UNIVERSITA' DI PISA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE
Corso di Laurea Magistrale in
SCIENZE E TECNOLOGIE DELLE PRODUZIONI ANIMALI
TESI DI LAUREA
Sostituzione della farina di pesce con farina di Hermetia illucens
nei mangimi per pesci: effetto sulle performance zootecniche
Candidato: Relatore:
Giulia Gentile Dott. Baldassare Fronte
Controrelatore: Dott. Carlo Bibbiani
Riassunto
Negli ultimi decenni, l’aumento della popolazione mondiale e contemporaneamente del suo reddito medio, hanno contribuito all’aumento della domanda di alimenti sempre più “ricchi” come quelli di di origine animale. In quest’ottica, l’acquacoltura è stata chiamata a sopperire alla limitata offerta derivante dalla pesca. Come noto, però, la produzione di pesce da acquacoltura è fortemente dipendente dalla disponibilità di farina e olio di pesce, entrambe risorse “finite” a cui vanno trovate valide alternative. Tra quelle già prese in considerazione dall’industria mangimistica e dalla comunità scientifica, quella attualmente ritenuta più interessante, anche nell’ottica della sostenibilità ambientale, sono le farine di insetto.
In quest’ottica, obiettivo del presente studio è stato quello di verificare la validità della farina di H. illucens (Insect protein meal®, Protix©, Dongen - NL) come sostituto della farina di pesce in mangimi per pesci e a tale scopo, lo zebrafish (Danio rerio) è stato scelto come modello animale.
La ricerca è stata condotta presso la “zebrafish facility” del Dipartimento di Scienze Veterinarie, impiegando 321 giovanili suddivisi in 4 repliche e 4 gruppi: C (controllo) alimentato con 50% di farina di pesce, e IM17 , IM33 e IM50, alimentati rispettivamente con il 17, 33 e 50% di farina di Hemetia illucens in sostituzione di pari quantità di farina di pesce (ossia dello 0, 33, 66 e 100%).
Al termine della prova, tutti i soggetti hanno quintuplicato il loro peso vivo e differenze significative si sono osservate tra il gruppo di controllo e i tutti i gruppi trattati, avendo quest’ultimi raggiunto un peso vivo finale maggiore, fatto registrare migliori incrementi ponderali in diversi fasi di allevamento e, complessivamente, migliori indici di conversione alimentare.
Pertanto, i risultati osservati suggeriscono che la farina di Hemetia illucens è una valida alternativa alla farina di pesce nell’alimentazione dello zebrafish e, verosimilmente, nell’alimentazione delle specie ittiche di interesse per l’acquacoltura.
Abstract
In recent decades, the increase in population and at the same time of its average income have contributed to increasing the demand for increasingly elitist foods such as those of animal origin. With this in mind, aquaculture has been called to make up for the limited supply from fishing.
However , the production of fish from aquaculture is strongly dependent on the availability of fishmeal and fish oil, both "finite" resources to which valid alternatives must be found.
Among those already taken into consideration by the animal feed industry and the scientific community, the one currently considered most interesting, also in terms of environmental sustainability, are insect meals.
Consequentially to these considerations, the aim of the present study was to verify the validity of H. illucens flour (Insect protein meal®, Protix©, Dongen - NL) as a substitute for fishmeal in fish feeds and for this purpose , zebrafish (Danio rerio) has been chosen as an animal model.
The research was conducted at the "zebrafish facility" of the Department of Veterinary Sciences, employing 321 youths divided into 4 replicas and 4 groups: C (control) fed 50% of fishmeal, and IM17, IM33 and IM50, fed respectively with 17, 33 and 50% of Hemetia illucens flour to replace the same amount of fishmeal (ie 0, 33, 66 and 100%).
At the end of that experiment, all subjects quintupled their live weight and significant differences were observed between the control group and all the treated groups, the latter having achieved a higher final live weight, recorded better weight gains in different phases breeding and, overall, better indices of food conversion.
Therefore, the observed results suggest that the flour of Hemetia illucens is a valid alternative to fish meal in the diet of zebrafish and, probably, in the feeding of fish species of interest for aquaculture.
Indice
1 Introduzione ... 1 1.1. Andamento demografico mondiale ... 1 1.2. Statistiche produttive a livello globale ... 2 1.3. Quadro produttivo europeo ... 3 1.4. L’acquacultura in Italia nel contesto europeo ... 4 1.5. Il mercato nazionale: specie e produzioni ... 5 1.5.1. Acquacoltura d’acqua dolce ... 7 1.5.2. Acquacoltura marina ... 7 1.5.3. Molluschicoltura ... 8 1.6. Acquacoltura per la produzione di proteine animali destinate all’alimentazione dell’uomo ... 8 1.7. Il “dilemma” dell’acquacoltura: carenza di farine di pesce e fonti proteiche alternative ... 10 1.7.1. Farine di carne e ossa ... 11 1.7.2. Proteine vegetali ... 11 1.7.3. Sottoprodotti della pesca ... 12 1.7.4. Krill ... 13 1.7.5. Insetti ... 14 1.8. Le farine d’insetto ... 14 1.8.1. Specie, aspetti nutrizionali, stato ad arte ... 16 1.8.2. Aspetti commerciali ... 23 1.8.3. Lo zebrafish come modello animale ... 24 1.8.4. Quadro normativo ... 26 1.9. Obiettivo dello studio ... 27 2. Materiali e metodi ... 28 2.1. Produzione dei giovanili - riproduzione ... 29 2.2. Allevamento e alimentazione dei riproduttori ... 30 2.3. Disegno sperimentale ... 30 2.4. Diete sperimentali ... 31 2.5. Parametri sperimentali ... 35 2.6. Manipolazione dei soggetti ... 35 2.7. Riconoscimento individuale dei soggetti ... 36 2.8. Analisi statistica ... 37 3. Risultati ... 38 3.1. Mortalità ... 38 3.2. Ingestione volontaria ... 39 3.3. Indici di conversione alimentare ... 40 3.4. Incremento di peso ... 41 3.4.1. Incremento di peso in relazione al sesso ... 43 3.4.2. Interazione sesso-trattamento, in relazione all’incremento di peso ... 45 4. Discussione ... 46 5. Conclusioni ... 52 6. Bibliografia ... 53 7. Sitografia ... 591 Introduzione
1.1. Andamento demografico mondiale
In tutto il mondo, e specialmente negli ultimi anni, il settore dell’acquacoltura si è notevolmente sviluppato e intensificato da una parte a seguito di una domanda in costante crescita, dall’altra in conseguenza alla scarsità di risorse ottenute dall’attività di pesca in mare aperto.
Questo settore rappresenta oltretutto una preziosissima fonte di risorse alimentare a livello globale.
Nel 2014, grazie all’intensificazione dell’acquacoltura, il consumo pro-capite annuo di pesce ha raggiunto il nuovo record di 20 kg (Grafico 1) e, nello specifico, tale consumo è stato:
1 18,8 kg/pro-capite/anno nei paesi in via di sviluppo, 2 7,6 kg/pro-capite/anno nei paesi sottosviluppati,
3 26,8 kg/pro-capite/anno nei paesi industrializzati (FAO, 2016).
Le statistiche relative l’andamento demografico prevedono che nel 2050 sarà necessario garantire risorse alimentari per 9 miliardi di persone e, secondo le previsioni della Banca Mondiale (2013), nel 2030 vi sarà una richiesta di 261.000.000 t di prodotti ittici.
Il contesto in cui si dovrà provvedere a queste necessità non è, e non sarà certo, dei migliori. Problematiche quali il cambiamento climatico, le incertezze economico-finanziarie e, non ultima, la crescente competizione per le sempre più carenti risorse naturali, rendono questa prospettiva una sfida a livello mondiale (FAO, 2016).
Per riuscire a soddisfare una domanda in costante crescita ma in una situazione deficitaria di risorse, sarà necessario incentivare le pratiche caratterizzate da un grado di sostenibilità elevato come l’acquacoltura che, quindi, si vedrà “costretta” a dover triplicare le sue produzioni in pochi anni (MiPAAF, 2014).
1.2. Statistiche produttive a livello globale
L’acquacoltura consiste nell’allevamento di organismi acquatici in ambienti controllati e gestiti dall’uomo, con lo scopo di ottenere maggiori produzioni e, quindi, maggiori profitti.
Nel 2014, uno studio condotto dalla FAO ha messo in evidenza l’esistenza di circa 580 specie allevate, rilevandone anche le relative produzioni; in particolare, le specie oggetto di acquacoltura possono essere così classificate:
- 362 specie di pesci; - 104 specie di molluschi; - 62 specie di crostacei; - 6 specie tra rane e rettili;
- 9 specie di invertebrati acquatici; - 37 specie di piante acquatiche.
Nel 2014, la produzione di pesci da allevamento ha raggiunto 73,8 milioni di t, per un ammontare di 160,2 miliardi di dollari. In questo contesto, i continenti maggiormente attivi in acquacoltura sono:
- Asia: leader indiscussa, produttrice di 65.601.900 t corrispondente all’88% della produzione mondiale.
In particolare, la Cina è lo Stato asiatico in cima alla classifica dei produttori mondiali, contribuendo da sola al 61% della produzione globale.
- America: produttrice di 3.351.600 t, 4,54% della produzione mondiale.
- Europa: produttrice di 2.930.100 t, 3.97% della produzione mondiale.
- Oceania: produttrice di 189.200 t, 0,26% della produzione mondiale
1.3. Quadro produttivo europeo
Nello specifico, la produzione dell’acquacoltura europea è di 1.250.000 t per un valore produttivo pari a 3,6 miliardi di euro; di quest’ultimo, circa il 70% deriva dai prodotti ittici ed il restante 30% da molluschi e crostacei.
I maggiori produttori Europei sono (MiPAAF, 2014): I. Spagna (21,1%),
II. Francia (16,3%) III. Italia (13%) IV. Grecia (11%).
L’Europa, tuttavia, così come Giappone e Stati Uniti D’America, resta dipendente dall’importazione per soddisfare il consumo domestico. I prodotti ittici maggiormente importati sono il salmone, i gamberi tropicali e il pangasio (pesce gatto asiatico). A livello produttivo, invece, le specie maggiormente allevate sono (MiPAAF, 2014):
- Mitili (39%) - Trota (15%) - Salmone (14%) - Ostriche (8%)
- Branzino - Orata - Vongole - Storione - Carpa - Rombo
La Federazione Europea dei Produttori in Acquacoltura (FEAP), ha evidenziato una emergente tendenza a prediligere produzioni di specie minori come la carpa e l’anguilla a discapito di trote ed ostriche in risposta alla domanda in crescita dei consumatori (FAO, 2016); inoltre, FEAP ha stimato che nel 2030 l’acquacoltura europea raggiungerà la produzione di 570.000 t di specie ittiche mediterranee, raddoppiando quindi la produzione attuale che ammonta a 271.000 t (MiPAAF, 2014).
1.4. L’acquacultura in Italia nel contesto europeo
Il numero di impianti di acquacoltura, in Italia si aggira attorno alle 3000 strutture, con trend in crescita (+ 59,6% a luglio 2017 rispetto al 2012); queste strutture producono annualmente 149 mila tonnellate di prodotti freschi che soddisfano il 40% della produzione ittica nazionale ed il 30% della domanda di prodotti ittici freschi. (CSC Confagricoltura, 2017)
Nonostante l’annoverata qualità produttiva, l’Italia risulta arretrata in termini di avanzamento tecnologico, rendendo così necessaria un’elevata percentuale d’importazione che è stimato essere pari all’80% del pesce presente sul mercato nazionale (www.ansa.it).
Nel 2015, e in relazione agli altri stati membri, l’Italia si è collocata al sesto posto per volume di produzione (Tabella 1) e all’ottavo per valore della produzione (Tabella 2). L’acquacoltura italiana si distingue maggiormente per quanto riguarda la molluschicoltura, risultando il principale produttore di vongole della specie Ruditapes philippinarum in UE, con il 94,2% in volume e 91,6% in valore.
L’andamento instabile dei volumi produttivi (154.000 t nel 1990, 217.000 t nel 2000, 149.000 t nel 2015) evidenzia una notevole instabilità del settore che non è ad oggi in grado di soddisfare la domanda interna (CSC Confagricoltura, 2017).
Tra il 2010 ed il 2013 l’Italia ha raggiunto le 140,8 migliaia di tonnellate di prodotti dell’acquacoltura importati, pari al 40% del fabbisogno nazionale, a fronte di esportazioni tra le 20.000 e 25.000 t (CSC Confagricoltura, 2017).
Tabella 1- Principali paesi produttori di acquacoltura in Europa (tonnellate)
Tabella 2 - Principali paesi produttori di acquacoltura in Europa (dollari USA X 1000)
1.5. Il mercato nazionale: specie e produzioni
- Emilia Romagna (42.300 t nel 2014); - Veneto (31.200 t);
- Friuli Venezia Giulia (17.400 t) - Puglia (11.600 t).
Il Friuli Venezia Giulia si distingue per la produzione di pesci (13.500 t) e l’Emilia Romagna nella produzione di molluschi (41.900 t).
La produzione di crostacei risulta di poco rilievo, in quanto vengono prodotte 15-16 tonnellate suddivise nelle seguenti regioni: Umbria, Puglia, Veneto ed Emilia Romagna (Tabella 3).
Tabella 3 - Produzioni dell’acquacoltura in Italia per regione e categoria di allevamento nel 2014 (tonnellate)
1.5.1. Acquacoltura d’acqua dolce
Il segmento produttivo più rilevante è rappresentato dall’allevamento della trota (Oncorhynchus mykiss) che incide per il 27% sul valore del fatturato dell’acquacoltura nazionale. Il volume produttivo si aggira sulle 36.000 t e corrisponde al 69,9% della produzione ittica (MiPAAF, 2014).
La trota (Oncorhynchus mykiss), rappresenta un prodotto vincente sul mercato perché può essere consumato fresco o lavorato in varie forme (affumicatura, marinatura).
Le regioni che maggiormente allevano questo pesce sono Friuli e Veneto.
Altra specie d’acqua dolce di rilievo è l’anguilla (Anguilla anguilla), che però ha dimostrato un trend produttivo in calo dal 2000 ad oggi.
Questo calo è causato sia dalla difficoltà di reperire giovanili (ceche) in natura (aumentando così i costi), sia dalla competizione di Asia e Paesi del Nord Europa (MiPAAF, 2014).
La produzione di carpe (Cyprinus carpio) e pesce gatto (Ameiurus melas) non sono ancora di grande rilievo però hanno dimostrato una crescita nel 2013 a seguito della domanda degli asiatici ed est europei presenti in Italia (MiPAAF, 2014).
L’allevamento dello storione (Acipenser sturio) ha prodotto, nel 2013, 718 t, dimostrando un trend in crescita. Inoltre, nel 2000 lo storione veniva allevato quasi esclusivamente per la carne, mentre oggi viene allevato anche per le sue uova da cui si ottiene il caviale (MiPAAF, 2014).
Questa produzione, tra l’altro, colloca l’Italia fra i primi posti a livello mondiale (25 t), insieme a Stati Uniti, Francia e Russia.
1.5.2. Acquacoltura marina
Le specie marine con maggiore importanza in termini di volumi produttivi e fatturato sono essenzialmente la spigola (Dicentrarchus labrax) (6330 t) e l’orata ( Sparus aurata) (6184 t).
Nel 2013, l’ombrina boccadoro (Argyrosomus regius), ha fatto registrare una modesta produzione di 115 tonnellate; tuttavia, le possibilità di trasformazione del prodotto offerte da questa specie fanno ben sperare in un futuro aumento produttivo.
Delle tre specie di saraghi (Diplodus) attualmente oggetto di allevamento, dal 2002 in Italia si produce solo il sarago pizzuto (Diplodus puntazzo), la cui produzione ha subito negli ultimi anni una forte contrazione per problemi sanitari.
Anche la produzione di cefalo (Mugil cephalus), nel 2013, è risultata molto bassa (127 t) sebbene, comunque, in aumento.
1.5.3. Molluschicoltura
Come già accennato in precedenza, la molluschicoltura rappresenta il settore maggiormente produttivo dell’acquacoltura italiana.
La produzione è essenzialmente basata sui mitili (Mytilus galloprovincialis), vongole veraci filippine (Tapes philippinarum), vongole veraci (Tapes decussatus) ed ostriche (Crassostrea gigas e Ostrea edulis).
I mitili, secondo statistiche MiPAAF del 2014 rappresentano il 72,3% del volume dei molluschi con una produzione pari a 64.235 t e vengono allevati principalmente in Emilia Romagna e Veneto (Proli, 2008).
La produzione di ostriche, stimata 53 t da MiPAAF nel 2014, è poco significativa a causa delle difficolta produttive.
1.6. Acquacoltura per la produzione di proteine animali destinate all’alimentazione dell’uomo
Come accennato in precedenza, secondo stime FAO la produzione di pesce destinata a consumo umano è circa l’87%, cioè corrispondente a 146.000.000 t (FAO, 2016); tale consumo, inoltre, corrisponde anche al 17% dell’apporto proteico da alimenti di origine animale e al 6,7% delle proteine totali consumate dalla popolazione globale (FAO, 2016).
La composizione del pesce, specialmente i macronutrienti, è simile a quella della carne e per questo ne rappresenta una valida e salutare alternativa.
Il componente principale è l’acqua (60-80%) che varia inversamente al contenuto di grassi mentre le proteine sono presenti in percentuale variabile tra il 15 ed il 25%. Rispetto alla carne, presenta un minor quantitativo di connettivo e le fibre muscolari, più corte, sono organizzate in lamine.
Oltre alle proteine, il pesce fornisce acidi grassi polinsaturi (PUFA), vitamine (D, A, B), minerali (iodio, calcio, zinco, selenio) e presenta un tenore basso di glucidi (0,8-0.2%).
In base al loro con tenuto in grassi, i pesci possono essere inoltre classificati in: - Magri (<3%): dentice, orata, rombo, trota, spigola, halibut, merluzzo; - Semi-magri (3-8 %): triglie, sardine, tonno, storione, carpe, tonni; - Grassi (>8%): anguille, arringhe, sgombri, salmoni.
Il grasso del pesce, rispetto a quello degli altri animali adibiti a carne per il consumo umano, ha una percentuale di acidi grassi insaturi più elevata (maggiormente quelli della serie Omega 3); elevato tasso di fosfolipidi (lectine) ed un minore contenuto di colesterolo (60 mg/100) , con eccezione di cozze, sgombri e gamberi che superano i 100 mg/100g (INRAN).
Questi aspetti rendono il pesce un alimento adatto alla prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Nello specifico, l’acido eicosapentaenoico (EPA 20:5n-3), della serie Omega 3, è precursore delle prostaglandine della serie 3m, le quali hanno un’azione antitrombotica e vasodilatatrice.
Secondo dati INRAN infatti, i consumatori abituali di pesce hanno uno scarso indice trombogenico proprio grazie all’elevato livello di EPA nel plasma.
Molluschi e crostacei presentano un tenore proteico basso (13-18%) ed hanno un tenore glucidico più elevato (6-10%) il quale giustificail sapore dolce.
Cozze ed ostriche sono ricche di ferro e vitamina C (fino al 60% della DGR) (INRAN).
Uno studio condotto da ricercatori danesi e pubblicato sul British Medical Journal ha dimostrato che il consumo di pesce durante la gravidanza ne diminuisce il rischio di interruzione del 30%.
Il pesce dunque, con tutte queste proprietà positive, rappresenta una risorsa alimentare imprescindibile in un regime dietetico sano e bilanciato utile anche al fine di combattere l’obesità (Kaushik, 2000).
1.7. Il “dilemma” dell’acquacoltura: carenza di farine di pesce e fonti proteiche alternative
La maggiore problematica nel mondo dell’acquacoltura è rappresentata dalla dipendenza da materie prime, dall’indubbio beneficio nutrizionale, quali la farina e l’olio di pesce.
Entrambe queste materie prime, sono al momento attuale di difficile sostituzione nella formulazione dei mangimi, sia per quanto riguarda le specie ittiche che per quelle monogastriche terrestri (avicoli, suini e animali da pelliccia); l’importanza nutrizionale di queste materi prime, risiede soprattutto nel loro profilo amminoacidico (FAO, 2016) e nella loro alta digeribilità (al 95%) e appetibilità (grazie all’acido glutammico, un amminoacido non essenziale) per quanto riguarda la farina di pesce, nel loro profilo acidico, per quanto invece riguarda l’olio di pesce. Nella dieta dei pesci devono essere somministrati i seguenti amminoacidi essenziali: Arginina, Istidina, Isoleucina, Leucina, Lisina, Metionina, Fenilalalina, Treonina, Triptofano e Valina (Miles e Chapman , 2015).
La costante crescita dell’acquacoltura, quindi, incombe pesantemente sugli stock ittici selvatici i quali, già oggi, sono ampiamente sovra-sfruttati sia a causa della produzione di alimenti per l’uomo, sia a causa delle già grandi richieste di farine di pesce. Tra l’altro, in questo contesto, sembra del tutto inevitabile un insostenibile aumento dei prezzi di questo prodotto che potrebbe finire per deprimere lo sviluppo e la crescita dell’acquacoltura. In quest’ottica, risulta essenziale ottimizzare l’utilizzo
non solo della farina, ma anche degli oli di pesce, nella formulazione dei mangimi destinate all’alimentazione animale, specie ittiche in primis.
Per questo motivo, quindi, la risposta a questo problema da parte del mondo della ricerca scientifica, è stato lo sviluppo di linee di ricerca volte all’individuazione di valide fonti proteiche alternative alla farina di pesce alcune delle quali vengono analizzate in seguito.
1.7.1. Farine di carne e ossa
Rappresentano una materia prima ampiamente disponibile a livello globale e ad un prezzo assolutamente competitivo. Questo tipo di farina si ottiene essenzialmente da scarti di macellazione quali ritagli di carne, ossa, visceri, pelli, piume e altri sottoprodotti animali non destinabili al consumo umano (Forster et al., 2002). In comparazione alle proteine di origine vegetale, questa materia prima presenta un profilo amminoacidico di alto valore biologico, vicino a quello della farina di pesce e con una buona disponibilità di lisina e fosforo (Naylor et al., 2009).
L’ostacolo maggiore al loro utilizzo (Ferouz et al., 2012), dopo i noti scandali degli anni ’90 e delle problematiche relative alla diffusione dell’encefalopatia spongiforme (BSE), è il consenso del consumatore, il quale si dimostra poco favorevole al consumo di alimenti di origine animale prodotti mediante l’uso di farine di carne e assimilabili (sangue, ossa, piume, ecc.).
1.7.2. Proteine vegetali
Le fonti proteiche di origine vegetale, quali ad esempio soia, girasole, colza o sottoprodotti degli stessi come farine di estrazione, glutine di mais, ecc., a causa della loro ridotta digeribilità, del profilo amminoacidico di non altissimo valore biologico, del relativamente alto contenuto di fibre, della presenza di fattori anti-nutrizionali (inibitori di proteasi, fitasi, glicosinolati, tannini, lectine, fitoestrogeni, ecc.) oltre che della loro scarsa appetibilità, dopo anni di sperimentazione non vengono ancora ritenute alternative del tutto soddisfacenti alla farina di pesce (Tufarelli et al., 2006).
Nonostante queste caratteristiche sfavorevoli, la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno permesso comunque un loro uso a parziale sostituzione delle farine di pesce. Prove di sostituzione della farina di pesce in diete di orata (Sparus aurata) e branzini (Dicentrarchus labrax), hanno dimostrato che una sostituzione pari al 25-30% con farina di soia non provoca effetti negativi su crescita e indice di conversione, oltre a non influire sulla ritenzione proteica in queste specie (Kotzamanis et al., 2008). Si è inoltre verificato che, nella dieta dell’ombrina gialla (Pseudosciaena crocea R.), sostituendo il 50% di farina di pesce con farina di soia ed aggiungendovi un integratore amminoacidico sintetico a lento rilascio, non si hanno conseguenze alcune sulle performance dei pesci (Kotzamanis et al., 2008).
Un’altra fonte proteica vegetale sperimentata nella dieta della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è rappresentata dal lupino bianco, caratterizzato da un elevato tenore proteico e bassi fattori anti nutrizionali (Bòrquez et al., 2008).
In questo caso, i risultati conseguenti a una sostituzione del 30-50%, hanno dimostrato che tutti i parametri riproduttivi e produttivi non subivano variazioni (Bòrquez et al., 2008).
In conclusione, quindi, la scelta di proteine vegetali in sostituzione della farina di pesce nell’alimentazione delle specie ittiche, deve essere strettamente correlata al suo prezzo di mercato e alla sua disponibilità, nonché alla sua appetibilità e digeribilità, caratteristiche che possono differire da specie ittica a specie ittica.
1.7.3. Sottoprodotti della pesca
L’utilizzo di scarti della pesca per ottenerne farine ed oli, potrebbe rappresentare un’allettante possibilità ai fini sia della riduzione dello sfruttamento degli stock ittici che ai fini della sostituzione delle farine di pesce nella nutrizione animale e ittica in particolare. Tuttavia, a oggi questo settore non rappresenta un mercato sul quale siano stati fatti investimenti importanti, in quanto non risulta ancora chiaro quanto la disponibilità di materia prima da trasformare sia costante nel tempo (Naylor et al., 2009).
Farine e oli derivanti dai sottoprodotti della pesca hanno un contenuto proteico minore rispetto ai prodotti derivati da pesci interi poiché privi dei filetti che contengono un’alta percentuale di proteine (Naylor et al., 2009).
Tuttavia, prove di sostituzione nella dieta dell’orata (Sparus aurata) dell’80 % della farina di pesce con una miscela di sottoprodotti derivanti da frutti di mare e farina di soia, hanno dimostrato che tutti i parametri di accrescimento e digeribilità erano paragonabili a quelli ottenuti dalla dieta commerciale. Il filetto, inoltre, non ha subito alcuna variazione qualitativa e nutrizionale (Naylor et al., 2009).
Oltre agli aspetti nutrizionali, un’ulteriore preoccupazione sull’uso di questi sottoprodotti è il rischio di contaminanti nell’olio quali PCB e diossine che possono così accumularsi a livello del grasso nei pesci da allevamento (Miller et al., 2008). Di contro, studi recenti sostengono che questo problema sia monitorabile controllando i substrati di allevamento degli insetti (van der Spiegel et al., 2013).
1.7.4. Krill
Questo crostaceo, largamente disponibile in natura, ha il potenziale di fornire un elevato quantitativo di proteine, lipidi e altri nutrienti di alta qualità (Storebakken, 1998).
Nonostante la sua enorme disponibilità, la Commissione per la conservazione delle risorse marine antartiche ha imposto un limite di cattura a 4.000.000 t per il settore atlantico (CCAMLR, 2005).
Il krill contiene omega-3, fosfolipidi e antiossidanti ma, allo stesso tempo, hanno un profilo di acidi grassi molto variabile a seconda del luogo e della stagione di pesca. Inoltre il krill dell’oceano antartico è altamente deperibile a causa degli enzimi autolitici e degli acidi grassi insaturi che sono soggetti a rapida ossidazione. Risultano quindi indispensabili adeguate condizioni di raccolta, conservazione, trasporto e lavorazione per prevenire il degrado di oli e farine (Kawamura et al., 1981).
Studi condotti sull’alimentazione dei pesci hanno dimostrato che la farina di Krill risultava ottima nella dieta allo stadio larvale dei pesci marini poiché ricca di fosfolipidi (Salze et al., 2005).
Prove di inclusione sul salmone con il 40% di farina di Krill hanno riportato un ottimo indice di conversione, una buona appetibilità ed un basso livello di glucosio nel plasma rispetto al gruppo alimentato con farina di pesce che ne riportava valori molto alti , indice di stress(Moren et al., 2006).
1.7.5. Insetti
le farine di insetto, ad oggi sembrano i candidati ideali a divenire un valido sostituto della farina di pesce in alimentazione animale, inclusi pesci e crostacei; del resto, in quanto derivati da organismi animali, il loro profilo amminoacido presenta molte similitudini con quello della farina di pesce. Inoltre, dal punto di vista della sostenibilità delle produzioni, gli insetti presentano grandi vantaggi in quanto possono essere alimentati su una grande varietà di substrati organici, ossia scarti industriali e/o urbani; questo aspetto, in particolare, rappresenta un grande vantaggio in quanto permette la trasformazione di prodotti di scarto il cui smaltimento rappresenta un pesante costo per la collettività, in proteine di origine animale dall’alto valore sia nutrizionale che commerciale (van Huis et al., 2014).
Proprio per l’importanza che questa risorsa riveste per il settore zootecnico e come risorsa alimentare in acquacoltura, la farina di insetto è stata oggetto del presente lavoro e pertanto dedicheremo a questo tema un apposito paragrafo.
1.8. Le farine d’insetto
Come accennato in precedenza, le farine di insetto rappresentano una valida ed innovativa alternativa alla sempre più costosa farina di pesce.
L’impiego degli insetti è sempre più oggetto di numerosi studi che hanno per obiettivo la valutazione del loro potenziale nutritivo nell’alimentazione delle specie animali di interesse zootecnico, nonché dell’uomo.
In modo particolare, molti studi hanno avuto come oggetto l’impiego degli insetti o di prodotti derivati (ad es. farine) nei mangimi destinati alle specie ittiche.
I risultati sono spesso apparsi variabili se non, in molti casi, anche contrastanti; infatti, a seconda dello stadio biologico utilizzato (larva, pupa o adulto), dei trattamenti subiti (intero, macinato e/o sgrassatura), del processo di lavorazione (essicazione al sole o per mezzo di trattamenti termici) ed ovviamente, a seconda della specie ittica considerata (Gasco et al., 2014), si sono ottenuti risultati spesso divergenti e/o contrastanti.
Dal punto di vista strettamente nutrizionale, il contenuto proteico grezzo varia dal 42 al 63% mentre quello lipidico grezzo può raggiungere percentuali superiori al 36%. La concentrazione di acidi grassi insaturi invece, varia dal 20 al 70% a seconda del tipo di insetto (Makkar et al., 2014).
Numerosi studi hanno dimostrato che gli insetti e le materie prime derivate da essi sono molto appetibili e, a seconda della specie animale, possono sostituire dal 25 al 100% la farina di soia o di pesce (Makkar et al., 2014).
Tuttavia, totale sostituzione della farina di pesce non risulta ad oggi ancora possibile a causa di carenze e squilibri dietetici (Henry et al., 2015).
Caratterizzata quindi da fonti proteiche ad alta efficienza ed a basso impatto ambientale, questa materia prima risulta quella attualmente più studiata nell’ambito della ricerca scientifica.
A tal riguardo, risultano fondamentali ulteriori ricerche per alzare la percentuale di inclusione senza compromettere crescita e salute dei pesci.
L’unione delle conoscenze dei nutrizionisti sinergicamente a quelle degli entomologi, potrebbe permettere interessanti prospettive (Henry et al., 2015). Per questa ragione, ulteriori studi che impieghino sia prodotti standardizzati, che protocolli sperimentali idonei, sono necessari al fine di ottenere informazioni univoche e accurate.
1.8.1. Specie, aspetti nutrizionali, stato ad arte
Le specie di insetto più promettenti dal punto di vista nutrizionale e del loro uso ai fini zootecnici, anche in virtù della facilità del loro allevamento, sono di seguito descritte.
Tenebrione mugnaio (Tenebrio molitor): conosciuto come “camola della farina”, è un coleottero appartenente alla famiglia dei Tenebrionidi. Il suo ciclo di vita varia dai 280 ai 630 giorni a seconda della temperatura ambientale e presenta uno stadio di pupa, uno larvale ed uno adulto (Makkar et al., 2014).
Le larve si schiudono dopo 12 giorni a 18-20 °C e diventano adulte dopo 3-4 mesi. Nello stadio larvale sono di colore giallo-bruno, lunghe 20-32 mm e pesano dai 130 ai 160 mg (Makkar et al., 2014). Tuttavia, molti produttori di larve implementano il mangime delle larve con un ormone giovanile per bloccarne l’evoluzione in adulte ed ottenendo così, dei vermi da pasto che possono raggiungere i 2 cm e oltre di lunghezza ed i 300 mg di peso (Finke, 2002).
Lo stadio di pupa dura dai 7-9 giorni a 25 °C e fino a 20 giorni a temperature inferiori (Makkar et al., 2014).
Questi insetti sono onnivori e possono quindi trarre nutrimento sia da substrati vegetali che animali, come carne e piume (Elorduy et al., 2002).
Un elemento essenziale per averne una buona produttività (fino a 6 generazioni), è l’apporto di acqua, la cui appropriata disponibilità sembra prevenire anche possibili fenomeni di cannibalismo (Hardouin e Mahoux, 2003).
La composizione chimica delle camole della farina, contengono elevate quantità di proteina grezza (47-60%)%, di lipidi (30-45%) ed un basso contenuto in ceneri (<5%), mentre carente è il loro contenuto in calcio. Un’alimentazione esclusiva a base di questi insetti provocherebbe carenze di Ca importanti con conseguenti danni al metabolismo osseo. Risulta quindi fondamentale implementare la dieta con Ca (Klasing et al., 2000). Le larve fresche, inoltre, possono contenere anche il 60% di acqua (Klasing et al., 2000).
In base a studi comparativi con altri insetti, quali la mosca domestica (Musca domestica) ed il grillo (Acheta domesticus), presenta un buon profilo di acidi grassi ma differisce nel quantitativo più basso di acido laurico e più alto di linoleico (Elorduy et al., 2002).
Studi condotti sulle diete per avicoli hanno dimostrato che l’alimentazione attraverso questi insetti potrebbe essere una valida alterativa alla farina di soia e di pesce.
La qualità proteica è simile a quella della farina di soia, ma il contenuto in metionina e la carenza di Ca sono aspetti limitanti nell’alimentazione del pollame (Elorduy et al., 2002). E’ stato anche sperimentato che, l’aggiunta dell’8% di carbonato di calcio nella dieta delle larve somministrate poi come alimento per avicoli, fornisce Ca sufficiente per la mineralizzazione delle ossa dei pulcini (Klasing et al., 2000).
Nei broiler, un’inclusione del 10% di farina d’insetto in aggiunta alla farina di soia, non ha causato effetti negativi né sui parametri produttivi né ha influito sull’appetibilità (Elorduy et al., 2002).
L’utilizzo di queste fonti proteiche alternative si è dimostrato interessante anche per il mondo dell’acquacoltura.
Nel pesce gatto africano, (C. gariepinus), una sostituzione del 40% della farina di pesce con larve di T. molitor essiccate e macinate, non ha causato variazioni negative su accrescimento e riproduzione ed ha comportato un aumento significante del tenore lipidico della carcassa (Ng et al., 2001).
Nell’alimentazione della trota iridea (O. mykiss) le larve possono essere incluse fino al 50% senza effetti negativi (Gasco et al., 2014).
Nella spigola europea (Dicentrarchus labrax) invece, uno studio ha indicato che sebbene un’inclusione del 25% non abbia portato ad effetti negativi, aumentandola al 50% si osserva una significativa riduzione della crescita (Gasco et al., 2014).
Una recente ricerca condotta sulle trote iridee (Oncorhynchus mykiss), ha dimostrato che un’inclusione del 25 o 50% non ha influito negativamente sull’accrescimento; anzi, ne ha migliorato i parametri produttivi come l’indice di conversione ed il
rapporto di efficienza proteica compromettendo però il valore nutrizionale della frazione lipidica dei filetti (Gasco et al., 2014).
Mosca soldato nero (Hermetia Illucens): comunemente nota come “black soldier fly” (mosca soldato nero), è un insetto saprofago appartenente all’ordine dei Ditteri, famiglia Stratiomidi. Gli adulti sono unicamente dediti alla riproduzione e alla deposizione delle uova, colonizzando materiali organici in fase di decomposizione come carogne, scarti dell’agroindustria e letame zootecnico.
L’allevamento di Hermetia illucens è stato proposto fin dagli anni ’90 per lo smaltimento dei rifiuti organici attraverso la loro conversione in biomassa ricca di lipidi e proteine da utilizzare in alimentazione animale, in biodiesel e per la produzione di chitina (Diener et al., 2011; van Huis et al., 2013).
Diversi studi hanno dimostrato come possano essere utilizzati per ridurre problematiche ambientali: le larve possono ridurre fino al 50% l’accumulo di pollina delle galline ovaiole (Sheppard et al., 1994; Barry, 2004; Newton et al., 2005).
Sempre studi condotti sulla pollina delle ovaiole hanno comprovato che l’attività larvale ne ha ridotto in maniera significativa Escherichia coli 0157: H7 e Salmonella enterica, dimostrando così anche la potenzialità delle larve di lavorare sulla microflora limitando i batteri dannosi (Erickson et al., 2004; Liu et al., 2008)
La mosca adulta è nera e lunga dai 15 ai 20 mm, mentre le larve dal colore biancastro possono raggiungere i 27 mm di lunghezza e pesare fino a 220 mg
(Hardouin e Mahoux, 2003; Diener et al., 2011; van Huis et al., 2013).
A seconda di condizioni alimentari e della dieta, le larve possono maturare in 2-4 mesi, mentre la fase di pupa può durare dai 14 giorni ai 5 mesi (Hardouin e Mahoux, 2003; Veldkamp et al., 2012). Le femmine depositano le uova in crepe e fessure asciutte, in luoghi adiacenti ad una fonte alimentare (Diener et al., 2011).
Gli adulti invece non si alimentano perché sfruttano i grassi immagazzinati nello stadio larvale (Diclaro e Kaufman, 2009).
Per la mosca soldato nero, questi aspetti aspetti rappresentano dei vantaggi rispetto ad altri insetti, poiché sono necessarie minori cure e soprattutto la mancata nutrizione dell’adulto riduce notevolmente il rischio di trasformarsi in un vettore di malattie. Uno svantaggio nella gestione riproduttiva di questi insetti è i rappresentato dalla necessità di un ambiente caldo per la degradazione del substrato alimentare di cui necessitano che, in ambienti freddi o temperati, si traduce in un elevato e dispendioso utilizzo di energia (Veldkamp et al., 2012).
Hemetia illucens è antagonista in natura della mosca domestica e quindi può essere utilizzata anche per ridurre le popolazioni di quest’ultima, considerato che quest’ultima rappresenta invece un importante vettore di patologie (Sheppard et al., 1994; Newton et al., 2005).
Dal punto di vista nutrizionale, le larve di H. illucens contengono dal 40 al 44% di proteina grezza mentre la percentuale di grasso varia in funzione alla tipologia del substrato in cui essa è allevata; nello specifico, riportiamo di seguito alcune percentuali in grasso di larve di H.illucens, in funzione di diversi substrati di allevamento:
• 15-25% su letame avicolo (Gutierrez et al., 2004) • 28% sul letame suino (Newton et al., 2005)
• 35% su letame bovino (Newton et al., 1977) • 49% su alimenti ricchi di olio (Barry, 2004)
Anche il contenuto in acidi grassi è strettamente dipendente alla dieta somministrata; così, ad esempio, larve alimentate con letame bovino contengono il 21% di acido laurico, il 16% di acido palmitico, il 32% di oleico e lo 0,2% di Omega-3, mentre le percentuali sono del 43%, 11%, 12% e 3% se alimentate al 50% di scarti di pesce e 50% di letame bovino (St-Hilaire et al., 2007).
Infine, le larve di H. illucens sono anche ricche in Ca, P e lisina ed il contenuto in ceneri è variabile dall’11 al 28% sulla SS (Gutierrez et al., 2004).
Nell’alimentazione dei suini è risultata essere un ottimo ingrediente grazie al buon profilo amminoacidico, con la sola accortezza di implementare meteonina, cisteina e treonina nella dieta (Makkar et al., 2014).
Esperimenti condotti sugli avicoli, hanno evidenziato che la farina ottenuta dalle larve di H. illucens ha migliorato l’indice di conversione rispetto la farina di soia (Hale, 1973).
In acquacoltura, i risultati hanno dato indicazioni contrastanti quindi si necessitano ulteriori approfondimenti.
Studi condotti sulla trota iridea (Oncorhynchus mykiss), alimentata per 8 settimane con il 50% di farina di H. illucens, hanno fatto osservare una lieve diminuzione dell’accrescimento ma senza altre implicazioni negative. (Sealey et al., 2011).
Anche una sostituzione al 33% nella dieta del rombo (Psetta maxima), ha comportato una riduzione dell’assunzione di mangime ed un minore accrescimento (Kroeckel et al., 2012).
Una recente ricerca condotta su giovanili di spigole europee (Dicentrarchus labrax), alimentate con farina di H. illucens nello stadio pre-pupa, ha sostenuto che possa essere inclusa al 22% senza effetti negativi su parametri produttivi, indice di conversione e digeribilità (Magalhaes et al., 2017).
Nonostante gli studi condotti fino ad ora e le buone qualità della farina derivante da questo insetto, i risultati non sono del tutto soddisfacenti come auspicato (Henry et al., 2015).
Il valore massimo di inclusione, a seconda della specie del pesce, può variare dal 6 al 25% (Henry et al., 2015) ed il valore più alto di inclusione è risultato possibile nella dieta delle trote iridee, (Oncorhynchus mykiss), (Sealey et al., 2011).
Anche nella dieta del salmone (Salmo salar), si può arrivare ad una percentuale di inclusione del 25%, ma solo se viene fornito anche un supplemento di lisina e metionina (Lock et al., 2016).
Mosca domestica (Musca domestica): appartiene, come Hemetia illucens, all’ordine dei Ditteri.
Presente in tutte le zone del mondo, è un importante vettore di malattie, poiché sia le larve che gli adulti si nutrono di letame e di rifiuti organici in decomposizione di varia natura.
La proliferazione di questi insetti, in condizioni controllate, è stata studiata già alla fine degli anni ’60 per creare biomassa utile a nutrire gli animali da fattoria (Calvert et al., 1969).
Il ciclo di questo insetto ha durata dai 6 ai 10 giorni dei quali 5 in stadio larvale e 5 in stadio di pupa ed il numero di uova prodotte varia dalle 500 in condizioni naturali, alle 2000 in condizione controllate (Makkar et al., 2014).
Aspetti nutrizionali
Il tenore proteico varia dal 40 al 60% e quello lipidico dal 9 al 26%.
Le larve più vecchie contengono meno proteina grezza e più lipidi. (Inaoka et al., 1999; Aniebo e Owen, 2010)
Risulta inoltre presente una bassa ma non trascurabile percentuale di fibra grezza (9%).
Dal punto di vista minerale, il livello di fosforo è simile a H. illucens mentre il Ca è 15 volte inferiore. (Makkar et al., 2014).
Stato ad arte delle prove di inclusione
Studi condotti in Russia su delle scrofe alimentate con farina di larve domestiche non hanno segnalato effetti negativi sulla produzione e sulla salute degli animali (Bayandina e Inkina, 1980).
Anche in Thailandia, alimentando suinetti con una dieta a base di semi di soia e con il 10% di sostituzione della farina di pesce con quella di larve, non ha causato nessuna variazione su peso ed indice di conversione (Viroje e Malin, 1988).
Nella dieta dei broiler invece, la maggior parte delle prove sperimentali condotte ha suggerito che la percentuale ottimale della sostituzione della farina di pesce non debba superare il 10% (Atteh e Ologbenla, 1993; Bamgbose, 1999).
e in Cameroon (Téguia et al., 2002), vengono somministrate vive come fonte primaria di alimento.
Ancora, in Corea del Sud, una percentuale di inclusione del 10-15% ha migliorato la qualità della carcassa e l’accrescimento dei broiler.
In acquacoltura, esperimenti sul Pesce gatto africano (C. gariepinus), raccomandano una percentuale di inclusione del 25-30% poichè livelli maggiori ne compromettono l’accrescimento (Balogun, 2011).
Locuste, cavallette e grilli: Locuste, cavallette (principalmente Acrididae e Pyrgomorphiade) e grilli (Gryllidae) sono insetti appartenenti alla famiglia dell’Ortoptera.
Sono tutti generalmente commestibili e costituiscono un’importante fonte alimentare per le popolazioni di Africa, Asia e Sud America.
La cattura di questi insetti per scopo alimentare, oltre che una promettente risorsa economica per molti paesi, risulta un metodo di controllo del tutto naturale della loro popolazione, limitando così l’impatto ambientale derivante dai pesticidi (Khusro et al., 2012).
Aspetti nutrizionali
La percentuale di proteina grezza si aggira attorno al 65%, mentre il tenore lipidico varia dal 5% al 20%.
La fibra è presente fino al 22% nei grilli adulti (Finke, 2002).
Paragonato ad altri insetti, il contenuto di Ca e P e in lisina è inferiore (Makkar et al., 2014).
Stato ad arte delle prove di inclusione
Uno studio condotto in Africa, sulla dieta di suini alimentati con locuste essiccate in aggiunta alla dieta abituale, ha riportato un tasso di crescita soddisfacente ma ha anche evidenziato una modifica delle qualità organolettiche della carne fresca in quanto emanava aroma di pesce (Hemsted, 1947)
Esperimenti sull’alimentazione del pesce gatto africano (C. gariepinus), hanno indicato che si può sostituire al massimo il 25% dell’apporto proteico fornito con la
farina di locuste (Balogun, 2011), così come per la Tilapia del Nilo (Oreochromis niloticus) (Abanikannda, 2012; Emehinaiye, 2012).
1.8.2. Aspetti commerciali
L’allevamento degli insetti viene praticato da 7000 anni (seticoltura, apicoltura, ecc) e nel 1936 ci fu la prima produzione di massa di larve alimentate con dieta artificiale (Rumpold, 2013).
Successivamente, sono state condotte numerose ricerche inerenti lo sviluppo di diete artificiali e sulle possibilità di intensificazione dell’allevamento per utilizzare gli insetti come armi biologiche nel controllo di parassiti (Singh, 1994; Singh & Moore, 1985).
A causa della necessità di ricorrere ad abbondante manodopera, ad oggi, la produzione intensiva di insetti in Europa risulta eccessivamente costosa. Ad esempio, nei Paesi Bassi, 50 g di vermi liofilizzati (150 g una volta reidratati), sono venduti a 4,85 €, a cui aggiungere i costi di spedizione. Ne consegue che il prezzo dei vermi è di 32,33 €/kg di prodotto reidratato (Rumpold, 2013).
L’obiettivo e la sfida futura saranno rendere la produzione di massa e la domanda di prodotto sempre più competitive sul mercato.
Affinché gli insetti possano essere utilizzati nell’alimentazione delle specie ittiche, risulta di fondamentale importanza affrontare e sviluppare le seguenti tematiche (Tran et al., 2015):
- Studiare le strategie migliori per promuovere una produzione industriale di insetti che sia, allo stesso tempo, economica e redditizia. Per fare ciò, sarà quindi indispensabile l’individuazione di substrati (diete) adeguati al loro allevamento. In secondo luogo, sarà fondamentale la realizzazione di infrastrutture specializzate e adeguatamente automatizzate, al fine di abbattere i costi di manodopera.
- Implementare gli studi sul valore nutrizionale degli insetti, ai fini dell’alimentazione delle specie ittiche, in particolare per i pesci carnivori. Nello specifico, risulterebbero utili approfondimenti sui fattori che influenzano
la loro composizione chimica, i nutrienti e la biodisponibilità energetica; sulla manipolazione dietetica del profilo amminoacidico, degli acidi grassi e dei minerali; sui vari processi di lavorazione (come pellet e sgrassatura); sull’appetibilità e preferenze specifiche di specie e sull’adattamento dei pesci all’alimentazione a base di insetti.
- Condurre ricerche che indichino le procedure igienico-sanitarie da seguire nella gestione dei vari substrati organici utilizzati per il loro allevamento, al fine di ottenere una risorsa alimentare priva di rischi sanitari e sostanze indesiderate.
- Implementare il quadro normativo e le legislazioni sull’uso di insetti nell’alimentazione animale e sulle metodologie di analisi riconosciute ai fini della valutazione dei rischi sanitari.
- Studiare l’impatto relativo all’allevamento degli insetti e, conseguentemente, il livello di accettazione dei prodotti della pesca alimentati con questa risorsa da parte del consumatore.
- Condurre ulteriori studi in merito alla adeguatezza degli insetti e loro sottoprodotti (farine, oli, ecc.), in relazione ad altre fonti proteiche già impiegate in acquacoltura (Tran et al., 2015).
1.8.3. Lo zebrafish come modello animale
Lo zebrafish è una specie che, recentemente, la legislazione italiana ha riconosciuto come specie “da laboratorio” in seguito alla promulgazione del D.L. n. 26 del 4 marzo 2014.
Inoltre, lo zebrafish oggi risulta essere uno dei più utilizzati modelli animali nella ricerca medica e biologico (Spence et al. 2008). I primi utilizzi dello zebrafish risalgono al 1960, in vari studi di biologia molecolare (The Wellcome Trust, 2003), ma la sua popolarità è cresciuta esponenzialmente a partire dal 1966; fu allora, infatti che in seguito ad uno screen genetico vennero identificate oltre 4000 mutazioni, in seguito pubblicate nella rivista scientifica “Developement” (Haffter et al., 1996,
Driever et al. 1966); nel tempo, quindi, è stato reso disponibile l’intera sequenza genomica dello zebrafish.
Ad oggi, gli zebrafish, oltre ad essere uno dei modelli animali più utilizzati a livello mondiale nella ricerca bio-medica (Spence et al. 2008) e anche, ovviamente, il “modello” per eccellenza negli studi condotti sui pesci (CCAC, 2016).
Alcune tra le caratteristiche che lo rendono così prezioso nella ricerca sono la sua natura sociale strutturata, il rapido tasso di crescita e maturazione sessuale, la riproduttività costante durante tutto l’anno, l’alta fecondità, la capacità di rigenerare molti tessuti e/o parti di organo, il genoma totalmente mappato, la trasparenza embrionale e, non da ultimo, il basso costo di allevamento (Lawrence, 2007; Spence et al., 2008).
Tuttavia, recenti osservazioni sostengono che la differenza di habitat tra l’ambiente selvatico e quello di laboratorio potrebbero influenzare negativamente la socialità di questo organismo a causa di potenziali sovraffollamenti, ambienti isolati o strutture troppo semplificate (Graham, 2017). Per ovviare a questa problematica, risulterebbe utile condurre maggiori studi sulle dinamiche sociali di questo pesce nel suo habitat originario al fine anche di migliorarne il benessere in cattività che, ad oggi, è probabilmente sottovalutato (Graham, 2017).
Per quanto riguarda le aree scientifiche in cui viene utilizzato, queste sono molteplici: biomedicina, genetica, fisiologia, neurofisiologia; risultano inoltre dei buoni modelli per indagare su complesse malattie cerebrali umane come, ad esempio, l’autismo Spence et al., 2008; Gerlai, 2012).
La chiave che lo rende un buon modello anche negli studi delle branche della medicina è la condivisione del 70% dei geni con l’essere umano (geni ortologhi), infatti sono numerosi gli studi che dimostrano l’equivalenza dei geni responsabili di malattie nell’uomo con quelli degli zebrafish (Howe et al, 2013).
Un altro aspetto importante è rappresentato dalla facilità di produrre mutazioni, motivo per il quale sono stati studiati dei programmi di screening per scoprire quali mutazioni influiscano su alcuni sistemi biologici come ad esempio lo sviluppo del
sistema nervoso e permettendo così di sfruttare zebrafish mutanti ottenuti da cellule in coltura che attualmente vengono utilizzati nello studio di molte malattie quali la policisti renale, tumori, malattie cardiache congenite ed anche il morbo di Alzheimer (Howe et al, 2013).
A tal proposito,nel 2004, la Comissione europea ha finanziato un progetto chiamato “Modelli ZF” al fine di incentivare la ricerca sulle malattie umane e sui farmaci utilizzando gli zebrafish come modello animale (Howe et al, 2013).
Sullo zebrafish, ulteriori studi sono stati condotti in merito alla percezione del dolore e, recentemente, è stato proposto come specie ideale per approfondire i meccanismi che stanno alla base della percezione del dolore anche nei vertebrati (Steenbergen e Bardine, 2014).
In laboratorio, gli zebrafish sono mantenuti in vasche trasparenti, di capacità variabile da 0,5 a oltre 10 litri e a una densità anche pari a 5 pesci/litro (Kistler et al., 2011); di solito, inoltre, non sono “arricchimenti” delle vasche quali piante e/o nascondigli, permettendo così il mantenimento di condizioni igieniche ottimali e la più facile standardizzazione delle condizioni di comportamento nei vari gruppi sperimentali (Olsson e Dahlborn, 2002; Reinhardt, 2004; Kistler et al., 2011).
1.8.4. Quadro normativo
Dal punto di vista legislativo, la produzione e la commercializzazione di insetti per il consumo umano sono disciplinate dal regolamento UE sui nuovi prodotti e nuovi ingredienti alimentari (Reg. CE n. 258/1997), secondo il quale i prodotti a base di insetto e tutti i “novel food”, per poter entrare nel mercato, devono ricevere un’autorizzazione europea basata sulla valutazione della sicurezza alimentare condotta dall’ Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA).
Fino al 2013, il Reg. CE n 999/2001 vietava l’alimentazione degli animali da allevamento, inclusi i pesci, con PAT (Proteine Animali Trasformate), ad eccezione di quelle idrolizzate.
Successivamente, in modifica al regolamento precedentemente descritto, grazie al Reg. CE n. 56/2013, contenente indicazioni per la prevenzione, il controllo e
l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili, è stato ammesso l’utilizzo delle PAT in acquacoltura.
Con l’attuale Reg. (CE) 2017/893 in vigore dal 1° luglio 2017, la Commissione Europea ha introdotto disposizioni sull’allevamento e sull’utilizzo degli insetti nella produzione dei mangimi, dandone il via libera al commercio e alla produzione, previe ben determinate autorizzazioni, in tutti gli Stati Membri.
Le specie di insetti allevabili nell’Unione Europea non devono risultare patogene né vettori di agenti patogeni o avere altri effetti negativi sulla salute umana, animale e vegetale; non devono essere specie protette o considerate esotiche invasive e devono essere allevate in strutture apposite solo su substrati autorizzati e riconosciuti sicuri dall’Autorità competente.
Le specie consentite per l’allevamento in EU sono: - Mosca soldato nera (Hemetia illucens)
- Mosca comune (Musca domestica) - Tenebrione Mugnaio (Tenebrio molitor) - Alfitobio (Alphitobius diaperinus)
- Grillo domestico (Acheta domesticus) - Gryllodes sigillatus (Gryllodes sigillatus) - Grillo silente (Gryllus assimilis).
1.9. Obiettivo dello studio
Considerata l’importanza e la rilevanza del tema fin qui descritto, l’impiego di farine di Hemetia illucens in acquacoltura, sin dal 2014 (Grimaudo, 2015) è oggetto dell’attività di ricerca condotta dal Dott. Fronte Baldassare, presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa. Nel 2016, l’impiego di farina di Hermetia illucens era già stato oggetto di uno specifico progetto di ricerca (Licitra, 2016). In quello studio, era stato messo in evidenza come livelli di inclusione di farina di Hermetia illucens pari al 5, 10 e 20% (in sostituzione del 25, 50 e 100% di farina di pesce) in mangimi per zebrafish, non venivano osservati effetti negativi sulle
performance zootecniche; a tal riguardo, altri autori (Kroeckel et al., 2012) riferivano però di un decremento di tali prestazioni in giovanili di rombo chiodato (Psetta maxima), allorché venivano impiegate percentuali di inclusione superiori al 33%. Per questo motivo, quindi è stato deciso di condurre un ulteriore esperimento al fine di testare livelli di inclusione maggiori a quelle precedentemente testate (Licitra, 2016) nello zebrafish. Pertanto, obiettivi della presente prova sperimentale sono stati i seguenti:
a. valutare l’idoneità della farina di Hermetia illucens ai fini dell’alimentazione dello zebrafish;
b. valutare l’idoneità della farina di Hermetia illucens come sostituto della farina di pesce;
c. identificare la più idonea percentuale di inclusione della farina di Hermetia illucens ed il miglior tasso di sostituzione della farina di pesce;
d. valutare gli effetti della sostituzione della farina di pesce con farina di Hermetia illucens nelle varie fasi della crescita.
2. Materiali e metodi
La prova sperimentale è stata condotta presso il “Laboratorio di Acquacoltura e zebrafish facility”, del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, ubicati presso lo stabulario sito in viale delle Piagge 2, 56124, Pisa.
Il progetto di ricerca (Responsabile Dott. Baldassare Fronte) è stato autorizzato dall’Organismo Preposto al Benessere Animale – “Unità Etica e tutela animale nella Ricerca” dell’Università di Pisa, con lettera del 2/08/2017, Prot. n° 0039681/2017. I soggetti utilizzati per la sperimentazione, sia i riproduttori che i giovanili, ceppo genetico “Wild-Type” Linea AB, sono stati riprodotti e allevati presso la facility di cui sopra. Lo zebrafish (Danio rerio), è oggi indicato come un valido modello sperimentale nella nutrizione delle specie di interesse in acquacoltura (Dahm e Geisler, 2006; Ulloa et al., 2011; Ribas e Pifferer, 2013; Ulloa et al., 2014).
2.1. Produzione dei giovanili - riproduzione
I soggetti utilizzati per la prova sperimentale sono stati ottenuti grazie all’accoppiamento di 4 coppie di riproduttori adulti (4 maschi e 4 femmine). Una volta raccolte le uova, sono state conteggiate e divise in gruppi omogenei di 100 uova per essere poi trasferite ed incubate a 28,5 °C in vaschette contenenti 250 ml di “Egg water (Tabella 1). Alla schiusa, dopo 48 ore di incubazione, gli embrioni sono stati trasferiti in vaschette contenenti 500 ml di Embryo water (Tabella 1) fino al raggiungimento del decimo giorno di età, giunto il quale le larve sono state ulteriormente trasferite nelle apposite vasche di allevamento.
Tabella 1- Composizione Egg water ed Embryo water
Per quanto riguarda la struttura, il laboratorio è dotato di due moduli “stand alone”, realizzati secondo il progetto di Paige et al. (2014). Ogni modulo comprende 32 vaschette removibili ed autopulenti da 3,5 litri, integrate in un apposito circuito a ricircolo. In tale sistema, i parametri chimico-fisici dell’acqua sono quotidianamente verificati e mantenuti entro i livelli indicati in Tabella 2.
2.2. Allevamento e alimentazione dei riproduttori
Il fotoperiodo adottato è stato di 12 ore di luce e 12 di buio, con ciclo 8,00/20,00 mentre la densità di allevamento pari a 5,7 pesci/litro.
I riproduttori, erano alimentati con un mangime completo (granulometria di 400-600 µm) prodotto da Sparos© (Portogallo), un’azienda spin-off dell’università dell’Algarve, attrezzata per la produzione di mangimi estrusi per l’acquacoltura, anche in quantità ridotte destinate a fini sperimentali. In aggiunta alla dieta secca, è stata somministrata anche Artemia salina (INVE Aquaculture©, Gent, Belgio) prodotta dalla schiusa di 1.5 g di cisti al giorno.
Tutti i pesci sono stati alimentati 4 volte al giorno nei modi e tempi indicati in Tabella 3:
Tabella 3 – Distribuzione giornaliera di alimento per riproduttori
2.3. Disegno sperimentale
Dalle 4 coppie di riproduttori utilizzate per la produzione dei giovanili oggetto del presente studio, sono stati ottenuti oltre 400 soggetti. Da questi, ne sono stati selezionati 321 poi utilizzati per la prova sperimentale. Il disegno sperimentale, a blocchi randomizzati, prevedeva 4 gruppi e 4 repliche secondo quanto descritto nella Tabella 4.
Tabella 4 - Disegno sperimentale
La randomizzazione dei blocchi è stata effettuata assegnando al blocco 1 i soggetti il cui peso rientrava nel primo quartile della distribuzione dei pesi vivi dell’intero campione, al blocco 4 i soggetti il cui peso rientrava nel quartile superiore, e ai blocchi 2 e 3 i restanti soggetti. Per questa ragione, e per la limitata dimensione del campione iniziale, non è stato possibile distribuire in ciascuna replica esattamente il numero di soggetti inizialmente previsto e come indicato in tabella 4.
2.4. Diete sperimentali
Le quattro diverse diete sperimentali, ivi inclusa la dieta di controllo, erano state formulate per essere iso- energetiche ed iso-proteiche e coprire i fabbisogni tipici della specie (NRC, 2011). A partire dalla dieta base, contenente il 50% di farina di pesce e utilizzata come dieta di controllo (C), le altre diete sperimentali sono state riformulate prevendendo l’inclusione di “Insect protein meal” (Protix©, Dongen - Netherlands), in sostituzione di pari quantità di farina di pesce; in dettaglio, nei mangimi sperimentali sono stati rispettivamente inclusi il 17 (IM17), 33 (IM33) ed il
Hermetia illucens, in sostituzione del 33, 66 e 100% della farina di pesce, rispetto al gruppo di controllo.
Nella tabella 5 viene riportata la composizione chimico-nutrizionale della farina di pesce e di Insect protein meal.
Tabella 5 – Composizione chimico-nutrizionale della farina di pesce e di Insect protein meal (valori espressi su s.s.)
Le diete sperimentali, formulate dal gruppo di ricerca e anch’esse prodotte da Sparos©, consistevano in mangime estruso, di granulometria pari a 400-600 µm, ed erano somministrate ad libitum, secondo quanto descritto da Lawrence (2007); i dettagli delle diete sono descritti nelle Tabelle 6 e 7.
Tabella 6 - Ingredienti diete (valori espressi su t.q.)
Tabella 7- Composizione chimica diete (valori espressi su s.s.)
2.5. Parametri sperimentali
La prova sperimentale ha avuto una durata pari a 6 settimane e i rilievi sperimentali sono stati effettuati ai giorni 0, 7, 14, 28 e 42 di prova sperimentale. In particolare, i parametri rilevati sono stati i seguenti:
• peso vivo;
• consumo settimanale di mangime di ciascuna replica.
In occasione di ciascun rilievo, di ogni individuo è stata rilevata un’immagine digitale (foto), necessaria per la successiva identificazione ed il calcolo dei seguenti parametri individuali:
• incremento di peso vivo, calcolato come differenza tra il peso vivo finale e quello iniziale.
Infine, sono stati calcolati:
• ingestione media giornaliera (peso mangime iniziale - peso mangime finale) / numero di giorni / numero soggetti);
• indice di conversione alimentare (peso totale mangime somministrato / incremento in peso vivo);
Inoltre, giornalmente è stata registrata la mortalità e il peso di ciascun soggetto morto, quindi la mortalità è stata espressa come:
• mortalità cumulativa (numero soggetti morti totale / numero soggetti iniziali x 100);
• mortalità intermedia (numero soggetti morti periodo / numero soggetti iniziali periodo x 100).
Ai controlli sopraindicati, sono state aggiunte valutazioni visive riguardanti l’appetibilità dei mangimi, il comportamento e il benessere generale dei soggetti allevati.
In occasione dell’esecuzione dei rilievi sperimentali, tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una lieve anestesia. Nello specifico di seguito vengono elencate le manipolazioni a cui sono stati sottoposti i soggetti:
1. Rimozione della vaschetta (replica) dal sistema a ricircolo (“stand-alone”); 2. Cattura di ciascun individua tramite apposito retino;
3. Trasferimento in apposita vaschetta contenente anestetico (0,160 mg/ml di Tricaina - MS222, in soluzione acquosa) per l’esecuzione dell’anestesia;
4. Ad anestesia avvenuta, trasferimento del soggetto su apposito retino per l’eliminazione dell’acqua in accesso;
5. Trasferimento sul piano fotografico e preparazione del soggetto (massima apertura di pinna caudale e dorsale) per il rilievo dell’immagine digitale;
6. Trasferimento sul piatto della bilancia per il rilievo del peso corporeo;
7. Trasferimento in vaschetta con acqua di sistema, fino al ripristino dell’attività vegetativa;
8. Trasferimento nella vasca di origine integrata nel sistema a ricircolo.
2.7. Riconoscimento individuale dei soggetti
Grazie all’immagine digitale di ciascun soggetto, rilevata in occasione di ogni rilievo sperimentale, è stato quindi possibile procedere all’identificazione di ciascun individuo e, di conseguenza, correttamente abbinare il peso vivo iniziale o precedente, con il peso vivo successivo o finale.
Elementi utili al fine del riconoscimento dei soggetti sono stati: a. il sesso;
b. la struttura corporea; c. vari dettagli della livrea;
d. la struttura della testa e della bocca; e. disegno, forma e dimensioni delle pinne.
Foto 1 - Riconoscimento degli individui attraverso l’osservazione di caratteristiche fenotipiche individuali (livrea); le foto a sinistra sono relative allo stesso soggetto raffigurato a destra, ma fotografato a distanza di due settimane (foto: Licitra Rosario)
2.8. Analisi statistica
Per quanto riguarda l’analisi statistica, i dati relativi alla mortalità sono stati analizzati utilizzando un test non parametrico (Chi2). Per contro, i dati relativi al peso vivo, così come gli incrementi ponderali e il consumo di mangime, sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA); il confronto tra medie è stato quindi effettuato applicando il test Tukey-HSD.
Tutte le differenze tra medie di gruppo, sono quindi state considerate significative per valori di p inferiori allo 0.05 (p<0.05).
3. Risultati
3.1. Mortalità
Per quanto riguarda il benessere dei soggetti, non è stata osservata alcuna differenza tra i diversi trattamenti considerati, sia in termini di benessere generale che comportamentale. Quanto detto, risulta confermato anche dai dati relativi alla mortalità che indicano differenze statisticamente significative (p>0,05) tra i gruppi (Tabella 8, Grafico 2) solo in relazione alla prima fase del periodo sperimentale (da giorno 0 a giorno 7). Infatti, in questa fase, per il gruppo di controllo (C) si osserva una mortalità pari al 5% (4 soggetti), allo 0% per il gruppo IM17 e IM33, all’1,3% per il gruppo IM50.
Tabella 8 – Mortalità osservata in funzione del trattamento e del periodo considerato
Nota: lettere differenti in ciascuna riga, indicano differenze statisticamente significative per p<0,05
Grafico 2 – Mortalità (%) cumulativa in funzione del trattamento
3.2. Ingestione volontaria
Innanzitutto, le diverse diete testate non presentavano macroscopiche differenze dal punto di vista fisico, ossia di forma, colore, durezza e dimensione delle particelle, così come dal punto di vista della gallegiabilità. Inoltre, sono risultate tutte egualmente appetibili ed il consumo è apparso regolare e comparabile in tutti i gruppi considerati, non facendo rilevare differenze statisticamente significative (p>0,05) in nessuna fase del periodo sperimentale. Stesso discorso vale per l’ingestione cumulativa osservata (Tabella 9, Grafico 3).
0 1 2 3 4 5 6 7
C IM17 IM33 IM50