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Interazione intestino-cervello nei Disturbi dello Spettro Autistico. Correlazione tra sintomi comportamentali e sintomi gastrointestinali in un campione clinico e in un campione di controllo.

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare dell’Area Critica Direttore Prof. Riccardo Zucchi

Corso di Laurea magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

TESI DI LAUREA

Interazione intestino-cervello nei Disturbi dello Spettro Autistico.

Correlazione tra sintomi comportamentali e sintomi gastrointestinali

in un campione clinico e in un campione di controllo.

RELATORE: CANDIDATO: Dott. Fabio Apicella Adele Guidotti

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Indice:

Riassunto ... I Introduzione ... II

1. Disturbi dello spettro autistico ... 1

1.1 Storia del disturbo ... 2

1.2 Criteri diagnostici ... 5

1.3 Caratteristiche dei Disturbi dello spettro autistico ... 7

1.3.1 Comunicazione e interazione sociale ... 10

1.3.2 Interessi e attività ristretti, ripetitivi ... 14

1.4 La diagnosi di ASD ... 16

1.5 Cause. Modelli psicologici ... 18

2. Asse intestino-cervello ... 21

2.1 Disturbi gastrointestinali nei ASD ... 23

2.2 Sintomi GI, psicopatologia e comportamento nei ASD ... 26

3. Disturbi gastrointestinali e sintomi comportamentali nei ASD: uno studio clinico ... 35

3.1 Correlazione tra sintomi comportamentali e sintomi gastrointestinali in un campione clinico e in un campione di controllo. Scopo dello studio ... 36

3.1.1 Materiali e metodi ... 36

3.1.1.1 Partecipanti ... 36

3.1.1.2 Procedure... 37

3.1.1.3 Analisi Dati ... 40

3.2 Risultati ... 40

3.2.1 Prevalenza dei sintomi GI nei due gruppi ... 40

3.2.2 Differenze relative alla presenza di sintomi GI nei due gruppi ... 43

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3.2.3 Correlazioni tra sintomi GI e sintomi comportamentali

nei due gruppi ... 45

3.2.4 Correlazione tra punteggio GI totale della CBCL e punteggio GI totale del GI Severity Index ... 47

3.2.5 Correlazione tra gravità dei ASD e sintomi GI ... 48

3.3 Discussione ... 48

4. Conclusioni ... 53

Bibliografia ... 57

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I

Riassunto

I Disturbi dello Spettro Autistico (ASD) sono disturbi del neurosviluppo caratterizzati da una compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale e da pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi. Nei soggetti con ASD sono frequentemente riportati sintomi gastrointestinali (GI) con una prevalenza maggiore rispetto a soggetti con sviluppo tipico. L’associazione tra le caratteristiche intrinseche del disturbo e la sintomatologia gastrointestinale porta ad un aumento di problematiche a livello comportamentale e psicopatologico, come suggerito da un’ampia letteratura. Attraverso uno studio che ha coinvolto 224 bambini divisi in due gruppi (gruppo “TYP” di bambini con sviluppo tipico e gruppo “ASD” di bambini che hanno ricevuto una diagnosi di ASD) è stato possibile osservare una maggiore prevalenza di sintomi GI nei bambini con autismo. I sintomi più frequenti nei due gruppi sono stati la costipazione, il dolore addominale e la restrizione alimentare. In entrambi i gruppi sono emerse correlazioni significative e positive tra i punteggi GI totali, ottenuti con la CBCL e il GI Severity Index, e i punteggi ottenuti dai bambini alle scale della CBCL che indagano vari ambiti dello sviluppo a livello comportamentale e psicopatologico. È emersa, inoltre, una correlazione positiva e significativa tra i due questionari usati per indagare i sintomi GI. Non è, invece,emersa alcuna correlazione che potesse confermare un’associazione tra la gravità dell’autismo e la presenza di sintomi GI. Questi dati sono, generalmente,in linea con la letteratura presente.

Parole chiave: ASD, sintomi gastrointestinali, GI Severity Index, Problemi comportamentali, asse intestino-cervello.

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II

Introduzione

L’autismo è stato descritto per la prima volta da Kanner nel 1943 come un disturbo innato del contatto affettivo. Ad oggi non parliamo più di autismo ma di disturbi dello spettro autistico, un continuum di compromissioni che coinvolgono vari aspetti chiave nello sviluppo di ogni individuo. L’APA con la stesura del DSM-5 ha trasformato la classica triade sintomatologica tipica di questi disturbi in due criteri essenziali per la diagnosi: un deficit nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale e pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi (APA, 2013). A livello clinico gli individui con ASD mostrano una vasta eterogeneità di manifestazioni, sia per quanto riguarda la gravità che la tipologia. Tra le varie manifestazioni non tipiche ma frequenti di questi disturbi ritroviamo anche una forte prevalenza di disturbi gastrointestinali che va dal 9 al 91% (Black et al., 2002; Ibrahim et al., 2009; Coury et al., 2012; Mannion, Leader, 2014). Da un’analisi della letteratura risulta che i sintomi più frequentemente lamentati dai genitori di bambini con ASD sono la costipazione, la diarrea, il dolore addominale (Mc Elhanon et al., 2014) e, spesso, si trovano anche difficoltà correlate all’alimentazione associate a questi disturbi come la selettività alimentare, il rifiuto per il cibo, allergie alimentari o il rifiuto di inserire cibi nuovi (Johnson et al., 2014; McElhanon et al., 2014; Berding, Donovan, 2016). Una crescente letteratura, inoltre, suggerisce che la presenza di disturbi comportamentali e psicopatologici sia significativamente superiore in bambini con ASD rispetto alla popolazione generale in parte a causa della frequente associazione tra la presenza di un ASD e difficoltà riscontrate nella funzionalità gastrointestinale. Si riscontrano difficoltà di concentrazione, irritabilità, problemi d’ansia e depressione, problemi internalizzanti, problemi esternalizzanti, problemi di regolazione emotiva, lamentele somatiche, comportamenti aggressivi e una maggior prevalenza di comportamenti ripetitivi nei bambini con ASD e sintomi GI. (Buie et al., 2010; Nikolov et al., 2010; Williams et al., 2010; Mazurek et al., 2013; Mannion, Leader, 2014; Fulceri et al., 2016; Prosperi et al., 2017).

Il presente elaborato ha lo scopo di indagare l’influenza reciproca tra intestino e cervello nei disturbi dello spettro autistico e come questa influenza si ripercuote sui

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III

comportamenti e sulle manifestazioni di bambini con diagnosi di ASD. Il primo capitolo è interamente incentrato sui ASD: dopo aver esposto i criteri diagnostici vengono descritte le caratteristiche del disturbo (l’ambito sociale e comunicativo e l’ambito dei comportamenti e degli interessi ristretti e ripetitivi); vengono poi elencati i principali metodi diagnostici e viene fatto un breve cenno ai modelli psicologici che possono spiegare parte delle difficoltà riscontrate nei soggetti con questi disturbi. Nel secondo capitolo, invece, vengono descritti i disturbi gastrointestinali associati ai ASD, la loro prevalenza, la loro frequenza e le conseguenze di quest’associazione a livello alimentare, comportamentale e psicopatologico. Vengono descritti alcuni studi, pubblicati recentemente, che confermano la maggior prevalenza di sintomi GI nei soggetti con ASD rispetto a un gruppo di controllo con sviluppo tipico e l’associazione tra la presenza di questi sintomi e la presenza di problematiche internalizzanti, esternalizzanti, affettive ed ansiose. Nel terzo capitolo viene descritto uno studio che ha avuto lo scopo di indagare la prevalenza di sintomi GI in bambini di età prescolare con una diagnosi di ASD rispetto ad un gruppo di controllo di bambini con sviluppo tipico e di analizzare le correlazioni presenti tra i sintomi GI e i sintomi comportamentali nei due gruppi. Il quarto capitolo, infine è dedicato alle conclusioni.

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1. Autism Spectrum Disorders (ASD), Disturbi dello Spettro

Autistico

I Disturbi dello Spettro Autistico (ASD, Autism Spectrum Disorders) sono disturbi del neurosviluppo caratterizzati da una compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale e da pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi. (American Psychiatric Association, APA, 2013).

Il termine “spettro” si riferisce al continuum di sintomi, difficoltà e competenze che i bambini appartenenti a questa categoria di disturbi presentano. Oltre alla compromissione delle competenze interattive e comunicative, negli ASD sono presenti anomalie di vario tipo delle competenze cognitive, linguistiche, motorie, sensoriali e comportamentali. L’insieme delle difficoltà e dei sintomi risulta in difficoltà globali che questi individui sperimentano nell’affrontare la vita quotidiana, nello stabilire relazioni con le figure di riferimento e con il gruppo dei pari, nel gioco e in tutte le attività sociali. Il termine spettro si riferisce, inoltre, al continuum di gravità e di limitazioni al funzionamento, in ragione del quale è possibile diagnosticare con ASD bambini in cui c’è un deficit marcato della comunicazione e della reciprocità socio-affettiva ed una intensa presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati, così come bambini in cui i sintomi appaiono molto meno severi e le cui caratteristiche sono accompagnate da un livello di funzionamento intellettivo e adattivo. (Vivanti, 2010).

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1.1 Storia della diagnosi di Autismo

Leo Kanner nel 1943 (Kanner, 1943) ha pubblicato “Autistic disturbances of affective contact”, introducendo per la prima volta il concetto di “disturbo autistico” e dando il via ad una vastissima ricerca dedicata a quei bambini che lui stesso ha definito “venuti al mondo privi della capacità innata di formare contatti affettivi” (Volkmar, McPartland, 2014). Kanner nel suo lavoro ha descritto undici casi in modo molto preciso e nella discussione seguente ha riportato come i genitori dei bambini li descrivevano: “autosufficiente”, “come in una conchiglia”, “più felice quando lasciato solo”, “si comporta come se le persone non ci fossero”, “perfettamente ignaro di tutto ciò che ha attorno”, “dà l’impressione di avere una saggezza silenziosa”, “manca nello sviluppo della consueta consapevolezza sociale”, “si comporta quasi come se fosse ipnotizzato” (Kanner, 1943, p. 242). Kanner, inoltre, nella sua sintesi, ha parlato di “desiderio ansiosamente ossessivo per il mantenimento della sameness (immutabilità)” (Kanner, 1943, p. 245) portando alcuni esempi in cui i bambini risultavano molto a disagio o non riuscivano a compiere un’azione se qualcosa nell’ambiente era fuori posto o se non sentivano la stessa frase, che ogni giorno sentivano, prima di compiere quella determinata azione. L’autore ha spiegato alcuni dei comportamenti monotoni e ripetitivi e la “risultante limitazione nella variabilità di azioni spontanee” (Kanner, 1943, p. 246) proprio con il loro timore di cambiare e di incompletezza. Un’altra caratteristica che Kanner ha descritto è il forte interesse per gli oggetti e la buona relazione che i bambini autistici hanno con questi, a confronto con lo scarsissimo interesse mostrato nei confronti delle persone e del mondo sociale. Infine, l’autore ha descritto le buone potenzialità cognitive dei bambini, il fatto che fisicamente apparissero “normali” e l’ambiente familiare che questi bambini avevano alle spalle1, notando, infine, che pochi dei genitori erano “veramente calorosi” (Kanner, 1943, p.250) verso i figli.

Nello stesso anno Hans Asperger ha descritto i suoi pazienti come “affetti da psicopatia autistica” e ha ipotizzato un disturbo genetico alla base dei deficit riscontrati in questi bambini. (Vivanti, 2010).

1 I genitori erano tendenzialmente persone di successo e “altamente intelligenti”, molti di questi laureati e con carriere brillanti (avvocati, professori, medici e ingegneri). (Kanner, 1943, pp. 248).

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Una delle linee di ricerca che si è sviluppata in seguito al lavoro di Kanner è quella portata avanti da studiosi di orientamento psicoanalitico, tra gli altri Bruno Bettelheim, negli anni ’70. L’approccio psicoanalitico poneva tra le probabili cause dell’autismo un particolare stile genitoriale, caratterizzato da anaffettività e freddezza nei confronti del bambino, descritto nei termini “madre frigorifero” da Bettelheim. L’ambiente, inadeguato ed ostile, e le relazioni tra questo ed il bambino erano, dunque, considerati la causa della chiusura e dell’isolamento tipici dell’autismo. In quegli anni, infatti, l’approccio psicoanalitico aveva conquistato un dominio inattaccabile e qualsiasi sintomo psichiatrico veniva interpretato come espressione di un conflitto intra-psichico. L’unica soluzione che è stata trovata, infatti, in quegli anni, per salvaguardare i bambini con questa diagnosi, è stata quella di allontanare la madre, riconosciuta come colpevole del disturbo del figlio, dal proprio bambino. Così facendo, però, sia i genitori che i bambini stessi hanno solamente sofferto ancora di più. Solo quando la ricerca scientifica ha iniziato ad essere inserita anche in ambito psicologico e psichiatrico, è stato possibile allontanarsi da queste concezioni eziologiche, puramente basate su convinzioni ideologiche. Studi successivi, infatti, hanno evidenziato che l’autismo non è la conseguenza di ambienti patologici od ostili. (Vivanti, 2010). Negli anni seguenti sono stati condotti studi controllati per osservare proprio se fosse il comportamento materno a causare l’autismo nei figli e, ovviamente, i dati non hanno mai confermato quest’ipotesi non evidenziando differenze tra i genitori di bambini con autismo e i genitori di bambini con altre disabilità, sia per quanto riguarda le modalità relazionali, sia per le caratteristiche di personalità, sia per lo stile educativo e di accudimento. (Vivanti, 2010). A smentire l’ipotesi causale dell’ anaffettività genitoriale ha contribuito, sicuramente, anche il lavoro di Michael Rutter, che ha, poi, influito sulla stesura del DSM-III. Secondo Rutter, infatti, l’autismo ha una forte base genetica. Questo era stato già osservato da autori come Kanner ed Eisenberg, che , però, non avevano confrontato i dati ottenuti con la popolazione generale e quindi decisero che una prevalenza del 2,3% del disturbo tra i fratelli di bambini autistici non poteva essere predittiva di una forte base biologica del disturbo. Rutter, invece, ha ipotizzato un modello genetico di ereditabilità non su base mendeliana, parlando di responsabilità di una combinazione di geni per spiegare la suscettibilità al disturbo. (Vivanti, 2010). Rutter, nei suoi

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lavori, ha evidenziato tre aree di difficoltà per i bambini con autismo: problemi sociali (non dovuti semplicemente al ritardo intellettivo), difficoltà nell’area del linguaggio o assenza della parola (anche questi non dovuti al ritardo intellettivo) e presenza di comportamenti insoliti e rigidi, riprendendo il concetto di “insistenza sull’immutabilità” di Kanner (Volkmar, McPartland, 2014). Nel 1980 è stata, infatti, riconosciuta la diagnosi di “autismo infantile” nel DSM-III, nella categoria dei “disturbi generalizzati dello sviluppo”.

Con il DSM-III-R il disturbo è stato rinominato “disturbo autistico”, e sono stati individuati sedici criteri, raggruppati in tre categorie: “compromissione qualitativa nell’interazione sociale reciproca, compromissione qualitativa nella comunicazione e limitazione nel repertorio di attività e interessi” (Volkmar, McPartland, 2014). Nel 1994, con la stesura del DSM-IV sono stati inclusi nella stessa categoria dell’autismo il disturbo di Asperger, la Sindrome di Rett e il disturbo disintegrativo della fanciullezza.

Nel DSM-IV-TR non sono state apportate modifiche sostanziali ai criteri diagnostici e quindi al modo di vedere questi disturbi. Un cambiamento è, invece, avvenuto nel 2013 con la quinta edizione del DSM: disturbo autistico, disturbo di Asperger e disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato sono stati fatti rientrare in un’unica categoria: i disturbi dello spettro autistico. La triade di compromissioni, inoltre, è stata riformulata: si trovano ancora i comportamenti ristretti e ripetitivi, mentre i deficit di interazione sociale e comunicazione rientrano in un unico criterio. Sono state, inoltre, incluse tra i criteri dei comportamenti ristretti e ripetitivi le difficoltà sensoriali manifestate con iper- o iporeattività.

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1.2 Criteri diagnostici

Il DSM-5 propone i seguenti criteri diagnostici per l’ASD:

A. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

1. Deficit della reciprocità socio-emotiva, che vanno, per esempio, da un approccio sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione; a una ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti; all’incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali.

2. Deficit dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, che vanno, per esempio, dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata; ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio del corpo o deficit della comprensione e dell’uso dei gesti; a una totale mancanza di espressività facciale e di comunicazione non verbale.

3. Deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni, che vanno, per esempio, dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi contesti sociali; alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare amicizia; all’assenza di interesse verso i coetanei.

B. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

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2. Insistenza nell’ immodificabilità, aderenza alla routine prova di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale.

3. Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità. 4. Iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso

aspetti sensoriali dell’ambiente.

“Specificare la gravità attuale: il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi. 2”

“2 Livelli di gravità:

Livello 1, è necessario un supporto. In assenza di supporto, i deficit della comunicazione sociale causano notevoli compromissioni. Difficoltà ad avviare le interazioni sociali, e chiari esempi di risposte atipiche o infruttuose alle aperture sociali da parte di altri. L’individuo può mostrare un interesse ridotto per le interazioni sociali. L’inflessibilità di comportamento causa interferenze significative con il funzionamento in uno o più contesti. Difficoltà nel passare da un’attività all’altra. I problemi nell’organizzazione e nella pianificazione ostacolano l’indipendenza.

Livello 2, è necessario un supporto significativo. Deficit marcati delle abilità di comunicazione sociale verbale e non verbale; compromissioni sociali visibili anche in presenza di supporto; avvio limitato delle interazioni sociali; reazioni ridotte o anomale alle aperture sociali da parte di altri. Inflessibilità di comportamento, difficoltà nell’affrontare i cambiamenti o altri comportamenti ristretti/ripetitivi sono sufficientemente frequenti da essere evidenti a un osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.

Livello 3, è necessario un supporto molto significativo. Gravi deficit delle abilità di comunicazione sociale verbale e non verbale causano gravi compromissioni del funzionamento, avvio molto limitato delle interazioni sociali e reazioni minime alle aperture sociali da parte di altri. Inflessibilità di comportamento, estrema difficoltà nell’affrontare il cambiamento, o altri comportamenti ristretti/ripetitivi interferiscono in modo marcato con tutte le aree del funzionamento. Grande disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.” (APA, 2013)

C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva).

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D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e i ASD spesso sono presenti in concomitanza; per porre diagnosi di ASD e di disabilità intellettiva, il livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale.

“Nota: gli individui con una diagnosi consolidata DSM-IV di disturbo autistico, disturbo di Asperger o disturbo pervasivo dello sviluppo senza specificazione dovrebbero ricevere la diagnosi di ASD. Gli individui che presentano marcati deficit della comunicazione sociale, ma i cui sintomi non soddisfano i criteri per ASD, dovrebbero essere valutati per la diagnosi di disturbo della comunicazione sociale (pragmatica).

Specificare se:

 Con o senza compromissione intellettiva associata.  Con o senza compromissione del linguaggio associata.

 Associato a una condizione medica o genetica nota o a un fattore ambientale.  Associato a un altro disturbo del neuro sviluppo, mentale o comportamentale.  Con catatonia.”

(APA, 2013).

1.3 Caratteristiche dei Disturbi dello spettro autistico

I primi sintomi vengono solitamente riconosciuti nel secondo anno di vita del bambino, ma a causa dell’enorme eterogeneità di questi disturbi e delle loro

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manifestazioni, non sempre la diagnosi viene fatta in risposta ai primi allarmi riportati dai caregivers. Dagli anni ’90, comunque, la ricerca si è in parte spostata sul riconoscimento degli indici precoci di questi disturbi e da una focalizzazione sui sintomi positivi (stereotipie), più tipici dopo i tre anni in questi bambini, ad un maggior interesse per i deficit mostrati negli ambiti di comunicazione e interazione sociale, rilevabili come deficit della primaria intersoggettività3. Questi comportamenti orientati allo scambio e alla socialità non sono assenti nei bambini con ASD, ma sono molto meno frequenti rispetto ai bambini a sviluppo tipico e raramente compaiono su iniziativa spontanea del bambino. (Muratori et al., 2009). I genitori possono riportare di aver notato nel loro bambino una perdita graduale o rapida di abilità precedentemente acquisite o un ritardo nello sviluppo di abilità linguistiche o sociali. Nel caso in cui le abilità siano perse, i bambini mostrano uno sviluppo apparentemente nella norma durante il primo anno di vita e in seguito avviene un’improvvisa perdita delle competenze linguistiche. (Muratori et al., 2009). I primi sintomi dei ASD sono solitamente un ritardato sviluppo del linguaggio; scarsi interessi per le interazioni sociali e gli stimoli sociali, mentre è presente un normale interesse per oggetti; scarsi comportamenti imitativi, probabilmente dovuti a un deficit di “attenzione verso stimoli sociali” (Muratori et al., 2009) ; modalità di gioco inusuali e modalità di comunicazione insolite. Nelle fasi precoci dello sviluppo le preferenze per alcuni oggetti e i comportamenti ripetitivi sono frequenti sia nei bambini a sviluppo tipico che nei bambini con ASD perciò la distinzione clinica è basata soprattutto sulla frequenza e l’intensità di questi comportamenti. (APA, 2013). Una caratteristica che, invece, è possibile notare fin dai primi mesi di vita è una carenza progressiva nell’attenzione a stimoli sociali. Questo comportamento spontaneo inizia a svilupparsi nel bambino molto piccolo con le prime interazioni faccia a faccia con la madre e altri caregivers: il bambino risponde con un sorriso o una risata alle facce e alle vocalizzazioni a lui familiari. Questi deficit primari sono ritenuti in parte responsabili delle successive difficoltà di questi bambini di

3 Particolare sincronia tra le espressioni facciali, vocali e gestuali dei lattanti e quelle delle loro madri. (Muratori et al., 2009).

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sviluppare un adeguato linguaggio funzionale e relazioni con i pari per loro soddisfacenti. (Johnson, M. Myers, 2007).

I deficit di comunicazione possono esprimersi con un mancato uso della parola, un carente desiderio di iniziare e portare avanti uno scambio comunicativo e con pochi o assenti comportamenti non verbali che possano compensare la mancanza di linguaggio. I bambini con ASD possono presentare ecolalia ma alcuni autori sostengono che le espressioni ecolaliche di questi bambini siano intenzionali piuttosto che semplicemente automatiche (Bara et al., 2001). Possono, inoltre, produrre parole in modo spontaneo ma senza alcun intento comunicativo o decontestualizzato (“pop-up words”). (Johnson, M. Myers, 2007). I disturbi del linguaggio nei bambini con ASD sono evidenti soprattutto ad un livello semantico e pragmatico. A quest’ ultimo livello i deficit sono collegati ad una difficoltà nell’inferire pensieri e sentimenti altrui e nell’interpretare gli aspetti non verbali del linguaggio (Bara et al., 2001).

I comportamenti ristretti e ripetitivi sono espressioni caratterizzate da alta frequenza, estrema ripetizione senza variazioni e desiderio che il contesto non cambi. Il focus attentivo e di interesse è ristretto, gli interessi e le attività sono inflessibili e perseveranti e c’è un forte desiderio che l’ambiente rimanga fisso e non cambi. L’aspetto ripetitivo si esprime con stereotipie motorie ritmiche, linguaggio ripetitivo e rituali. (Leekam et al., 2011).

“The autistic child desires to live in a static world, a world in which no change is tolerated. The status quo must be maintained at all cost. Only the child himself may sometimes take it upon himself to modify existing combinations. But no one else may

do so without arousing unhappiness and anger. It is remarkable the extent to which children will go to assure the perseveration of sameness.4 Kanner, 1973” (Leekam et

al., 2011).

4 “Il bambino autistico desidera vivere in un mondo statico, un mondo in cui nessun cambiamento è tollerato. Lo

status-quo deve essere mantenuto ad ogni costo. Solo il bambino stesso può, talvolta, prendersi l’onere di modificare le combinazioni esistenti. Ma nessun altro può farlo senza che si scatenino in lui rabbia e infelicità. È notevole la misura in cui i bambini tenderanno ad assicurarsi il mantenimento della sameness (immodificabilità)”.

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1.3.1 Comunicazione e Interazione sociale

Le prime difficoltà che, spesso, i genitori riportano ai colloqui iniziali per quanto riguarda lo sviluppo del loro bambino, sono nell’ambito del linguaggio e della comunicazione. L’autismo è, infatti, quasi nella totalità dei casi, associato a deficit nello sviluppo del linguaggio e della comunicazione. Questi deficit sono eterogenei e possono essere solo lievemente accennati o estremamente presenti, tanto da portare a un completo isolamento verso un mondo fatto di atti comunicativi. Alcuni bambini con ASD non sviluppano mai alcun tipo di linguaggio verbale, altri bambini sviluppano queste competenze tardivamente rispetto ai bambini a sviluppo tipico, altri bambini ancora sviluppano una pare del linguaggio verbale ma vanno poi in contro ad una regressione improvvisa. Oltre a un deficit nel linguaggio verbale nell’autismo sono presenti difficoltà nell’ambito della comunicazione non-verbale e della comprensione degli aspetti “sociali” e pragmatici. Le difficoltà in questi bambini, infatti, più che il versante formale del linguaggio (morfologia, fonologia, sintattica e regole grammaticali) colpiscono l’uso della comunicazione linguistica, gli aspetti pragmatici e contestuali della comunicazione. Questi deficit possono essere associati ai deficit primari di intersoggettività: il linguaggio dei bambini a sviluppo tipico, infatti si fonda e si sviluppa anche grazie all’orientamento preferenziale verso la voce umana, i volti umani e il contatto fisico. Nei bambini con ASD questa preferenza per gli stimoli sociali non è così presente e si osserva anche un minor interesse verso il “motherese”, la modalità linguistica con cui i genitori sono soliti rivolgersi ai bambini. (Paul et al., 2007; Vivanti, 2010). Questo deficit di orientamento riduce la quantità di stimoli di natura sociale che arrivano al bambino, che quindi non riesce a sincronizzarsi con il genitore, non crea una condivisione affettiva e non è in grado di usufruire di ogni scambio interattivo per sviluppare le proprie competenze comunicative (Colombi et al., 2007).

Un altro aspetto in cui è possibile notare un deficit nei bambini con ASD, essenziale per lo sviluppo di abilità sociali e comunicative, è l’attenzione condivisa, un’ abilità che si acquisisce pienamente intorno ai 18 mesi (Carpendale, Muller, 2004). Questa competenza è osservabile sia in risposta agli stimoli proposti da

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qualcuno, sia come un comportamento di iniziativa del bambino: seguire lo sguardo, il movimento della testa e il gesto indicativo del genitore sono comportamenti di risposta che permettono una condivisione di quello che viene proposto al bambino; indicare un oggetto o un evento (pointing), utilizzare lo sguardo e il movimento per creare una condivisione con l’altro sono, invece, parte dell’”iniziativa di attenzione condivisa” (Vivanti, 2010). Un deficit di attenzione condivisa non riguarda solo un generico deficit sociale, ma porta ad ulteriori deficit nella sfera linguistica, comunicativa e delle abilità simboliche. È stato, infatti, osservato nei bambini con ASD un deficit nella capacità di associare un simbolo ad un concetto e nell’utilizzo di un sistema simbolico astratto (Mundy et al., 2009). Questo genere di difficoltà può ampiamente spiegare una parte delle difficoltà di questi soggetti nell’uso di un vocabolario di simboli e nella comprensione di frasi e concetti di diverso genere.

Un’altra caratteristica tipica dell’autismo è la presenza di ecolalia: la ripetizione di suoni, singole parole o intere frasi. Questo fenomeno può essere immediato o differito. Nella forma immediata il soggetto ripete il suono, la parola o la frase subito dopo averla sentita, nel secondo caso, invece, il soggetto ripete l’elemento linguistico molto tempo dopo aver sentito. Questo fenomeno potrebbe essere associato alla tipica caratteristica dei soggetti con ASD di ripetere e imitare in modo rigido movimenti ed azioni e quindi potrebbe essere collegato ad un meccanismo di autostimolazione, soprattutto quando il bambino ripete in modo ossessivo ciò che ha sentito. Alcuni studi, però, evidenziano che non tutte le forme di ecolalia sono prove di intento comunicativo, ma che talvolta questa forma di espressione può essere indicativa di un tentativo di esprimere bisogni o messaggi. (Vivanti, 2010).

Il principale deficit dei bambini con ASD, comunque, riguarda il mancato sviluppo dell’interazione sociale. Questi bambini sembrano non avere il desiderio di interagire con gli altri, non imitano i comportamenti altrui, non condividono emozioni e tendono ad evitare il contatto. (Fabbro, 2012). Non ci sono evidenze certe che prima dei quindici mesi ci sia uno sviluppo anomalo delle competenze cosiddette “sociali”, ma sicuramente da quest’età in poi si possono osservare numerosi deficit in comportamenti che per i bambini a sviluppo tipico sono fisiologici ed automatici. Klin e colleghi (2009) hanno osservato che i bambini con ASD tendono ad orientarsi

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in modo preferenziale verso stimoli caratterizzati da una contingenza perfetta (due eventi sincroni e corrispondenti) ed ovviamente le interazioni sociali non sono contingenze perfette, visto che sono estremamente variabili. Al contrario i bambini con sviluppo tipico sono portati ad orientarsi soprattutto verso stimoli sociali, movimenti biologici e azioni sociali. Nei bambini a sviluppo tipico sembra esserci “una sorta di motivazione primaria alla formazione di un legame esclusivo con un adulto della stessa specie” (Barone, 2009), caratteristica che dai 15 mesi risulta, invece, deficitaria nei bambini con ASD. Uno dei primi segnali di orientamento a stimoli sociali è la risposta del sorriso, che intorno ai due mesi di vita inizia ad essere una risposta a stimoli quali il volto materno, la sua voce e il suo sguardo. Dal terzo mese di vita, poi, diventa uno strumento per raggiungere uno scopo, che può essere l’avvicinamento della madre (Barone, 2009). Un altro segnale comunicativo che si sviluppa precocemente è l’imitazione, un mezzo con il quale i bambini riescono ad apprendere dagli adulti. Questa abilità svolge un ruolo cruciale nello sviluppo cognitivo, emotivo e sociale e ciò che risulta essenziale, oltre all’atto motorio imitativo in sé, è l’esperienza che il bambino sperimenta: un’esperienza di contatto con un’altra persona, una sorta di rispecchiamento (Barone, 2009). Secondo alcuni autori, infatti, i bambini con ASD avendo deficit di imitazione, perderebbero anche tutta la parte di comunicazione affettiva e di regolazione emotiva che caratterizzano gli scambi con la madre. Questi deficit di imitazione, inoltre, potrebbero portare alle difficoltà riscontrate in questi bambini nel costruire un’intersoggettività e una teoria della mente (Vivanti, 2010).

Dal sesto mese di vita in poi i bambini iniziano ad inserire nel loro campo attentivo qualcosa di diverso rispetto alla loro madre. La comunicazione da diadica si trasforma in triadica grazie allo sviluppo dell’attenzione condivisa. Ciò che sancisce questo cambiamento è il comportamento di risposta al nome che si sviluppa intorno agli otto mesi: il bambino mentre è impegnato in un’azione con un oggetto diverso dalla madre, sentendo un richiamo da parte di questa, interrompe la sua attività e dedica la sua attenzione al genitore che lo ha chiamato (Muratori et al., 2009). Questo comportamento di risposta al nome, risulta però scarso o assente nei bambini con ASD (Nadig et al., 2007). Grazie all’attenzione condivisa il bambino può mostrare un evento o un oggetto per lui interessante alla madre per renderla

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partecipe, può richiedere un oggetto, può condividere un evento piacevole con lei e quindi creare uno scambio emotivo. Nei bambini con ASD, però, si osserva già dal primo anno di vita un sostanziale disinteresse per le persone ed i loro volti rispetto agli oggetti, se messi a confronto con bambini a sviluppo tipico. Questa carenza di attenzione per gli stimoli sociali, ovviamente, impedisce ai bambini di creare interazioni significative dettate da sguardi, sorrisi ed espressioni facciali. Inoltre, è stata osservata una difficoltà nello spostare l’attenzione da un oggetto all’altro o da un’azione all’altra nei bambini con ASD. Questa difficoltà si associa ad un’altra caratteristica fondante di questo spettro di disturbi: l’interesse ristretto e ripetitivo per oggetti o attività (Muratori et al., 2009).

Un altro comportamento che risulta deficitario nei bambini con ASD, sostenuto dall’attenzione condivisa, è il pointing (gesto di indicare). Il pointing è un comportamento che può sottintendere due funzioni: il pointing dichiarativo è utilizzato dal bambino per mostrare qualcosa, il pointing richiestivo è, invece, usato per chiedere qualcosa e si sviluppa prima. Il dichiarativo, infatti, implica la consapevolezza nel bambino di poter influenzare lo stato attentivo altrui. Diversi studi mostrano che i bmabini con ASD non hanno deficit importanti nell’uso del pointing richiestivo, mentre mostrano carenze nello sviluppo del dichiarativo. (Gulsrud et al., 2014; Bruinsma et al., 2004). L’assenza di pointing dichiarativo, essenziale per l’intersoggettività secondaria e l’attenzione condivisa, è quindi un importante segnale a cui prestare attenzione nel secondo anno di vita del bambino. Dai dieci mesi di vita, poi, si sviluppa nel bambino il riferimento sociale, un fenomeno per cui quando il bambino si trova davanti ad un oggetto o ad un evento sconosciuto, guarda la madre e reagisce in base alla sua reazione emotiva, ricercando un’indicazione per decidere se avvicinarsi o allontanarsi (Barone, 2009). Nei bambini con ASD anche questa caratteristica risulta deficitaria o assente e questi bambini sembrano rispondere meno alle diverse espressioni emotive rispetto ai bambini a sviluppo tipico (Vivanti, 2010).

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1.3.2 Pattern di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi

Il secondo criterio diagnostico riguarda tutti quei comportamenti stereotipati e auto stimolatori che i bambini con ASD mettono in atto, gli interessi rigidi e talvolta ossessivi per degli oggetti o parti di essi che risultano evidenti e le attività routinarie da cui fanno fatica a staccarsi. I bambini con ASD mostrano spesso un forte interesse per oggetti particolari, che spesso non corrispondo agli oggetti di interesse dei bambini a sviluppo tipico (bambole, pupazzi, giocattoli vari) ed usano questi oggetti in modo insolito, strofinandoli, mettendoli in fila, facendoli ruotare e soffermandosi sulle loro caratteristiche sensoriali e fisiche. Per quanto riguarda i comportamenti stereotipati, i bambini con ASD tendono ad eseguire movimenti con il corpo o parti di esso ripetitivi e stereotipati, che sembrano non avere alcuna utilità. I comportamenti più comunemente riscontrati sono: oscillazioni del corpo, sfarfallii delle mani, movimenti delle dita, contrazioni muscolari, dondolii, sfregamenti contro oggetti o tessuti, camminata in punta di piedi, rotazione di oggetti. (Strepparava, Iacchia, 2012). Tutti questi comportamenti sono riconducibili a deficit nella percezione sensoriale, nell’integrazione ed elaborazione delle informazioni. Fin dalla prima pubblicazione di Kanner, infatti, ci si è soffermati sulle risposte sensoriali atipiche dei bambini con ASD, ma solo nel DSM-5 l’iper- o iporeattività in risposta a stimolazioni sensoriali è stata inserita tra i criteri diagnostici. Il DSM-5 riporta degli esempi: “apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifici, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da movimenti” (APA, 2013). In uno studio di Di Renzo et al. del 2017 è stato indagato il profilo sensoriale di cinquanta bambini con ASD e i risultati hanno indicato che le aree sensoriali maggiormente compromesse sono: “Tattile”, “Iporeattività/Ricerca di sensorialità”, “Filtro uditivo” e “Bassa Energia/Debolezza” della Short Sensory Profile (SSP). (Di Renzo et al., 2017). I comportamenti messi in atto in risposta a stimolazioni sensoriali possono, quindi, essere sia di ricerca che di evitamento, a seconda del profilo sensoriale del bambino. Alcuni autori sostengono che questi comportamenti ripetitivi e stereotipati siano un tentativo dei bambini con ASD di contenere od esprimere una forte attivazione o emozione, altri autori sostengono, invece, che in questi bambini ci sia

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una generale iposensibilità agli stimoli ed, infine, alcuni sostengono che il problema in questi bambini sia la mancata integrazione degli input provenienti da diversi canali di stimolazione sensoriale (Vivanti, 2010). Olga Bogdashina sottolinea che le esperienze sensoriali che i soggetti con ASD sperimentano sono estremamente variabili: sia per quanto riguarda il livello percepito di stimolazione, sia per quanto riguarda il canale sensoriale più colpito, sia per quanto riguarda l’incoerenza delle percezioni. Tutti i sensi possono, infatti, essere interessati, ma in modo diverso tra una persona e l’altra: ad un soggetto possono estremamente disturbare la luce che filtra dalle tende o il suono del clacson, mentre un altro soggetto può esserne attratto. Al di là delle differenze tra una persona ed un’altra, ciò che va sicuramente notato è la fluttuazione tra iper- ed iposensibilità in una stessa persona. Un soggetto, infatti, può sembrare sordo in un momento e, in un altro momento, può reagire ad una minima stimolazione acustica, dimostrando una forte iper-sensibilità. Alla base ci sarebbe un disturbo della modulazione sensoriale che porterebbe, poi, ai deficit di comunicazione, interazione sociale e ai comportamenti ristretti e ripetitivi. Oltre alla fluttuazione tra iper- ed iposensibilità si può osservare un’oscillazione tra un’alterazione della sensibilità ed una fase invece di “normalità”. Donna Williams, infatti, paragona l’autismo ad un’altalena: si è costantemente in alto o in basso, tranne quando l’altalena passa dal punto centrale, in cui si ha un assaggio della normalità ed è come un’uscita dall’autismo. (Bogdashina, 2003).

Per spiegare le difficoltà di questi bambini di elaborare la complessità di un evento o di un oggetto, mentre si soffermano su particolari o singole parti dell’oggetto, è stata preso in considerazione un deficit che questi soggetti potrebbero avere nella coerenza centrale. La coerenza centrale è un processo, definito da Uta Frith, che indica la capacità innata dell’essere umano di fare una sintesi degli elementi costitutivi di un percetto per permettere l’estrapolazione di un significato e l’integrazione di più dettagli in un unico insieme, in un’unica scena. Frith nel 1989 ha proposto l’ipotesi che nei soggetti con ASD prevalga un’elaborazione degli stimoli a livello locale più che globale. (Vivanti, 2010). Alcuni studi più recenti hanno confermato questa preferenza per un’elaborazione dei dettagli, quindi locale, rispetto ad un’elaborazione globale degli stimoli (Dakin, Frith, 2005; Mottron et al., 2006).

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Un’altra spiegazione ai comportamenti di questi soggetti, legata alla sensorialità, è il concetto di “vulnerabilità al sovraccarico sensoriale”. Questo sovraccarico può essere interpretato sia come effetto di un’ipersensibilità, sia come indipendente da questa ipersensibilità. Olga Bogdashina ha individuato quattro cause di questo sovraccarico: un’incapacità nel filtrare le informazioni; un’elaborazione ritardata delle informazioni (dal momento che questi soggetti per avere un percetto unico e un’interpretazione del tutto devono sostenere un grosso sforzo); il fatto che alcuni soggetti è come se funzionassero solo tramite un canale sensoriale, mentre gli viene richiesto un funzionamento multimodale; una percezione distorta. Questo sovraccarico è l’elemento che, talvolta, conduce ad un “arresto del sistema” : “quando gli input sensoriali divengono troppo intensi e spesso dolorosi, un bambino impara a chiudere i suoi canali sensoriali e a ritirarsi nel suo mondo” (Bogdashina, 2013, p. 97).

1.4 La diagnosi di ASD

L’età media in cui viene fatta diagnosi di ASD è intorno ai tre/quattro anni. I genitori, però, riportano spesso le prime lamentele su ritardi nello sviluppo del bambino o su comportamenti bizzarri che hanno osservato nel loro bambino molto prima di questa età. Da una ventina di anni a questa parte la ricerca scientifica si è, infatti, concentrata soprattutto sull’intervento precoce e in particolare sulla diagnosi precoce, potendo quest’ultima permettere sia di intervenire in tempi più rapidi ritardando o arginando lo sviluppo dei sintomi, sia di creare un vasto campo di studi sui segni precoci di questo spettro di disturbi e su possibili spiegazioni circa l’origine dei deficit.

I dati dell’OMS, aggiornati ad Aprile 2017, evidenziano che un bambino su 160 ha un disturbo dello spettro autistico (OMS, 2017). Questo dato è sicuramente degno di nota e l’aumento dei casi di ASD diagnosticati è stato certamente un incentivo ad un impegno nella ricerca sulla diagnosi precoce e quindi sull’intervento precoce. Nonostante però questo impegno ci sia veramente stato, l’età media in cui il disturbo

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viene diagnosticato rimane alta, rispetto all’età in cui i primi sintomi vengono notati e i genitori si presentano dal medico (Daniels, Mandell, 2014). Anticipare l’età di diagnosi è, infatti, una sfida, in quanto sono coinvolti numerosi fattori: l’inadeguatezza di molti servizi territoriali nell’offrire un servizio rapido ed adeguato alle richieste delle famiglie e alle esigenze intrinseche in questa categoria di disturbi; il tempo eccessivo che intercorre tra la prima consultazione che avviene, normalmente, dal medico di base e le visite successive presso i centri specializzati; le pratiche di screening e valutazione che non sono sempre adeguate ed ottimali. La valutazione di questo spettro di disturbi, infatti, si basa essenzialmente su un’osservazione clinica (non essendoci molti marker biologici indagabili (Muratori et al., 2009), se non alcuni fattori che si ritrovano in un’ampia percentuale di soggetti con ASD come uno sviluppo anormale della circonferenza cranica, maggiori livelli di serotonina e differenze nella struttura cerebrale indagabili con le tecniche di neuroimaging (Veenstra-VanderWeele J., 2012). Tutti questi fattori si sommano, poi, alle caratteristiche stesse del disturbo: un’estrema variabilità nella presentazione dei primi sintomi, nel periodo di insorgenza e nella gravità dei disturbi. Inoltre, questo spettro di disturbi si caratterizza per deficit in competenze che si stabilizzano proprio intorno ai due/tre anni, quindi una valutazione precoce dovrebbe orientarsi soprattutto sull’individuazione di soggetti a rischio (Muratori et al., 2009). I soggetti considerati “a rischio” sono i fratelli minori di bambini con diagnosi di ASD. Il rischio per questi bambini di ricevere una diagnosi di ASD è, infatti, intorno al 10/20 % (Ozonoff et al., 2011) ed, inoltre, tra i fratelli che non riceveranno diagnosi di ASD, una parte mostrerà difficoltà nello sviluppo e tratti subclinici dello spettro autistico (Ozonoff et al., 2015).

Uno strumento tra i più utilizzati per lo screening dell’autismo è la CHAT (Checklist for Autism in Toddlers), creata da Simon Baron-Cohen e colleghi nel 1992 e l’MCHAT (Modified Checklist for Autism Toddlers). Questo strumento unisce le risposte date dai genitori alle osservazioni fornite dal pediatra ed è indicata per bambini dai 18 mesi di vita. Nella MCHAT sono stati aggiunti 14 item che indagano i comportamenti correlati ai disturbi sensoriali, alle anomalie motorie, alle anomalie dello sguardo e del contatto oculare e alle anomalie linguistiche, oltre ad indagare le competenze già incluse nella CHAT (pointing dichiarativo, gioco di

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finzione, monitoraggio dello sguardo) (Muratori et al.,2009). Un altro strumento è l’ADOS-2 (Lord et al., 2012a) nella versione Toddler, somministrabile a bambini tra i 12 e i 30 mesi. Consiste in un’osservazione standardizzata e semi-strutturata di comportamenti associati all’autismo: comunicazione verbale e non verbale, interazione sociale, gioco, imitazione funzionale e simbolica, risposta al nome, comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi. Questo strumento categorizza i punteggi in “fasce di rischio” sulla probabilità che il bambino abbia o no l’autismo (poca preoccupazione, lieve o moderata, moderata o grave) (Luyster et al., 2009). Per bambini tra i 6 ed i 18 mesi è stata sviluppata la AOSI (Autism Observation Scale for Infants), un’osservazione semi-strutturata per valutare le competenze del bambino e l’assenza o il ritardo nell’acquisizione di determinate abilità rispetto al livello normale di sviluppo per quell’età. È, poi, importante includere tra gli strumenti di screening la CBCL nella versione 1,5/5 anni (Achenbach, Rescorla, 2000), un questionario da somministrare ai genitori composto da cento item che vanno poi a comporre tre scale che riguardano i problemi internalizzanti, esternalizzanti ed il totale di questi, sette “Syndrome Scale” (reattività emotiva, ansia/depressione, lamentele somatiche, ritiro, problemi del sonno, problemi attentivi, comportamenti aggressivi) e cinque scale “DSM-oriented” (problemi affettivi, problemi d’ansia, problemi pervasivi dello sviluppo, problemi da deficit di attenzione e iperattività e problemi oppositivo-provocatori). (Narzisi et al., 2009). Infine, per i bambini sopra i 2 anni, si può usare l’ADI-R (Autism Diagnostic Interview Revised) (Le Couteur et al., 1993), un’intervista semi-strutturata, da somministrare ai genitori, che indaga le tre aree di compromissione dell’ASD: interazione sociale, comunicazione e comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi.

1.5 Cause. Modelli psicologici

Negli anni novanta hanno iniziato ad affermarsi alcuni modelli psicologici per spiegare l’insorgenza di questi disturbi. In pieno periodo cognitivista si sono affermate soprattutto tre teorie: un modello che ha usato come riferimento la teoria

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della mente, l’ipotesi della coerenza centrale e un modello che si sofferma su1 malfunzionamento delle funzioni esecutive.

Il primo modello attribuisce inizialmente i deficit dell’autismo a un fallimento nell’acquisizione delle capacità di comprendere e rappresentarsi gli stati mentali altrui, mentre, successivamente, si sposta dal concetto di fallimento all’idea di un ritardo nello sviluppo di queste competenze. I bambini con ASD risultano, quindi, incapaci di comprendere,interpretare e prevedere gli stati mentali, le intenzioni e i comportamenti altrui. La teoria della mente risulta centrale quando si parla di disturbo autistico in quanto è alla base di comportamenti deficitari nei bambini con questa diagnosi: seguire lo sguardo, stabilire un’attenzione condivisa, imitare, condurre un gioco di finzione, riconoscere le emozioni. (Fletcher-Watson et al., 2014). Hobson, a questo proposito, ha evidenziato che il deficit primario dell’autismo può ritrovarsi nel concetto di intersoggettività primaria. L’autore ha ritenuto che i bambini autistici non riescano a decifrare gli stimoli sociali come le espressioni facciali e gli aspetti di prosodia e affettività intrinseci al linguaggio. (Ammaniti, 2010). I bambini appena nati si orientano verso stimoli sociali: il volto della madre e i volti umani in generale, la voce umana, i movimenti umani rispetto a quelli meccanici. Nei primi mesi di vita, inoltre, le forme di interazione che il bambino sperimenta sono quelle legate all’intersoggettività primaria con la madre, basate su sorrisi, sguardi e vocalizzazioni. I bambini con ASD risultano meno partecipativi in questo genere di interazioni: la mancanza di contatto oculare è, infatti, uno dei deficit più riscontrati in loro. Questa mancanza non sembra un evitamento attivo, ma piuttosto un’omissione. Un altro comportamento sociale deficitario nei bambini con ASD (deficit documentati a partire dai 2-3 anni) è l’imitazione. In particolare, risulta che i bambini con ASD abbiano problemi soprattutto nell’imitazione di gesti e movimenti non finalizzati o di gesti con oggetti “immaginari”. (Vivanti, 2010).

Il secondo modello fa riferimento all’ipotesi della “coerenza centrale debole”, elaborata da Uta Frith, che sostiene che alla base dell’autismo ci sia un deficit nella capacità di elaborare e integrare le informazioni a diversi livelli. Il normale processo di coerenza centrale presuppone la capacità di dare priorità alla comprensione del

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significato, cercando un senso generale di coerenza delle informazioni. I soggetti con ASD, avendo un deficit di questo tipo, tendono a focalizzarsi sui dettagli, perdendo le informazioni contestuali e il senso generale degli eventi o dei fatti. (Strepparava, Iacchia, 2012).

Il terzo modello spiega l’autismo come un insieme di deficit a livello delle funzioni esecutive, soffermandosi sugli aspetti di attenzione, inibizione delle risposte automatiche o irrilevanti, generazione degli obiettivi, perseverazione e autoregolazione. I bambini con ASD, infatti, mostrano un comportamento e un atteggiamento spesso rigidi e intolleranti verso i cambiamenti: eseguono comportamenti ripetitivi e routinari ed hanno reazioni sproporzionate di fronte a modificazioni dell’ambiente o delle attività. Tendono, inoltre, a concentrarsi su aspetti particolari e a rispondere in modo impulsivo e discontrollato a eventi che provocano loro disagio. Hanno, poi, difficoltà ad inibire le risposte impulsive ed automatiche. (Ammaniti, 2010).

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2. Asse Intestino-Cervello

L’intestino è l’unico organo ad avere un sistema nervoso intrinseco, il sistema enterico (ENS), e riesce a mediare i riflessi senza l’intervento del sistema nervoso centrale (SNC). Per questo motivo questo sistema nervoso, in parte indipendente dal sistema nervoso centrale, viene chiamato “secondo cervello” (Gershon, 1998). Langley nel 1994 è stato il primo a ipotizzare che il sistema gastrointestinale (GI) avesse una componente nervosa intrinseca e che questa fosse localizzata nei neuroni del plesso di Auerbach e del plesso di Meissner. Ovviamente, il secondo cervello comunica con il SNC mediante vie del sistema nervoso autonomo, simpatiche e parasimpatiche (nervo vago dal tronco encefalico; nervi toracici, lombari e pelvici dal midollo spinale), e questa comunicazione è bidirezionale (Ciaramella, 2015). Proprio per questa stretta associazione tra i “due cervelli” risulta evidente che alterazioni nel SNC possono influenzare la funzionalità del ENS e viceversa.

Ad intervenire in questa complessità c’è anche un altro organo: il microbiota intestinale, l’insieme di microrganismi, batteri, virus e funghi, necessari al mantenimento dell’omeostasi del sistema immunitario e gastrointestinale. Il microbiota, producendo numerosi neurotrasmettitori (serotonina, noradrenalina, dopamina,..), è in grado di comunicare con il ENS e il SNC. La ricerca sull’influenza del microbiota sul sistema nervoso è ancora molto attiva, in quanto non sono stati ancora individuati tutti i meccanismi tramite cui questa influenza può avvenire. Ci sono però delle ipotesi ampiamente validate: un meccanismo chiave tramite cui il microbiota influenza la funzionalità cerebrale è, sicuramente, la modulazione del sistema nervoso autonomo (SNA), attraverso il nervo vago. Un altro meccanismo di modulazione ed influenza da parte del microbiota intestinale avviene tramite alcune molecole segnale, come le catene corte di acidi grassi. Il microbiota intestinale, infatti, può portare alla fermentazione di componenti alimentari non digerite dall’organismo e alla produzione di una gamma di composti bioattivi, tra cui troviamo gli acidi grassi a catena corta (SCFA) (Wang et al.,2012). Un’altra modalità di influenza avviene tramite neurotrasmettitori e neuropeptidi prodotti, come la serotonina. Un ultimo meccanismo riguarda il sistema immunitario e la produzione e

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il rilascio di citochine pro-infiammatorie nel sistema gastrointestinale. (Ho, Ross, 2017).

Il ruolo, quindi, dell’asse intestino-cervello, è quello di regolare la funzionalità intestinale e di far comunicare i centri cerebrali emotivi e cognitivi con le funzioni intestinali. È stato dimostrato che il microbiota intestinale è coinvolto nella modulazione delle funzioni intestinali, tramite meccanismi che coinvolgono la permeabilità intestinale5, la mobilità intestinale, la funzionalità immunitaria della mucosa intestinale e l’attività dell’ENS, ma sono anche state trovate prove dell’intervento del microbiota nella modulazione comportamentale e dei processi cerebrali (reazione allo stress, comportamento emotivo e modulazione del dolore) (Mayer et al., 2015). Paul Whiteley in un suo recentissimo lavoro di Settembre 2017, parla, infatti di asse intestino-cervello-comportamento (Whiteley P., 2017).

Le interazioni tra cervello e intestino sono coinvolte nella patogenesi di disturbi prettamente intestinali come la sindrome del colon irritabile (IBS), ma recentemente sono state studiate per valutare la loro implicazione nella fisiopatologia di disturbi come i ASD, la malattia di Parkinson, i disturbi dell’umore e il dolore cronico. (Mayer et al., 2015).

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L’aumento della permeabilità intestinale, a causa di batteri intestinali patogeni o di inquinanti provenienti dall’ambiente, potrebbe essere un fattore di rilascio nel sangue di metaboliti tossici con conseguenti implicazioni a livello del SNC, ed inoltre andrebbe ad aumentare il processo di infiammazione con la maggior attivazione di citochine pro-infiammatorie (Borre et al., 2014).

La permeabilità intestinale, misurata tramite il lattulosio, con il test del mannitolo, ha dimostrato di essere aumentata nei bambini con ASD, paragonati a bambini con sviluppo tipico (Li et al., 2017).

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2.1 Disturbi gastrointestinali nei ASD

Numerosi studi hanno indagato la presenza di sintomi gastrointestinali (GI) nei ASD. I risultati indicano una prevalenza di questi disturbi del 9-91% in soggetti con ASD (Black et al., 2002; Ibrahim et al., 2009; Coury et al., 2012; Mannion, Leader, 2014). Questa ampia variabilità è dovuta a diversi fattori: variazioni rispetto ai criteri di definizione dei sintomi GI, alcuni studi hanno usato un gruppo di controllo mentre altri no, differenze nella metodologia di raccolta dei dati (questionari autosomministrati, interviste condotte da medici, periodo di valutazione: ultimo mese, ultimo anno,..), caratteristiche della popolazione target studiata. (Mannion, Leader, 2014; Chaidez et al. 2014). Per quanto riguarda l’identificazione dei sintomi GI è, inoltre, da notare che la determinazione dell’esatta prevalenza risulta una sfida anche a causa delle difficoltà socio-comunicative dei soggetti con diagnosi di ASD, che non sempre riescono ad esprimere, con il linguaggio verbale e non, le sensazioni che provano e le difficoltà che hanno (Berding, Donovan, 2016).

Nel 2014 McElhanon, McCracken e colleghi hanno condotto una meta-analisi per investigare la prevalenza dei sintomi GI in soggetti con ASD. La ricerca è stata condotta analizzando quindici studi condotti tra il 1980 ed il 2012 ed i risultati hanno mostrato che c’era una forte prevalenza di sintomi GI in bambini con ASD, rispetto ai bambini del gruppo di controllo, con una odd ratio pari a 4.42 (la frequenza di comparsa era quindi quattro volte maggiore nei bambini con ASD rispetto al gruppo di controllo). Questa meta-analisi ha, inoltre, mostrato che i sintomi più frequenti nei bambini con ASD, rispetto al gruppo di controllo, erano la diarrea (quasi quattro volte più frequente, OR: 3.63), la costipazione (OR: 3.86) e il dolore addominale (due volte più frequente, OR: 2.45). (Mc Elhanon et al., 2014).

Nella review del 2014 di Mannion e Leader viene evidenziato che in base alla letteratura i disturbi GI più frequenti nei soggetti con ASD sono costipazione cronica, dolore addominale con o senza diarrea ed encopresi secondaria a costipazione. Le autrici citano poi un lavoro di revisione di Buie e colleghi (Buie et al., 2010) che include tra i sintomi anche il reflusso gastroesofageo, il gonfiore addominale, il malassorbimento e l’infiammazione del tratto GI.

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In letteratura sono presenti anche evidenze sulla presenza di problematiche alimentari correlate alla diagnosi di ASD. I bambini con ASD presentano spesso, infatti, allergie alimentari, rifiuto del cibo, selettività alimentare, difficoltà nell’introduzione di cibi nuovi (Johnson et al., 2014; McElhanon et al., 2014; Berding, Donovan, 2016). In particolare la ricerca si è soffermata sulla selettività alimentare, cioè la volontà di mangiare solo determinati cibi, che spesso si orienta su snack, alimenti trattati e carboidrati a discapito di frutta, verdura e proteine (McElhanon, 2014) ed è solitamente basata su caratteristiche quali colore, forma, consistenza o temperatura dei cibi (Berding, Donovan, 2016). Uno studio del 2006 di Schreck e Williams mostra che il rifiuto del cibo in questi bambini è dato essenzialmente dalla presentazione del piatto (48,6%), dagli utensili usati (13,8%), dalla consistenza degli alimenti (6,5%) e da problemi di movimento e articolatori (23,2%) (Schreck, Williams, 2006). Ovviamente, il fatto di eliminare dalla dieta determinate sostanze può essere dannoso per la funzionalità intestinale e per l’apporto dei nutrienti necessari; la selettività alimentare, associata al rifiuto per il cibo (Bandini et al., 2010) potrebbe, quindi, essere vista come uno dei fattori che portano ai sintomi GI nei bambini con ASD, portando ad un circolo vizioso (Vissoker et al., 2015). Alcuni autori hanno evidenziato che il bisogno di comportamenti routinari, l’insistenza nell’immutabilità e il bisogno di ripetitività di questi bambini potrebbero essere i fattori che portano i bambini con ASD a scegliere sempre gli stessi alimenti (Ibrahim et al., 2009). Questo aspetto intrinseco ai ASD di una costante ricerca degli stessi cibi associato ad una estrema difficoltà nell’inserire alimenti nuovi porta sicuramente i bambini con questa diagnosi a difficoltà alimentari e ad un apporto di nutrienti spesso non adeguato ad un sano sviluppo che, a loro volta, potrebbero portare a una sintomatologia GI. Ad influenzare l’alimentazione contribuisce, sicuramente, anche la scarsa motivazione sociale, caratteristica del disturbo. I bambini con ASD, spesso, non sono motivati a partecipare al momento del pasto: potrebbero non essere capaci, infatti, di comprendere ed adeguarsi alle abitudini familiari, potrebbero non essere responsivi agli inviti dei genitori e potrebbero non avere le adeguate capacità comunicative per esprimere preferenze e bisogni. Un altro fattore proprio del disturbo, che influisce sui comportamenti inerenti all’alimentazione, è il bisogno di questi bambini di

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mantenere la cosiddetta immutabilità, che si esprime con un’inflessibilità comportamentale e con abitudini alimentari molto rigide (Johnson et al., 2014).

I comportamenti alimentari dei bambini con ASD, in particolare la selettività alimentare, potrebbero, in parte, essere correlati alle difficoltà sensoriali riscontrate (Cermak et al., 2010). Mazurek e colleghi nel 2013 hanno indagato la relazione tra iper-reattività sensoriale e problemi GI ed hanno evidenziato che soggetti con problemi GI cronici riportano alti livelli di iper-sensibilità e che l’iper-reattività sensoriale predice problemi GI cronici (Mazurek et al., 2013).

In questo ambito è stata anche studiata la correlazione tra gravità dei sintomi di ASD e la prevalenza dei sintomi GI. È stata, però, evidenziata una forte discordanza tra i risultati ottenuti da diversi autori. Alcuni autori hanno, infatti, mostrato che c’è un’associazione tra la gravità dell’autismo e la prevalenza di sintomi GI. Wang e colleghi, nel 2011, hanno evidenziato che i problemi GI più comunemente riscontrati nei bambini con ASD sono la diarrea e la costipazione ed avendo diviso il campione clinico in tre gruppi (“Full Autism”, “Almost Autism” e “Spectrum”) in base alla gravità, hanno osservato che i soggetti con “Full Autism” ed “Almost Autism” avevano probabilità maggiori di avere sintomi GI rispetto al gruppo meno grave. (Wang et al., 2011). Anche altri autori hanno confermato questi dati (Adams et al., 2011; Chaidez et al., 2014; Tomova et al., 2015). Virginia Chaidez e colleghi, nel 2014, hanno svolto uno studio paragonando tre gruppi di bambini: bambini con ASD (ASD), bambini con ritardi nello sviluppo (DD) e bambini a sviluppo tipico (TD), utilizzando ADOS (Lord et al., 2012b) e ADI-R (Le Couteur et al., 1993) per confermare la diagnosi di ASD. I bambini che hanno soddisfatto tutti i criteri per ASD sia all’ADI-R che all’ADOS sono stati classificati come AU, i bambini che hanno ottenuto almeno due punti ai criteri per l’autismo nei domini di comunicazione e sociale dell’ADI-R e dell’ADOS sono stati classificati come ASD. Essendoci poche differenze sul piano dei sintomi GI tra il gruppo ASD ed il gruppo AU, questi due gruppi sono stati uniti per essere, poi, confrontati con il gruppo TD e con il gruppo DD. Oltre a confermare la maggior presenza di sintomi GI nel gruppo ASD rispetto agli altri due gruppi, questo studio ha comunque evidenziato che i due gruppi iniziali (AU e ASD) avevano profili GI simili, ad eccezione del sintomo della

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diarrea. È stata, infatti, evidenziata una differenza percentuale di dieci punti tra le medie dei punteggi dei due gruppi, confermando che i bambini con autismo severo (AU) hanno una prevalenza maggiore di diarrea rispetto ai bambini con ASD. (Chaidez et al., 2014). Per quanto riguarda gli studi che, invece, non hanno trovato risultati che confermano quest’associazione tra gravità del disturbo autistico e gravità dei sintomi GI, in letteratura si trovano gli esempi di Molloy e Manning-Courtney (2003) e di Chandler e colleghi (2013). Le prime due autrici hanno evidenziato che la frequenza dei sintomi GI non variava per età, genere, razza e gravità di ASD nel loro campione (Molloy, Manning-Courtney, 2003). Chandler e colleghi hanno confermato che i sintomi GI si ritrovano maggiormente nei bambini con ASD rispetto al gruppo di controllo, ma non hanno trovato associazioni tra i sintomi GI e abilità intellettive, gravità di ASD, dieta limitata o con un apporto eccessivo di grassi (Chandler et al., 2013).

2.2 Sintomi GI, psicopatologia e comportamento nei ASD

Una crescente letteratura mostra che bambini con ASD oltre ad avere maggiori sintomi GI evidenziano spesso problematiche comportamentali e psicopatologiche legate all’associazione tra il disturbo autistico e la presenza di anormalità nella funzionalità GI e potrebbe essere proprio la presenza di sintomi GI che contribuisce a far crescere il disagio e le difficoltà in questi bambini. Dolore addominale, costipazione e diarrea non sono, infatti, sintomi piacevoli ed aumentano sicuramente la frustrazione, diminuiscono la concentrazione, aumentano la possibilità che questi bambini abbiano problemi comportamentali, nella regolazione emotiva e nella comunicazione, soprattutto se sono già presenti difficoltà comunicative. (Adams et al., 2011). Molti ambiti sono, quindi, colpiti dalla presenza di sintomi GI e l’associazione tra tutti questi fattori porta i bambini ad avere una peggior qualità della vita (Mannion, Leader, 2014).

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