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L'evasione e l'elusione fiscale in ambito nazionale e internazionale

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Academic year: 2021

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STUDI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI PROFESSORI DI DIRITTO TRIBUTARIO

(2)

Direttori

Mario N

Università degli Studi di Udine

Fabrizio A

Seconda Università degli Studi di Napoli

Giuseppe Z

Università Carlo Cattaneo di Castellanza

Raffaello L

Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Roberto C G

Università degli Studi di Firenze

Salvatore M

Università della Calabria

Daria C

Università degli Studi di Palermo

Raffaele P C

Università degli Studi di Napoli Federico II

Fabio M

Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”

Comitato scientifico

Andrea A

Università degli Studi di Napoli Federico II

Massimo B

Università degli Studi di Teramo

Silvia C

Università degli Studi di Pavia

Angelo C

Università commerciale Luigi Bocconi

Enrico D M

Università Cattolica del Sacro Cuore

Lorenzo D F

Università degli Studi “Gabriele D’Annun-zio”

Eugenio D V

Sapienza – Università di Roma

Luigi F N

Università degli Studi di Messina

Valerio F

Università degli Studi di Sassari

Franco F

Università degli Studi Suor Orsola Benincasa

Stefano F

Università degli Studi di Salerno

Maria Cecilia F

Università degli Studi di Modena e Reggio

Emilia

Gianfranco G

Università degli Studi di Milano

Franco G

Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”

Alessandro G

Università degli Studi di Siena

Cesare G

Università degli Studi di Parma

Maurizio L

Università Cattolica del Sacro Cuore

Corrado M

Università degli Studi di Genova

Enrico M

Università degli Studi di Torino

Giuseppe M

Università degli Studi Roma Tre

Giovanni M

Università degli Studi di Genova

Giuseppe M

Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”

Maurizio Sebastiano M

(3)

Enzo P

Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

Leonardo P

Sapienza – Università di Roma

Enrico P

Università degli Studi di Napoli Federico II

Franco P

Università degli Studi di Cagliari

Giovanni P

Università degli Studi “Niccolò Cusano”

Claudio S

Università degli Studi di Torino

Livia S

Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”

Salvatore S

Università degli Studi di Palermo

Roberto S

Università degli Studi di Padova

Dario S

Università degli Studi di Trieste

Francesco T

Università degli Studi di Milano – Bicocca

Giuseppe T

Università degli Studi Roma Tre

Loris T

Università Ca’ Foscari Venezia

Giulio T

Università degli Studi di Pavia

Francesco T

Università degli Studi di Bologna

Marco V

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(5)

STUDI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI PROFESSORI DI DIRITTO TRIBUTARIO

La Collana “Studi dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Tributario” raccoglie le ricerche e gli atti dei convegni promossi dall’Associazione.

Le tematiche affrontate riguardano argomenti attuali del Diritto tributario, con particolare riferimento alle più recenti evoluzioni normative, giurisprudenziali e dottrinali.

La sezione dedicata al progetto di ricerca “Il sistema tributario: prospettive di riforma” è stata coordinata dai professori Franco Gallo e Francesco Tesauro, che hanno assunto la direzione scientifica del progetto.

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Il volume fa parte della sezione dedicata al progetto di ricerca “Il sistema tributario: prospettive di riforma” ed è stato coordinato da Stefano F (Parte I), Pasquale P (Parte II), Gianluigi B (Parte III) e Marco G (Parte IV).

(7)

L’evasione e l’elusione fiscale

in ambito nazionale e internazionale

a cura di

Fabrizio Amatucci

Roberto Cordeiro Guerra

Contributi di

Roberta Alfano, Francesca Amaddeo, Fabrizio Amatucci Paolo Arginelli, Cristián Billiardi, Marina Bisogno Gianluigi Bizioli, Daniele Cané, Anna Rita Ciarcia Roberto Cordeiro Guerra, Menita Giusy De Flora, Stefano Dorigo Stefano Fiorentino, Chiara Fontana, Mario Grandinetti Marco Greggi, Oriana Lombardi, Pietro Mastellone Maria Pia Nastri, Giovanna Petrillo, Paolo Piantavigna Pasquale Pistone, Federica Pitrone, Michele Rossi Loredana Strianese, Mario Tenore, Alessandro Turina

(8)

Aracne editrice

www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it Copyright © MMXVI

Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it info@gioacchinoonoratieditore.it

via Sotto le mura,  Canterano (RM)

() 

 ----

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

(9)

Indice

 Introduzione

Fabrizio Amatucci, Roberto Cordeiro Guerra

Parte I

Razionalizzazione e coordinamento

tra elusione, abuso ed evasione in ambito nazionale. Semplificazione normativa

 L’art. –bis e il coordinamento delle norme antielusive na-zionali

Stefano Fiorentino

 L’evoluzione normativa dell’elusione fiscale

Anna Rita Ciarcia

 L’abuso del diritto nella costruzione giurisprudenziale euro-pea e nell’applicazione nazionale

Chiara Fontana

 L’esigenza di individuare una netta linea di demarcazione fra abuso ed evasione nell’art. –bis l. n. /

Giovanna Petrillo

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 Indice

 Certezza del diritto e clausola generale antiabuso

Marina Bisogno

 La norma antiabuso di cui all’art. , co.  del TUIR

Michele Rossi

 Vincoli all’interpretazione degli atti nell’imposta di registro

Maria Pia Nastri

 Abuso ed evasione fiscale tra rimedi interpretativi e ipotesi simulatorie

Oriana Lombardi

 Il ruolo dell’interpello per il coordinamento delle normative antielusive nazionali

Roberta Alfano

Parte II

Diversità dei sistemi antielusivi degli Stati UE; adeguamento agli orientamenti UE e OCSE

e efficacia delle forme di contrasto (BEPS– FACTA)

 La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale

Pasquale Pistone

 Forma e sostanza della sovranità tributaria

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Indice 

 Il multilateralismo nel BEPS e la sua interazione con le con-venzioni per evitare la doppia imposizione

Cristián Billardi

 Certezza del diritto e norme generali antielusive

Daniele Canè

 Il contrasto all’elusione fiscale internazionale nella nuova direttiva madre–figlia dell’Unione europea

Mario Tenore

 Concorrenza fiscale dannosa e regime italiano di IP box

Paolo Arginelli

 Fenomeni abusivi connessi alla nozione di Stabile Organizza-zione

Paolo Piantavigna

 L’evoluzione del coordinamento fiscale internazionale

Alessandro Turina

 La risoluzione delle controversie internazionali e il ruolo del contribuente

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 Indice

Parte III

Contrasto alla dislocazione societaria nei paradisi fiscali e alla criminalità economica

 I modelli legislativi in materia di controlled foreign companies

Gianluigi Bizioli, Mario Grandinetti

 I paradisi fiscali e la indeducibilità dei costi black list

Anna Rita Ciarcia

 Lotta alla criminalità economica

Stefano Dorigo, Pietro Mastellone

Parte IV

Scambio di informazioni

 Lo scambio di informazioni in materia tributaria

Marco Greggi, Francesca Amaddeo

 Certezza del diritto e collaborazione volontaria nelle nuove relazioni tra Fisco e contribuenti

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ISBN 978-88-548-9827-1 DOI 10.4399/97888548982711 pag. 13–31 (novembre 2016)

Introduzione

La ricerca di strategie coordinate nella lotta all’evasione ed all’elusione fiscale

F A, R C G∗

: . Lo scenario internazionale: sviluppo economico dei paesi indu-strializzati e incidenza delle politiche antievasione ed elusione sull’inte-grità dei sistemi fiscali,  – . Stratificazione degli interventi, mancanza di coordinamento e complessa valutazione degli interessi contrappo-sti,  – . L’abuso del diritto e l’art. –bis dello Statuto dei diritti del contribuente,  – . Scambio di informazioni ai fini del contrasto all’eva-sione ed eluall’eva-sione internazionale e coordinamento dei diversi modelli,  – . Criminalità economica ed evasione fiscale,  – . Necessità di una

sinergia e integrazione tra procedimento penale e tributario, .

. Lo scenario internazionale: sviluppo economico dei paesi indu-strializzati e incidenza delle politiche antievasione ed elusione sull’integrità dei sistemi fiscali

Nell’ambito di una ricerca sulle prospettive di riforma del sistema tribu-tario assumono rilevanza fondamentale l’analisi giuridica dell’elusione e dell’evasione fiscale — sia in ambito nazionale che internazionale — e la ricognizione degli strumenti normativi di contrasto adottati a diverso livello al fine di verificare ipotesi di coordinamento e razionalizzazione degli stessi.

. I paragrafi da  a  sono a firma del prof. Amatucci; da  a  del prof. Cordeiro Guerra.

Fabrizio Amatucci, professore ordinario di Diritto tributario, Seconda Università

degli Studi di Napoli; Roberto Cordeiro Guerra, professore ordinario di Diritto Tributario, Università degli Studi di Firenze.

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 Introduzione

L’esigenza di una elaborazione di strategie concordate e coordinate di lotta all’evasione ed elusione nazionale e internazionale rappresenta infatti la premessa di ogni modifica strutturale e procedimentale di sistema.

Una delle principali ragioni di revisione e coordinamento delle regole e degli obiettivi delle politiche fiscali in ambito nazionale e in-ternazionale è riconducibile al forte impatto sulla crescita economica di molti Paesi industrializzati, provocato proprio da elusione ed evasio-ne fiscale transnazionale, che incide sulla progressività e condiziona i sistemi impositivi e agevolativi nazionali. Da recenti dati Organizza-zione per la CooperaOrganizza-zione e lo Sviluppo Economico (OCSE) risulta infatti che le somme detenute dalle multinazionali nei paradisi fiscali sono pari a duemila miliardi di dollari

.

Del resto, si assiste a una situazione nella quale soggetti protagonisti dei mercati globali e dell’economia digitale sono in grado, facilitati dalla natura della loro attività, di elaborare sofisticate strategie fiscali all’esito delle quali, pur ritraendo dai mercati locali ingenti redditi, riescono ad allocarne la tassazione in tutto o in gran parte altrove. Ciò può essere letto come il sintomo della crisi di istituti tradizionali del diritto tribu-tario e del diritto tributribu-tario internazionale, specie per quanto riguarda l’individuazione dei criteri di collegamento con il territorio.

Non v’è dubbio che i criteri di collegamento siano stati concepiti e affinati in una economia ove la materialità del bene scambiato era la regola e consentiva di ancorare e proporzionare il prelievo a quel segmento materiale della catena produttiva ivi localizzabile.

Nell’economia digitale la catena del valore può tuttavia arrivare a es-sere integralmente immateriale, con conseguente opportunità di strut-turare la sua distribuzione a soggetti allocabili quasi esclusivamente in funzione di esigenze di pianificazione fiscale.

Tale situazione gravissima compromette l’integrità e l’equità dei sistemi fiscali a livello globale, pregiudicando una corretta ripartizione del carico fiscale tra tutti gli individui–contribuenti, parte dei quali subisce inevitabilmente un carico tributario elevato, come conseguen-za delle minori entrate percepite dallo Stato per effetto dell’elusio-ne/erosione, con impatto fortemente negativo in termini di giusta imposizione. Si origina una evidente diseguaglianza tra le imprese

. Tale cifra è stata comunicata dal segretario generale dell’OCSE Angel Gurria durante il G  in Australia nel settembre .

(15)

Introduzione 

multinazionali che beneficiano, grazie a raffinate pianificazioni, di co-spicui vantaggi fiscali e quelle che operano correttamente nel rispetto della legalità e subiscono un carico fiscale maggiore o una pressione fiscale compensativa. Le norme antielusive adottate unilateralmente e mal coordinate generano sovrapposizioni, restrizioni e confusione, tra loro e con quelle adottate a livello internazionale ed UE, disin-centivando gli investimenti e non risultano più idonee a garantire una pianificazione fiscale non aggressiva da parte delle imprese. Tale scenario determina, in un contesto economico notevolmente muta-to a causa della crisi internazionali, la necessità del perseguimenmuta-to di un obiettivo prioritario della fiscalità, individuabile nell’effettività

dell’imposizione e della minore sottrazione di ricchezza imponibile.

Questo obbiettivo è perseguibile intervenendo a più livelli sulle di-scipline nazionali antielusive, antiabuso e antievasione come ha inteso fare l’OCSE, prendendo posizione in modo sistematico su problemi specifici di fiscalità internazionale societaria, derivanti dall’erosione della base imponibile e proponendo la modifica coordinata di alcune norme come quelle antielusive (documenti elaborati dall’OCSE co-me l’Action Plan del luglio  facente parte del progetto BEPS), e altresì incentivando nuove forme di controllo, non più basate soltanto sullo scambio di informazioni tra Stati che continuano a incontrare limitazioni, ma su di un’azione preventiva più incisiva che privilegi il rapporto collaborativo con le imprese (cd. cooperazione rafforzata o coperative tax compliance) da parte delle amministrazioni nazionali. Oltre al Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)

, in vigore dal ° luglio , che prevede l’identificazione, da parte di banche e fiduciarie dei soggetti che detengono conti finanziari presso di essi e la conseguente comunicazione di determinate informazioni sugli stessi, il G , si è affiancato all’OCSE nella lotta avverso i nuovi strumenti di elusione fiscale da parte delle multinazionali, approvando lo standard di scambio multilaterale automatico dei dati (Common Reporting

Stan-. Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito (cosiddetti FATCA Partner) tramite la sottoscrizione di una lettera di intenti ( Joint Agreement) hanno espresso l’intenzione di collaborare al fine di rendere più agevole l’attività di implementazione del framework normativo FATCA, nonché superare le eventuali restrizioni legali derivanti dall’imposizione dell’obbligo di sottoscrizione dell’agreement con l’Autorità USA (Internal Revenue Service — IRS). Sul punto V,Are BEPS, FATCA, and EU Compliance Efforts Moving in the

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 Introduzione

dard– CRS) che si basa su una collaborazione da parte di intermediari finanziari spesso complici nell’evasione.

Anche la UE, a seguito dell’adesione al meccanismo di sviluppo della stabilità europea (ESM), ha previsto, tra le diverse misure neces-sarie che gli Stati membri devono adottare, la lotta all’evasione e alla frode fiscale e il coordinamento delle politiche fiscali nazionali.

La Commissione UE, adeguandosi, è intervenuta con due racco-mandazioni sull’aggressive tax planning nel  e , chiedendo agli Stati di combattere le operazioni artificiose e di adottare una clausola generale antiabuso e successivamente con altra decisione

, per eviden-ziare l’importanza di adottare un minimum standard di good governance. La prima delle due raccomandazioni è stata richiamata nell’art.  della nostra legge delega n. / per la riforma del sistema fiscale statale che ha trovato attuazione attraverso il d.lgs. /, tramite il quale si è inserito l’art. –bis nello Statuto del contribuente, volto a introdurre nel nostro ordinamento il principio generale del divieto dell’abuso del diritto. Inoltre, contemporaneamente, sempre in attuazione della delega del , il d.lgs. n. / sull’internazionalizzazione delle imprese è intervenuto al fine di garantire maggiore competitività e rendere conformi ai principi europei una serie di disposizioni antie-lusive speciali già in vigore nel nostro ordinamento (come CFC, exit tax, paradisi fiscali e contrasto alle triangolazioni).

Ancora il  maggio  è stato emanato dalla Commissione UE il documento Lotta alla frode e all’evasione fiscale, ove si promuove il buon-governo fiscale e lo scambio di informazioni a livello internazionale e viene messa in risalto l’importanza della collaborazione tra Stati membri per incentivare l’utilizzo di programmi volti alla voluntary disclosure da parte delle imprese. Da ultimo la direttiva pacchetto antielusione del  emanata il .. (COM()) dalla Commissione UE (approvata a giugno  dal Consiglio), interviene nuovamente in materia di elusio-ne e di abuso al fielusio-ne di garantire una attuazioelusio-ne coordinata delle misure previste dall’OCSE attraverso il Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) e contenente interventi specifici e limitazioni in materia di CFC, exit tax e clausola antiabuso nei trattatati fiscali internazionali, esortando gli Stati a un approccio comune nella lotta all’abuso e all’elusione

.

. Il documento dal titolo Platform for tax good governance è del  aprile . . È previsto in tale documento che la UE dispone di strumenti atti a garantire che le

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Introduzione 

. Stratificazione degli interventi, mancanza di coordinamento e complessa valutazione degli interessi contrapposti

La centralità della lotta all’evasione e all’elusione fiscale nelle attività dei principali organismi internazionali ha determinato di recente qual-cosa di sorprendente e del tutto innovativo. Le raccomandazioni, i pareri e in generale gli atti di soft law non vincolanti secondo il diritto internazionale e UE, hanno sortito una efficacia particolare in quanto vengono in diversi casi recepiti dagli Stati membri che si adeguano spontaneamente a essi, coordinandosi automaticamente per ragioni economiche. Ne è prova la legge delega n.  del  per un sistema fiscale più equo e trasparente che, per buona parte (artt.  su abuso del diritto, art.  su cooperazione rafforzata, art.  sulle sanzioni, artt. e  su tassazione delle imprese), è stata ispirata alla normativa UE e alle raccomandazioni OCSE sulla pianificazione fiscale aggressiva (BEPS) e sulla cooperative compliance recepite in pieno nel nostro ordinamento.

Tuttavia, pur avendo le disposizioni OCSE e quelle UE gli stessi obiettivi e pur essendo il fenomeno in esame effetto di un coordina-mento spontaneo cd. globalizzato, non appaiono sempre conciliabili o coordinate le recenti politiche fiscali perseguite a livello nazionale, internazionale ed europeo in quanto diverse restano le priorità

Se da un lato dunque l’Action Plan del BEPS stabilisce azioni di

in-misure antielusione siano attuate in modo coordinato in tutti gli Stati membri in modo da potenziare le rispettive difese contro gli abusi e fornire una maggiore certezza del diritto alle imprese. In particolare l’UE può garantire un approccio comune grazie all’adozione di strumenti giuridici. Ciò è appropriato in alcune circostanze, ad esempio quando le misure difensive fanno riferimento alla legislazione nazionale. La legislazione potrebbe prevedere un certo livello di flessibilità per consentire agli Stati membri di tenere conto delle loro rispettive e differenti situazioni, garantendo tuttavia almeno l’esistenza di una norma minima comune in tutta l’Unione. Una legislazione di portata UE aiuterebbe a mantenere condizioni eque e uniformi in campo fiscale per gli Stati membri, limitando le distorsioni che mettono a repentaglio il mercato unico.

. La nostra legge delega / all’art.  prevede la revisione di una serie di norme antielusive nazionali come CFC, Transfer price ecc. in parte recepita nel d.lgs. attuativo n. del ...

. V, Are BEPS, FATCA, and EU Compliance Efforts Moving in the Same

Direction?, cit., , il quale ritiene che, mentre l’UE intende realizzare l’integrazione fiscale tra i Paesi membri nell’ambito del mercato interno, l’OCSE mira a rafforzare il contrasto di alcune specifiche operazioni societarie elusive.

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 Introduzione

tervento e di revisione delle clausole antielusive speciali coordinando tra loro quelle previste dagli ordinamenti nazionali come le Control-led Foreign Companies (CFC) o il transfer price e propone di fatto il multilateralismo nell’eliminazione alla doppia imposizione inter-nazionale al fine di evitare in tale ambito abusi di vantaggi concessi a livello convenzionale che possono portare alla doppia non imposi-zione da parte di imprese multinazionali

, dall’altro la Commissione UE si rivolge agli Stati membri chiedendo un coordinamento delle normative antielusive e l’adozione di una clausola generale anti abuso, prendendo in tal modo posizione diversa anche rispetto a quella della Corte di Giustizia con conseguenze di non poco conto ai fini della sanzionabilità.

Anche se, in materia di libertà di stabilimento, la Corte di Giustizia ha più volte considerato la finalità antielusiva in grado di derogare l’art.  del Trattato sul funzionamento dell’UE (divieto di restrizio-ne alla libertà di stabilimento), tale giustificaziorestrizio-ne da parte dei Paesi membri non è stata infatti successivamente condivisa dalla giurispru-denza comunitaria nel caso in cui la norma nazionale restrittiva fosse a carattere generale

e non ostacolasse una particolare operazione arti-ficiosa nel rispetto del principio di proporzionalità (cfr. sent. Caldbury

Schweppesdel .. causa /).

La sensazione è che l’Unione europea sia attualmente fortemente responsabile dell’esistenza di strutture di pianificazione fiscali aggres-sive e al tempo stesso potenzialmente il luogo ideale per la soluzione del problema.

Quanto al primo punto, la reazione sul piano della soft law (invece che dell’hard law, impedita dalla regola dell’unanimità) ha finora con-sentito l’effettivo funzionamento di sofisticati schemi di pianificazione fiscale (irish dutch sandwich) sopravvissuti al codice di condotta.

. Si veda sul tema la ricognizione effettuata in tale ricerca dal sottogruppo coordinato dal prof. Pistone dal titolo “Diversità dei sistemi antielusivi degli Stati UE; adeguamento agli orientamenti UE e OCSE e efficacia delle forme di contrasto (BEPS — FACTA)”.

. In tal senso anche le sentenze Corte giust. UE: Avoir fiscal causa / del ..,

ICIdel .., causa C–/ e Lankhorst del .. , causa C /. Vedi il caso delle exit taxes. Come emerge dalle conclusioni Avv. Gen. al caso della Corte di Giust..

Hughes de Lasteyriedell’.. causa C–/ punti  e ss., il fatto che un contribuente si stabilisca all’estero non implica di per sé elusione fiscale e si potrebbe invece prevedere la possibilità, per l’amministrazione fiscale, di dimostrare caso per caso l’esistenza effettiva di una elusione o di un’evasione fiscale.

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Introduzione 

La condivisibile affermazione della Corte di Giustizia secondo la quale la scelta di costituire società in un altro Stato membro al solo fine di beneficiare del regime più favorevole quivi in vigore, non costi-tuisce abuso della libertà di stabilimento, e il correlato limite secondo il quale costituisce abuso di tale normativa la creazione di strutture di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territo-rio nazionale, è il punto di partenza di ogni accurata pianificazione fiscale internazionale. Più in dettaglio, l’economia digitale ben può effettivamente insediare in luoghi diversi (e fiscalmente meno onerosi) da quelli ove si genera il reddito da attività immateriale, le proprie strutture, sicché non è poi facile attaccarle proprio alla stregua dei principi enucleati dalla Corte di Giustizia.

D’altra parte, è evidente come per fronteggiare strategie di soggetti che agiscono su scala globale e ai quali fanno capo rilevantissimi inte-ressi economici, sia molto più efficace l’azione di entità sovranazionali piuttosto che quella dei singoli Stati.

In quest’ottica, appare quanto mai evidente a livello nazionale, in-ternazionale ed europeo la necessità di una valutazione di interessi contrapposti come le ragioni extrafiscali, che si fondano sulla libertà di iniziativa economica, di stabilimento e di circolazione da un lato e sulla finalità antielusiva o anti erosione dall’altro. Entrambi rappresentano i presupposti a livello mondiale per la crescita economica e ciò viene considerato dai recenti interventi normativi e giurisprudenziali. Nello stesso Action Plan dell’OCSE, si rileva in relazione alla revisione delle regole nazionali CFC

che, mentre da un lato esse riportano a tassazio-ne correttamente i redditi prodotti all’estero (in regimi preferenziali) nel Paese di residenza della capogruppo, dall’altro lato possono avere ricadute nei paesi d’origine o della fonte, perché i contribuenti non hanno interesse a spostare i profitti in un terzo paese, a basso regi-me fiscale a causa della neutralizzazione che determina la normativa antielusiva. La recente stratificazione normativa a livello nazionale, internazionale ed europeo meriterebbe una razionalizzazione e un coordinamento fondato su tale bilanciamento di interessi.

. Per un’analisi comparata delle legislazioni europee in materia di CFC vedi nella Parte III del presente volume su “I modelli legislativi in materia di controlled foreign companies (CFC)”.

(20)

 Introduzione

Non è detto, peraltro, che altri problemi — pur nel contesto di un approccio di tal genere — non possano in qualche modo generarsi, alterando l’equilibrio che, come detto, deve essere perseguito. La soft

lawinternazionale così come gli interventi (normativi e non) dell’U-nione europea paiono infatti muoversi, nel contesto della crisi globale, nella direzione di rafforzare l’interesse sovranazionale, comprimen-do in mocomprimen-do eccessivo la libertà dei singoli ordinamenti di definire le proprie politiche economiche e fiscali. I consessi internazionali, come da tempo segnalato dalla dottrina, sembrano far prevalere gli interessi di un gruppo di Stati, escludendo o marginalizzando dai pro-cessi decisionali un gruppo di nazioni, appartenenti all’area in via di sviluppo, che tuttavia a livello economico sono in procinto di superare i primi. Nell’ambito dell’UE, poi, si assiste al prevalere delle ragioni di difesa del mercato interno, anche laddove ciò significhi sacrificare le ordinarie prerogative dei parlamenti nazionali: si pensi alle stringenti regole di pareggio di bilancio ovvero alla recente vicenda Apple, nella quale, con la scusa della violazione delle norme sugli aiuti di Stato, la Commissione sembra voler costringere uno Stato membro, l’Irlanda, a privare di effetti, contro la sua volontà, accordi liberamente presi con la multinazionale americana in tema di tassazione.

Un efficace lotta alle condotte di erosione della base imponibile, per quanto necessiti indubitabilmente di linee guida condivise sul piano internazionale ed europeo, richiede pur sempre il consapevole e convinto coinvolgimento degli Stati, a livello governativo e ancor più parlamentare, in modo da evitare di generare fenomeni di rigetto che, come insegna la recente vicenda della Brexit, possono minare alla radice ogni seria politica di riequilibrio finanziario e fiscale.

. L’abuso del diritto e l’art. –bis dello Statuto dei diritti del contribuente

L’art. –bis l. /, emanato in conformità alle disposizioni UE esaminate, rappresenta uno dei recenti interventi di maggiore rilevan-za a livello nazionale e sembra mettere un po’ di ordine, stabilendo una serie di punti fermi e contribuendo a dare maggiore certezza e stabilità dal punto di vista procedurale in un quadro nazionale molto confuso. Tale intervento, pur collocandosi oltre la normale attività

(21)

Introduzione 

interpretativa e assumendo la connotazione di tutela rimediale, come rilevato nella sezione coordinata dal prof. Fiorentino (nel sottogruppo dal titolo “Razionalizzazione e coordinamento tra elusione, abuso ed evasione in ambito nazionale. Semplificazione normativa”), rende debole l’utilizzo di altre disposizioni speciali antielusive nel nostro ordinamento.

Tuttavia la norma inevitabilmente comprime la portata di tale prin-cipio che per sua natura risulta clausola generale di origine giurispru-denziale, difficilmente codificabile, creando una serie di problema-tiche applicative. Sembra sia stata adottata nel nostro ordinamento una soluzione intermedia, di compromesso a carattere residuale che lascia in vita le disposizioni antielusive specifiche regolabili secondo diversi schemi, pur essendo la norma strutturata in maniera simile a esse con la unica rilevante differenza di prevedere la sanzionabilità solo amministrativa delle condotte abusive. Ciò crea inevitabilmente confusione tra abuso, elusione ed evasione.

La codificazione della clausola generale anti abuso prevista dalla riforma non appare tuttavia assurgere a quel grado di determinatezza indispensabile per giustificare l’applicazione delle sanzioni ammini-strative, non possedendo la specificità delle diposizioni antielusive ad

hoc(CFC, transfer price, ecc.) e l’univocità che rappresenta il presuppo-sto per l’irrogazione di sanzioni non solo penali ma anche, secondo l’orientamento maturato a livello UE, amministrative se di marca af-flittiva. Deve ritenersi che tale situazione, insieme alla mancanza di gradazione delle sanzioni in conformità al principio di proporzionalità, potrebbe creare problemi di incompatibilità dell’art. –bis con le re-gole europee. La clausola generale antielusione, pur essendo prevista in diversi ordinamenti europei, in alcuni casi, come quello tedesco, interviene specificamente sul regime delle prove in ordine alle ragioni extrafiscali meritevoli di tutela e sui limiti all’arbitrio del giudice

. Ma il punto più rilevante è che la nuova clausola antiabuso non risolve sul piano probatorio la individuazione delle giustificazioni del comportamento e delle finalità extrafiscali non marginali di ordine organizzativo e gestionale o della individuazione della mancanza di

. V. sul punto contributo di Petrillo dal titolo: L’esigenza di individuare una netta linea

di demarcazione fra abuso ed evasione nell’art.–bis l. n. /: spunti di riflessione alla luce dell’ordinamento tedesco. Vedi inoltre il contributo di Daniele Canè su certezza del diritto e norme antielusive nella Parte II.

(22)

 Introduzione

sostanza economica delle operazioni da parte dell’A.F. Tale attività risulta di difficile realizzazione, presupponendo un forte margine di discrezionalità e competenze specifiche di tipo aziendalistico da parte degli uffici accertatori. Nonostante il contraddittorio obbligatorio, manca un’adeguata revisione del sistema probatorio che sarebbe stata necessaria al fine di garantirne la corretta applicazione.

Allo stesso tempo, l’inevitabile genericità di tali aspetti lascia pre-supporre il mantenimento di un ruolo interpretativo ampio in capo alla giurisprudenza, che rischia di riproporre quella tendenza all’am-pliamento della portata del principio che la recente novella mirava proprio ad eliminare. L’esigenza di tutelare il contribuente, in special modo imprenditore, consentendogli di confidare nella correttezza delle proprie scelte secondo il principio del legittimo affidamento, dovrebbe essere valorizzata, assumendo tale principio quale criterio interpretativo delle nuove norme, evitando che le ragioni garantiste a esso sottese possano essere messe nel nulla nel nome della prevalenza dell’interesse fiscale.

. Scambio di informazioni ai fini del contrasto all’evasione ed elusione internazionale e coordinamento dei diversi modelli

La cd. cooperazione allargata sancita a livello internazionale attraverso il FACTA e il Common Reporting Standard (CRS)

rappresenta la nuova frontiera nello scambio di informazioni e prevede un coinvolgimento dei soggetti terzi come istituti finanziari che partecipano ed hanno un ruolo attivo durante lo scambio di informazioni. Anche se la Corte di Giustizia ha riconosciuto l’importanza della cooperazione allargata nello scambio di informazioni che vede il coinvolgimento del contribuente o di terzi ai fini probatori (sentenza Skandia del  giugno , causa C–/) e nell’utilizzo di risultanze probatorie provenienti dal procedi-mento penale (sent. WML del  dicembre  causa C–/), in altre

. Lo scambio multilaterale automatico dei dati (Common Reporting Standard – CRS) previsto dall’OCSE si basa, come esaminato, su una collaborazione da parte di intermediari finanziari. Tale sistema prevede le disposizioni sul contenuto dei dati da riportare, nonché l’illustrazione delle procedure cui gli istituti finanziari dovrebbero attenersi nell’individuazione dei reportable accounts e nella trasmissione dei dati.

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Introduzione 

occasioni (vedi sentenza Sabou del .. C–/

) ha ritenuto, quanto al contraddittorio nell’ambito dello scambio di informazioni in materia di IVA tra Stati, non violato il diritto di difesa in mancanza di contraddittorio con il contribuente. Si è affermato che va esclusa l’esi-stenza di un diritto a essere informato e di partecipare alle audizioni nel caso di una richiesta di assistenza formulata (richiesta di informazioni) da uno Stato a un altro. Il diritto fondamentale al contraddittorio non è riconosciuto in tale fase cd. di collaborazione multilaterale anche da parte della nostra giurisprudenza in cui sono coinvolti i due Stati o in cui partecipano soggetti terzi con istituti di credito e finanziari

. Dai risultatati del lavoro svolto dal sottogruppo coordinato da Greggi (dal titolo Scambio di informazioni), emergono problematiche particolarmente rilevanti come la prevalenza degli interessi patrimoniali rispetto ai valori della persona

e una mancanza di tutela della privacy e di efficacia della compliance ai fini antielusivi e antievasivi.

. Il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla direttiva //CEE del Consi-glio, del  dicembre , relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e delle imposte sui premi assicurativi, come modifica-ta dalla direttiva //CE del Consiglio, del  novembre , e dal diritto fondamenmodifica-tale

al contraddittorio, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richiesto, né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato.

. Non è infatti consentito dunque al contribuente di essere informato delle richieste formulate da altro Stato, anche se nulla impedisce che uno stato estenda tale diritto ad altre fasi d’indagine, coinvolgendo i contribuenti nella raccolta di informazioni. Con le ordinanze Cass. n.  e n. , entrambe depositate il  aprile , è stato affermato che la circostanza che i documenti (bancari) posti alla base degli atti impositivi siano stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi, non impone all’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della documentazione trasmessa. Inoltre — prosegue la Cassazione — non esiste un diritto del contribuente di essere preventivamente informato circa la procedura di cooperazione attivata

. Nelle sentenze Cass. n.  e n.  del .. richiamando precedenti della giurisprudenza corte di Giust. europea esaminati (caso Sabou cit.), è stato affermato allo stesso modo che non sono previste forme di contraddittorio preventivo qualora si provveda attraverso cooperazione informativa intracomunitaria. Con le ordinanze n.  e n. , entrambe depositate il  aprile , la Cass. ha innanzitutto affermato che la circostanza che i documenti posti alla base degli atti impositivi siano stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi, non impone all’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della documentazione trasmessa, né assume rilievo l’irritualità dell’acquisizione dei dati bancari. Vedi contributi di Greggi e Strianese.

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 Introduzione

Inoltre in tali casi l’illecita acquisizione dei dati da soggetti terzi non determina la loro inutilizzabilità da parte dell’AF (vedi Lista Falciani)

. In tempi più recenti — per quanto l’interesse per tale genere di risposte non si sia affievolito, anche al cospetto dell’emergere del fenomeno delle multinazionali digitali che, essendo prive si struttu-re materiali significative, ancor più facilmente possono sfuggistruttu-re alle rigide maglie delle norme positive sulla allocazione della base impo-nibile entro un dato confine nazionale — ci si è tuttavia resi conto di due aspetti concorrenti: da un lato, il ricorso pressoché esclusivo a norme interne di tipo repressivo produce l’effetto di ostacolare l’af-flusso di investimenti all’interno del sistema economico nazionale, con conseguenze negative tra l’altro in un contesto di generalizzata crisi economica; dall’altro, il ricorso alla cooperazione internazionale, ponendosi il più delle volte in un momento nel quale certe condotte dannose sono già state realizzate e si tratta di individuarle ed eventual-mente reprimerle, manifesta comunque un connotato patologico che appare incongruo rispetto alle finalità anche di sviluppo dell’economia globale che gli interventi nella materia fiscale inevitabilmente recano con sé come reazione alla crisi.

In conseguenza, molti ordinamenti hanno iniziato a guardare al fenomeno delle imprese multinazionali come a una opportunità, se adeguatamente regolamentato, per l’economia interna: dunque, come un fenomeno tutt’altro che dannoso, purché sottoposto a regole certe, prevedibili e non eccessivamente penalizzanti.

Il sistema fiscale italiano si è mosso proprio in questa direzione. Dopo aver introdotto, in un primo tempo, norme che tendevano ad ampliare l’efficacia delle disposizioni interne rispetto alle condotte di imprese mul-tinazionali con il chiaro interno di proteggere il gettito anche a discapito dell’efficienza delle scelte di business per tali soggetti, il legislatore si è più di recente reso conto dell’esigenza di rilanciare l’economia anche attraverso norme fiscali capaci di attrarre investimenti da parte delle imprese multinazionali. Di tale mutato atteggiamento costituisce segno tangibile la rinnovata disciplina degli interpelli, degli accordi preventivi e dell’adempimento collaborativo a opera dei decreti delegati approvati dal Governo in esecuzione della delega di cui alla legge  del .

Se, infatti, fino a oggi — salvo eccezioni, come quella del ruling

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Introduzione 

internazionale, peraltro assai poco efficaci anche in conseguenza di una non felicissima formulazione testuale — l’approccio era fonda-to sulla previsione di norme antielusive e antievasione più o meno limitative e sul confronto ex post (vuoi in sede di adesione, vuoi in ambito giudiziale) tra amministrazione e impresa sui contenuti di recuperi già formalizzati, si ha l’impressione che adesso la percezione sia mutata e si privilegino forme di contraddittorio preventivo ovve-ro di determinazione concordata dell’impatto fiscale su determinate iniziative dell’impresa anteriormente alla formulazione di rilievi tribu-tari. Si tratta, ad evidenza, del portato di considerazioni di opportunità pratica, nel senso che appare al legislatore più probabile che imprese straniere siano disposte a investire in Italia laddove abbiano in via anti-cipata concordato con l’Ufficio il relativo trattamento fiscale e dunque fugato i rischi di accertamenti, magari molto onerosi, notificati senza preavviso dopo aver intrapreso una certa strada di investimento.

Ciò è vero anche al di fuori dei confini nazionali. In ambito inter-nazionale il rapporto, del .., OCSE denominato Co–operative

Compliance: A Framework. From Enhanced Relationship to Co–operative Compliance collegato al BEPS è volto anche ad esaminare se può fun-zionare una cooperative compliance multilaterale

ove sono coinvolte nel contraddittorio con l’impresa due o più autorità fiscali di diversi Paesi. Il riconoscimento della documentazione ufficiale o delle prove acquisi-te in altri Paesi per la compliance multilaacquisi-terale e la dimostrazione dello svolgimento di una effettiva attività di impresa in altro Stato e di una distribuzione multinazionale del reddito reale, risultano fondamentali ai fini della valutazione della correttezza dell’attività svolta da imprese multinazionali che sono le principali protagoniste della compliance. Per garantire una attività multilaterale di compliance è necessario acquisire tali informazioni, non più solo attraverso scambio tra AF di diversi Paesi, ma mediante il coinvolgimento diretto delle imprese stesse aderenti alla procedura e di soggetti terzi anche non residenti collegati mediante cooperazione rafforzata. I benefici riservati all’im-presa derivanti dall’adesione alla compliance (anche una riduzione delle sole sanzioni o degli onere amministrativi) dovranno in tali casi

. Nel documento  l’OCSE si esamina la possibilità di adottare cooperative com-pliance multilaterale attraverso il coinvolgimento Autorità di più Paesi e si mettono in evidenza le difficoltà riconoscendo che solo in due Paesi (Olanda e UK) è stato adottato un tale tipo di compliance.

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 Introduzione

essere condivisi dai due Stati in cui è stato prodotto il reddito e per-cepito. Tale situazione può verificarsi in coincidenza con la necessità, prevista nel nostro ordinamento a seguito dell’emanazione del d.lgs. n.  del  art.  che attribuisce nell’ambito dell’adempimento collaborativo riservato alle grandi imprese, rilevanza al contraddit-torio

, di coinvolgere nell’adesione al regime collaborativo le stabili organizzazioni di imprese non residenti

. L’Ufficio potrà verificare l’esistenza dei requisiti e avvierà l’interlocuzione relativa al procedi-mento di ammissione e l’Ag. delle entrate potrà accedere presso le sedi di svolgimento di tali imprese allo scopo di acquisire informazio-ni utili. Per coinvolgere tali soggetti è indispensabile l’interlocuzione costante con le amministrazioni di altri Stati.

. Criminalità economica ed evasione fiscale

Il sistema economico criminale tende sempre di più a confondersi e riciclarsi in quello legale. L’interesse della criminalità organizzata, (come viene evidenziato nell’ambito di tale ricerca nel contributo di Mastellone e Dorigo dal titolo “Lotta alla criminalità economica: l’influenza delle iniziative internazionali ed europee sull’ordinamento tributario e penale italiano”) è quello di trarre benefici da tale assorbi-mento e ciò avviene prevalentemente attraverso l’utilizzo di paradisi fiscali e il riciclaggio che consentono l’anonimato e un elevato grado di opacità.

Da un recente rapporto annuale della direzione nazionale antimafia è emerso che la criminalità organizzata è sempre più specializzata nelle operazioni economiche e finanziarie. Per questo l’attività svolta in tale ambito risulta sempre più sfuggente e pericolosa.

Sebbene i numeri dell’evasione riconducibili alla criminalità siano difficilmente calcolabili perché mancano dati ufficiali, l’evasione delle

. La proporzionalità del sistema di controllo è considerata anche nel nostro ordina-mento insieme alla trasparenza e ragionevolezza tra i principi cui si fonda la valutazione dell’Agenzia delle Entrate del sistema di controllo adottato. Tali principi dovranno essere rispettati dall’Ag. delle Entrate ai fini dell’ammissionee della permanenza del regime e per risolvere le controversie attraverso l’adempimento collaborativo. Tra gli altri impegni previsti alla lett. c) del I comma della stessa norma, vi è quello della promozione di relazioni con i contribuenti improntate alla collaborazione e correttezza.

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Introduzione 

mafie si attesta presumibilmente intorno ai  miliardi di euro in ambito europeo corrispondente a un importo pari al  % del PIL europeo.

Dal punto di vista fiscale, l’investimento di proventi illeciti in attivi-tà apparentemente lecite sembra consentire di attrarre e recuperare a tassazione tali somme. Tuttavia la collocazione di tali proventi in para-disi o regimi fiscali privilegiati, favorisce la realizzazione di un duplice vantaggio economico: quello di evadere sottraendo definitivamente a tassazione tali proventi rendendo difficili i controlli, e di finanziare le attività delle organizzazioni mafiose.

Dunque il rapporto tra i due fenomeni è strettissimo in quanto il riciclaggio è lo strumento che consente ulteriore evasione attraverso il canale dei paradisi fiscali e allo stesso tempo l’evasione favorisce, incentiva il riciclaggio e lo rende un canale indispensabile.

Il riciclaggio e l’evasione fiscale rappresentano, in sostanza, due facce della stessa medaglia e hanno in comune la medesima sofisticata tecnica di occultamento del denaro. Perciò, le iniziative internazionali di cooperazione per contrastare il riciclaggio hanno degli inevitabili riflessi positivi in termini di lotta all’evasione fiscale. Allo stesso tempo, si registra un’influenza delle elaborazioni in materia di cooperazione fiscale nella disciplina antiriciclaggio.

L’evoluzione internazionale pone in evidenza l’inclinazione a com-prendere i reati fiscali tra quelli che possono costituire presupposto del riciclaggio: dunque, si diffonde la consapevolezza che gli illeciti fiscali costituiscono fattispecie dalle quali può scaturire un provento riciclabile.

L’emblema di un simile orientamento sta nell’atteggiamento del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) . All’esito della revisione delle direttive dell’organizzazione sul riciclaggio nel , pur essendosi posto il problema della inclusione dei delitti fiscali come possibile presupposto del riciclaggio, si ritenne opportuno far riferimento al solo contrabbando (tra le fattispecie a rilevanza anche tributaria), non essendosi raggiunto alcun tipo di consenso su una più ampia considerazione dei reati fiscali.

La versione  delle raccomandazioni indica invece per la prima volta tali reati come possibili presupposti del riciclaggio, per quanto il riferimento sia effettuato ai soli serious crimes, ovvero a quei delitti fiscali considerati di particolare gravità, evitando invece una dilatazione

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 Introduzione

della disciplina a tutti i delitti fiscali.

A sua volta, l’Unione europea, con la direttiva / del  maggio , emanata proprio nell’intento di uniformare l’ordina-mento europeo ai criteri internazionali del GAFI, ha incluso i reati fiscali nella definizione di “attività criminosa” cui si applica la disci-plina antiriciclaggio ivi introdotta. Piuttosto, la discidisci-plina europea si pone espressamente il problema della differente latitudine che gli ordinamenti interni possono attribuire alla nozione di reato fiscale. Da questo punto di vista, la Direttiva non considera tale aspetto di per sé dannoso, ma auspica che una simile potenziale divergenza non osti comunque a una cooperazione ampia tra le Unità di Informazione Finanziaria (UIF) dei vari Stati, sia come assistenza reciproca, sia come scambio di informazioni.

Gli indirizzi che vanno affermandosi nel contesto sovranazionale, nell’indicare un’influenza delle elaborazioni fiscali in ambito antirici-claggio, paiono condivisibili specialmente nella misura in cui sembra-no indicare l’esigenza che presupposto del riciclaggio sembra-non siasembra-no tutti i reati fiscali ma solo quelli più gravi. Ciò ha indubbiamente una ricadu-ta sull’effettività e l’efficacia delle tecniche di contrasto al riciclaggio, perché in caso contrario le autorità a ciò preposte si troverebbero sommerse — e verosimilmente paralizzate — da dati numerosi, poco intelligibili e ancor meno utili relativi a fattispecie di minore gravità e allarme sociale: si pensi al caso italiano, nel quale tutti i reati sono oggi connotati come delitti e basta una dichiarazione infedele di poco superiore alla soglia di rilevanza penale (non particolarmente eleva-ta neppure dopo gli ultimi ritocchi) per generare la possibilità che i relativi proventi siano oggetto di riciclaggio.

Restringere la rilevanza ai soli delitti fiscali serious significa in so-stanza concentrare gli sforzi, di intelligence prima e repressivi poi, solo ove sia maggiore il rischio di fenomeni organizzati e di vasta portata, come nel caso delle operazioni mediante fatture inesistenti utilizzate per la creazione di fondi neri all’estero idonei a loro volta a finanziare fenomeni illeciti di corruzione o terrorismo internazionale.

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Introduzione 

. Necessità di una sinergia e integrazione tra procedimento pe-nale e tributario

Non può essere trascurata infine, ai fini del contrasto all’evasione ed elusione interna e internazionale, la funzione che potrebbe realizzare un adeguato coordinamento delle attività repressive in campo penale e amministrativo. Si pensi ad esempio che molte delle specifiche misure antielusive o antievasive adottate, oltre la clausola antiabuso art. –

bis cit., presuppongono la dimostrazione di presupposti, spesso di natura soggettiva, necessari a verificare, ad esempio, l’esistenza di valide ragioni economiche che giustifichino l’adozione di determinati schemi negoziali; o ancora la connivenza (in termini di conoscenza o conoscibilità) del cessionario nelle frodi carosello o, infine, la diretta imputabilità dei costi all’attività illecita

.

Tali elementi non possono essere semplicemente presunti e potran-no essere acquisiti e dimostrati dalle autorità amministrative compe-tenti soltanto attraverso le risultanze probatorie e indiziarie rilevate in ambito penale. Appare pertanto necessario nel nostro ordinamento il superamento del doppio binario che caratterizza ancora i procedimen-ti fiscali e penali, quanto meno laddove si profili il coinvolgimento di più sofisticate (e quindi insidiose) forme di organizzazione criminale. Naturalmente, non si può immaginare un completo appiattimento delle valutazioni delle autorità amministrative (e poi del giudice tri-butario) su quanto emerso in sede penale; tuttavia, l’affermazione chiara della rilevanza di tali ultimi elementi nella ricostruzione della fattispecie concreta in ambito fiscale, sgombrerebbe il campo dalle perplessità che ancora sussistono e che appaiono il portato di una malintesa concezione del doppio binario.

Maggiori aperture verso l’integrazione dei procedimenti in tal senso arrivano ad esempio dall’interpretazione del ne bis in idem in materia sanzionatoria effettuata dalla CEDU e dalla Corte di Giustizia. La giurisprudenza di queste corti sembra indirizzarsi nella direzione di escludere un cumulo di sanzioni formalmente e sostanzialmente penali (ancorché qualificate dall’ordinamento come amministrative), facendo leva sul divieto di un secondo procedimento sui medesimi fatti a carico di uno stesso soggetto allorché la statuizione su una delle

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 Introduzione

due sanzioni sia già divenuta definitiva. Ciò non può che indurre alla cooperazione preventiva tra autorità penale e tributaria e a una integrazione tra i diversi procedimenti utile anche al fine di un raf-forzamento nella lotta all’evasione fiscale. In questo senso, il nostro ordinamento — fondato sul principio di specialità — non sembra del tutto coerente con tali indirizzi, nel momento in cui condiziona il divieto di cumulo non all’identità in concreto dei fatti, bensì a una valutazione astratta della fattispecie in termini di sua specializzazione.

Sembra evidente che non potranno essere raggiunti significativi risultati in termini di contrasto al recupero delle ricchezze nascoste connesse alle attività svolte dalla criminalità organizzata, fino a quando persiste il doppio binario e l’autonomia tra procedimento penale e tributario e si reputa che le stesse garanzie — che il nostro sistema fiscale riserva in sede di verifica e accertamento agli altri contribuenti — debbano applicarsi a quei contribuenti infedeli che, in più, con la loro attività finanziano la criminalità organizzata e creano forti distorsioni della concorrenza.

Si percepisce dunque, attesa la gravità e l’estensione del fenomeno, la pressante esigenza di una procedura speciale accertativa e sanzio-natoria tributaria che regoli, in modo diverso rispetto ai casi ordinari, il recupero a tassazione dei proventi illeciti derivanti dalla criminalità economica organizzata.

Certamente, in prospettiva tale soluzione porrebbe la questione del-l’eccesso sanzionatorio e della limitazione delle garanzie nei confronti di tali soggetti attraverso un prelievo doppio fiscale e confiscatorio (che si può verificare ad es. nel caso di applicazione di confisca per equivalente o di normativa auto riciclaggio

). Tuttavia, l’eventuale conflitto con i principi costituzionali potrebbe essere superabile attra-verso la previsione di una speciale aggravante (fondata sul concetto di “interesse prevalente”) relativa a fenomeni penalmente rilevanti connessi all’evasione fiscale aggravata dall’organizzazione criminale, come già accade in altri settori dell’ordinamento penale ad es. per le associazioni di stampo mafioso.

Andrebbe riconosciuta in conclusione una maggiore integrazione

. In presenza di reati tributari l’autoriciclaggio rischia di determinare una doppia sanzione della medesima condotta in quanto l’evasore è spesso autore del riciclaggio, vedi sul tema le considerazioni di Dorigo e Mastellone.

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Introduzione 

tra i sistemi istruttori e probatori in caso di attività di contrasto all’eva-sione fiscale e allo stesso tempo di ostacolo di altre azioni illecite della criminalità organizzata; sarebbero inoltre necessari maggiori controlli sulle attività svolte da soggetti terzi, come gli istituti finanziari e le banche. Solo una forte azione di contrasto sinergica e coordinata al-l’evasione e al riciclaggio tra diverse autorità penali e fiscali nazionali, europee e internazionali e il superamento limiti scambio di informa-zioni tra Stati, attraverso il recepimento delle recenti disposiinforma-zioni UE ed OCSE, potrà produrre risultati accettabili, attenuando le enormi diseguaglianze generate da evasione ed elusione fiscale.

In un’ottica de jure condendo, sarebbe auspicabile allora che i criteri di valutazione degli Stati come compliant con gli standard internazio-nali, comprendessero non solo l’adeguamento alle forme di scambio di informazioni più evolute, ma anche l’adozione di efficaci norme antiriciclaggio, specialmente quelle legate all’individuazione del bene-ficiario effettivo, e la conseguente messa a disposizione delle relative informazioni, meglio se in via automatica, con le autorità di altre giurisdizioni. In questo senso, ancora una volta un modello efficace può essere quello, di derivazione fiscale, del peer review, con la revi-sione del grado di adeguamento dei vari ordinamenti agli standard internazionali in via periodica. Da questo punto di vista, ancora una volta l’esperienza europea rappresenta il laboratorio avanzato di que-sto melting pot tra lotta all’evasione fiscale e contraque-sto al riciclaggio internazionale, avendo previsto forme di reporting tra uffici di infor-mazione finanziaria che saranno oggetto di valutazione periodica in seno alla Commissione.

Tutte le norme che concernono momenti di dialogo/frizione tra amministrazioni fiscali e autorità che operano per la repressione della criminalità economica, dovrebbero allora essere ripensate, fornendo strumenti che, pur nel rispetto dei principi fondamentali, rendono ve-loce e duttile il travaso dall’una all’altra dimensione. La stessa nozione di reato fiscale a base del riciclaggio dovrebbe essere meglio definita, al fine di focalizzare l’azione informativa e repressiva su quelle forme di evasione che per la loro fraudolenza si prestano a costituire vei-colo o mezzo di occultamento di proventi derivanti dalla criminalità economica.

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