Metafisica e storia della metafisica
Collana diretta da Virgilio Melchiorre
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L’ESSERE CHE È,
L’ESSERE CHE ACCADE
PERCORSI TEORETICI IN FILOSOFIA MORALE
IN ONORE DI FRANCESCO TOTARO
a cura di Carla Danani, Benedetta Giovanola,
Maria Letizia Perri, Daniela Verducci
Il presente volume è stato pubblicato con i contributi del Rettorato e del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Macerata.
www.vitaepensiero.it
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© 2014 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano ISBN 978-88-343-2447-9
INDICE
Tabula gratulatoria XI
Presentazione XVII
Saluto del Magnifi co Rettore Luigi Lacchè XXI
Bibliografi a di Francesco Totaro XXIII
PARTE PRIMA
Ontologia ed etica
CARLO ARATA
Per un colloquio ‘fi losofi co-metafi sico’ con Francesco Totaro 3
GIAN LUIGI BRENA
Verità prospettica e pluralismo 9
CALOGERO CALTAGIRONE
L’etica come «far accadere» la positività dell’essere.
In dialogo riconoscente con Francesco Totaro 19
CARLA CANULLO
Su un possibile signifi cato della ‘funzione meta-’ 27
MASSIMO MARASSI
Sulla verità che avviene 35
MAURIZIO MIGLIORI
Platone e il rispetto della dimensione doxastica
e fenomenologica 43
FRANCESCO ORILIA
Presentismo e realismo 53
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VI INDICE
UMBERTO REGINA
Ripensare l’essere nell’«inter-esse» dell’esistente 61
PIERANGELO SEQUERI
Il lavoro creativo dell’affezione. Pensieri per una de-ontologia
del fondamento 71
EMANUELE SEVERINO
Morte di Dio ed eterno ritorno 79
ANNA-TERESA TYMIENIECKA
Human development between imaginative freedom and vital
constraints 89
DANIELA VERDUCCI
La fi oritura post-metafi sica dell’essere nella teoresi
di Francesco Totaro 97
CARMELO VIGNA
Verità, libertà e responsabilità 105
PARTE SECONDA
La fi oritura dell’umano
CARLA DANANI
Utopia e politica nella rifl essione di Francesco Totaro 117
FRANCESCO DONADIO
Natura, artifi cio e persona. L’attualità della sfi da antropologica 127
ARIANNA FERMANI
Modelli di spiegazione e prassi di edifi cazione della felicità.
Aristotele e la fi oritura dell’umano 137
UMBERTO GALIMBERTI
Il soggetto e l’azione 147
SERGIO LABATE
«L’attività degna degli uomini». Attualità della critica alla società
del lavoro 153
SERGE LATOUCHE
Conjurer l’illimitation et retrouver le sens de la mesure 161
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INDICE VII
ROBERTO MANCINI
Il valore umano del lavoro.
Una rifl essione a partire dal pensiero di Francesco Totaro 173
SANDRO MANCINI
L’etica della persona e il suo respiro utopico. In dialogo
con Francesco Totaro 181
VIRGILIO MELCHIORRE
La regola utopica. Una costante di Francesco Totaro
nella lettura della storia 187
FRANCESCO MIANO
Per una visione personalista dell’etica della responsabilità 201
DONATELLA PAGLIACCI
Dis-posizioni personali. L’eccentricità della persona
nell’antropologia fi losofi ca 209
MARIA LETIZIA PERRI
Vedi alla voce persona. In dialogo con Francesco Totaro 219
ALBERTO PIRNI
Corpo e mondo. Intorno all’idea di soggetto possibile nella
contemporaneità tecnologica 227
COSIMO QUARTA
Famiglia e matrimonio nella tradizione utopica: il medioevo
cristiano 235
MARIO SIGNORE
Perché il lavoro non è più una festa 245
WERNER STEGMAIER
Vom Finden des eigenen Masses. Die Häutungen von Nietzsches
Gedicht «Nach neuen Meeren» 251
LAURA TUNDO FERENTE
Individuo società identità: rifl essioni sul ‘riconoscimento’ 261
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VIII INDICE
PARTE TERZA
Etica ed economia, etica e politica, etica e natura, etica e diritto
FRANCESCO BOTTURI
Bene comune e universale politico 275
MARCO BUZZONI
Natura e artifi cio nelle scienze sperimentali e in etica 283
ANTONIO DA RE
Attività professionale e obiezione di coscienza 291
ADRIANO FABRIS
Per una nuova confi gurazione delle etiche speciali 301
VITANTONIO GIOIA
Crescita, crisi economiche, sviluppo umano. Convergenze
disattese e soluzioni possibili 309
BENEDETTA GIOVANOLA
Giustizia sociale e democrazia: in dialogo con Francesco Totaro 317
ARNALDO PETTERLINI
Pluralismo dei valori e problema della tolleranza 327
LUIGI PUNZO
La democrazia come ideologia 335
FRANCO RIVA
Fare democrazia. Fondamenti della cooperazione 345
STEFANO SEMPLICI
Il ‘potere’ del bene comune 355
STEFANO ZAMAGNI
Diseguaglianze e giustizia benevolente 363
PARTE QUARTA
Filosofi e in dialogo
LUIGI ALICI
L’etica nella differenza infi nita: la via di Jankélévitch 375
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INDICE IX
GUIDO ALLINEY
«Velle malum sub ratione mali». Tommaso d’Aquino,
Giovanni Duns Scoto e le radici della modernità 385
GIUSEPPE CANTILLO
Esistenza e coscienza assoluta in Karl Jaspers 395
EMILIO DE DOMINICIS
Sulla legge naturale come legge di natura in Hobbes 403
GIOVANNI FERRETTI
Bene e giustizia nel pensiero di Emmanuel Levinas. A confronto
con Didier Franck sul tema del «terzo» 411
PIERGIORGIO GRASSI
Habermas sulla società postsecolare 421
Gli Autori 431
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ARIANNA FERMANI
Modelli di spiegazione e prassi di edifi cazione
della felicità
Aristotele e la fi oritura dell’umano
*Con questa indagine vorrei tentare di intrecciare la nozione di causa e quella di felicità, cercando di mostrare come la costruzione della vita buona per l’essere umano necessiti, secondo Aristotele, di essere letta mediante modelli esplicativi diversifi cati e non riducibili.
Tale fondamentale movenza, che mi sembra costituire, contempora-neamente, uno dei cuori teorici fondamentali e uno degli elementi di maggior interesse del pensiero dello Stagirita, potrebbe essere sintetiz-zata nella fi gura del pollachos legomenon, in base a cui ogni cosa è ed è
dici-bile in molti modi, e gli schemi di lettura dell’oggetto, per risultare
effet-tivamente esplicativi della realtà, devono essere costantemente moltipli-cati. In questo senso mi sembra che si possa affermare che, anche al livel-lo della costruzione della vita buona, Aristotele ritenga necessario met-tere in campo tutti e quattro i tradizionali modelli causali (causa mate-riale, formale, effi ciente e fi nale), mostrando, in opere operato, come
l’eu-daimonia si realizzi e si spieghi pollachos, cioè, appunto, in molti modi1.
Per tentare di avvicinarsi alla questione, si potrebbe partire, secondo il tipico metodo dialettico aristotelico, dalle opinioni autorevoli, sgom-brando il campo dalle concezioni inadeguate.
Perciò gli uomini credono che la causa della felicità (th`~ eujdaimoniva~ ai[tia) ri-sieda nei beni esterni, come se un brillante e un bravo suonatore di cetra doves-se cercare la causa della sua riuscita più nello strumento che nella arte (Politica VII, 13, 1332 a 25-28)2.
Come è ridicolo attribuire la causa della riuscita di un musicista al suo strumento, così è inaccettabile che la causa della riuscita di una vita risie-* Questo contributo costituisce una rielaborazione della relazione La causa si dice in molti
modi (pollachôs): Aristotele e le molteplici ‘cause’ della vita buona, tenuta presso l’Università Cattolica di Milano il 10 maggio 2012, in occasione della giornata di studi dal titolo: Il pensiero antico si dice in molti modi. Alcuni esempi della sua polifonia.
1 Per un approfondimento della questione mi permetto di rimandare al mio saggio L’etica
di Aristotele. Il mondo della vita umana, Marcelliana, Brescia 2012, pp. 7 ss.
2 La traduzione della Politica (da ora in poi Pol.) è a cura di C.A. Viano, in Aristotele,
Politica, (1960), Laterza, Roma-Bari 199314(con alcune modifi che).
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138 ARIANNA FERMANI
da in elementi esterni a quella stessa vita. Pertanto, i beni esterni, ovve-ro quei beni che gli antichi ponevano accanto a quelli dell’anima e del corpo3, non rappresentano la spiegazione della vita buona, esattamente
come alle Olimpiadi non vengono premiati gli atleti più belli e più for-ti, ma quelli che alla fi ne vincono4.
Tuttavia resta vero che tali beni risultano essere elementi imprescin-dibili, e che, in qualche modo, essi devono essere posti nel novero delle cause della vita buona. Infatti nessuna vita può darsi senza questi ele-menti:
lo stesso deve dirsi anche per le cose che sono causa della vita e del bene: quan-do è impossibile che il bene e la vita esistano senza che ci siano determinate co-se, queste sono necessarie e questa causa (hJ aijtiva) è una necessità (Metafi sica V, 5, 1015 b 3-6)5.
Questi elementi, dunque, senza i quali la vita stessa, ancora prima che la vita buona, non si dà6, possono essere letti come i requisiti di
parten-za e quindi come una sorta di causa materiale. Come viene ricordato, ad esempio, in Met. V, 2, 1013 a 24-25, «causa, in un senso, signifi ca “ciò di cui” (ejx ou\) sono fatte le cose».
In più, tale modello esplicativo viene applicato da Aristotele non so-lo alle realtà materiali, ma anche a quelle immateriali, come ad esempio alle «lettere delle sillabe» (1013 b 20), che dunque fungono da ‘condi-zioni di base’. In Pol. VII, 4, 1325 b 40-1326 a 5, inoltre, tali condi‘condi-zioni di base vengono esplicitamente chiamate u{lh (materia):
come anche gli altri artigiani, quali ad esempio il tessitore e il fabbricatore di na-vi, devono disporre di una materia (u{lhn) adatta al lavoro che vogliono fare…, così anche il politico e il legislatore devono avere una materia specifi ca (oijkeivan u{lhn) e ben disposta.
Oltre questi elementi esterni, però, c’è un ulteriore punto di partenza della vita. Si tratta della fuvsi~, cioè della natura, di quei requisiti che si posseggono fi n dalla nascita:
forse, allora, qualcuno potrebbe dire: «poiché è in mio potere il fatto di esse-re giusto e moralmente esse-retto, qualora io lo voglia, potesse-rei esseesse-re il più esse-retto di tutti». Ma questo non è possibile. Perché? Perché ciò non accade neppure per
3 Cfr., ad esempio, Etica Nicomachea I, 8, 1098 b 12-15. 4 Etica Nicomachea I, 8, 1099 a 3-5.
5 La traduzione della Metafi sica (da ora in poi Met.) è di G. Reale in Aristotele, Metafi
si-ca, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000 (con alcune modifi che).
6 Su questo tema mi permetto di rimandare al mio saggio Vita felice umana. In dialogo con
Platone e Aristotele, Eum, Macerata 2006, cap. Felicità e beni esteriori.
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MODELLI DI SPIEGAZIONE E PRASSI DI EDIFICAZIONE DELLA FELICITÀ 139
il corpo. Infatti, anche qualora uno voglia prendersi cura del corpo, certo non per questo avrà il corpo migliore di tutti. Infatti è necessario non solo che se ne prenda cura, ma anche che il corpo sia bello e sano per natura (th/` fuvsei). Dun-que avrà un corpo migliore, ma di certo non il migliore in assoluto7.
La natura, pertanto, ovvero l’insieme delle caratteristiche con cui na-sciamo, rappresenta per la vita buona un ulteriore ineliminabile pun-to di partenza. Quespun-to non equivale a fare di Arispun-totele un determinista. Perché se è vero che la felicità non si esaurisce nel fatto di possedere de-terminate caratteristiche, o nell’essere dotati di una determinata physis (non a caso l’ipotesi avanzata all’inizio dell’EE, «se tutti coloro che ven-gono detti felici lo siano per natura, come per natura si è grandi, piccoli e di colore diverso»8, viene subito scartata), ma si confi gura piuttosto
co-me «attività dell’anima secondo virtù», è anche vero che la felicità non può essere costruita se non a partire dalla physis stessa.
Inoltre i requisiti di partenza, cioè la materia della vita buona, sono leggibili anche nei termini delle parti di quell’intero (holon) che è la vi-ta buona stessa:
le lettere delle sillabe, la materia degli oggetti artifi ciali… le parti dell’intero (ta; mevrh tou` o}lou)… sono cause nel senso che sono ciò da cui le cose derivano (ejx ou| ai[tiav ejstin)9.
La causa materiale rappresenta, quindi, il sostrato dell’esistenza felice, ciò da cui essa deriva e l’insieme delle sue insottraibili parti, parti in cui essa non si esaurisce ma che senza di esse non si darebbe. Parti diverse, infatti, darebbero luogo a un intero diverso.
Ma il modello causale che viene immediatamente in mente appena si parla di felicità è quello di causa fi nale. L’eudaimonia, infatti, rappre-senta notoriamente il telos, il fi ne ultimo di ogni esistenza. Essendo dunque il fi ne, la felicità costituisce il bene e, in quanto tale, essa si confi -gura come una causa, dato che «il bene e il fi ne delle cose è una causa» (Met. I, 2, 982 b 10).
L’eudaimonia, in questo senso, può essere pensata come la causa fi na-le della vita, ovvero come ciò che la fa riuscire. In Pol. VII, 3, 1325 b 14-15 si legge infatti che
7 Grande Etica I, 11, 1187 b 22-30. La traduzione della Grande Etica (da ora in poi GE),
dell’Etica Eudemia (da ora in poi EE) e dell’Etica Nicomachea (da ora in poi EN) è di chi scrive, in Aristotele, Le tre Etiche, a cura di A. Fermani, Presentazione di M. Migliori, Bompiani, Milano 2008 (Il Pensiero Occidentale).
8 EE I, 1, 1214 a 15-18. 9 Met. V, 2, 1013 b 19-21.
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giustamente si è identifi cata la felicità con la riuscita (th;n eujdaimonivan eujpra-givan).
La felicità si confi gura dunque come il bene supremo dell’esistenza, co-me quel bersaglio a cui bisogna tendere (dato che «il non aver diretto la propria esistenza verso qualche fi ne è sintomo di grande stoltezza»)10
e come quel telos supremo che dà senso a ogni altro fi ne intermedio. Se, infatti, non c’è un termine ultimo del desiderio in vista del quale deside-riamo tutto il resto, ogni altro desiderio perderebbe contenuto e utilità, restando completamente svuotato:
delle cose che facciamo vi è un fi ne (tevlo") che vogliamo per se stesso, mentre le altre cose le vogliamo a causa di questo e non scegliamo ogni cosa a causa di altro… è evidente che questo verrebbe a confi gurarsi come il bene e la cosa mi-gliore (EN I, 2, 1094 a 18-22).
Dire, però, che la felicità è il fi ne dell’esistenza, nella prospettiva aristo-telica signifi ca dire che essa costituisce anche la forma della vita, come viene confermato, ad esempio, in De partibus animalium I, 639 b 14-15, in cui il fi ne è identifi cato appunto con la forma dell’oggetto. Il fi ne per cui l’oggetto deve servire, infatti, è anche la forma di quell’oggetto e ciò che ne dirige la struttura.
Esattamente in questo medesimo orizzonte si inquadra ciò che si leg-ge in Fisica I, 9, 192 a 17-24:
posto che ci sia qualcosa di divino, di buono e di desiderabile, noi proclamia-mo… l’esistenza di qualcosa che per natura… persegue e desidera «quel divi-no»… come nel caso di una femmina che desidera il maschio e il brutto che de-sidera il bello11.
L’aspirazione verso un fi ne diventa, pertanto, un movimento in direzio-ne del proprio compimento, cioè verso il conseguimento della propria forma.
La forma costituisce il fi ne, e ciò che ha conseguito il fi ne (tevlo") è perfetto (tevleion)
leggiamo in Met. V, 24, 1023 a 31-34. In questo senso la causa fi nale è in-trinsecamente intrecciata con la nozione di causa formale.
Tale riferimento alla forma e alla causa formale della vita può
rice-10 EE I, 2, 1214 b 10-11.
11 Aristotele, Fisica, a cura di R. Radice, appendice bibliografi ca e lessicografi ca di L.
Palpacelli, Bompiani, Milano 2011 (Il Pensiero Occidentale).
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MODELLI DI SPIEGAZIONE E PRASSI DI EDIFICAZIONE DELLA FELICITÀ 141
vere una serie di articolazioni all’interno della rifl essione aristotelica sull’eudaimonia, a cui farò in questa sede riferimento solo in modo sche-matico.
In primo luogo una rifl essione sulla causa formale dell’esistenza feli-ce non può prescindere dal confeli-cetto di bios, ovvero di ‘forma di vita’. Ol-tre alla zoè, infatti, che è quella vita che, secondo i Greci, condividiamo con tutti gli altri esseri viventi, ognuno di noi, vivendo, realizza un bivo", un modus vivendi, ovvero un modo del tutto singolare di stare al mondo. «Un bios è un tipo di vita, e come tale è composto da una serie di attività diverse, ma è caratterizzato da un tipo prevalente di azioni, che in una certa misura determinano tutto il resto, e permettono di distinguere un
bios da un altro»12. Detto in altri termini: chi, come ricorda Aristotele,
trascorre la propria vita rincorrendo l’onore, o amando il denaro o inse-guendo il piacere, modella la propria esistenza su questi obiettivi e que-sti stessi obiettivi lo plasmano fi no a diventare la sua ‘forma di vita’, cioè «una vita per la quale, nel suo modo di vivere, ne va del vivere stesso»13.
Ed è proprio a partire da questa ‘forma di vita’ che l’individuo ela-bora la propria scelta esistenziale e che risponde alla domanda: ‘che co-sa signifi ca essere felici’. È solo a partire dal nostro bios, infatti, cioè da quella direzione che la vita ha preso e da cui è stata plasmata, che possia-mo porci la domanda sulla felicità e rispondere ad essa. In questo senso le nostre scelte di vita ci condizionano (conferendo una forma alla no-stra esistenza) e, contemporaneamente, è proprio da questa forma che le scelte di vita derivano.
Ma il concetto di causa formale può essere declinato anche diversa-mente – e secondo un signifi cato più pregnante – rispetto alla nozione di vita buona. Una vita felice e pienamente realizzata, infatti, non è al-tro che una vita nella sua forma (ejn tw`/ ei[dei)14. Una vita nella sua forma
è una vita pienamente in atto, perfettamente realizzata. E se è all’inter-no di ogni bios che la felicità prende forma, è anche vero che la felicità
stes-sa è forma e che esstes-sa, in quanto forma, realizza la vita. ‘Forma’ è da
inten-dere esattamente nel senso greco di eidos, di attuazione, di totale compi-mento di una realtà15: offrendosi alla vita come forma, come attuazione
delle proprie potenzialità e come attingimento del proprio telos, la felici-tà si lega alla vita in maniera indissolubile.
12 C. Natali, La saggezza di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 1989, p. 254. 13 G. Agamben, La comunità che viene, Einaudi, Torino 1990, p. 11.
14 «La materia è in potenza perché può giungere alla forma; e quando, poi, sia in atto,
allora essa è nella sua forma» (Met. IX, 8, 1050 a 15-16).
15 «Il telos di ogni entità consiste nel suo eidos» (C. Horn, L’arte della vita nell’antichità,
Felicità e morale da Socrate ai Neoplatonici, 2004, a cura di E. Spinelli, Carocci, Roma 20052,
p. 197).
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142 ARIANNA FERMANI
Ma c’è anche un ultimo modello causale, che risulta essere di una importanza decisiva per la costruzione della vita buona, e che in qual-che modo permette di ordinare i tasselli fi n qui presentati: la causa ef-fi ciente. A svolgere questo fondamentale compito è la saggezza. È alla
phronesis, infatti, che spetta il compito di realizzare quella piena fi
oritu-ra dell’umano che è l’esistenza felice. La funzione della causa effi cien-te, infatti, è esattamente questa, come si legge in Met. V, 2, 1013 a 31-32: «chi fa è causa di ciò che vien fatto (to; poiou`n tou` poioumevnou)».
Inoltre la saggezza si confi gura come una capacità che mira alla co-struzione dell’intero, all’edifi cazione della vita buona nella sua totalità. Essa, infatti, si muove, per costituzione, in una prospettiva interale. È sag-gio, dice in effetti Aristotele, chi ha
la capacità di decidere bene riguardo ciò che è bene e utile per lui, non in ambi-ti parambi-ticolari, come per esempio riguardo alla salute o la forza fi sica, ma riguardo
alla vita buona in generale (to; eu\ zh`n o}lw") (EN VI, 5, 1140 a 25-28).
In questo senso la saggezza si confi gura come quell’architetto chiama-to a coordinare le altre virtù e a ordinare le varie parti di cui l’intero si compone:
infatti tutte le virtù sono tali da orientare l’agire, e la saggezza è come una sorta di loro architetto… essa si prende cura di tutte le cose e ha il potere di imparti-re ordini (kuriva kai; prostavttousa)16.
La saggezza può dunque avere una funzione architettonica in quanto svolge una funzione prescrittiva, cioè in quanto impartisce ordini alle al-tre virtù. Ma essa non può dare ordini alla virtù suprema della sapienza, visto che la sophia è superiore alla saggezza, e visto che quest’ultima è co-me un servo della prima:
la saggezza… si trova nella stessa situazione dell’amministratore di una casa. Co-stui, infatti, è padrone di ogni cosa e può amministrare tutto; eppure costui non comanda su tutti, ma procura del tempo libero al suo padrone affi nché costui, nel compiere azioni moralmente belle e convenienti, non sia ostacolato da ciò che è necessario. Così, allo stesso modo, la saggezza è come un amministrato-re della sapienza, e procura a questa il tempo libero e l’opportunità di compie-re la propria funzione17.
La sapienza, dunque, in sé, è più importante della saggezza (come il divi-no è superiore all’umadivi-no), ma rispetto a quell’intero (realizzato dalla
sag-16 GE I, 34, 1198 b 4-12. 17 GE I, 34, 1198 b 8-19.
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MODELLI DI SPIEGAZIONE E PRASSI DI EDIFICAZIONE DELLA FELICITÀ 143
gezza) che è la vita buona, non può che confi gurarsi come una parte18.
In questo senso si deve dire che la sapienza, pur essendo in sé supe-riore alla saggezza, in quanto garantita e resa possibile dalla phronesis (ovvero ‘prodotta’ da essa)19, in qualche modo ne dipende, come il
pa-drone di casa dipende da colui che lavora alle sue dipendenze, da colui che si occupa delle faccende quotidiane per permettere al suo padrone di dedicarsi ad attività più nobili.
In questo senso la sapienza costituisce la parte più eccellente, certa-mente, il più grande e il più bel gioiello in una corona piena di prezio-si20, ma una parte che non può e non deve trasformarsi nell’intero. La
sapienza, infatti, è garante di una felicità eccelsa, divina, ma puntuale. L’altra felicità, quella umana, deve poter estendersi lungo l’arco di tut-ta una vitut-ta, in una vitut-ta completut-ta21. La phronesis, arte discreta e sottile del
viver bene, può innervare le trame della vita nella sua complessità, può organizzare le sue molteplici parti, può permettere che la vita si struttu-ri come holon, ovvero come «vita intelligente (che distinguerei dalla vita dell’intelligenza, come il tutto si distingue dalla parte)»22.
A dar origine alla vita buona c’è dunque la saggezza, che è capace di edifi care l’intero assegnando un posto, un peras a ciascuna delle par-ti dell’intero stesso. Un compito che la phronesis riesce a svolgere perché sa qual è il telos da raggiungere23, dato che si può stabilire un limite solo
se si conosce il fi ne, come si ricorda in Pol. I, 9, 1257 b 28:
il fi ne è per tutte le cose il limite (pevra" ga;r to; tevlo" pavsai").
Questo modello intero-parti con cui può essere letta la vita buona e feli-ce permette, quindi, di dare ordine alle nozioni prima individuate, com-presi i beni esteriori, compresa la natura, altra causa materiale, che, da sola, non basta a spiegare la felicità, ma che risulta un elemento impre-scindibile per la costruzione della stessa.
18 La sapienza viene infatti esplicitamente defi nita «parte della virtù come tutto» (mh`ro"...
th`" o{lh" ajreth`") (EN VI, 13, 1144 a 5).
19 EN VI, 12, 1143 b 35: «ciò che produce (poiou'sa) qualcosa comanda… e impartisce
ordini sotto ogni singolo aspetto».
20 Cfr. M. Nussbaum, The fragility of Goodness: Luck and Ethics in Greek Tragedy and
Philo-sophy, Cambridge University Press, Cambridge 1986, trad. it. di M. Scattola, a cura di G. Zanetti, La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella fi losofi a greca, il Mulino, Bologna 1996, p. 673.
21 Sui due ‘modelli’ di felicità cfr. EN X, 7-8. 22 C. Vigna, Azione, responsabilità e valore, p. 133.
23 Sulla dibattuta questione del rapporto tra la saggezza, i mezzi e i fi ni mi permetto di
rimandare al paragrafo La saggezza tra universale e particolare, fi ni e mezzi, del mio saggio L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, pp. 284 ss.
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144 ARIANNA FERMANI
Poiché per essere felici, ricorda Aristotele, occorrono «una virtù completa e una vita completa»24, cioè una vita complessivamente
indi-rizzata verso quel fi ne da cui tutto il resto acquisisce senso, rispetto a cui tutte le decisioni, le azioni, i desideri, le scelte, ricevono una collocazio-ne e un orientamento adeguati, «in vista di cui viecollocazio-ne compiuto tutto il resto»25. Allora si deve dire che ogni aspetto dell’esistenza, cioè ogni sua
parte, sapienza compresa, viene a trovare la sua adeguata posizione solo in una vita improntata alla saggezza: è la phronesis a fare di ogni meros un
meros di quell’holon che è la vita felice.
Concludendo, quindi, e tirando brevemente le fi la di questo attraver-samento dei modelli esplicativi della vita piena e realizzata dell’essere umano, si può affermare schematicamente che:
1. una vita felice è una vita che non si esaurisce nelle sue parti costi-tutive, ma che senza di esse non si darebbe; tali elementi, infatti, rappre-sentano il sostrato, la materia della vita buona (e, ancor prima, la
condi-tio sine qua non della vita stessa);
2. l’eudaimonia si costituisce come causa fi nale, come telos, come fi ne ultimo da raggiungere e a cui aspirare, dato che senza di esso ogni altro fi ne intermedio risulterebbe letteralmente svuotato;
3. la vita felice è anche, a diverso titolo, forma, attuazione delle po-tenzialità e delle aspirazioni dell’essere umano;
4. in ultimo luogo quella fi oritura dell’umano in cui consiste la vita pienamente realizzata, senza la phronesis non potrebbe essere edifi cata, visto che una vita non può essere felice nella sua totalità se venisse me-no la saggezza. E allora si deve dire che la vita riuscita è una vita bella e misurata26, un intero ordinato fatto di parti ordinate, ma anche che essa è
una vita saggia, costruita, cioè, dall’opera incessante di quel fondamen-tale principio ordinatore che è la phronesis, esattamente come in Met. XII, 10, 1075 a 14-15 si ricorda che
il bene (to; eu\) dell’esercito sta nell’ordine (tavxei), ma anche (kai;) nel genera-le (strathgov").
Difatti, per prendere nuovamente a prestito un passo della Metafi sica che esprime a pieno la nozione di pollachos legomenon da cui siamo par-titi:
24 EN I, 10, 1100 a 4-5. 25 EN I, 5, 1097 a 18.
26 «Per non soffocare se stessa, la vita esige misura e capacità di autolimitazione» (F.
To-taro, Misura, potenza, vita in Nietzsche, in Aa.Vv., Nietzsche tra eccesso e misura. La volontà di potenza a confronto, a cura di F. Totaro, Carocci, Roma 2002, p. 56).
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MODELLI DI SPIEGAZIONE E PRASSI DI EDIFICAZIONE DELLA FELICITÀ 145
poiché causa si intende in molteplici signifi cati (pollacw`" legomevnwn tw`n aijtivwn) ne
viene di conseguenza che ci siano molte cause del medesimo oggetto, e non per accidente27.
E questo mi sembra che possa dirsi anche per quella vita autenticamen-te buona e bella, per quella piena fi oritura dell’umano, che è
l’eudaimo-nia aristotelica.
27 Met. V, 2, 1013 b 3-6.
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