milano. La prima, la Sezione V con la Sentenza n. 13574/13, affermava che “La responsabilità del medico ospedaliero – anche
dopo l’entrata in vigore dell’articolo 3 Legge n. 189/12 – è da qualificarsi come contrattuale. (..) D’altra parte, la presunzione di consapevolezza che si vuole assista l’azione del Legislatore impone di ritenere che esso, ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero (e figure affini) sotto il solo regime della responsabilità extracontrattuale escludendo così l’applicabilità della disciplina di cui all’articolo 1218 del codice civile e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca (come per esempio “la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria per l’attività prestata quale dipendente o collaboratore di ospedali, cliniche e ambulatori è disciplinata dall’art. 2043 del codice civile”) anziché il breve inciso in commento”, che ha ripreso
l’interpretazione sotto la chiave contrattuale della responsabilità del medico sanitario, cosa che è stata seguita anche da altri Tribunali, tra i quali, ad esempio, quelli di Arezzo, Cremona, Rovereto.
La Sezione I invece, sempre del Tribunale di Milano, con la sentenza n. 9693/14 asserisce che: “Il tenore letterale dell’articolo 3 comma 1 della Legge Balduzzi e
l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 del codice civile e che, dunque, l’obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare). In ogni caso l’alleggerimento della responsabilità (anche) civile del
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medico “ospedaliero”, che deriva dall’applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (articolo 2043 del codice civile), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo “contrattuale” ex articolo 1218 del codice civile”, precisando che, il
paziente debba intentare due azioni basate su due diversi titoli, una riguardante la responsabilità extracontrattuale del medico, l’altra riguardante la responsabilità contrattuale verso la struttura; va anche aggiunto che, una volta dimostrato il pregiudizio, il medico e la struttura sono solidalmente responsabili nei confronti del paziente, secondo le disposizioni dell’art. 2055 del codice civile.
Prendendo come riferimento la Suprema Corte, la quale inizialmente non si era allineata con il pensiero dei Tribunali che hanno mosso delle critiche contro la Legge Balduzzi, indica la propria posizione attraverso un’ordinanza, la n. 4040/2013 Sezione III, la quale andò ad annullare una Sentenza della Corta d’Appello, che avrebbe costituito le premesse per distinguere l'ambito del penalmente rilevante in materia di responsabilità del medico.
Il caso riguardava una guardia medica, la quale, intervenuta presso l'abitazione della parte offesa, aveva erroneamente diagnosticato una patologia gastrica, non accorgendosi dei sintomi che avrebbero provocato la morte del paziente per una sindrome coronarica acuta. In primo grado, il medico era stato assolto dal delitto di omicidio colposo perché per il Gup, nonostante l'elemento oggettivo della morte del paziente, mancava l'elemento soggettivo della colpa, avendo la guardia medica fatto affidamento sulla diagnosi, effettuata pochi giorni prima durante un ricovero in ospedale
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con un'analoga sintomatologia, di sospetta colica addominale. La Corte d'Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto invece colpevole il medico, in quanto nonostante l'errata diagnosi dei colleghi ospedalieri, avrebbe dovuto effettuare un'autonoma valutazione del quadro sintomatologico, chiaramente indicativo di un infarto in atto.
In riferimento alla parte dell’art. 3, dove asserisce che “L’esercente la
professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”, la Corte di Cassazione ha introdotto nel nostro ordinamento una rilevante novità,
in quanto è stato attribuito al grado della colpa non più solo il ruolo di parametro per la determinazione della pena, ma anche una diretta incidenza sulla tipicità del fatto, estendendo la rilevanza della colpa lieve anche ad addebiti diversi dall'imprudenza; infatti nell’ordinanza si legge che “L’articolo 3 comma I del Decreto Legge del 13 settembre 2012
n. 158, conventito in Legge 8 novembre 2012, ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l’esercente l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’esimente penale non elide, però l’illecito civile e resta fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile che è clausola generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella cd. contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale”.
In questo caso, il giudice di primo grado aveva effettuato una valutazione corretta, secondo la Cassazione, della possibile incidenza delle valutazioni dei
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medici del pronto soccorso sulla errata diagnosi effettuata dal medico di guardia; ritendo illogiche le motivazioni date dalla Corte d’Appello, la quale non ha tenuto di conto che il processo diagnostico, secondo le linee guida e la buona pratica, deve considerare anche tutta la storia clinica del paziente, quindi tutte le terapie e i vari ricoveri che ha effettuato precedentemente.
Concludendo la prima parte dell’art. 3 preso in esame, la Corte Suprema, ritorna a esprimersi in modo più chiaro sull’argomento, con un’ulteriore ordinanza (n. 8940/14, Sezione VI), in relazione alla responsabilità civile dei sanitari, in ordine agli effetti della Legge Balduzzi affermando che “là dove omette di precisare in che
termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni”.
Per specificare la seconda ordinanza della Suprema Corte, la n. 8940/14 della Sezione VI, si deve riprendere la seconda parte al riferimento del terzo periodo dell’art. 3 co.1 della normativa Balduzzi; la Cassazione ha disposto che “Il giudice, anche
nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”, la condotta a cui fa riferimento il legislatore è quella relativa alla
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prima parte dell’articolo, ossia la condotta tenuta dal medico professionista, rispettoso delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Questo vuole dire che, se il giudice, nel corso del processo di valutazione della responsabilità del sanitario e nella determinazione del danno da risarcire al paziente, si accerta che il medico aveva agito secondo le linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla scienza medica, esso sarà escluso dalla responsabilità penale per colpa lieve e allo stesso tempo, sarà attenuata anche nella responsabilità civile, in questo caso però non ci sarà nessuna esclusione di responsabilità.
Questo fatto ha creato un anomalia incredibile nella Dottrina, perché la colpa si è sempre rilevata, in ambito civilistico, come elemento costitutivo della responsabilità e del diritto al risarcimento dei danni, facendo riferimento all’an debaetur; in questo caso invece viene usata come criterio per determinare la somma risarcibile, facendo riferimento al quantum. Ecco perché la Corte di Cassazione, nella seconda ordinanza, è dovuta ritornare sull’argomento della responsabilità, chiarendo ancora in modo più preciso la propria posizione su questo argomento.
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1.3 – LEGGE BALDUZZI: ONERE DELLA PROVA
Dopo aver parlato dell’evoluzione della responsabilità civile nel corso della storia e del cambiamento avvenuto con la Legge Balduzzi, è doveroso prendere in esame un altro importante aspetto, che fa da collante tra l’argomento appena affrontato con quello che verrà descritto nel capitolo successivo, ossia l’onere della prova. Nel corso degli anni, di pari passi con la disciplina dell’assicurazione medica, l’onere della prova ha subito molti cambiamenti, anche repentini, dovuti dalle diverse interpretazioni date dai giudici di ogni grado, nei giudizi in merito alla responsabilità medica. Osserviamo come l’evolversi di questi giudizi abbiano influenzato la distribuzione dell’onere della prova tra le parti, segnando nel corso del tempo, uno spostamento di responsabilità da una parte all’altra.
Dall’entrata in vigore della Costituzione, e nei successivi vent’anni, l’obbligazione sanitaria era intesa come un’obbligazione di mezzi (1), di conseguenza era del paziente il compito di dimostrare, oltre al difetto della prestazione, anche il nesso di casualità, in relazione all’imperizia, negligenza o all’imprudenza del medico curante, e l’effettivo danno ricevuto; in pratica si faceva riferimento alla classica responsabilità aquiliana del sanitario (2).
1
Sul tema riguardante la qualificazione dell’obbligazione del medico come obbligazione di mezzi si veda V. De Lorenzi, Diligenza, obbligazioni di mezzi e di risultato, in Contr. E Impr., 2016, 456 ss.
2
Cass. 28 aprile 1961, n. 961, in Giur. It., 1962, I, 1, 1248 ss., con nota di Lega, La prestazione del medico come oggetto di obbligazione di mezzi; Cass. 9 marzo 1965, n. 375, in Foro it., 1965, I, 1039 ss.; Cass. 15 dicembre 1972, n. 3616, in Foro it., 1973, I, 1474 ss.; Cass. 13 ottobre 1972, n. 3044, in Foro it., 1973, I, 1170 ss.; Cass. 18 giugno 1975, n. 2439, in Giur. it., 1976, I, 1, 953 ss., con nota in Lega, In tema di responsabilità del medico chirurgo; Cass. 29 marzo 1976, n. 1132, in Giur. It., 1977, I, 1, 1980 ss.
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Un punto di svolta l’abbiamo con la Sentenza della Cassazione n. 6141/1978, nella quale, per la prima volta in assoluto, venne fatta una scissione sui vari tipi di interventi, i quali potevano essere intesi come “di facile esecuzione” o “di difficile
esecuzione” stabilendo anche chi fosse il soggetto a cui spettasse la dimostrazione
dell’onere della prova (3). Quindi, per quanto riguarda il primo caso, se il cliente riteneva di essere stato danneggiato dall’operato del sanitario che lo aveva operato, era suo l’onere di provare che l’operazione fosse “di facile esecuzione” (intesa come intervento che non richiede particolari abilità e con un rischio minimo negativo) e il peggioramento, in fase post-operatoria, delle sue condizioni originarie; il medico, per liberarsi dalla presunzione di aver adempiuto in modo negligente o inadeguato, doveva dimostrare che l’operazione fosse stata eseguita in modo diligente e conforme alle regole e che il peggioramento fosse dipeso da eventi imprevedibili e imprevisti che non potevano dipendere dall’ordinaria diligenza professionale. Nel caso, invece, l’intervento fosse stato “di difficile esecuzione” il paziente cagionato avrebbe avuto l’onere di provare, ricostruendo le modalità che hanno contraddistinto tutte le fasi dell’operazione, ritenute da lui non idonee; mentre in capo al medico rimane soltanto l’onere di provare che l’operazione fosse stata di natura complessa. Questo ha segnato un netto allontanamento della posizione favorevole che la giurisprudenza concedeva al medico, istituendo un regime di protezione speciale per il paziente, basato su una presunzione di colpa, in ragione della quale, tutto l’incertezza processuale della negligenza del medico, gravava
3
In particolare nella categoria degli interventi di facile esecuzione vengono ricomprese quelle operazioni che “non richiedono una particolare abilità tecnica, essendo sufficiente una preparazione professionale ordinaria, ed il rischio di esito negativo, o addirittura peggiorativo, è minimo, potendo derivare, al di fuori della colpa del chirurgo, dal sopravvenire di eventi imprevisti ed imprevedibili secondo l’ordinaria diligenza professionale oppure dall’esistenza di particolari caratteristiche del paziente non accertabili col medesimo criterio di diligenza professionale”. Negli interventi di difficile esecuzione invece, richiamando la giurisprudenza previgente, vengono inclusi quei casi straordinari ed eccezionali da non essere ancora adeguatamente studiati o sperimentati nella pratica.
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sul sanitario stesso; questo istituto venne chiamato “res ipsa loquitur” (4); per la prima volta abbiamo un unico criterio di ripartizione dell’onere della prova, anche in presenza di fattispecie molto simili tra di loro, una responsabilità aquiliana per il medico dipendente e una responsabilità contrattuale per la struttura sanitaria (con la quale abbiamo visto che conclude con il paziente un contratto d’opera intellettuale) o il libero professionista (5)(6).
La successiva evoluzione di questo istituto, arrivò dopo più di vent’anni dalla suddetta Sentenza n. 6141/78, con un’altra Sentenza della Cassazione, SS.UU, n. 13533/2001 (ma sarà recepita completamente con l’intervento di altre due Sentenze della S.C., la n. 11148/2004 e la 10297/2004), nella quale veniva attribuito al paziente il solo onere di dimostrare l’esistenza del contratto e del peggioramento della sua situazione originaria, facendo cadere, in capo alle strutture e/o medici, la dimostrazione della prova contraria, dovevano dimostrare che l’operazione fosse stata eseguita in maniera diligente e che il peggioramento della situazione del paziente era dovuta a eventi imprevedibili o imprevisti. I gradi di “facile esecuzione” e “difficile esecuzione” servivano solamente per stabilire il grado di diligenza utilizzata nell’esecuzione del contratto e il relativo grado di colpa, tuttavia rimaneva in capo al sanitario la prova che la prestazione fosse di “difficile esecuzione”.
Per eliminare i dubbi e contraddizioni che i vari giudici di merito trovarono con l’applicazione della Sentenza 13533/2001 e quelle successive, intervenne, a Camere Unite, sempre la Cassazione, con la n. 577/2008, la quale si riferiva a un caso di un paziente che assumeva di aver contratto l'epatite "C" in seguito ad alcune trasfusioni
4
Sul punto si vedano le considerazioni di U. Izzo, Il tramonto di un sottosistema della r.c.: la responsabilità medica nel quadro dell’evoluzione giurisprudenziale, in Danno e resp., 2005, 130 ss.
5
M. Gazzara, op. cit., 1011.
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fatte in occasione di un intervento chirurgico, la Corte, attraverso questa sentenza, ha ribaltato entrambi i giudizi dei giudici precedenti (che avevano escluso il diritto al risarcimento ritenendo che l'attore non avesse provato il nesso di causalità, non potendo dimostrare che al giorno stesso del ricovero non fosse già portatore), dicendo che “ai fini
del riparto dell'onere probatorio, l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato”, dando l’onere probatorio al debitore (per la struttura sanitaria sarà
una responsabilità contrattuale mentre per il medico una responsabilità professionale da contratto sociale) che doveva dimostrare che non c’era stato un inadempimento o se ci fosse stato, non era “eziologicamente rilevante”.
Come è facile immaginare, anche questa Sentenza ha lasciato dietro di se molte polemiche e discussioni, in quanto al paziente bastava dare la prova del contratto e un nesso di casualità molto generico; le indagini erano sempre molto scrupolose, proprio perché l’attore non forniva specifiche indicazioni, e spesso venivano trovati degli errori che erano comunque assegnati alle strutture sanitarie/medici, ma che non c’entravano con l’operazione stessa, in quanto era difficile opporre delle eccezioni ad atti di citazione molto indeterminati.
Come spiegherò meglio nel paragrafo successivo, queste Sentenze e le successive interpretazioni dei giudici di merito in relazione al continuo spostamento dell’onere della prova, hanno allontanato gradualmente le assicurazioni private che si sono viste aumentare le richieste di risarcimento; mi riferisco in particolare al periodo 1994-2002 dove il numero dei sinistri denunciati in Italia raddoppiò, passando da 8.000
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casi a quasi 15.000; il picco avvenne nel 2002, dopo l’applicazione della Sentenza n. 13533/2001, furono registrati 7.800 sinistri per responsabilità civile professionale e 6.700 per responsabilità civile delle strutture sanitarie, aumentando rispettivamente del 148% e del 31% rispetto al 1994 (7).
Ritornando alla Sentenza n. 577/2008, la Cassazione ha lasciato incomplete due tematiche importanti, le quali hanno creato diverse interpretazioni. Il primo tema era la mancata spiegazione del grado di specificazione dell’allegato che il paziente doveva fornire assieme alla prova di ricovero; era molto importante e spesso accadeva che la Commissione che analizzava il danno all’attore, senza specificazione, allargava il campo di ricerca anche al di fuori della sola singola operazione, trovando comunque un errore da parte della struttura/medico curante. La seconda tematica, in parte collegata alla prima, si riferiva alla mancanza di riferimento al contenuto della prova liberatoria che il medico o la struttura sanitaria doveva dimostrare ai sensi dell’art. 1228 del codice civile; non essendoci appunto stato un riferimento normativo che spiegava cosa doveva contenere la specificazione della prova liberatoria necessaria, entrambi i responsabili, medico e struttura, potevano vedersi benissimo giudicati colpevoli per difetti o errori che esulavano l’effettivo contratto di ricovero, proprio per via dell’allargamento del campo di ricerca.
Questo ha causato, dopo un certo lasso di tempo, il rigetto da parte di molti giudici di legittimità delle richieste di risarcimento per danno sanitario, perché risultavano essere eccessivamente generiche. Per essere ammessa, una richiesta, doveva contenere un doppio onere: quello della prova, nella quale l’attore doveva dimostrare del
7
Cfr. Rapporto Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, L’assicurazione italiana, 2004, Milano, Rapporto ANIA.
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mancato adempimento dell’obbligazione assunta; un secondo onere, quello di allegazione, dove il paziente spiegherà in modo dettagliato il contenuto e le modalità di esecuzione di tale obbligazione, facendosi anche assistere da un perito tecnico.
Infine ritorniamo a parlare della Legge Balduzzi, e di nuovo dell’art. 3 dove precisa che la responsabilità medica viene influenzata dalle Linee Guida e dalle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, togliendo la responsabilità penale “per colpa lieve”, richiamando le stesse best pratice riguardo la determinazione del risarcimento del danno, che il giudice dovrà tenerne di conto per stabilirne la condotta del medico.
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1.4 – LEGGE BALDUZZI: ASSICURAZIONE MEDICA OBBLIGATORIA
L’introduzione del binomio assicurazione e responsabilità medico-sanitaria nella Legge Balduzzi fu la risposta a due grosse problematiche a cui lo Stato non riusciva a rimediare: la prima era legata agli sviluppi che la scienza medica aveva raggiunto col tempo, con l’aumento di pari passo delle situazioni di rischio a essa collegata, al contrario degli schemi di responsabilità civile a cui si rifacevano; la seconda, chiara conseguenza della prima situazione, è rappresentata dall’inefficienza di tali modelli di responsabilità a riconoscere e distinguere i vari casi singoli di atti colposi dalla pluralità di responsabilità molto simili tra loro; per questo motivo hanno introdotto la responsabilità sanitaria come sottosistema della responsabilità civile (8).
Fino al 2012 era lo Stato a farsi carico dei risarcimenti ai terzi a cui veniva cagionato un danno, ma visto il numero maggiore di casi e le pluralità di schemi di responsabilità oggettive e semi-oggettive in capo ai medici, decise di delegare questo compito alle assicurazioni private (9). Questa decisione fu presa anche considerando l’aspetto economico e finanziario cui lo Stato andava incontro, perché l’aumento dei casi era diventato un costo importante per la collettività e per questo furono scelte le assicurazioni come soggetto solvibile, le quali erano in grado di proteggere due interessi apparentemente contrastanti tra loro: l’indennità al terzo a cui è l’assicurato avesse causato un danno e, nello stesso momento, il risarcimento al primo e la protezione del
8
R. De Matteis, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile. Padova, 1995, 489 ss.
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patrimonio personale del secondo, attraverso, e nei limiti, delle polizze assicurative della responsabilità civile, tenendo sempre presente l’entità del danno e il massimale stabilito.
Furono mosse diverse critiche riguardo questo spostamento di funzioni assistenziali e integrative, dallo Stato alle assicurazioni private, il rischio sanitario contro il pagamento di un premio assicurativo; esso fu percepito come una “deresponsabilizzazione a prezzo di mercato” (10) arrivando a far dubitare anche la legittimità stessa del modello, che però venne gradualmente recepito e accolto, andando poi a formare la base del principio mutualistico stesso su cui si basa ancora oggi.
I molti dubbi, le discussioni e i continui cambiamenti hanno contraddistinto il tema dell’obbligo di assicurazione medica per responsabilità civile sin dagli anni ’70, quando fu introdotto il DPR 27 Marzo 1969, il quale prevedeva l’obbligo verso le USL di “garantire l’ente e il personale dipendente, mediante adeguata polizza per
la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio relativamente alle loro attività di servizio ospedaliero, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o dolo”; seppur in
modo poco specifico e in termini molto generali, fu la prima previsione che fornì uno strumento di protezione per i medici e le varie strutture, evitando di incorrere in rischi sanitari tali da compromettere i patrimoni di entrambi, spostando tale rischio sulle compagnie assicuratrici, che se ne fecero carico. Ma già nel 1979, con l’emanazione del DPR n. 761, si cambiò totalmente quello che fu introdotto dieci anni prima, venne lasciata
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facoltà alle varie USL la libertà di decidere la copertura assicurativa proprie e dei loro dipendenti; si giunse così a un regime di assicurazione facoltativo (11).
Negli anni successivi si sono susseguiti numerosi interventi, di contrattazione collettiva, che avrebbero fatto ritornare al contratto obbligatorio di assicurazione, tra i più importanti il CCNL 1998-2001 dei dirigenti sanitari, che prevedeva l’obbligo per le aziende sanitarie di garantire la copertura assicurativa ai propri dipendenti, per i danni cagionati a terzi nel corso delle loro attività (12) e nel CCNL 2006-2009, con l’istituzione di una Commissione paritetica, formata da dirigenti sanitari e rappresentanti sindacali, volta a fornire nuovi aspetti contrattuali in vista delle sempre più numerose criticità in tema sanitario (13).
Iniziarono così a verificarsi molte problematiche in sede di post-contrattazione collettiva, dovute a una crescente informatizzazione dei pazienti stessi, i quali erano assistiti da consulenti legali sempre più bravi ad aumentare gli importi dei risarcimenti dei loro clienti; non potendo puntare a una maggior monetizzazione del danno patrimoniale, essi cercavano di far lievitare il danno non patrimoniale, spostando di fatto l’ottica del risarcimento dell’attività medica non più vista come tutela del terzo danneggiato per l’esecuzione di un contratto d’opera, ma bensì come obbligazione di risultato (14). Questa situazione portò ben presto a creare una crescente sfiducia, da parte
11 F. Introna – A. Raimondo, E’ possibile introdurre l’assicurazione obbligatoria per responsabilità
professionale medica?, in Riv. It. Med. Leg., 1997, 1122.
12
M.G. Gariglio, Responsabilità professionale sanitaria e ruolo delle assicurazioni, in S. Aleo – R. De Mattei – G. Vecchio (a cura di), Le responsabilità in ambito sanitario, Padova, 2014, 544.
13 M. Hazan – D. Zorzit, Assicurazione obbligatoria del medico e responsabilità sanitaria, cit., 33. 14
M.B. Farina, relazione contenuta nei documenti acquisiti in XII commissione permanente al Senato, comunicata nella Seduta n. 333 del 5 Aprile 2016, Audizione rappresentanti ANIA, si fa notare come l’atteggiamento ondivago della giurisprudenza, non univoca nel qualificare la responsabilità del medico, non abbia di certo aiutato nelle operazioni di previsione del rischio, che stanno alla base di un buon andamento dell’attività di assicurazione dei rischi.
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delle compagnie assicuratrici, in questo nuovo tipo di mercato, in quanto arrivarono a elargire risarcimenti sempre più alti rispetto ai premi che incassavano.
Dopo alcuni tentativi legislativi, senza giungere al risultato sperato di trovare una conciliazione tra le vari parti, il punto di svolta lo abbiamo con il D.L. 158/2012 (il decreto legge che verrà poi convertito nella Legge Balduzzi), in particolare nell’art.3 comma 2 che recita: “Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai
sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanare entro il 30 giugno 2013 , su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentite l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonchè le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche in attuazione dell'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri:”
introducendo sia i soggetti coinvolti, con l’intento di trovare un incontro tra la parte dei medici e quella delle imprese di assicurazione, che i criteri con i quali il professionista poteva reperire la copertura della polizza necessaria all’adempimento dell’obbligo, dimenticandosi però di includere dentro anche le strutture sanitarie, focalizzandosi esclusivamente sul rapporto medico-assicurazione, che potevano appoggiarsi così alla copertura dei dipendenti stessi, senza far nascere in loro l’obbligo di sottoscrivere un’altra assicurazione in capo a loro, come infatti possiamo leggere nel continuo del comma 2
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dell’art. 3: “a) determinare i casi nei quali, sulla base di definite categorie di rischio
professionale, prevedere l'obbligo, in capo ad un fondo appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. Il fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta , in misura definita in sede di contrattazione collettiva, e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti dall'attività medico-professionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio, comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso”; ci si
accorge, per l’appunto, che non c’è menzione delle strutture sanitarie. In aggiunta a quanto detto, continua il comma 2 con le successive due lettere, viene spiegato l’importanza di trovare un soggetto prestabilito che gestisca il Fondo stesso, stabilendone anche le sue competenze, con la prerogativa di non creare “nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica” durante la sua gestione e di “prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri” oltre a prevedere una disdetta della polizza assicurativa se il medico,
attraverso una condotta colposa, provochi reiteratamente danni a terzi, tuttavia dovrà essere “accertata con sentenza definitiva”.
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CAPITOLO 2 – LE CARATTERISTICHE DELLA NUOVA LEGGE
GELLI-BIANCO
2.1 – INTRODUZIONE
Abbiamo affrontato inizialmente tutte le fasi che hanno contraddistinto le varie riforme sanitarie che si sono succedute nel tempo, successivamente ci siamo focalizzati sulla Legge Balduzzi, con particolare riguardo le novità introdotte nella responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria e le successive interpretazioni della Suprema Corte; di seguito abbiamo affrontato la tematica dell’onere della prova, per capire tutte le varie modifiche e gli spostamenti di responsabilità tra i vari attori, collegandosi di pari passo, alla nuova disposizione dell’assicurazione medica obbligatoria, introdotta con la Legge Balduzzi, ma perfezionata con la Legge Gelli-Bianco, la L. 24/2017
- “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche' in materia di responsabilita' professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
I temi che sono stati affrontati con questa nuova riforma sono molteplici, viene disciplinata la sicurezza delle cure e del rischio sanitario, viene rivista la responsabilità del medico e delle strutture sanitarie pubbliche e private, sia in ambito civile con il passaggio della responsabilità a extracontrattuale, contrariamente quanto detto dalla Sentenza della Cassazione n. 589 del 1999, che faceva riferimento all’art. 1228
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c.c. e al contratto sociale; sia sul piano penale, con l’introduzione di un nuovo articolo, il 590-sexies “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.
Verrà ripreso anche l’onere della prova, di cui già affrontato nel capitolo precedente, attraverso le nuove modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari riguardo la responsabilità sanitaria; gli obblighi di assicurazione e il Fondo di garanzia per quei soggetti che richiederanno un risarcimento, danneggiati da responsabilità sanitaria.
Questi temi vengono riassunti in due grandi obiettivi che la nuova legge si è imposta di raggiungere: il primo, molto importante, è di favorire un allontanamento dalla cosiddetta medicina difensiva “cattiva”, sviluppatasi nel corso dei decenni precedenti, una prassi che vedeva i medici preoccuparsi più di un futuro contenzioso invece che delle esigenze effettive dei pazienti stessi, con un comportamento molte volte inutilmente scrupoloso, prescrivevano esami specifici per evitare pericolose cause penali; anche nei casi più gravi, c’era la preoccupazione di non ottemperare l’obbligazione “di risultato” e quindi indirizzavano i pazienti verso altri medici professionisti. Si era creato uno spreco di esami e controlli, fatti solamente per aumentare la linea difensiva dello stesso medico. Per questo, con tale riforma, hanno cercato di cambiare questo trend avvicinandosi ad una medicina difensiva “positiva”, con la quale la responsabilità medica passa in capo alle strutture sanitarie, liberando i medici da tali preoccupazioni (a meno che non siano ambulatorizzati dagli stessi), facendoli lavorare con più tranquillità senza il pericolo risarcitorio.
Con la seconda tematica invece si sono posti due obiettivi complementari: il primo è quello di cercare di costruire un sistema un sistema efficace che sia in grado di tutelare i danneggiati attraverso la creazione di un sistema assicurativo
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obbligatorio; l’altro, invece, riguarda i profili di colpa coperti dal rispetto del rispetto delle linee guida, i quali erano considerati solamente un modello di perizia alla quale il medico faceva riferimento per evitare la responsabilità penale, mentre ora sono visti, oltre al mero utilizzo di perizia, anche come strumenti di diligenza e prudenza.
Avrò l’opportunità di spiegare come questa riforma, nei vari articoli che la vanno a formare, abbia agito sugli aspetti amministrativi, penali e civili. In questo contesto il legislatore ha voluto focalizzare l’attenzione su una politica di prevenzione del rischio sanitario, con l’intento di diminuire in maniera sistematica il ruolo dei risarcimenti, prevedendo di aumentare il controllo dello stesso rischio con la previsione degli errori. Con questo espediente, il legislatore ha voluto anticipare il momento della protezione dal rischio sanitario, andando ad intercettate l’errore nella fase dell’esecuzione del contratto, cercando di diminuire il ruolo del carico risarcitorio, evitando di appesantire i costi e oneri già elevati, come ho specificato precedentemente, del nostro sistema sanitario nazionale. Con il passaggio alla responsabilità extracontrattuale del medico, hanno voluto consegnare il compito della gestione del rischio sanitario e delle politiche di prevenzione alle sole strutture sanitarie, evitando un coinvolgimento dei medici stessi, che si limiteranno ad essere solamente dipendenti, non dovendosi più preoccupare di incorrere in rischi sanitari durante le loro attività.
Per questo motivo il primo articolo della nuova riforma, che si intitola “Sicurezza delle cure in sanità”, al primo comma viene richiamato a sua volte l’art. 32 della Costituzione, al diritto di salute: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”,
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di controversie. Vengono anche riprese le teorie del Testo Unico 81/08 in materia di sicurezza sul lavoro, hanno voluto indirizzare verso una nuova forma di obbligazione, passando da una “di risultato” intesa come la guarigione del paziente, ad una “di mezzi”, rappresentata dalla garanzia della cura.
Il secondo comma invece entra più nel dettaglio riguardo la “sicurezza
delle cure” in quanto indica chiaramente come essa viene garantita: da una parte ci sono
tutte le attività connesse alla prevenzione e gestione del rischio sanitario al momento della prestazione; dall’altra abbiamo un utilizzo efficiente di tutte le risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Questo secondo comma fa riferimento ad altri due commi dell’art. 1 della 208/15, il numero 538 “Amministrazione del patrimonio e contabilità dello
Stato”, nel quale spiegava che per il Sistema Sanitario Nazionale era di rilevanza primaria
la gestione del rischio, in particolare l’utilizzo efficiente delle risorse per tutelare maggiormente i pazienti; e il successivo 539 che si rivolgeva invece al risk management. A questo specifico uso di risorse e garanzia nella sicurezza delle cure, da parte del Sistema Sanitario Nazionale, devono sottostare tutte le strutture di cura, sia pubbliche che private, compresi i loro dipendenti e i liberi professionisti che operano in quel regime di convenzione.
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2.2 - ELEMENTI E NOVITA’ DI CARATTERE AMMINISTRAVO
Con l’art.2 abbiamo il primo intervento della riforma, andando a modificare l’area amministrativa presentata già con la Legge Balduzzi, che vede la creazione di due importanti organi: il Difensore Civico e il Centro per la gestione del rischio
e la sicurezza del paziente. Al primo viene assegnato il compito di gestire il diritto alla
salute, richiamo sempre all’art. 32 della Costituzione, di ogni soggetto a cui sono destinate le cure sanitarie; il suo intervento è puramente gratuito e può essere interpellato sia dal paziente stesso che ha ravvisato degli errori o errate procedure all’interno del sistema assistenziale (o socio sanitario), oppure da un terzo delegato dal paziente in persona. Il suo intervento può essere anche richiesto tramite contatto online ed una volta ricevuta la segnalazione ed effettuata la stima o ravvisato l’errore o il difetto di procedura, potrà intervenire secondo i poteri e tramite le modalità stabilite a livello Regionale. Il secondo organo invece, facendo riferimento di nuovo alla “sicurezza delle
cure”, ha il compito di raccogliere da ogni struttura sanitaria, sia pubblica che privata, dati
relativi ai rischi sanitari ed agli eventuali contenziosi, sempre in via telematica, i quali verranno trasmessi e analizzati dall’Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla
sicurezza nella sanità. Alle strutture sanitarie invece, con l’aggiunta del “d-bis)” al comma 539 dell’art. 1 n. 208/2015, viene anche imposto la compilazione di una relazione
annuale, pubblicata sul sito internet della struttura stessa, che indica tutti gli eventi successi e le eventuali azioni o iniziative poste in atto.
Nell’art. 3 invece, viene ancora più approfondito il ruolo dell’Osservatorio, il quale è stato istituito presso l’Agenzia Nazionale dei servizi sanitari
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regionali (AGENAS), con il compito di recuperare tutti i dati trasmessi dal Centro per la gestione del rischio sanitario, avvalendosi anche del Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES), avendone la possibilità di accesso e la sua disposizione. L’Osservatorio analizzerà la mole dei dati ricevuti verificando la presenza di rischi ed errori sanitari, controllando anche le cause che hanno scaturito queste criticità, per poi essere divise e classificate per entità, frequenza e onere finanziario collegato al contenzioso. Attraverso anche il servizio offerto dalle società scientifiche e associazioni specializzate con le quali si affianca, predispone delle linee di indirizzo standardizzate, che riguardano tutto gli aspetti relativi al trattamento degli errori, la loro prevenzione e la gestione di tali criticità e il relativo monitoraggio delle buone pratiche; offre anche un servizio di formazione e aggiornamento accurato di tutto il personale sanitario. Tutte queste operazioni saranno poi riassunte e spiegate in una relazione che verrà inviata al Ministero della Sanità, il quale a sua volta la trasmetterà al Parlamento, con lo scopo di evidenziare l’operato dell’Osservatorio.
Per quanto riguarda la “Trasparenza dati” di cui l’art. 4 si occupa dettagliatamente, sono richiamate sia il decreto 196/2003 - Codice in materia di
protezione dati, sia la 241/90 in tema di norme di accesso ai documenti amministrativi, in
quanto obbliga le strutture sanitarie sia pubbliche che private a fornire al paziente che ne fa richiesta tutta la documentazione sanitaria relativa alla sua situazione, che può essere inviata anche per via telematica, entro sette giorni dal giorno della richiesta; le eventuali aggiunte potranno essere inviate, anche tramite posta elettronica, entro trenta giorni dalla richiesta effettuata. Alle strutture sanitarie viene anche imposto, secondo l’art. 1 comma 539 208/2015 relativo al “risk management”, la pubblicazione sul loro sito web di tutti i dati relativi ai rimborsi di risarcimento concessi nell’arco dell’ultimo quinquennio, in