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La relazione tra rimodellamento microcircolatorio, fattori di rischio cardiovascolare e funzione endoteliale: risultati di uno studio multicentrico.

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

La relazione tra rimodellamento microcircolatorio, fattori di

rischio cardiovascolare e funzione endoteliale: risultati di uno

studio multicentrico.

Relatore:

Chiar.mo Prof. Stefano Taddei

Correlatore:

Dott. Stefano Masi

Candidato:

Tiziano Ferrari

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1

Sommario

1. RIASSUNTO ANALITICO... 3 2. INTRODUZIONE ... 7 2.1 Epidemiologia ... 7 2.1.1 Fattori di rischio ... 9

2.1.1.1 Scores predittivi di rischio cardiovascolare ... 13

2.1.2 Nuovi fattori di rischio27 ... 18

2.2 Evoluzione della Malattia Cardiovascolare... 19

2.2.1 Alterazioni della funzione endoteliale ... 20

2.2.2 Alterazioni strutturali del microcircolo ... 22

2.2.3 Alterazioni strutturali del macrocircolo ... 26

2.3 Metodi per lo studio delle alterazioni vascolari precoci dovute all’esposizione a fattori di rischio cardiovascolare ... 29

2.3.1 Funzione endoteliale ... 29

2.3.1.1 Metodiche per lo studio della funzione endoteliale a livello dei grossi vasi ... 30

2.3.1.2 Metodiche per lo studio della funzione endoteliale a livello dei piccoli vasi ... 32

2.3.2 Alterazioni strutturali microcircolo ... 37

2.3.2.1 Micromiografia ... 37

2.3.2.2 Scanning laser doppler flowmetry (SLDF) ... 38

2.3.2.3 Adaptive Optics ... 38

2.3.3 Alterazioni strutturali macrocircolo ... 39

2.3.3.1 La PWV ... 39

2.3.3.2 Lo spessore medio-intimale carotideo ... 41

2.4 Relazione tra misure subcliniche di rimodellamento vascolare ed outcome ... 42

2.4.1 Macrocircolo ... 42

2.4.1.1 cIMT ... 42

2.4.1.2 PWV: ... 43

2.4.2 Microcircolo ... 44

2.5 Relazione tra disfunzione endoteliale e rimodellamento vascolare ... 46

2.5.1 Presupposti fisiopatologici ... 46

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2

2.5.1.2 Specie reattive dell’ossigeno (ROS) ... 47

2.5.1.3 Sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) ... 48

2.5.2 Evidenze sull’essere umano ... 50

3. SCOPI ... 52

4. METODI ... 53

4.1 Popolazione studiata ... 53

4.2 Misurazione delle alterazioni strutturali e funzionali del microcircolo ... 53

4.3 Valutazione fattori di rischio cardiovascolari e calcolo dell’Heart Score ... 55

4.4 Analisi statistica ... 56 5. RISULTATI ... 58 6.DISCUSSIONE ... 63 7.CONCLUSIONI ... 68 8.BIBLIOGRAFIA ... 69 9.RINGRAZIAMENTI………..………..………76

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3

1.

RIASSUNTO ANALITICO

Le malattie cardiovascolari (MCV) rappresentano la principale causa di morte a livello mondiale. Per stimare il rischio cardiovascolare (CV) globale, punto essenziale delle linee guida sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, sono stati messi a punto e validati specifici algoritmi che vanno a considerare l’effetto della combinazione dei vari fattori di rischio cardiovascolare (FRCV). Tra questi, quello maggiormente utilizzato a livello Europeo è lo SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation) che stima il rischio di eventi cardiovascolari potenzialmente fatali a 10 anni in pazienti con età > 40 anni e < 65 anni. Sebbene tale algoritmo sia fortemente predittivo del rischio di sviluppare MCV, esiste una porzione significativa di tale rischio che non risulta attribuibile ai fattori di rischio (FR) inclusi nello SCORE. Questo suggerisce che esistano altri fattori che potrebbero contribuire all’evoluzione della patologia CV, attualmente non inclusi nello SCORE.

Con il termine di disfunzione endoteliale si definisce il cambiamento da un fenotipo antiaterosclerotico ad uno proaterosclerotico delle cellule endoteliali ed è conseguente all’esposizione a FRCV. Sebbene possano essere diversi i meccanismi attraverso cui l’esposizione ai vari FRCV portano allo sviluppo di disfunzione endoteliale, essi spesso si traducono in un incremento dei livelli di stress ossidativo che va a ridurre la biodisponibilità di ossido nitrico (NO), molecola che ha un ruolo cruciale nel controllare l’omeostasi vascolare, influendo sia sulla funzione che sulla struttura dei vasi. Alcuni studi hanno dimostrato una relazione tra entità del rimodellamento parietale e disfunzione endoteliale a livello dei grossi vasi, confermando un possibile contributo di quest’ultima all’evoluzione del danno aterosclerotico.

Al contrario, non vi sono studi che abbiano analizzato la stessa relazione a livello microcircolatorio. Questo è importante in quanto le alterazioni della struttura vascolare

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4 microcircolatoria sono considerate eventi precoci nell’evoluzione della patologia aterosclerotica in pazienti esposti a FRCV. Esse si manifestano prevalentemente sotto forma di ispessimento della parete del vaso con conseguente riduzione del lume ed incremento del rapporto media-lume (M/L). Quindi, il rapporto M/L è considerato il parametro più importante nella definizione della severità del rimodellamento microvascolare. In base ai processi fisiopatologici alla base del cambiamento del rapporto M/L, si distinguono principalmente due tipi di rimodellamento vascolare, chiamati rimodellamento eutrofico e ipertrofico, differenti fra loro poiché nel primo si ha incremento del rapporto M/L senza aumento della cellularità vascolare, e quindi MCSA (Area traversa della tonaca media) normale, mentre nel secondo si ha aumento sia del rapporto M/L che della MCSA. Quindi, anche il parametro della MCSA da informazioni importanti riguardo al processo di rimodellamento del microcircolo.

Questa tesi si pone quindi l’obbiettivo di analizzare la possibile relazione tra disfunzione endoteliale, FR e rimodellamento vascolare a livello del microcircolo. In particolare, gli scopi della tesi erano:

1. Analizzare l’associazione tra FRCV e misure di rimodellamento microvascolare, quali il rapporto M/L e MCSA

2. Valutare se la funzione endoteliale possa conferire informazioni simili o addirittura superiori sullo stato di rimodellamento microvascolare rispetto ai comuni FRCV.

Per eseguire le analisi sono stati utilizzati i dati di un database costituito dalla collaborazione di 4 centri Italiani dove vengono eseguiti studi di microcircolo tramite miografia. I centri coinvolti erano quelli di Brescia (BR), Pisa (PI), Milano (MI) e Roma (RM) ed il totale dei pazienti inclusi nello studio era di 356. Da ogni paziente è stato prelevato un campione di tessuto adiposo sottocutaneo nel corso di interventi chirurgici eseguiti in regime di elezione. Dal tessuto, sono state isolate piccole arteriole di resistenza che sono state poi montate su di

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5 un miografo a pressione per lo studio dei parametri di rimodellamento e della funzione endoteliale.

La misura principale utilizzata per definire l’entità del rimodellamento vascolare è stata il rapporto M/L e come misura aggiuntiva la MCSA. Per studiare la funzione endoteliale è stata misurata la risposta vasodilatatoria delle piccole arterie a concentrazioni crescenti di acetilcolina. Dalle cartelle cliniche di ogni paziente sono state ricavate informazioni circa il profilo dei FRCV che sono state utilizzate per calcolare l’Heart Score (HS) impiegando il software ufficiale dell’EAPC (European Association of Preventive Cardiology) ed utilizzando l’algoritmo per i paesi a basso rischio CV, di cui l’Italia fa parte.

La popolazione inclusa nello studio risultava prevalentemente costituita da soggetti obesi, dato che le molte biopsie di tessuto sottocutaneo per l’isolamento delle arteriole sono state eseguite a livello della parete addominale anteriore nel corso di interventi di chirurgia bariatrica. I risultati mostravano una relazione diretta tra il rapporto M/L ed età, sesso maschile, body mass index (BMI), pressione arteriosa sia sistolica che diastolica, glicemia e diabete mellito. Non esistevano correlazioni significative con il profilo lipidico, incluso il colesterolo totale, HDL e LDL.

E’ stata eseguita anche un’analisi limitata ai pazienti non obesi e anche in questo sottogruppo persisteva un’associazione significativa tra rapporto M/L ed età, BMI, pressione arteriosa sistolica e diastolica, glicemia e diagnosi di diabete mellito. A differenza però di quanto osservato nell’intera popolazione, nei soggetti non obesi il profilo lipidico risultava significativamente associato con il rapporto M/L.

L’HS risultava significativamente associato con entrambi i parametri di rimodellamento microvascolare sia nell’intera popolazione che nel sottogruppo dei pazienti non obesi: soggetti con valori di HS più elevato avevano un rapporto M/L ed un MCSA maggiore.

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6 Anche la funzione endoteliale risultava significativamente associata ai parametri di rimodellamento microvascolare sia nell’intera popolazione che nel sottogruppo dei pazienti non obesi, ma secondo una relazione inversa rispetto all’HS, ossia soggetti con una maggior riduzione della funzione endoteliale presentavano il maggior rimodellamento vascolare, sia in termini di più elevato rapporto M/L, sia in termini di MCSA.

Nell’intera popolazione, quando l’HS e la funzione endoteliale venivano utilizzati insieme nello stesso modello di regressione lineare come variabili indipendenti e messi in relazione al rapporto M/L e MCSA come variabili dipendenti, solamente la funzione endoteliale rimaneva significativamente associata al rapporto M/L ed alla MCSA, mentre le associazioni dell’HS con il rapporto M/L e con la MCSA non risultavano più significative. Gli stessi risultati erano presenti quando l’analisi veniva ristretta al sottogruppo dei pazienti non obesi.

Questi dati suggeriscono che la disfunzione endoteliale possa avere un ruolo importante nel favorire il rimodellamento a livello microcircolatorio, indipendentemente da quello dei comuni FRCV ed in maniera analoga a quanto osservato a livello macrocircolatorio. Questo è interessante perché suggerisce come i meccanismi di rimodellamento vascolare possano essere simili sia a livello micro che macrocircolatorio, nonostante la diversa composizione parietale dei vasi di grosso e piccolo calibro e dalle diverse forze emodinamiche in gioco.

L’identificazione dei fattori che promuovono il rimodellamento microvascolare è estremamente importante in quanto questa alterazione è considerata il danno più precoce a carico del sistema CV dovuta all’esposizione a FRCV ed avviene quando l’evoluzione della patologia aterosclerotica potrebbe essere ancora reversibile. Quindi, la funzione endoteliale potrebbe fornire un nuovo target terapeutico che consente di intervenire precocemente nell’evoluzione della MCV, in uno stadio in cui essa risulti sempre reversibile.

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7

2. INTRODUZIONE

2.1 Epidemiologia

Le malattie cardiovascolari (MCV) rappresentano la principale causa di morte a livello mondiale; si stima che, attualmente, esse provochino il 31.5% degli eventi fatali1; di questi decessi circa l’80% si verificano in paesi in via di sviluppo. I dati epidemiologici europei sono lievemente differenti dalle statistiche sulla popolazione mondiale (per la minor mortalità per malattie infettive): secondo gli ultimi dati ufficiali sulle cause di mortalità (2011-2014 in base alla nazione), esse sono la prima causa di morte (45% dei decessi verificatisi nel 2008), seguite dai tumori maligni (25%), infezioni delle vie respiratorie e patologie del sistema nervoso centrale. La malattia coronarica è responsabile del 19 % di tutte le morti mentre le malattie cerebrovascolari del 11%. I decessi per MCV sono maggiori nelle donne dove rappresentano il 49% delle morti, mentre negli uomini sono responsabili di circa il 40%. Questa differenza è principalmente dovuta a differenze nella mortalità per malattia cerebrovascolare, che ammonta al 14% nelle donne e al 9% negli uomini1.

Grazie a strategie di prevenzione e a miglioramenti diagnostico-terapeutici, la mortalità CV è diminuita considerevolmente negli ultimi decenni in molti paesi Europei (escludendo la Repubblica Ceca). Esistono però molte differenze tra le varie regioni mondiali nelle statistiche di mortalità CV. Su un totale di 3,8 milioni di morti nei paesi dell'Ue a 15 nazioni (Ue-15, prima del 2004), il 33% di queste sono state causate da MCV (1,3 milioni), rispetto al 38% e al 54% degli analoghi decessi registrati rispettivamente nei Paesi dell'Ue-28 (1,9 milioni) e nelle nazioni non Ue (2,1 milioni)1.

Considerando l’Ue a 15 nazioni il calo a 10 anni degli ASDRs (tassi di mortalità standardizzati per età) per MCV negli uomini varia dal 25.2% dell’Austria al 49.7% del Portogallo, mentre

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8 nelle donne varia dal 25.3% dell’Italia al 42.9% del Portogallo. Il calo nei restanti tredici paesi facenti parte della Ue-28 invece varia per gli uomini tra 13.1% della Slovacchia al 34% della Croazia, mentre per le donne varia tra il 15.5% della Slovacchia al 43.0% nella Repubblica Ceca. Nei paesi Extra Ue, il range di decremento delle MCV è molto inferiore e varia negli uomini fra il 1.3% nel Kyrgyzstan al 56.5% in Kazakistan, mentre nelle donne fra il 6.3% in Kyrgyzstan e il 65.6% in Kazakistan1.

Il miglioramento delle statistiche di mortalità per cause cardiovascolari ha portato, negli ultimi anni, ad un cambiamento del rapporto fra la mortalità per MCV e quella per tumori; si è infatti visto che a partire dal 1998 (in Francia) al 2012 (in Italia) in 12 paesi dell’Ue-15 si è avuto una maggiore mortalità per tumori rispetto a quella per MCV1.

Nei prossimi decenni si prevede un incremento degli ‘’anni di vita aggiustati per disabilità’’ (DALY) (un indice che estende il concetto di anni di vita “potenziali” perduti a causa di una morte prematura, includendo gli anni di vita "sana" persi in virtù del cattivo stato di salute o di disabilità, combinando mortalità e morbilità in un unico indicatore comune) dovuti a MCV, passando da una perdita di 85 milioni di DALY del 1990 ad una perdita di ~150 milioni di DALY nel 2020 a livello mondiale, confermandosi quindi la maggiore causa somatica (non psichica) responsabile della perdita di produttività. Probabilmente a causa della più precoce comparsa delle MCV nel soggetto maschile, si è visto che in tutta Europa gli uomini perdono più DALYs rispetto alle donne per MCV. In Europa solo 5 nazioni hanno DALYs per MCV per 1000 abitanti maggiore di 150: Ucraina (194/1000), Russia (181/1000), Bulgaria (167/1000), Bielorussia (163/1000), and Lettonia (153/1000). Cinque nazioni hanno DALYs per MCV <40/1000 abitanti: Lussemburgo (39/1000), Cipro (37/1000), Irlanda (35/1000), Islanda (32/1000), and Israele (26/1000)2.

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9 2.1.1 Fattori di rischio

I FR per le MCV si possono distinguere in non modificabili e modificabili.

I fattori non modificabili comprendono3-5:

Età: l’invecchiamento è un naturale FR per MCV. Il rischio di ictus raddoppia per ogni decade dopo i 55 anni ed il rischio di eventi coronarici acuti incrementa di 2 volte per ogni decade di vita dopo i 35 anni2,5. L’età cronologica rappresenta uno dei fattori che maggiormente influiscono sul calcolo del rischio per MCV quando vengono utilizzati gli scores che si basano su modelli predittivi di rischio a 10 anni. Per ridurre l’effetto dell’età, nuovi metodi per calcolare il rischio CV sono stati elaborati, basati sul concetto di life-time risk prediction. Questi ultimi, consentono di rimodulare l’effetto dovuto all’età sul rischio CV, consentendo di identificare anche individui giovani a maggior rischio2.

Sesso: determina differenze nella mortalità per MCV in età pre menopausale, dove la donna ha minor rischio rispetto all’uomo. In età post menopausale questa differenza viene meno. Tale differenza è considerata, almeno in parte legata, all’azione protettiva degli estrogeni nei confronti dello sviluppo di MCV3,4.

Etnia: Le persone di origine asiatica o africana hanno un rischio maggiore rispetto alle altre etnie. Sebbene fattori genetici possano influire direttamente sui meccanismi responsabili della diversa evoluzione della malattia aterosclerotica in etnie differenti, un incrementato rischio di ipertensione arteriosa nelle popolazioni di origine africana6 e di diabete in quelle di origine asiatica potrebbe spiegare parte di queste differenze7.

Familiarità: Se un parente maschio di primo grado ha sviluppato una MCV prima dei 55 anni o se una parente di primo grado ha sviluppato una MCV prima dei 65 anni, il rischio di sviluppare una MCV è aumentato. Inoltre, alcuni FR (come diabete di tipo 2, ipercolesterolemia, ipertensione vascolare) hanno una componente ereditaria. Fattori genetici

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10 sono considerati importanti determinanti del rischio legato alla familiarità per patologia CV, sebbene si ritiene che possano influire anche la condivisione di classi socio-economiche e stili di vita in membri della stessa famiglia2.

Dei fattori modificabili fanno parte2,4,8,9:

Ipertensione arteriosa: rappresenta il più importante FRCV. Si stima che in tutto il mondo circa il 54% degli ictus siano da attribuire a valori di pressione arteriosa sub-ottimali. Per i pazienti fra i 40 e i 70 anni per ogni aumento di 20 mmHg di SBP o di 10 mmHg per la DBP (pressione diastolica) raddoppia il rischio nel range di PA tra 115/75 e 185/115 mmHg. Recenti studi hanno dimostrato come la relazione tra valori pressori e mortalità per MCV si spinga ben al di sotto dei limiti di pressione attualmente considerati come indicativi di una diagnosi di ipertensione arteriosa. Questo ha fatto emergere ancora di più come la relazione tra valori pressori e rischio di MCV sia continuo e non legato ad un limite preciso di pressione10,11.

Fumo: Il fumo di sigaretta aumenta il rischio di MCV. È inoltre associato ad un aumento del rischio per qualsiasi tipo di MCV, cardiopatia ischemica, per ictus ischemico e aneurisma dell’aorta addominale. Secondo stime effettuate, il rischio di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni è quasi doppio nei fumatori. Tuttavia, mentre il rischio relativo di infarto miocardico nei fumatori con più di 60 anni risulta raddoppiato rispetto ai non fumatori, nei fumatori al di sotto dei 50 anni è addirittura 5 volte superiore. Il rischio associato al fumo è principalmente legato alla quantità giornaliera di tabacco fumato, con una chiara relazione dose-risposta, senza che vi sia un limite inferiore al di sotto del quale non si verificano effetti deleteri. Di fatto tutti i tipi di tabacco sono nocivi, comprese le sigarette a basso contenuto di catrame (”mild” o “light”), le sigarette con filtro, i sigari e la pipa. Il fumo è deleterio a prescindere da come viene fumato il tabacco, ivi comprese le pipe ad acqua. Il fumo di tabacco è particolarmente dannoso se viene aspirato, ma anche i fumatori che sostengono di non aspirare sono comunque ad aumentato rischio di MCV. Anche la masticazione del tabacco è associata ad un lieve, ma

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11 statisticamente significativo, aumento del rischio di infarto miocardico ed ictus. Un numero sempre crescente di evidenze dimostra che il fumo passivo aumenta il rischio di cardiopatia ischemica con un rischio relativo più alto di quanto ci si potrebbe aspettare. È stato stimato che un non fumatore che vive con un partner fumatore ha un rischio più alto del 30% di MCV e l’esposizione al fumo passivo nel posto di lavoro è associato ad un analogo incremento del rischio. Smettendo il fumare il rischio cala, e dopo 1 anno dall’interruzione il rischio di sviluppare malattia coronarica è dimezzato. Ulteriori evidenze indicano che nell’arco di 10-15 anni il rischio di MCV si avvicina a quello di chi non ha mai fumato, anche se i valori non diventano comunque sovrapponibili2.

Diabete mellito: Il diabete è uno dei principali FR di mortalità e di morbilità CV, e le MCV sono la causa principale di mortalità nei pazienti diabetici. Il rischio CV nel paziente diabetico è 2-4 volte superiore rispetto al non diabetico. In questi pazienti si ha generalmente dislipidemia diabetica che comprende l’aumento delle VLDL (very-low-density lipoproteins) e la diminuzione delle HDL (high density lipoprotein), condizione considerata particolarmente aterogenica. Inoltre, il diabete mellito è associato a obesità, ipertrigliceridemia e ipertensione che sono tutti FR per MCV2,4.

Inattività fisica: ormai numerosi studi epidemiologici hanno osservato un’associazione fra sedentarietà e MCV. Il rischio relativo di morte per malattia coronarica fra pazienti sedentari e pazienti attivi è di 1.9 (95% CI: 1.6-2.2); Studi mostrano che svolgere più di 150 minuti/settimana di attività fisica moderata o un’ora di attività fisica intensa giornalmente riduca il rischio di malattia coronarica di circa il 30 %12.

Obesità: È associata allo sviluppo di diabete e di ipertensione arteriosa. Oltre a questo è anche un FR indipendente per MCV. Studi dimostrano che un BMI aumentato (>25 kg/m2) durante l’adolescenza è associata a un maggior rischio di sviluppare una malattia coronarica in età adulta13.

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12 Alterazioni lipidiche: Sia elevati livelli di colesterolo LDL (low density lipoproteins) sia bassi livelli di colesterolo HDL (high density lipoproteins) sono correlati ad un incrementato rischio di MCV. Nelle metanalisi di numerosi studi è stata evidenziata una chiara riduzione dose-dipendente del rischio relativo di eventi cardiovascolari al decrescere dei livelli di colesterolo LDL. Ad ogni decremento dei livelli di colesterolo LDL di 1.0 mmol/l (~40 mg/dl) corrisponde una riduzione della mortalità CV e del rischio di infarto miocardico non fatale del 20-25%. Recenti studi hanno confermato che una riduzione del colesterolo LDL a valori ≤1.8 mmol/l (~70 mg/dl) conferisce il maggiore beneficio in termini di riduzione del rischio di eventi cardiovascolari ricorrenti in popolazioni di pazienti in prevenzione secondaria. Pertanto, nei pazienti con un rischio CV molto elevato, l’obiettivo terapeutico secondo l’ISS (Istituto Superiore della Sanità) per il colesterolo LDL è rappresentato da valori <1.8 mmol/l (~70 mg/dl).I livelli di HDL sono fisiologicamente più alti nelle donne per l’azione degli estrogeni e questo potrebbe rappresentare uno dei meccanismi di protezione CV degli estrogeni nelle donne in età premenopausale2,3.

L’efficacia della terapia farmacologica basata sull’abbassamento dei livelli di LDL nel ridurre l’incidenza e la mortalità delle MCV è stata dimostrata da molti trial clinici e ha confermato il ruolo centrale del colesterolo, soprattutto LDL, nel favorire l’inizio e l’evoluzione dell’aterosclerosi14.

Sindrome delle apnee notturne: L’apnea ostruttiva del sonno è caratterizzata dal ripetuto collabimento, parziale o completo, delle vie aeree superiori durante il sonno e colpisce il 9% delle donne adulte e il 24% degli uomini adulti. Si ritiene che l’iperattivazione simpatica, i picchi ipertensivi e lo stress ossidativo provocati dal dolore e dagli episodi di ipossiemia in associazione ad alti livelli di mediatori dell’infiammazione possano favorire la comparsa di disfunzione endoteliale ed aterosclerosi. La presenza di apnea ostruttiva del sonno è risultata associata ad un aumento del 70% del rischio relativo di morbosità e mortalità CV2.

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13 Alcol: l’assunzione di alcol in quantità moderate (meno di due-tre UA (unità alcoliche, corrispondente ciascuna a 12g di etanolo) al giorno per gli uomini e meno di una-due UA per le donne) sembra avere effetti positivi sul sistema CV. Al contrario, un elevato consumo di alcol aumenta il rischio di sviluppare MCV. Parte di questo effetto si ritiene essere legato al rialzo dei livelli di trigliceridi ematici e dal ridotto introito calorico giornaliero8.

2.1.1.1 Scores predittivi di rischio cardiovascolare

La stratificazione del rischio CV è una procedura assai complessa, che richiede l’utilizzo costante e standardizzato di metodologie diagnostiche strumentali. L’incoraggiamento alla stima del rischio globale quale strumento essenziale per orientare il trattamento ha rappresentato una pietra miliare delle linee guida sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari sin dalla loro prima edizione; questo perché il rischio CV è generalmente il risultato dell’effetto combinato di diversi fattori di rischio che possono interagire, talvolta con effetto moltiplicativo e non semplicemente sommatorio. Sebbene spesso i medici richiedano l’indicazione di valori soglia ai quali attenersi per avviare un intervento preventivo, questo risulta problematico, poiché il rischio si configura come un continuum e non esiste alcun valore specifico che determini, ad esempio, quando un farmaco sia automaticamente indicato o quando i consigli sullo stile di vita possano rivelarsi inutili. Proprio per questi motivi, per stimare il rischio CV globale, sono stati messi a punto e validati specifici algoritmi che vanno a considerare l’effetto della combinazione dei vari FR. E’ importante sottolineare che questi algoritmi, sviluppati in popolazioni diverse, utilizzano parametri differenti per la stima del rischio coronarico o CV. Questa differenza può essere in parte attribuita al fatto che in popolazioni diverse i vari parametri possono avere una differente rilevanza, ad esempio perché

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14 interagiscono con assetti genetici peculiari, o con stili di vita, condizioni ambientali, climatiche, socioeconomiche differenti2.

Fra gli algoritmi di rischio più utilizzati vi sono il FRS (Framingham Heart study Risk Score), lo SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation) o la sua versione elettronica interattiva, l’Heart Score e il progetto Cuore (che è il sistema di risk score dell’Istituto Superiore della Sanità). Il Framingham Risk Score e il progetto Cuore valutano la probabilità sia di eventi fatali che non fatali, mentre lo SCORE solamente quella per eventi fatali.

Framingham’s score: Il Framingham Risk Score è basato sullo studio di 5,345 soggetti del Framingham Heart Study ed è stato il primo risk score calcolato; questo studio è iniziato nel 1949 nella cittadina di Framingham (Stati Uniti) come uno studio di popolazione dagli obbiettivi decisamente ambiziosi: classificare ed analizzare i dati di migliaia di persone (sia sane sia malate) per scoprire se, ed in che misura, diversi FR influenzassero lo sviluppo, anche dopo anni, di eventi cardiovascolari (infarto, angina, ictus). Già dopo pochi anni era divenuto chiaro che, oltre all'età ed al sesso, anche i livelli di pressione arteriosa, di colesterolo totale ed il fumo di sigaretta costituivano FR certi per lo sviluppo di coronaropatie. Per conoscere con precisione il peso dei singoli fattori, tra il 1968 ed il 1975 è stato necessario iniziare la raccolta di dati da un secondo gruppo di persone (detto Framingham Offspring Cohort) ed unirli con quelli del primo gruppo più recente. Le analisi effettuate hanno consentito di elaborare formule sempre più precise in grado di calcolare il Rischio Assoluto di sviluppare una patologia coronarica partendo da pochi fattori noti (età, pressione arteriosa, fumo ecc.). Storica è stata la formula pubblicata nel 1987 che fornisce uno strumento relativamente valido per prevedere il rischio coronarico a 6 anni. Negli anni '90 dai dati congiunti del Framingham Heart Study e del Framingham Offspring Cohort fu elaborata una funzione del rischio in grado di formulare previsioni per periodi variabili, fino ad un massimo di 12 anni (rispetto ai 6 iniziali) su pazienti di età compresa tra i 30 e i 74 anni15. Il FRS definisce il rischio di avere una malattia coronarica

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15 a 10 anni, utilizzando come parametri l’età, il sesso, il colesterolo totale, il colesterolo HDL, il fumo, la pressione arteriosa sistolica, l’utilizzo di terapia antiipertensiva16.

Il limite dello score formulato dal Framingham study risiede nella sua scarsa applicabilità alla popolazione europea, in particolare quella sud-europea e, nella fattispecie, quella italiana (ne sovrastima il rischio), dal momento che è stato formulato per una popolazione di ipertesi nordamericani, con FR ben superiori a quelli medi europei. Tale score è, inoltre, criticabile in quanto non tiene conto di alcuni FR aterosclerotico importanti quali la familiarità per malattie cardiovascolari e il peso corporeo; inoltre tra le variabili prese in esame non è compresa la qualità di vita (attiva o sedentaria) che può essere comunque considerata importante ai fini della valutazione preventiva del rischio17.

Dalla stessa popolazione del Framingham Heart Study, è stato estratto un campione di soggetti per calcolare il rischio per malattie cerebrovascolari in un arco di tempo di 10 anni. Gli stessi elementi usati per la definizione del rischio CV sono stati presi in esame per quello cerebrovascolare, con particolare peso per l’età, il fumo, la presenza di danno d’organo cardiaco. Più di recente, modificando i dati ottenuti dal Framingham Heart Study, Ambrosioni ha adattato alla popolazione italiana il calcolo del rischio per malattie cerebrovascolari, nello studio Forlife. Si tratta di uno studio multicentrico osservazionale di tipo trasversale, per la valutazione del rischio assoluto di ictus, condotto su pazienti ipertesi essenziali trattati e non trattati, reclutati presso gli ambulatori dei medici di famiglia18.

SCORE: Il progetto, interamente realizzato da équipe europee, nasce dall’impossibilità, secondo gli autori, di applicare il Framingham score alle diverse popolazioni europee. Questo vasto gruppo di ricercatori appartenenti a 12 paesi europei differenti (si basa su 12 coorti di studio europee con 205178 persone (88080 femmine e 117098 maschi))19; utilizza come parametri l’età, il sesso, il colesterolo totale, il colesterolo HDL, il fumo, la pressione arteriosa

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16 sistolica ritiene, infatti, che sia necessario non soltanto calcolare uno score esclusivamente europeo, ma differenziarlo a sua volta tra paesi ad elevato rischio CV e quelli a basso rischio, così da ottenere due scale numeriche parallele e distinte. Sono stati esclusi, nella selezione della popolazione da analizzare, i soggetti con pregressi eventi cardiaci e l’outcome è stato definito come la comparsa di eventi cardiovascolari fatali entro 10 anni di follow-up, seguendo la definizione data dalla classificazione delle patologie secondo l’ICD 9 (International Classification of Diseases, IX edizione). Sono state quindi costruite le carte di rischio, usando variabili costanti quali il sesso, l’età, la pressione sistolica e il fumo e aggiungendo come variabile facoltativa o il colesterolo totale o il rapporto tra colesterolo totale e HDL, senza distinguere graficamente tra pazienti diabetici e non. Gli autori, infatti, affermano che il criterio di valutazione diagnostica circa la presenza di diabete mellito, nella popolazione esaminata, non era univoco e spesso i dati relativi a tale condizione morbosa non erano disponibili. Essi concludono, pertanto, che il rischio, a parità di altri fattori, risulta raddoppiato per un uomo diabetico e quadruplicato per una donna diabetica. Tali carte sono state costruite sia per le popolazioni di paesi ad alto rischio (quali Danimarca, Gran Bretagna, Norvegia), sia per quelle a basso rischio (Italia, Spagna e Belgio).

Merito di questo studio consiste nell’aver considerato come outcome la mortalità assoluta per eventi cardiovascolari e non solo quelli coronarici. Da evidenziare, inoltre, la semplicità dello score proposto, paragonabile a quello di Framingham per immediatezza del risultato, ma al tempo stesso applicabile a differenti realtà e con l’aggiunta, in appendice, di alcune indicazioni matematiche per calcolare il rischio stimato a 10 anni di ciascun paziente, calcolandone l’età come numero di anni di esposizione al rischio stesso. In particolare, il considerare l’età non come variabile anagrafica, ma come anni di esposizione al rischio permette di superare uno dei maggiori limiti propri di qualunque score finora formulato: secondo le tabelle dei comuni

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17 score, pazienti anziani, a parità di altri fattori, hanno un rischio necessariamente maggiore rispetto a pazienti più giovani, in virtù del maggior punteggio attribuito agli anni di età.

Il sistema SCORE è stato quindi utilizzato a partire dal 2003 dalla Società Europea di Cardiologia per definire il rischio assoluto di sviluppare un evento CV fatale a 10 anni di distanza utilizzando come parametri l’età, il sesso, il colesterolo totale, il colesterolo HDL, il fumo, la pressione arteriosa sistolica. La soglia del rischio elevato è stata spostata da >20% a >5%. Sicuramente lo SCORE, essendo stato creato solo su dati riguardanti la popolazione europea, tende ad eliminare l’inconveniente della sovrastima del rischio posseduto dalle Carte del Rischio adottate in precedenza derivate dalla funzione di rischio di Framingham. La stima del rischio può essere ulteriormente adattata al singolo Paese attraverso l’utilizzo dei dati ufficiali della mortalità. Come limiti della metodica è stato ridotto il range di età per il quale è stimabile il rischio: da 30-79 anni ai 35-65 dello SCORE20.

Progetto Cuore: In Italia il Progetto Cuore si è basato su 12 coorti di soggetti al Nord, Centro e Sud Italia: studio MONICA (Brianza ‘86, ‘90 e ‘93; Friuli ‘86, ‘89 e ‘94), Brianza-PAMELA, Friuli-Emostatico, MATISS ‘83, ‘87 e ‘93 e Napoli-ATENA. Complessivamente sono stati seguiti 7520 uomini e 13127 donne, di età compresa tra 35 e 69 anni, esenti da precedente evento CV, rispettivamente per un periodo medio di 9,5 e 8,0 anni e sono stati validati 971 primi eventi cardiovascolari maggiori (infarto del miocardio, interventi di rivascolarizzazione, morte improvvisa, ictus emorragico o ischemico fatale e non fatale, interventi di rivascolarizzazione carotidea). Sono stati valutati otto FR: età, sesso, storia di diabete, tabagismo attivo, pressione arteriosa sistolica, colesterolemia totale e HDL e uso regolare di terapia antipertensiva5.

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18 2.1.2 Nuovi fattori di rischio21

Allo scopo di soddisfare la richiesta di un maggior potere di discriminazione del reale rischio CV, nel corso degli ultimi decenni si è assistito al proliferare in letteratura di numerose proposte di nuovi marcatori di rischio CV, divisibili in marcatori di infiammazione (come PCR, fibrinogeno o IL-1β), trombotici (come l’omocisteina) e coinvolti nel metabolismo lipidico (apolipoproteine)20.

Una distinzione importante da sottolineare è rappresentata dalla differenza esistente tra “marcatori” e “fattori” di rischio CV. Nel processo aterosclerotico si individuano infatti già nelle fasi iniziali numerose molecole i cui livelli plasmatici appaiono incrementati, segnalando la presenza di placche ateromasiche, tra le quali il colesterolo LDL e numerosi marcatori di infiammazione, come la PCR e IL-1β. Tra questi biomarkers fino al 2016 dal punto di vista fisiopatologico, solo il colesterolo LDL aveva mostrato un ruolo causale nella patogenesi della placca ateromasica dimostrando l’esistenza di una correlazione diretta tra la sua riduzione e la diminuzione di eventi cardiovascolari, e meritando quindi la denominazione di “fattore di rischio”, mentre la PCR e in generale gli indici infiammatori, in assenza di una sicura dimostrazione di un ruolo causale in tale processo, erano rimasti unicamente “marcatori di rischio”, indicando in modo proporzionale al loro livello plasmatico la presenza e la gravità del processo aterosclerotico. In particolare la PCR veniva vista come un importante marcatore di rischio CV soprattutto per valori <10mg/L che si è visto essere correlati con un rischio di sviluppare MCV in 10 anni aumentato del 4%22.

Infiammazione: grazie ai risultati dello studio CANTOS (Canakinumab Anti-Inflammatory Thrombosis Outcomes Study) che per primo ha dimostrato come una riduzione dell’attivazione dell’IL-1β si associa ad una riduzione degli eventi cardiovascolari, l’infiammazione ha finalmente raggiunto il rango di vero e proprio “fattore di rischio” per l’aterosclerosi. Questo

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19 studio è basato su un trial randomizzato in doppio cieco placebo-controllato di fase III disegnato per valutare l’efficacia dell’anticorpo monoclonale canakinumab (inibitore di IL-1β), in combinazione con una terapia standard, nella prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari. I ricercatori coordinati hanno randomizzato 10.061 pazienti con storia di eventi cardiovascolari, livelli elevati di proteina C-reattiva (>2mg/L) e in trattamento con statine a ricevere, ogni tre mesi, 50, 150 o 300 mg sottocutanei di canakinumab o placebo. Dopo 48 mesi di trattamento, i livelli plasmatici di PCR si sono ridotti rispettivamente del 26% (canakinumab 50 mg), del 37% (canakinumab 150 mg) e del 41% (canakinumab 300 mg). Questo studio ha dimostrato che ridurre i processi infiammatori, indipendentemente dai livelli di colesterolo, riduce anche il rischio CV.È emerso che il trattamento con canakinumab 150 o 300 mg riduce il rischio di un evento CV maggiore rispettivamente del 15 e del 14%, senza impattare minimamente sul quadro lipidico del paziente23.

Iperomocisteinemia: lo score di Framingham sottostima il rischio CV in pazienti con iperomocisteinemia. È stato infatti dimostrato che livelli elevati di omocisteinemia correlano con un aumento di rischio di MCV. L’omocisteina agisce causando infiammazione a livello delle cellule muscolare lisce vascolari, favorendone la proliferazione, disfunzione endoteliale, danno ossidativo e aumento della produzione di collagene nella media vasale24.

2.2 Evoluzione della Malattia Cardiovascolare

La MCV passa attraverso vari stadi evolutivi. Prima di manifestarsi con le sue caratteristiche cliniche tipiche, ha una fase subclinica che può essere valutata studiando (in ordine cronologico di alterazione) la funzione endoteliale, le alterazioni del microcircolo e del macrocircolo. Questa evoluzione segue il susseguirsi delle alterazioni che favoriscono lo sviluppo e l’evoluzione della MCV.

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20 2.2.1 Alterazioni della funzione endoteliale

L’endotelio è costituito dallo strato di cellule che ricopre la parte più interna dei vasi, in diretto contatto con il torrente circolatorio. A causa della sua posizione, ha un ruolo fondamentale nel mediare le interazioni tra circolo ematico e parete vascolare, regolandone le funzioni biologiche25,26. Infatti, mentre fino a pochi anni fa esso veniva considerato come una semplice barriera cellulare tra il torrente circolatorio e la parete vascolare, oggi è noto che è in grado di produrre numerose molecole dalla funzione regolatoria sul tono vascolare, sulla coagulazione, sulla proliferazione di cellule muscolari lisce e sull’infiammazione. Tali funzioni vengono regolate in senso anti-aterosclerotico in condizioni di quiescenza cellulare. Quando invece le cellule endoteliali entrano in contatto con FRCV, modificano il loro fenotipo adottando un fenotipo pro-aterosclerotico. Lo stato di attivazione e modifica della funzione delle cellule endoteliali viene comunemente identificato con il termine di disfunzione endoteliale27 e, da oltre una decade sono state documentate numerose evidenze sperimentali e cliniche che confermano come la presenza di disfunzione endoteliale rappresenti il primum movens del processo aterogenetico, essendo anche coinvolta nello sviluppo di complicanze cardiovascolari28.

La disfunzione endoteliale rappresenta il principale meccanismo con cui diversi FRCV contribuiscono allo sviluppo della aterosclerosi e di tutte le complicanze ad essa correlate. Sebbene i meccanismi attraverso cui l’esposizione ai vari FRCV portano allo sviluppo di disfunzione endoteliale possano essere diversi, essi spesso si traducono in un incremento dei livelli di stress ossidativo, ossia in un’eccessiva produzione di radicali liberi dell’ossigeno a livello intracellulare rispetto alle capacità anti-ossidanti. L’eccesso di radicali liberi svolge un ruolo centrale nel danno endoteliale e nello sviluppo della disfunzione endoteliale. Infatti, i radicali liberi in eccesso si legano e danneggiano rapidamente i principali macrocomponenti della cellula (lipidi, proteine e acidi nucleici), portando ad una alterazione delle loro funzioni

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21 che spesso si traduce in un alterato funzionamento e, nei casi più gravi, morte cellulare. Tra le molecole che risultano maggiormente aggredite dagli effetti negativi dell’eccesso di radicali liberi dell’ossigeno, vi è l’NO, un gas con funzioni fondamentali nella regolazione della funzione endoteliale.

L’NO è prodotto dalla NO sintetasi endoteliale (eNOS) e determina vasodilatazione stimolando la sintesi di cGMP a livello delle cellule muscolari lisce, media i segnali molecolari che prevengono l’interazione di piastrine e leucociti con la parete vascolare e agisce inibendo la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce vascolari. Inoltre, una ridotta produzione di NO a livello endoteliale si associa ad un incrementata attività del nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells (NF-κB) che determina l’espressione di molecole di adesione per leucociti e la produzione di chemochine e citochine pro infiammatorie. Queste azioni promuovono la migrazione dei monociti e delle cellule muscolari lisce vascolari a livello dell’intima e la trasformazione dei macrofagi in cellule schiumose, caratteristiche delle fasi iniziali del processo aterosclerotico. Per queste funzioni, l’NO non solo influisce sul rimodellamento vascolare ed evoluzione della placca aterosclerotica, ma anche sul rischio di complicazioni cardiovascolari.

Una ridotta produzione di NO, nel contesto di un endotelio disfunzionante, favorisce il tono vasocostrittorio e l’ipercoagulabilità piastrinica con possibile formazione di trombi occludenti il lume vascolare, fattori cruciali nella riduzione di flusso ematico a carico dei tessuti con conseguenze ischemiche26-28.

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22 2.2.2 Alterazioni strutturali del microcircolo

Il microcircolo è la parte del sistema circolatorio ''composta da vasi di piccolissime dimensioni (inferiori a 300µm), responsabile non solo della distribuzione del sangue, ma anche delle sue resistenze al flusso, cioè della velocità e della pressione con cui circola nei vasi. La presenza di alterazioni strutturali a livello del microcircolo può essere considerato il primo importante segno di danno d’organo29. L'aumentata resistenza periferica, che è il segno distintivo dell'ipertensione può essere ascritta in gran parte alle conseguenze delle alterazioni funzionali e strutturali nelle arteriole di resistenza.

L'ipertensione è associata a cambiamenti strutturali delle arterie di resistenza, dovuti ad un ispessimento della tonaca media, ad un ridotto diametro del lume e ad un aumento del rapporto media/lume30. Tali cambiamenti sono però preceduti da alterazioni molecolari e di funzione delle cellule “non-endoteliali” che compongono la parete cellulare. In particolare, modifiche nell’espressione e/o nella localizzazione dei componenti della matrice extracellulare sembrano essere le più precoci alterazioni di parete riscontrate nel corso dell’ipertensione31. La fibrosi vascolare comporta l'accumulo di proteine nella matrice extracellulare, soprattutto di collagene, e contribuisce al rimodellamento strutturale e alla riparazione del vaso32. In condizioni fisiologiche l'arteria è costituita da fibre collagene di tipo I e III le quali sono i costituenti principali dell’intima, della media e dell’avventizia, mentre le fibre collagene di tipo IV e V si trovano nelle membrane delle cellule endoteliali e della muscolatura liscia33, insieme ai tipi di collagene I e III34.

La deposizione delle proteine (ad esempio collagene) contribuisce ad un ispessimento della tonaca media. Un aumento della deposizione di collagene è stato dimostrato nella tonaca media vascolare nelle piccole arterie di resistenza di topi trattati cronicamente con AngII, dimostrando come il sistema renina angiotensina aldosterone possa avere un ruolo importante nel favorire

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23 il rimodellamento microvascolare35. È stato dimostrato anche un aumento nell’espressione dell’mRNA e nella sintesi di collagene di tipo I e III nei fibroblasti di pazienti con ipertensione essenziale36.

La crescita cellulare e la deposizione nella matrice extracellulare possono derivare da un aumento della pressione sanguigna o da un aumento di fattori di crescita cellulare come l'endotelina-137, l'angiotensina II38, e le catecolamine tramite interazione con i loro recettori alfa adrenergici39. Un aumento della matrice extracellulare può derivare anche da una riduzione dell’attività delle proteine preposte alla sua degradazione, come ad esempio le metalloproteinasi della matrice (MMP)40.

Le alterazioni molecolari e della biologia cellulare che si manifestano precocemente nel soggetto esposto a FRCV evolvono in alterazioni della struttura vascolare, che coinvolgono cambiamenti nelle caratteristiche di crescita, morte e migrazione cellulare, oltre a modifiche nella sintesi e degradazione della matrice extracellulare. Le alterazioni della struttura vascolare si manifestano prevalentemente in forma di cambiamento dello spessore della parete del vaso come conseguenza dell'aumento della massa muscolare (Figura 1A) o della riorganizzazione di elementi cellulari e non cellulari (Figura 1B). A ciò si può associare anche un’alterazione delle dimensioni del lume vascolare, che può andare incontro a dilatazione (Figura 1D) con possibile aumento del flusso locale (ad es. nel caso di fistola artero-venosa) o ad una riduzione di diametro cui consegue una riduzione del flusso sanguigno e possibile ipossia dei territori vascolari e parenchimali a valle (Figura 1C). La ridotta perfusione tissutale ed il danneggiamento degli elementi parietali possono inoltre favorire ulteriori modifiche dell'architettura della parete vascolare, caratterizzate dalla formazione di neointima, dallo sviluppo di trombosi parietale, dalla migrazione di cellule muscolari lisce vascolari (VSMC), dalla produzione di matrice extracellulare e dall'infiltrazione di cellule infiammatorie (Figure 1E e 1F)41.

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24 Figura 1. Possibili meccanismi di rimodellamento vascolare41.

Nel complesso, questi profondi cambiamenti della struttura del vaso si traducono in un cambiamento nel rapporto tra lo spessore della tonaca media ed il diametro del lume, comunemente chiamato rapporto M/L. Con l’evolversi del danno, esso diventa talmente grave da determinare una progressiva rarefazione capillare a valle, sia per ipossia sia per danno parietale. Inoltre, questi eventi, nel loro complesso, riducono la capacità di autoregolazione del tono vascolare e si traducono in un aumento delle resistenze periferiche.

Il rapporto M/L viene utilizzato come parametro principale nella definizione della severità del "rimodellamento vascolare"42 microcircolatorio e, sulla base dei processi fisiopatologici che sono alla base del cambiamento del rapporto M/L, si distinguono principalmente due tipi di rimodellamento vascolare, chiamati rimodellamento eutrofico e ipertrofico40. Il rimodellamento eutrofico è caratterizzato da un aumento del rapporto tonaca media/diametro del lume (M/L) senza modificazione della quantità totale di materiale nella parete vascolare, come suggerito dai valori di MCSA, simili a quelli riscontrabili nei controlli. Gran parte delle alterazioni strutturali osservabili nella parete vascolare dei pazienti ipertesi essenziali è

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25 attribuibile ad un rimodellamento eutrofico (ovvero un riarrangiamento della stessa quantità di materiale della parete vascolare attorno ad un lume più piccolo), senza crescita cellulare43.

Il rimodellamento ipertrofico è invece caratterizzato da crescita cellulare, dovuta a ipertrofia o iperplasia delle cellule muscolari lisce vascolari o aumento della deposizione di proteine extracellulari. In conseguenza di ciò, si determina un aumento del rapporto M/L associato ad un aumento della MCSA31. Sperimentalmente il rimodellamento ipertrofico si osserva in topi ai quali è stata indotta ipertensione tramite innesto sottocutaneo di minipompe osmotiche a rilascio graduale di Ang II35.

È stato recentemente suggerito che un importante stimolo per il rimodellamento ipertrofico possa essere rappresentato da un aumento dello stress di parete, come conseguenza di un’alterata attività miogena vascolare. La reattività miogena è una risposta vasocostrittoria all’aumento della pressione endoluminale, la quale, rappresenta il meccanismo principale per l’autoregolazione del flusso d’organo o per l’omeostasi della pressione capillare. La perdita di tale attività miogena è stata osservata in pazienti nei quali era presente rimodellamento ipertrofico delle piccole arterie44. Anche l’attivazione del sistema delle endoteline sembra implicato nella genesi del rimodellamento ipertrofico45.

Dal punto di vista funzionale, le conseguenze emodinamiche del processo di rimodellamento microvascolare possono essere molto importanti. Una parete arteriosa ispessita insieme a un lume ridotto, con un conseguente maggiore rapporto M/L, determina un incremento delle resistenze vascolari periferiche e riduce in parte l’apporto ematico ai tessuti periferici, soprattutto in condizioni di stress. Infatti, la presenza di alterazioni strutturali nella microcircolazione può un importante meccanismo di progressione del danno d’organo legato all’ipertensione, favorendo lo sviluppo di cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, decadimento cognitivo e insufficienza renale29,46.

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26 In sintesi, il rimodellamento della parete vascolare è il risultato di cambiamenti nelle componenti cellulari e non cellulari, a seconda del processo patologico che causa i cambiamenti. Cambiamenti nella crescita e nella migrazione di VSMC, disfunzione endoteliale, processi infiammatori e la sintesi o la degradazione delle componenti della matrice extracellulare possono essere presenti durante il processo della malattia, dando varie alterazioni strutturali41.

Le principali manifestazioni cliniche del rimodellamento vascolare quindi, includono un progressivo ispessimento ed incremento della rigidità parietale. Metodiche che consentano di monitorare l’evoluzione di tali cambiamenti nella fisiologia e struttura vascolare consentono di monitorare il danno vascolare precoce, prima ancora che si manifesti dal punto di vista clinico.

2.2.3 Alterazioni strutturali del macrocircolo

Una delle prime manifestazioni dell’alterazione delle componenti strutturali della parete vascolare, in particolare collagene ed elastina, è la riduzione della compliance arteriosa47. Il contenuto relativo di elastina e collagene nella parete vascolare è normalmente reso stabile da un lento ma dinamico processo di produzione e degradazione che, se alterato, porta all'irrigidimento vascolare. La perdita di questo equilibrio è influenzata da forze emodinamiche, come la pressione endoluminale, ma anche da fattori "estrinseci", come ormoni, natriemia, glicemia e stimoli infiammatori.

La rigidità arteriosa (arterial stiffness) è inoltre determinata anche dai segnali delle cellule endoteliali e dal tono delle cellule muscolari lisce, influenzate dall'attività del sistema nervoso autonomo, dal pattern ormonale, da sostanze vasoattive prodotte localmente e dai farmaci.

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27 Accanto ad una riorganizzazione delle componenti parietali, si assiste spesso ad un lento processo di incremento dei diametri del vaso come risultato del carico emodinamico non più attutito da una parete particolarmente rigida, che comporta un incremento delle forze parietali che la parete vascolare deve sostenere. Inoltre, gli strati più interni della parete vascolare, che sono soggetti ai carichi emodinamici maggiori, possono andare incontro ad ispessimento, che spesso si caratterizza per un incremento dello spessore medio-intimale. L’intima costituisce lo strato più interno della parete vasale, delimita il lume ed è formata da un sottile strato di cellule endoteliali che poggia su un altrettanto esiguo strato di tessuto connettivo; funge da rivestimento protettivo e assicura la regolazione del trasporto di materiale tra il sangue ed i tessuti. Le cellule che la compongono svolgono ruoli importantissimi, per certi versi ancora da chiarire, come il rilascio di sostanze paracrine capaci di regolare il flusso ematico. La tonaca media, che costituisce lo strato esterno rispetto all’intima, è invece costituita da fibrocellule muscolari lisce e fibre elastiche; è in genere lo strato più spesso e variabile in base al calibro e al tipo di arteria.

La tonaca media ha lo scopo di conferire al vaso elasticità (nelle arterie di grosso calibro le fibre elastiche sono abbondanti, mentre quelle contrattili relativamente scarse) e contrattilità (nelle arterie muscolari si ha una predominanza del contenuto muscolare liscio rispetto all'elastico). Nell’esposizione prolungata a FRCV, lo spessore medio-intimale della parete vascolare tende ad aumentare. Questo viene considerato una spia precoce dell’evoluzione del processo aterosclerotico, in quanto attribuito al progressivo accumulo di lipidi e cellule infiammatorie nello spazio subendoteliale, associato a proliferazione delle fibrocellule muscolari lisce della parete vascolare.

La sede dove risulta più semplice misurare lo spessore medio-intimale è a livello delle arterie carotidi, visto il loro decorso molto superficiale che le rende facilmente esplorabili con tecniche ultrasonografiche. Un incrementato spessore medio intimale carotideo (cIMT) è stato associato

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28 da un lato all’esposizione a FRCV, dall’altro ad un incrementato rischio di eventi cardiovascolari. Aspetto ancora più importante, è la relazione tra cIMT e funzione endoteliale. Infatti, confermando in parte il ruolo della disfunzione endoteliale nel favorire il processo di rimodellamento vascolare, Halcox e colleghi hanno dimostrato come la severità della disfunzione endoteliale correli con l’entità dell’incremento di spessore medio-intimale carotideo nell’arco di 8 anni48.

Con l’evolversi del danno, le modificazioni della fisiologia della parete vascolare e l’infiltrazione da parte di cellule infiammatorie possono portare all’ulteriore ispessimento e calcificazione delle lesioni e verranno quindi a formarsi vere e proprie placche aterosclerotiche. Nuove metodiche di tomografia assiale computerizzata consentono la definizione precisa della quantità di calcio a livello coronarico, il quale correla strettamente con la severità della malattia aterosclerotica coronarica. Occorre sottolineare che la calcificazione coronarica non è indicativa della stabilità o instabilità di una placca aterosclerotica. Nei pazienti con SCA (sindrome coronarica acuta) è stata documentata una maggiore estensione delle calcificazioni coronariche rispetto ai gruppi di controllo senza cardiopatia ischemica nota ed anche una prevalente componente infiammatoria, che sta alla base del concetto di valutazione del carico totale di placca mediante quantificazione del calcio coronarico. Attualmente si calcola lo Score di calcio coronarico (CACs), considerandolo un marcatore di danno subclinico, questo score ha un ruolo importante nella stratificazione del rischio CV, mostrando un’importante associazione con lo sviluppo a medio-lungo termine di MCV. In uno studio dell’American College of Cardiology Foundation/American Heart Association (ACCF/AHA) su 27662 pazienti si sono confrontati pazienti con uno CACs pari a 0 e pazienti con uno score positivo e si è visto che un suo aumento correla linearmente con il rischio relativo di sviluppo di MCV49.

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2.3 Metodi per lo studio delle alterazioni vascolari precoci dovute

all’esposizione a fattori di rischio cardiovascolare

Nel corso degli ultimi decenni, un numero crescente di metodiche ha consentito di seguire l’evoluzione della patologia aterosclerotica, identificandone le fasi più precoci che precedono di molti anni lo sviluppo di sintomi clinici legati alle complicanze aterosclerotiche. Queste metodiche hanno consentito di comprendere come alterazioni vascolari precoci dovute all’esposizione a FRCV siano identificabili già in età pediatrica, fornendo al tempo stesso importanti informazioni sui meccanismi patogenetici coinvolti nella malattia e sui potenziali effetti protettivi di specifici farmaci. Mentre con alcune di queste tecniche è possibile ottenere sia informazioni funzionali che strutturali a carico dei vasi, altre si focalizzano solamente sull’uno o l’altro aspetto della patogenesi della patologia aterosclerotica.

Di seguito sono riportate brevemente le principali metodiche non invasive che consentono lo studio delle alterazioni vascolari sub-cliniche dovute all’esposizione a FRCV. Esse sono trattate seguendo un ordine che ricalca l’evoluzione della patologia aterosclerotica, iniziando dalla disfunzione endoteliale, proseguendo con le alterazioni microcircolatorie e concludendosi con le alterazioni a carico del macrocircolo.

2.3.1 Funzione endoteliale

La valutazione dell'attività endoteliale in vivo nell'uomo è estremamente difficile: il dosaggio ematico di NO è impossibile, data la sua brevissima emivita. Sebbene sia possibile dosarne i cataboliti stabili (nitriti e nitrati) sia nel plasma che nelle urine o i prodotti del catabolismo della eNOS (citrullina) a livello circolatorio, tutte queste misurazioni risulterebbero inficiate da diversi fattori confondenti e di scarso significato clinico. Pertanto, allo stato attuale delle

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30 cose, le migliori metodiche di indagine della funzione endoteliale sono rappresentate dagli studi di reattività vascolare9.

2.3.1.1 Metodiche per lo studio della funzione endoteliale a livello dei grossi vasi

Flow Mediated Dilation

Un ottimo metodo per stimare la funzione endoteliale è la valutazione della dilatazione dovuta all’incremento di shear stress sulla parete vascolare conseguente ad un incremento di flusso indotto da un breve periodo di ischemia. Tale metodica viene definita flow-mediated dilation (FMD) e rappresenta al giorno d’oggi il miglior metodo non invasivo per studiare la funzione endoteliale a livello dei grossi vasi.

Con il paziente sdraiato in posizione supina su di un letto, si procede nell’induzione di un periodo di 5 minuti di ischemia a carico dell’arto superiore destro tramite l’insufflazione di un bracciale a pressione posizionato immediatamente al di sotto della piega del gomito. Dopo questi 5 minuti il bracciale viene desufflato istantaneamente e, l’incremento di flusso dato dalla vasodilatazione del distretto arterioso periferico induce un incremento shear stress (stress esercitato sulle pareti del vaso dal flusso ematico), che rappresenta il principale stimolo meccanico per la liberazione di NO da parte delle cellule endoteliali. Quindi, quanto maggiore risulta la produzione di NO locale, tanto maggiore sarà la vasodilatazione indotta dell’incremento dello shear stress. Tale vasodilatazione viene registrata tramite una sonda ecografica ad alta risoluzione posizionata 1 cm al di sopra della piega del gomito in corrispondenza dell’arteria omerale. Dato che la disfunzione endoteliale si caratterizza per una ridotta produzione di NO, a parità di stimolo indotto dall’ischemia locale, si verificherà una

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31 minor vasodilatazione in soggetti con maggior disfunzione endoteliale. Il risultato finale, verrà espresso come percentuale di incremento del diametro del vaso rispetto al diametro basale.

Le maggiori problematiche di questa tecnica includono la necessità di operatori altamente qualificati, il reclutamento di grandi popolazioni per gli studi clinici a causa della variabilità e del grado di risposta, il costo dell’apparecchiatura (che include non solo l’ecografo ad ultrasuoni, ma anche un campo per tenere ferma e regolare la posizione della sonda, così come un sistema computerizzato per misurare automaticamente il diametro dell'arteria brachiale per minimizzarne la variabilità) e la cura richiesta per minimizzare l'effetto di influenze ambientali o fisiologiche50,51. Tuttavia, seguendo protocolli standardizzati e con una formazione adeguata, l'FMD ha dimostrato la sua elevata riproducibilità anche negli studi multicentrici52,53.

Coronarografia quantitativa

L'angiografia quantitativa consente di valutare la risposta endotelio-dipendente nella circolazione coronarica a livello dei vasi pericardici (di solito nell'arteria discendente sinistra), misurando il flusso sanguigno coronarico durante l'infusione intracoronarica di sostanze che possono causare vasodilatazione attraverso vie endotelio-dipendenti (acetilcolina) o indipendenti (nitrati, papaverina). Mentre nei soggetti sani l'infusione intracoronarica di agonisti endoteliali produce vasodilatazione, una vasocostrizione paradossa in risposta all'acetilcolina nelle arterie epicardiche è comunemente osservata in presenza di disfunzione endoteliale, a causa dell'effetto diretto del fattore stimolante sulla muscolatura liscia piuttosto che sulle cellule endoteliali54. Questa risposta è stata osservata in pazienti ipertesi essenziali anche in assenza di lesioni rilevabili angiograficamente55-57. Nelle arterie sane, la stimolazione dei recettori α2-adrenergici endoteliali dovuta all'attivazione del sistema simpatico porta al rilascio di fattori iperpolarizzanti (EDHF), con conseguente vasodilatazione. In presenza di disfunzione endoteliale, al contrario, l'attivazione dei recettori α1-adrenergici sulle cellule

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32 muscolari lisce domina la risposta vascolare alla stimolazione simpatica. Quindi una ridotta vasodilatazione con la somministrazione di papaverina58 , durante l'esercizio59 o durante il cold pressure test (immersione della mano in acqua gelida per 60 secondi che innesca un brusco aumento pressorio che si ritiene dipenda dalla vasocostrizione periferica conseguente alla stimolazione di terminazioni afferenti di tipo termo-dolorifico)60 è osservato nei pazienti con ipertensione, rispecchiando le risposte all'acetilcolina61.

2.3.1.2 Metodiche per lo studio della funzione endoteliale a livello dei piccoli vasi

L'evidenza che la disfunzione endoteliale sia un precoce indicatore di danno aterosclerotico e che il microcircolo rappresenti uno dei primi bersagli di tale danno, ha condotto i ricercatori a sviluppare numerose metodiche per poter valutare la presenza di disfunzione endoteliale anche a livello microcircolatorio62.

Dato che questi studi consentono di attivare o bloccare specifiche vie intracellulari coinvolte nel controllo della funzione endoteliale misurando le conseguenti variazioni del tono vascolare in un particolare distretto corporeo, essi hanno fornito negli anni importanti informazioni relative ai meccanismi coinvolti nella disfunzione endoteliale. Il microcircolo periferico può essere studiato a livello dei muscoli periferici (in genere dell'avambraccio), del tessuto sottocutaneo, della cute e del circolo coronarico63.

Studi in vivo invasivi per la determinazione della funzione endoteliale microvascolare a livello del circolo periferico e coronarico

In genere, negli studi in vivo, vengono sfruttati i distretti vascolari dell'avambraccio e del circolo coronarico in quanto, tramite l'arteria brachiale o l'arteria coronarica discendente

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33 anteriore, è possibile infondere agonisti ed antagonisti endoteliali a dosi che non producono modifiche dell'emodinamica sistemica. Essi sono comunque approcci con un certo grado di invasività, in quanto richiedono l'incannulamento di un'arteria brachiale o la cateterizzazione dell'arteria coronarica discendente anteriore (tramite angiografia) per l'infusione intra-arteriosa di farmaci attivi sull'endotelio. Il flusso ematico dell'avambraccio è misurato attraverso pletismografia venosa a strain-gauge, mentre il microcircolo coronarico è valutato tramite tecnica Doppler. Qualsiasi variazione di flusso è indice di variazione delle resistenze locali: un aumento di flusso indica vasodilatazione, mentre una riduzione di flusso indica vasocostrizione64. Nella tecnica strain-gauge, l’incremento di flusso viene stabilito in maniera indiretta sulla base dell’incremento del volume ematico dell’avambraccio, registrato dalla pressione di distensione di un bracciale montato a livello dello stesso.

Studi ex vivo invasivi per la determinazione della funzione endoteliale microvascolare a livello del circolo periferico

Le piccole arterie di resistenza (100-300 μm), ottenute tramite biopsia del tessuto sottocutaneo, possono essere studiate attraverso micromiografia, tecnica definita in-vitro ex vivo. Esistono due varianti della tecnica micromiografica: a fili ed a pressione65. Nella tecnica micromiografica a fili (wired micromyograph) il vaso può essere sottoposto ad uno stiramento meccanico oppure mantenuto ad uno stretch costante, e stimolato a contrarsi, permettendo così la misurazione della tensione attiva sviluppata. Successivamente il vaso, in condizioni di rilasciamento, viene trasferito sullo stativo di un microscopio con lente ad immersione e, mediante un oculare micrometrico, viene valutato lo spessore della parete vascolare, gli spessori relativi delle diverse tonache ed il diametro del vaso66.

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34 La tecnica micromiografica a pressione (Figura 2), invece, prevede l'incannulamento di entrambe le estremità del vaso in esame a due microcannule di vetro all'interno di una camera miografica e ad esse legate attraverso l'utilizzo di un filo di seta. Gli studi vengono effettuati mantenendo una pressione costante di 45 mmHg nell'uomo e 60 mmHg nell'animale all'interno del vaso in esame. Grazie ad un microscopio collegato ad una telecamera, è possibile visualizzare il vaso su monitor; la presenza di un software dedicato permette di ottenere le misurazioni dello spessore della parete del vaso e del suo diametro, informazioni fondamentali per lo scopo dello studio.

Figura 2. Tecnica micromiografica a pressione.

Per la determinazione della funzione endoteliale, invece, l’esperimento inizia con la somministrazione di norepinefrina (NE) nel pozzetto del micromiografo che determina una contrazione vascolare. Successivamente, gli studi di funzionalità endoteliale sono eseguiti osservando al microscopio le variazioni del diametro del lume in seguito alla infusione extraluminale di agonisti ed antagonisti endoteliali.

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35 Gli studi micromiografici in vitro hanno l'indubbio vantaggio di consentire non solo una misurazione precisa ed accurata della funzione endoteliale, ma anche delle caratteristiche morfologiche e funzionali dei piccoli vasi. Inoltre, consentono di studiare numerosi meccanismi fisiopatologici attraverso l'uso di agonisti ed antagonisti selettivi della funzione endoteliale non altrimenti utilizzabili negli studi in vivo. Il limite di questa tecnica, quando applicata all'uomo, è essenzialmente legato alla relativa invasività della procedura, motivo per cui è riservata soltanto a quei pazienti che devono essere comunque sottoposti ad intervento chirurgico in elezione.

Gli stimoli endotelio-dipendenti

Indipendentemente dalla tecnica utilizzata e dal distretto esaminato, le cellule endoteliali possono essere attivate tramite l'infusione di specifici agonisti che agiscono attraverso recettori specifici presenti sulla superficie dell’endotelio - quali acetilcolina (ACh), bradichinina, serotonina o sostanza P, oppure aumentando lo stress parietale tangenziale (shear stress). E' inoltre possibile somministrare altre sostanze in grado di interferire con i processi che inducono vasodilatazione a livello endoteliale o muscolare liscio. Ad esempio, l’utilizzo di N-mono-metil-L-arginina (L-NMMA, in grado produrre inibizione competitiva della eNOS riducendo la biodisponibilità di NO), ouabanina (in grado di determinare iperpolarizzazione delle cellule muscolari lisce vascolari), indometacina (in grado di bloccare l'attività della ciclo-ossigenasi), acido ascorbico (in grado di ridurre lo stress ossidativo) consente di identificare la via intracellulare che risulti maggiormente coinvolta nella determinazione della disfunzione endoteliale in una specifica patologia63,67.

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36 Studi in vivo non invasivi per la determinazione della funzione endoteliale microvascolare a livello del circolo periferico: EndoPAT

Questo dispositivo è stato sviluppato per fornire misure indipendenti dall'osservatore delle variazioni del volume arterioso pulsatile ottenuto mediante pletismografia68. Usando la tonometria arteriosa periferica, la macchina acquisisce le registrazioni battito per battito dell'ampiezza dell'onda del polso arterioso tramite le sonde pneumatiche. Seguendo gli stessi principi della FMD, un bracciale misuratore di pressione viene posto su un avambraccio e gonfiato a una pressione sovra-sistolica per produrre 5 minuti di ischemia seguita da iperemia reattiva. La sonda pneumatica applicata al polpastrello dello stesso braccio registra l'aumento del volume del sangue arterioso che è riflesso da un aumento delle variazioni della colonna arteriosa pulsatile. Per tenere conto di qualsiasi variazione sistemica nel tono vascolare durante il test, il dispositivo centrale corregge questa acquisizione con le registrazioni ottenute da una sonda pneumatica applicata al braccio controlaterale, dove non vengono applicati stimoli.

Mentre la disfunzione vascolare digitale è associata a FRCV tradizionali e metabolici69, sono emerse vari dubbi circa la capacità di questo indice di riflettere la funzione endoteliale, poiché l'aumento dell'ampiezza dell'impulso dopo iperemia reattiva comporta cambiamenti nel flusso e nella dilatazione della microcircolazione digitale che sono solo parzialmente NO dipendenti70. Infatti, due ampi studi trasversali69,71, hanno mostrato modeste associazioni tra la FMD ed EndoPAT, suggerendo che queste due metodologie probabilmente misurano diversi aspetti della biologia vascolare.

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