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SCIENZA &POLITICA, vol. XXVIII, no. 55, 2016, pp. 131-149

S

CIENZA

&

P

OLITICA

per una storia delle dottrine

La dialettica della repressione. Michel

Foucault e la nascita delle istituzioni penali

The Dialectic of Repression. Michel Foucault and the Birth of Penal

Institutions

Alessandro Pandolfi

Università di Urbino apandolfi@fastwebnet.it

A

B S T R A C T

Il saggio intende mettere in evidenza il ruolo della repressione nel corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France Théories et institutions pénales del 1971-1972 e nei testi in cui, negli stessi anni, Foucault elabora la genealogia del si-stema penale moderno. Nel corso del 1971-72 la repressione è un dispositivo politico che accanto al ricorso alla violenza, mette contestualmente in gioco nuove tattiche, nuovi rapporti, nuovi equilibri di potere, e soprattutto, anticipa le istitu-zioni e le pratiche fondamentali dell’ordine penale della modernità.

PAROLE CHIAVE: Repressione; Penalità; Stato moderno; Inchiesta; Crimine politico; Delitto comune.

*****

The essay aims to highlight the role of the repression in the course taught by Michel Foucault at the Collège de France Théories et institutions pénales of 1971-1972 and in the texts in which, during the same years, Foucault elaborates the genealogy of the modern penal system. During the 1971-72 course Foucault represents repression as a political device that beside the use of violence, simultaneously brings into play new tactics, new relationships, new balance of power, and above all, anticipates the institutions and the fundamental practices criminal law of moderni-ty.

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1.

Lo Stato moderno: accentramento e rivolte

Il corso tenuto da Foucault nel 1971-72 –Théories et institutions pénales (d’ora in poi TIP) – con cui si conclude la pubblicazione delle lezioni al Collège de France, si sviluppa come un’ellisse intorno a due fuochi: la costruzione di un “sistema repressivo” avviata dalla monarchia in Francia per stroncare le sedizioni popolari della prima metà del Seicento, ul-timo anello di una catena di lotte contadine e urbane che si snoda attraverso la storia mo-derna a partire dal XIV secolo1. Per i curatori del corso- François Ewald e Bernard

Har-court – in TIP Foucault ha messo in gioco un importante complesso di argomenti collocati a vari livelli2. In primo luogo, va rilevato quello che, come si è fatto cenno, costituisce

l’oggetto esplicito dell’insegnamento di quel biennio: la nascita di un apparato repressivo di Stato – la justice armée – che non ha più lo scopo di assicurare la circolazione e l’accumulazione delle ricchezze, come nel tardo Medioevo, bensì di gestire la repressione delle sedizioni popolari e, a partire dalla seconda metà del XVII secolo, di amministrare il sequestro di parti della popolazione con una serie di strutture, di nuove giurisdizioni, di mi-sure legislative e amministrative (la legislazione sulla mobilità della forza lavoro, le strutture dell’internamento, luogotenenze e presidi di polizia, i lavori forzati, la deportazione nelle colonie). «Da Richelieu a Luigi XIV siamo nel secolo della giustizia armata», dice Foucault nella lezione del primo dicembre 19713. Questo dispositivo era stato allestito per

fronteg-giare un’ondata di rivolte popolari che era culminata nell’insurrezione dei Nu-Pieds in Normandia tra il 1639 e il 1640. Di fronte alla forza d’urto di una sedizione di proporzioni inusitate (Grozio, dice Foucault, parla di 20.000 armati) la repressione gestita direttamente dallo Stato si era resa necessaria a causa delle insufficienze e delle negligenze delle istanze repressive tradizionali – la giustizia signorile, le milizie borghesi municipali, le prerogative dei Parlamenti4. Provocando una divaricazione profonda tra le istituzioni della giustizia –

centrali, feudali, parlamentari – le rivolte della plebe sediziosa avevano messo allo scoperto una contraddizione che minava alla radice l’ordinamento tardo feudale dello Stato nella prima parte del XVII secolo:

Le sedizioni popolari erano dirette contro il prelevamento della rendita feudale centra-lizzata. La repressione doveva proteggere la rendita, il suo prelevamento e l’apparato di

1 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales. Cours au Collège de France 1971-1972, Paris, Ehess, Gallimard,

Seuil, 2015. Il corso si aggancia immediatamente all’attualità politica: «Nessuna introduzione. La ragione di que-sto corso?» Queste le prime frasi pronunciate da Foucault il 24 novembre 1971 «Basta aprire gli occhi. E quelli a cui tutto questo fa rivoltare lo stomaco si ritroveranno in quello che ho detto» (ivi, p. 3). Davanti agli occhi c’è il contesto politico post ‘68 caratterizzato da una dura campagna repressiva (per entrare al Collège de France ove si svolgevano le lezioni di Foucault occorreva passare attraverso vari cordoni di polizia), che colpiva il movimento studentesco, i collettivi operai, i gruppi politici e la stampa, in particolare, dell’area maoista. Per questo, gran par-te del corso è dedicata alla genealogia della repressione. Sul conpar-testo politico e par-teorico di TIP, si veda F.EWALD – B.HARCOURT, Situation du cours, in M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, pp. 248 e sgg.

2 F.EWALD B.HARCOURT, Situation du cours, p. 260. 3 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 22.

4 Secondo i curatori Foucault si riferisce a una lettera di Grozio, ambasciatore di Svezia in Francia, del 3 dicembre

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Stato che lo assicurava. Questa repressione ha messo in funzione un apparato ed è stata condotta in forme che erano incompatibili con il sistema feudale5.

Nel Résumé del corso Foucault mette soprattutto in evidenza un tema che aveva trat-tato nelle ultime tre lezioni (rispettivamente il 1 marzo e nelle due lezioni dell’otto marzo 1972). Le condizioni politiche ed economiche che hanno sostenuto lo sviluppo di un appa-rato di Stato che tendeva ad appropriarsi e a centralizzare in termini sempre più stretti l’amministrazione della giustizia, il potere di reprimere le sedizioni popolari e il controllo dell’“ordine pubblico” sono le matrici di una specifica forma di “sapere potere”. Mentre l’anno precedente, nel primo corso tenuto da Foucault al Collège – Lezioni sulla volontà di sapere – era stata analizzata la misura come modello di sapere-potere legato alla costitu-zione della polis tra VII e VI secolo A.C., in TIP Foucault ricostruisce la genealogia dell’inchiesta: un modulo di estrazione, classificazione e utilizzo di svariati elementi di co-noscenza “per constatare o ricostruire i fatti; gli eventi, gli atti, le proprietà, i diritti”6.

L’inchiesta è il sistema operativo intorno a cui si organizza il training di un “corpo” di tec-nici – i burocrati – che amministrano “il plus sapere” detenuto dal “plus potere” dello Sta-to in funzione nelle inchieste penali, nel diritSta-to civile, nella legislazione. In questi ambiti l’inchiesta è sia uno strumento sia un metodo per prelevare del sapere che, per gli effetti che produce, permette un rafforzamento del potere nel senso di una maggiore concentra-zione e tecnicizzaconcentra-zione delle sue operazioni7. Infine, l’inchiesta è la matrice per la

costruzio-ne dei saperi empirici, per lo sviluppo delle scienze della natura, per la composiziocostruzio-ne di nuovi discorsi filosofici (il magnetismo, la storia naturale, la metodologia delle scienze, una forma di discorso filosofico alternativa al Saggio, alla Meditazione, al Trattato)8.

La ricostruzione della storia dell’apparato repressivo edificato in Francia tra la prima e la seconda metà del Seicento (nel corso Foucault parla di ricerca “dinastica”) va contestua-lizzata in un quadro di riflessioni sulla storia e, in particolare, sul rapporto tra storia e ge-nealogia che Foucault stava svolgendo in quegli anni. Come ricorda Claude-Olivier Doron in un saggio su Foucault et les historiens, annesso all’edizione del corso, nella conferenza del 1970 Ritornare alla storia, e nel noto testo del 1971, Nietzsche, la genealogia, la storia, Foucault aveva contrapposto ai concetti di tempo e di passato, che a suo dire dominavano ancora la pratica storiografica, le nozioni di evento e di cambiamento ricavate dall’etnologia, dall’antropologia strutturale e dalla genealogia di Nietzsche9. Queste

rifles-sioni trovano nel corso del 1971-72 un ulteriore ambito di concettualizzazione e un terreno

5 Ivi, p. 24.

6 M.FOUCAULT, I Corsi al Collège de France. I Résumés, a cura di A. Pandolfi, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 20-21.

Sulla genealogia della misura, si veda M.FOUCAULT, Lezioni sulla volontà di sapere. Corso al Collège de France 1970-1971. Seguito da Il sapere di Edipo, Milano, Feltrinelli, 2015.

7 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, pp. 204-210. 8 M.FOUCAULT, I Corsi al Collège de France. I Résumés, p. 22.

9M.FOUCAULT, Nietzsche, la genealogia, la storia, in M.FOUCAULT, Il discorso, la storia, la verità. Interventi.

1969-1984, a cura di M. Bertani, Torino, Einaudi, 2001, pp. 43-64; M.FOUCAULT, Ritornare alla storia, ivi, pp. 85-100.

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di verifica della loro efficacia euristica. A questo riguardo, nelle prime lezioni del corso Fou-cault focalizza un cambiamento attraverso cui prende corpo un evento – la rivolta dei Nu-Pieds – che spicca all’interno di un ordine seriale di fenomeni simili: le insorgenze contadi-ne contro il fisco, il contrabbando, le lotte dei lavoratori contadi-nelle città, le bande di rapinatori sulle grandi arterie, e in generale, gli illegalismi popolari tra XVI e XVII secolo. Quello che interessa Foucault è il carattere differenziale dell’evento, la singolarità della lotta dei Nu-Pieds, e cioè la maniera in cui è stato sfidato e attaccato direttamente il potere suscitando una reazione massiccia e traumatica per gli equilibri istituzionali e politici vigenti nella pri-ma metà del XVII secolo10. La dinamica del cambiamento riguarda simmetricamente anche

il fronte istituzionale. In Ritornare alla storia, riferendosi a Dumézil, Foucault dice che un’analisi strutturale in storiografia è «l’analisi non di una somiglianza, ma di una differen-za, anzi di un gioco di differenze»11. In TIP questo approccio si traduce nella ricerca di ciò

che fa la differenza tra il sistema repressivo feudale – la cui analisi occupa quasi interamen-te la seconda parinteramen-te del corso – e l’apparato repressivo di Stato che si afferma nel XVII seco-lo e, verso la fine del corso, tra quest’ultimo e l’impianto repressivo messo in funzione dalla borghesia dopo la Rivoluzione. Per quanto riguarda il primo «gioco di differenze», Foucault lavora su due assi cronologici eterogenei: un evento aleatorio e singolare (la rivolta dei Nu-Pieds) catalizza un processo di lunga durata nel corso del quale la monarchia si appropria delle forme giuridiche del mondo feudale per costituire un ordinamento giudiziario centra-lizzato. In una prospettiva ancora più larga, Foucault dice che, a partire dal XIII secolo, la concentrazione dei poteri giurisdizionali e la creazione di una forza armata a difesa dell’«ordine pubblico» sono stati periodicamente attraversati dalle lotte e dai movimenti popolari che, dalla grande crisi del XIV secolo, hanno fatto letteralmente precipitare quelle dinamiche12.

Tra i motivi che fanno di TIP «un documento eccezionale» come scrivono i curatori, c’è il contributo di Foucault «a uno dei più proficui dibattiti storiografici che si siano tenuti nel secondo dopoguerra»13. Foucault entra direttamente nella discussione sullo Stato in età

moderna sviluppatasi alla fine degli anni Cinquanta e che si protrae sino ai primi anni Set-tanta e, in particolare, si misura con la querelle tra Roland Mousnier e Boris Porchnev sull’incidenza delle rivolte popolari sulla storia dell’assolutismo14. Questi dibattiti mettevano

in gioco problematiche di ampio respiro: l’interpretazione marxista dei movimenti popolari, la natura di classe dello Stato monarchico nel XVII secolo tra il dissolvimento del feudalesi-mo e lo sviluppo del capitalisfeudalesi-mo mercantile – manifatturiero, le posizioni politiche della

10 C.-O.DORON, Foucault et les historiens, in M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, pp. 298-300. 11 M.FOUCAULT, Ritornare alla storia, [traduzione leggermente modificata] p. 92.

12 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, pp. 172-173.

13 P.A.SCHIERA E.ROTELLI, Introduzione, in Lo Stato moderno, vol. III, Accentramento e rivolte, Bologna, Il

Mulino, 1974, p. 15.

14 C.-O.DORON, Foucault et les historiens, p. 291. R.MOUSNIER, Ricerche sulle rivolte popolari in Francia prima

della Fronda (1970) in Lo Stato moderno, vol. III, Accentramento e rivolte, pp. 285-318; R.MOUSNIER, Furori contadini. I contadini nelle rivolte del XVII secolo (Francia, Russia, Cina) (1967), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1984; B.PORCHNEV, Lotte contadine e urbane nel Grand Siècle (ed. fr. 1963), Milano, Jaca Book, 1998 (II ed).

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borghesia. Foucault si smarca in modo magistrale in particolare dalla controversia tra Mou-snier e Porchnev mettendone a nudo i limiti. Contro MouMou-snier, che non attribuisce alcun valore alle sedizioni popolari nell’edificazione dello Stato monarchico in cui la borghesia è profondamente integrata controllandone le principali funzioni amministrative, le cariche giurisdizionali e le leve finanziarie, Foucault mostra che la sovranità dello Stato moderno è totalmente sovraesposta a una serie di lotte e di sollevazioni popolari ora di bassa ora di alta intensità. Le operazioni repressive che vengono messe in opera nella prima metà del XVII secolo sono completamente determinate dalla necessità di organizzare una reazione senza precedenti nei confronti delle sedizioni popolari. Nei riguardi di Porchnev, che ha avuto il merito di cogliere nelle sedizioni popolari il motore della storia dello Stato moder-no, Foucault mette in chiaro che la rivolta che più di altre ha provocato un mutamento so-stanziale nella repressione dello Stato non ha suscitato un fronte comune tra le classi domi-nanti, bensì una radicale redistribuzione dei loro ruoli e del loro posizionamento. Il fronte delle forze al potere, più che essere compattato da una comunità di interessi a difesa dell’ultimo ordine feudale, come sostiene Porchnev, è tenuto insieme da una complessa trama di strategie «da una serie di operazioni di divisione, da abili processi effettuati dagli agenti della repressione»15. Come osserva ancora C.-O. Doron, il corso di Foucault complica

tanto lo schema di Porchnev quanto le tesi di Mousnier moltiplicando i livelli delle contrad-dizioni in merito ai rapporti tra feudalesimo, capitalismo e Stato monarchico: quello di Foucault è «un materialismo dialettico molto particolare»16.

Per quanto concerne il rapporto tra la borghesia e la monarchia Foucault sottolinea che mentre alcune sezioni della borghesia erano ostili alla destinazione del sistema repressivo gestito dallo Stato (la centralizzazione della rendita feudale), la borghesia parlamentare e gran parte dell’aristocrazia erano invece refrattarie alla sua forma, centralizzata e ammini-strativa, pur essendo ancora largamente favorite nei loro privilegi dalla sua finalità. La bor-ghesia, prosegue Foucault, che non rigettava la forma del nuovo sistema repressivo se ne servirà successivamente per edificarne una versione ancora più unitaria e organica ai suo interessi infrastrutturandola con un discorso sull’autonomia della giustizia:

«Sistema unitario che la borghesia cercherà di mascherare sotto l’affermazione che la giustizia è indipendente sia dal controllo dello Stato, sia dalla forza armata della polizia. Tutto ciò per poter-la far funzionare come un potere arbitrale e neutro tra le cpoter-lassi sociali»17.

Infine, Foucault dice che il nuovo potere di reprimere e di punire ha facilitato l’accumulazione – del capitale finanziario, dei profitti mercantili, degli investimenti in in-frastrutture e nelle manifatture18. Rendendo meno remunerativo l’acquisto di uffici e di

ca-riche giurisdizionali, l’apparato repressivo ha contribuito a dirottare gli investimenti verso le attività produttive e le imprese mercantili protette dallo Stato; ha avuto delle ripercussioni

15 C.-O.DORON, Foucault et les historiens, pp. 301-302. 16 Ivi, p. 306.

17 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 26. 18 Ivi, p. 105.

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sulla fiscalità in quanto ha ridotto i costi di esercizio della repressione gestita dall’esercito; ha diminuito i rischi politici connessi all’azione repressiva ancora nelle mani delle classi dominanti; ha introdotto una razionalizzazione del controllo del territorio e della popola-zione affidato a un’istanza – i presìdi e le luogotenenze di polizia – che non aveva compiti militari, che svolgeva un’azione preventiva che l’esercito non aveva la capacità di gestire e la cui operatività non aveva le conseguenze economiche disastrose di una campagna milita-re. Accordando prevenzione, repressione e segregazione forzata delle frange riottose, crimi-nali, moralmente agitate o semplicemente inabili della popolazione, l’apparato repressivo ha esercitato un controllo più stringente sulla mobilità e ha prodotto degli effetti significativi sul mercato del lavoro:

«La sottrazione o la minaccia della sottrazione di una parte della popolazione non ha gli stessi in-convenienti economici dell’invasione. Permette di mantenere bassi i salari: piuttosto che essere internati, gli individui accettano salari più bassi. Stimola la produzione riducendone i costi (per l’esportazione; stimolazione del commercio coloniale)»19.

2.

La dialettica della repressione

Che la repressione sia uno degli argomenti più discussi da Foucault è un fatto ben noto ai lettori. A questo riguardo, nel corso su Bisogna difendere la società Foucault dice che esi-stono due grandi schemi di analisi del potere: lo schema contratto-oppressione e quello guerra-repressione. Secondo il primo, la repressione figura come un «abuso della sovranità nell’ordine giuridico». Secondo il secondo schema, la repressione è un fenomeno regolare: «il semplice effetto e la semplice continuazione di un rapporto di dominazione». La repres-sione non è uno stato di eccezione che viola la legittimità dell’ordine giuridico: ovunque vi sia un rapporto di forza c’è un’azione repressiva per instaurare o stabilizzare una domina-zione. In tal senso, Foucault afferma che nelle sue ricerche e nell’insegnamento lo schema guerra repressione è stata la forza motrice della genealogia del potere: «E’ evidente che tutto quello che vi ho detto nel corso degli anni precedenti si iscriveva nello schema guerra-repressione». E tuttavia, prosegue Foucault, considerato retrospettivamente, questo schema non è stato adeguatamente elaborato al punto che, egli conclude: «credo che le stesse no-zioni di “repressione” e di “guerra” debbano essere considerevolmente modificate se non forse, al limite, abbandonate»20. Nonostante l’ipotesi di una rinuncia all’uso dei termini in

questione, in quello stesso periodo, e per la precisione ne La volontà di sapere, Foucault aveva lavorato a fondo intorno al concetto di repressione nella prospettiva della genealogia del dispositivo di sessualità. Gli elementi negativi, scrive in tal senso Foucault, che di solito sono associati alla repressione come i divieti, le censure, i rifiuti e le negazioni:

19 Ivi, p. 95.

20 M.FOUCAULT, Bisogna difendere la società. Corso al Collège de France 1975-1976, Milano, Feltrinelli, 1998,

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«sono probabilmente soltanto degli elementi che svolgono un ruolo locale e tattico in una traspo-sizione in discorso, in una tecnologia di potere, in una volontà di sapere, che sono lungi dal ridur-si ad esridur-si»21.

A questo proposito, Foucault osserva che nel XVII secolo la repressione delle rivolte po-polari faceva parte di un sistema costituito dalla triade: giustizia-polizia-prigione22. Le

con-seguenze del nuovo sistema repressivo sono state così importanti che, a questo riguardo, si può ben parlare di una soluzione «straordinariamente elegante, sempre che si possa parlare di eleganza in un ambito del genere, un rimedio miracoloso nell’epoca della nascita del ca-pitalismo»23.

Nell’ambito di una riflessione su Il soggetto e il potere Foucault osserva che mentre una relazione di potere è un modo di azione che si applica ad altre azioni attuali o future per condizionarne la finalità, le determinazioni e lo svolgimento, un rapporto di violenza agisce immediatamente sui corpi o sulle cose: «esso forza, sottomette, tortura, distrugge o impedi-sce ogni possibilità»24. Tuttavia, come si è visto, la repressione non è integralmente

riducibi-le alla vioriducibi-lenza. In una delriducibi-le ultime interviste, Foucault sottolinea che riducibi-le relazioni di potere sono un intreccio tra strategie, stati di dominio e tecnologie governamentali25. La

repressio-ne, normalmente associata all’imposizione degli stati di dominio, possiede una versatilità più ampia. Come Foucault mette in evidenza in TIP, l’operatività della repressione è in primo luogo differenziale e selettiva: ad alcuni soggetti e gruppi sociali la repressione impo-ne imperiosamente degli stati di dominio attraverso delle strategie e delle tecniche gover-namentali: «L’analisi di queste tecniche», così Foucault argomenta su questo punto, «è ne-cessaria perché, molto spesso, è attraverso questo genere di tecniche che gli stati di dominio vengono stabiliti e mantenuti»26. Ad altri soggetti e ad altri gruppi la repressione impone,

con degli strappi tattico-strategici talvolta brutali, una ridefinizione dei rapporti di potere. Questi rapporti di potere vengono stabilizzati dalle tecniche governamentali in stati di do-minio generalmente meno rigidi, in cui c’è più o meno gioco per delle strategie.

In Théories et insitutions pénales Foucault articola un importante discorso sulla repres-sione. All’inizio del corso egli dice che la storia delle teorie e delle istituzioni penali nel XVII secolo va studiata nella prospettiva del loro funzionamento all’interno dei «regimi della re-pressione». A fronte di una serie di istanze e di opzioni strategiche che emergono nel quadro di determinati rapporti di forze, questi sistemi: «Mettono a disposizione di una determinata forza degli strumenti che le permettono di distruggere un’altra forza, di eliminarla o di

in-21 M.FOUCAULT, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1. Milano, Feltrinelli, 2010, p. 17.

22 M.FOUCAULT, Sulla giustizia popolare. Dibattito con i maoisti, in Microfisica del potere. Interventi politici,

Tori-no, Einaudi, 1977, p, 84

23 M.FOUCAULT, Le grand enfermement, in M.FOUCAULT, Dits et Écrits, 4 vol. Paris, Gallimard, vol. II, 105, p.

298.

24M.FOUCAULT, Il soggetto e il potere, in H.DREYFUS P.RABINOW, La ricerca di Michel Foucault: analitica della

verità e storia del presente. Con un'intervista e due saggi di Michel Foucault, Firenze, Ponte alle Grazie, 1989, pp. 248-253.

25 M.FOUCAULT, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, in Archivio Foucault 3. 1978-1985, Estetica

dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 292.

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debolirla, di isolarla o di disarmarla». La messa in prospettiva delle teorie e delle istituzioni penali nella storia dei sistemi repressivi consente di evitare di porre l’origine della penalità moderna in termini morali (bene e male), sociologici (devianza/integrazione) o psicologici (che cos’è la delinquenza). È a partire dall’analisi della repressione che appariranno stori-camente quelle nozioni e si potranno comprendere le loro riformulazioni27. In quanto

matri-ci della penalità moderna, i sistemi repressivi sono caratterizzati da una determinata opera-tività differenziale e da una certa flessibilità e versatilità strategiche. Nel caso dei Nu-Pieds, nota in tal senso Foucault, la repressione è stata a un tempo selvaggia e indulgente, ha al-ternato il rispetto formale per i rituali politici e istituzionali, le condanne penali, i supplizi e l’occupazione militare. Questa «curiosa mescolanza» va inquadrata in una situazione molto complessa che per vari aspetti esulava dalle previsioni delle leggi in vigore (non si trattava di ordinari atti di brigantaggio), non poteva essere affrontata con qualche accorgimento formale o tattico (non si trattava di introdurre un cambiamento legislativo, di rischiare un abuso o un aggiramento della legge). Le istanze a cui la repressione doveva far fronte erano eccezionali: occorreva riconquistare un’intera regione; bisognava riappropriarsi delle inse-gne e dei simboli del potere confiscati dai sediziosi; era necessario ripristinare e ridistribuire le funzioni repressive signorili, parlamentari e urbane che si erano dimostrate troppo deboli o inaffidabili28.

Gli aspetti più interessanti di questa congiuntura sono l’eterogeneità delle operazioni repressive messe in funzione e la molteplicità dei terreni su cui si è dovuta misurare la loro efficacia. Foucault definisce questo insieme di elementi e di condizioni giustizia armata (justice armée). A questo proposito Foucault premette che per schiacciare la sedizione dei Nu-Pieds, il cancelliere Séguier, incaricato da Luigi XIII di riportare l’ordine in Normandia, ha voluto manifestare un potere che trascendeva le prerogative sia della giustizia sia della forza armata, un potere «che non era sottomesso né ai privilegi dell’una né alle regole dell’altra». Accanto ad azioni violente e brutali (l’annientamento dei rivoltosi, l’occupazione militare del territorio con le conseguenti devastazioni, l’alloggiamento dell’esercito in spre-gio alle regole e alle consuetudini dell’ordine civile, l’intimidazione della popolazione, le condanne dei capi della sedizione al di fuori di tutte le normali procedure, ecc.) la repres-sione si è proposta altri obiettivi ponderati in base a un gioco di calcoli molto precisi. Infine, queste operazioni hanno fissato delle relazioni di potere, hanno eseguito delle strategie e assolto delle funzioni che hanno perdurato nel tempo segnando «il punto di formazione di istituzioni ancora inesistenti o il punto di cristallizzazione di istituzioni non ancora sufficien-temente formate»29.

27 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, pp. 3-4. 28 Ivi, p.7, 31.

29 Ivi, p. 41. Si tratta dei punti di cristallizzazione e di formazione dell’ordinamento giudiziario tra tardo Medioevo

e il XVII secolo. Cfr. Théories et institutions pénales, pp. 130-131; 158-159; 183-203; della creazione di un appa-rato amministrativo con funzioni esecutive (intendenti di polizia e delle finanze, commissari), svolgente compiti repressivi (luogotenenti di polizia) e di controllo della popolazione (internameno, lavori forzati, deportazioni), ivi, pp. 93-96.

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Le finalità della repressione sono alternativamente politiche e militari o, a un tempo, politico-militari. La modulazione di queste valenze è determinata, principalmente, dagli obiettivi di classe delle operazioni repressive. Come scrivono i curatori del corso:

C’è una distribuzione selettiva delle armi e degli strumenti della repressione a seconda che gli obiettivi siano popolari o meno. Il popolo si combatte ferocemente con le armi: il popolo è contenuto, terrorizzato, come se il potere ritenesse che su di esso non si potesse esercitare alcuna presa. Le cose vanno diversamente nei riguardi dei rappresentanti dei corpi e delle istituzioni con cui vengono messe in gioco quelle performance che Foucault qualifica esattamente quando parla di «rapporti» o di «relazioni di potere»30.

Una volta schiacciata militarmente la rivolta, la repressione interviene in uno spettacolo nel corso del quale vengono imposti nuovi rapporti di forza agli attori politici e istituzionali locali. Alle porte di Rouen, di fronte al Cancelliere Séguier sfilano i rappresentati dei ceti, dei corpi costituiti e delle istituzioni. In gioco, sottolinea Foucault, c’è una resa dei conti del-lo Stato con le esitazioni, le connivenze e i comportamenti di questi soggetti nei confronti della sedizione dei Nu-Pieds31. Sulla scena, i personaggi (il Vescovo, il Sindaco della città,

gli scabini e i notabili, i membri del Parlamento) mantengono le insegne, tengono i discorsi, compiono i gesti e conservano i ruoli prescritti dal rituale. E tuttavia, nel corso della ceri-monia le cose cominciano a muoversi: «Il potere, che mantiene in riserva le truppe sul bor-do della scena, costringe gli uni e gli altri a modificare i ruoli e, a poco a poco, a dire le cose e a compiere i gesti che esso pretende»32. Questo spettacolo, puntualizza Foucault, è

l’oggetto di una ricerca dinastica: un’analisi dei rapporti di potere al livello della loro rap-presentazione33. In questa messa in scena non sono in gioco dei fenomeni semiotici, bensì

dei fattori dinastici, che Foucault denomina marche (marques). Più che dei segni, le mar-che sono delle segnature, e cioè simboli, riti, gesti, posture e discorsi il cui significato sta nell’uso che se ne fa per confermare o spostare, squilibrare o riequilibrare dei rapporti di potere34. La dinastica inquadra il luogo in cui si svolge un confronto e uno scontro

“marca-to” tra forze35. La cerimonia che si svolge alle porte della città di Rouen è uno spazio

rego-lato da marche che viene scosso, destrutturato e ricomposto dal gioco delle forze che si svolge sulla sua scena:

«Queste cerimonie, riti, gesti, non vogliono dire nulla. Non sono oggetto di una semiologia, ma di un’analisi delle forze (del loro gioco, della loro strategia). Le marche che vi appaiono non devono essere analizzate con una semiotica degli elementi, ma in una dinastica delle forze [….] A questo riguardo [le] manifestazioni del rapporto di potere duplicano le strategie (ne fanno parte al

se-30 F.EWALD B.HARCOURT, Situation du cours, in M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 266. 31 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, pp. 11-12

32 Ivi, p. 49.

33 M.FOUCAULT, Cérémonie, théâtre et politique au XVIIè siècle, in M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales,

pp. 235-241.

34 Sul concetto di segnatura si veda G.AGAMBEN, Signatura rerum. Sul metodo, Torino, Bollati Boringhieri, 2008. 35 L’antico diritto germanico e le forme giuridiche medievali istituivano una scena in cui era in gioco una prova tra

forze. La prova si concludeva con un verdetto di superiorità che sanciva da che parte stava il “buon diritto”. La prova, dice Foucault, «è una “marca” (e non semplicemente un segno); essa deriva non da una semiologia, ma da una dinastica» (M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 199.

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condo grado ed esercitano il loro effetto sul rapporto di forza che esse permettono di rinnovare e che fanno in modo sia accettato come un’istituzione). I segni, le cerimonie, i riti, tutte le forme vi-sibili del potere non sono semplici “espressioni” e traduzioni ridondanti: sono i canali di riprodu-zione dei rapporti di forza e le reduplicazioni delle strategie politico militari»36.

La repressione provoca contestualmente un dramma teorico: i tre personaggi che fron-teggiano il Cancelliere Séguier – il Vescovo, i “parlamentari”, il sindaco di Rouen – incar-nano i “tre freni” – la religione, la giustizia e la police – che caratterizzano la costituzione del regno secondo la dottrina formulata da Seyssel a metà del XVI secolo37. Séguier,

prose-gue Foucault, blocca sul nascere i tentativi dei tre personaggi di far valere le loro prerogati-ve rifiutando la legittimazione teorica a cui fanno appello. Alle riprerogati-vendicazioni dei tre perso-naggi che incarnano le mediazioni del potere sovrano, Séguier contrappone una frase che, dice Foucault, nella sua apparente banalità, implica delle conseguenze terribili per i patrizi, per l’ecclesiastico e per i notabili a cui è diretta. Séguier dice che, in quanto rappresentante del Re, egli è venuto per giudicare, e dunque, per separare i buoni dai cattivi. Séguier co-munica imperativamente questa assunto evocando la figura del Giudizio Universale. Si tratta, sottolinea Foucault, «di una delle più formidabili e fantastiche manifestazioni del potere che si possano ascoltare»38. Alla teoria della monarchia temperata dai tre freni,

Sé-guier contrappone un’altra teoria del potere sovrano che Foucault definisce «molto preci-sa». È la teoria dell’assolutismo giurisdizionale del sovrano, ispirato nelle sue prerogative di giudice e giustiziere supremo, direttamente da Dio: «Questa funzione dell’assolutismo regio è affermata dagli assolutisti del XVI [secolo]» osserva Foucault «la si trova ancora nel primo tomo dei Commentarii di Rebuffi (1613). Nei riguardi dell’equità che pone il Re accanto a Dio e nella mano di Dio non ci possono essere freni»39. L’interpretazione data da Séguier

della teoria della giurisdizione assoluta del Re per volere divino comportava che il fonda-mento della sovranità del re non stava nel rispetto degli impegni, nel gioco delle fedeltà, nelle promesse e nei privilegi riconosciuti. «Il re» dice Foucault «prima ancora di essere il signore dei signori, è l’istanza della divisione del bene e del male. Prima di essere garanzia, il potere è repressione»40. L’avocazione del potere di reprimere e di giudicare da parte del

sovrano era sostenuta da una strategia repressiva volta a imporre nuovi rapporti di forza. Le autorità locali, municipali e parlamentari sono sospese in modi estremamente bruschi; i titolari di funzioni giurisdizionali, amministrative e repressive vengono interdetti; i parla-mentari sono rimpiazzati da commissari che provengono da altri centri di potere a cui ven-gono conferiti poteri eccezionali, poi: «venven-gono sostituiti da altri parlamentari inviati da Parigi […] Gli stessi uomini nelle stesse funzioni che devono però funzionare diversamen-te»41.

36 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 47.

37 C.SEYSSEL, La Grand’ Monarchie de France, Paris, 1558. Secondo i curatori la fonte principale di Foucault in

relazione al pensiero politico del XVI secolo è W.F.CHURCH, Constitutional thought in sixteenth-century France. A Study in the Evolution of Ideas, New York, Octagon, 1969.

38 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 62.

39 Ivi, p. 63. Cfr. P.REBUFFI, Commentaria in Constitutiones, t. I, Lyon, 1613. 40 M.FOUCAULT, Théories et institutitons pénales, p. 64.

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La repressione agiva in un contesto politico che non poteva essere completamente de-stabilizzato. Foucault esprime in toni quasi machiavelliani la conclusione politica della ce-rimonia. Chi gestiva la repressione non aveva alcuna intenzione di riportare il regime della monarchia temperata dai tre freni ai “principi” originari. Di fonte alle rimostranze e alle rivendicazioni avanzate dai nobili, dai notabili e dall’alto prelato, Séguier fa valere la supe-riorità dell’equità del re. L’equità non è della stessa natura della giustizia, non conosce al-cuna misura. L’equità è lo stato eccezione della giustizia: il sovrano è sempre equo, sia che Dio volga il suo cuore verso il male per punire i malvagi, sia che Dio lo ispiri al bene. Tutta-via, l’azione repressiva dello Stato «senza intermediario, né intercessioni, né freni», lanciata con i toni minacciosamente enfatici della teoria dalla giurisdizione assoluta del re, sovrade-terminava la giustizia di classe. I privilegiati, i notabili e il clero che i rappresentanti dello Stato avevano umiliato e costretto a sottomettersi pubblicamente, restavano comunque i partner e i principali interlocutori del potere sovrano. La repressione dello Stato si sovrap-poneva, senza contraddirla, alla linea di divisione tra buoni e cattivi tracciata dai notabili, dalle classi dominanti e dal clero:

«Sono loro che designano i “cattivi” e mentre lo Stato repressivo da un lato scuote i loro privilegi; ignora le loro funzioni politiche o giudiziarie tradizionali, lacera il sistema feudale delle garanzie; dall’altro, autorizza sotto banco le stesse classi privilegiate a tracciare la linea delle punizioni, a definire la demarcazione sociale e politica che il potere trascriverà in termini di buoni e di cattivi, innocenti e colpevoli»42.

Il ripristino dell’ordine costituito segnava comunque una trasformazione dello Stato monarchico temperato, a partire dal quale onori, poteri e funzioni erano ancora ridistribuiti e confermati da un processo negoziale che però, da quel momento, sarà sovradeterminato dal diktat dei rappresentanti dello Stato. Come Foucault dice nella conferenza americana

Cérémonie, théâtre et politique, tramite la repressione:

«Il potere politico stringe un’alleanza con gli interessi economici dei notabili del regno. Tutte le armi vengono ridistribuite ai notabili. Viene imposto un tributo alla città che sarà anticipato dai più ricchi. Che diventano i creditori delle altre componenti della società. In questo modo, al di qua della cerimonia, viene stabilito un nuovo equilibrio, una sorta di contratto tra ricchi e poveri. Questo equilibrio fu minacciato durante la Fronda, ma la forma del potere che era stata fissata dalla cerimonia resterà la stessa»43.

La sedizione dei Nu-Pieds segna l’acquisizione da parte dello Stato di una prerogativa cruciale della sovranità statuale. Si tratta, come si è detto, della statalizzazione della repres-sione: una funzione polivalente che da un ruolo marginale, accidentale e condiviso con i ceti, i corpi e le classi privilegiate, diventa un compito esclusivo dello Stato. Infine, nell’azione repressiva emerge una nuova titolarità del potere sovrano. La funzione repressi-va era eseguita da gente che, nota Foucault, applicarepressi-va le decisioni del re. In realtà, costoro facevano qualcosa di più che rappresentare l’autorità regia. Le decisioni che prendevano in uno stato di eccezione che essi prolungavano e complicavano, erano le loro decisioni.

Sé-42 Ivi, p. 64.

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guier e gli uomini che lo circondavano, dice Foucault, non rappresentavano tanto il potere dello Stato, costituivano, essi stessi, il potere dello Stato. La repressione generava il corpo visibile dello Stato:

«Se è vero che la teoria e la teologia politica del Medio Evo hanno riconosciuto che nella persona del Re erano riuniti due corpi (il corpo fisico e il corpo politico) forse occorre ammettere che que-ste persone che arrivavano in Normandia con una serie di prerogative quasi regie costituivano tutti insieme il corpo visibile dello Stato. Al posto del Re assente si fa avanti il corpo visibile dello Stato»44.

3.

I protagonisti assenti

«La resistenza viene prima e resta superiore a tutte le forze del processo; sotto il suo ef-fetto obbliga i rapporti di potere a cambiare»45. Questo è, indubbiamente, l’esergo di TIP.

Torniamo allora in teatro ove va in scena la dialettica della repressione tra i rappresentanti del corpo visibile dello Stato e i partner del potere sovrano. La repressione vi squilibra dei rapporti di potere ridefinendoli sotto nuove condizioni imposte con svariate manovre tatti-che e con una serie di giochi strategici. Foucault però osserva tatti-che le operazioni della repres-sione sono determinate da un rapporto con un soggetto assente dalla scena:

«Da questa scena è assente il personaggio che rappresenterebbe o che sarebbe il portavoce dell’elemento essenziale nel campo di forze e dell’elemento determinante nel gioco delle strategie. Sulla scena del teatro le forze popolari (contadine o urbane) non sono presenti»46.

In un testo, annesso anch’esso all’edizione del corso, Lettre à l’éditeur du cours, Étienne Balibar ricorda che «nel piccolo libro su Montesquieu» Althusser aveva espresso la sua grande ammirazione per la ricerca di Boris Porchnev che aveva certamente letto nella tra-duzione tedesca degli anni ‘50, e Foucault, osserva Balibar, «non poteva non saperlo»47. A

questo riguardo, le analogie più interessanti sono però quelle tra il testo di Althusser su Montesquieu e il corso di Foucault, tra cui spiccano le osservazioni di Althusser sull’assenza delle lotte popolari del XVII secolo dalla «letteratura politica» e dalla storiografia. Premesso che, secondo la lettura althusseriana della storiografia di Porchnev: «Il regime assolutistico non è altro che la nuova forma politica necessaria al mantenimento del dominio e dello sfruttamento feudale stesso nel periodo di sviluppo dell’economia mercantile», la «quarta potenza» – la massa popolare – nel XVII secolo ha attaccato l’apparato statale della monar-chia assoluta la cui funzione principale era mantenere e perpetuare il servaggio e lo sfrut-tamento della forza lavoro nelle campagne e nei centri urbani48. Porchnev, prosegue

Althus-ser, «ha ripreso e in parte scoperto questo aspetto del problema». Questo aspetto del pro-blema, per come lo riprenderà a sua volta e lo riarticolerà Foucault, è l’assenza della «quarta potenza»:

44M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p 71. Il riferimento di Foucault è chiaramente a E.H.K

ANTO-ROWICZ, I due corpi del re: l'idea di regalità nella teologia politica medievale, Torino, Einaudi, 2012.

45 M.FOUCAULT, Michel Foucault, un’intervista: il sesso, il potere e la politica dell’identità, in Archivio Foucault 3,

p. 300.

46 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 49.

47 É.BALIBAR, Lettre à l’éditeur du cours, in M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, pp. 287-288. 48 L.ALTHUSSER, Montesquieu, la politica e la storia (1959), Roma, manifestolibri, 1995, pp. 146-147.

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«Il privilegio di questa quarta “potenza”» scrive Althusser «che occupava così ossessivamente i pensieri delle altre è, per dir così, di non essere rappresentata nella letteratura politica del tempo […] Ma questa potenza, questo oggetto dell’ignoranza, della passione e della violenza incombe sulle alleanze delle altre come un ricordo sull’oblio: in forza della censura. La ragione per cui questa potenza è assente dai contratti che la riguardano è che la ragion d’essere di tali contratti era renderla assente, ovvero, è lo stesso, consacrarne il servaggio»49.

L’assenza della quarta potenza diventa ancora più macroscopica nel momento in cui si ribella, come nel caso dei Nu-Pieds. «L’improvvisa e precaria emergenza» dei Nu-Pieds, osserva Foucault, è stata sistematicamente occultata dagli storici50. Come fanno notare i

curatori di TIP, a questo riguardo Foucault riprende l’analisi di Porchnev sulla rimozione delle rivolte popolari del Seicento da parte nella storiografia borghese del XIX e XX secolo51.

La celebrazione del «Grand Siècle» in cui sarebbe avvenuto lo sviluppo simultaneo dell’assolutismo e della borghesia si fonda sulla rimozione delle lotte popolari. Questa rimo-zione, dice Foucault in TIP e nei testi coevi sulla storia e sulla genealogia, è fondamentale per il funzionamento della storiografia moderna fondata sulla preminenza del tempo – lo sviluppo continuo e cumulativo di grandi unità storiche (il feudalesimo, l’assolutismo, la borghesia, il capitalismo, ecc.) – e del passato, termine indicativo di un accorgimento epi-stemologico e retorico volto a fondare (o a delegittimare) un’egemonia. «La storia era dun-que una disciplina» scrive Foucault in Ritornare alla storia

«grazie alla quale la borghesia poteva mostrare innanzi tutto che il suo regno non era altro che il risultato, il prodotto, l’oggetto di un lungo processo di maturazione e che pertanto, proprio per tale ragione, proprio perché proveniva dalla notte dei tempi, esso risultava perfettamente fonda-to»52.

Il carattere differenziale della sedizione dei Nu-Pieds rompe gli schemi della storiogra-fia. Nato come uno dei numerosi episodi di lotta anti fiscale del tempo, il movimento si tra-sforma rapidamente in un fenomeno irriducibile alla serie a cui appartiene. I Nu-Pieds – «l’esercito della disperazione» composto per buona parte da donne – non agivano come una massa di manovra nelle mani della borghesia o dei nobili; non cercavano di infrangere, di aggirare o di sfuggire alla legge come i contrabbandieri o le bande di ladri e banditi sulle strade53. I Nu-Pieds si sono organizzati, dice Foucault, come un contropotere militare,

poli-tico, giudiziario e fiscale. Hanno dimostrato di possedere una straordinaria creatività politi-ca: si sono appropriati delle marche e delle manifestazioni del potere a cui hanno dato nuo-vi significati nuove funzioni, compreso un riferimento eversivo al Re: «non si sottometteva-no al Re, se ne impadronivasottometteva-no»; si sosottometteva-no dati un capo fittizio a cui hansottometteva-no attribuito un sottometteva- no-me – Jean Nu-Pieds – «oggi sappiamo» ricorda Foucault «che questo personaggio non è

49 Ivi, p. 148.

50 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 27.

51 Si veda, in particolare, la Prefazione dell’autore all’edizione russa in B.PORCHNEV, Lotte contadine e urbane nel

Grand Siècle, pp. 38-51. Nei riguardi della storiografia sul Seicento e le lotte di classe nel XVII secolo si veda l’analisi fondamentale di A.NEGRI, Problemi di storia dello Stato moderno: Francia 1610-1650, in «Rivista critica di storia della filosofia», 2/1967, pp. 183-220.

52 M.FOUCAULT, Ritornare alla storia, p. 90.

53 Sul ruolo delle donne nelle rivolte della prima metà del Seicento e, in particolare, nella sollevazione dei

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mai esistito»54. Per i Nu-Pieds, sottolinea Foucault – ed era questo, per il potere costituito,

l’aspetto più intollerabile della loro eversione – il rifiuto della legge avveniva in nome di un’altra legge; il rigetto della giustizia aveva lo scopo di esercitare un’altra giustizia; la lotta contro il potere aveva la forma e l’energia di un altro potere. La straordinarietà di questo evento ha suscitato l’eccezionalità delle operazioni repressive attivate dallo Stato: l’occupazione militare che squalificava la popolazione come suddito e la trattava come un nemico; le esecuzioni sommarie; il rimescolamento delle categorie politiche rappresentative della guerra e dell’eversione. I Nu-Pieds non erano né un nemico esterno, né potevano es-sere un nemico interno: al contropotere dei Nu-Pieds «il potere risponde: non vi ricono-sciamo come un altro potere (straniero) né come un potere all’interno dell’ordine civile. An-che se restate all’interno del regno siete considerati come dei nemici»55. Ma soprattutto, la

scontro con i Nu-Pieds ha indotto una ristrutturazione generale degli strumenti e delle isti-tuzioni preposte alla repressione:

«La pratica repressiva del 1639 ha sistemato o riorganizzato il ruolo degli strumenti e delle istitu-zioni della repressione speciale nei riguardi dei poveri, dei disoccupati, dei mendicanti, dei vaga-bondi, dei sediziosi, di chi organizza delle manifestazioni»56.

Come si è visto, il carattere differenziale della sedizione dei Nu-Pieds spicca in una se-rie di manifestazioni della disobbedienza, del rifiuto e dell’opposizione alle leggi e ai poteri. Nel Dibattito con i maoisti, pubblicato in «Le temps Modernes» lo stesso anno del corso su TIP, Foucault ne rievoca alcune figure:

«Tra il fittavolo indebitato costretto a lasciare la sua terra, il contadino che fuggiva il fisco, l’operaio bandito per furto, il vagabondo o il mendicante che rifiutava di pulire i fossati delle cit-tà, quelli che vivevano di razzia nei campi, i piccoli ladri e i briganti, quelli che in gruppi armati attaccavano il fisco o, in generale, gli agenti dello Stato, e quelli infine che nei giorni di sommossa nelle città o nelle campagne portavano le armi da fuoco, c’era tutta una concertazione, tutta una rete di comunicazioni in cui gli individui si scambiavano i ruoli»57.

L’esistenza di questa «concertazione» è ribadita in TIP ove Foucault ricorda che la dif-fusione degli illegalismi (come li chiamerà nel corso su La société punitive) nei primi de-cenni del XVII secolo ha costituito lo sfondo e, sino a un certo punto, la condizione di possi-bilità della sedizione dei Nu-Pieds. Nonostante l’apparenza di atti insignificanti o di com-portamenti retrogradi senza alcun barlume di consapevolezza politica, questi fenomeni de-vono essere considerati: «come una serie continua di rifiuti della legge e di lotte contro il potere»58. In una discussione con i liceali parigini del 1971, Foucault aveva affrontato il

punto:

54 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 29.

55 Ivi, p. 58. Sulla figura del nemico interno e sulle fattispecie dei crimina lesae maiestatis (coniuratio, conspiratio,

seditio) nel diritto pubblico tra Medioevo e XVII secolo, si veda M.SBRICCOLI, Crimen lesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffré, 1974, pp. 263 e sgg.

56 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 59. Sulle istituzioni e le funzioni repressive della Police nel

XVII secolo, cfr. P.NAPOLI, Naissance de la police moderne. Pouvoir, normes, société, Paris, La Découverte, 2003, pp. 45-56.

57 M.FOUCAULT, Sulla giustizia popolare. Dibattito con i maoisti, in Microfisica del potere, p. 85. 58 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 5.

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«Quanto ai movimenti popolari, li si è presentati come dovuti alle carestie, alle imposte e alla di-soccupazione; mai come una lotta per il potere, come se le masse potessero sognare di mangiare bene, ma non certo di esercitare il potere»59.

Concertazione significa comunicazione tra i gruppi e continuità tra i comportamenti antagonisti. Le rivolte contro il fisco, nota Porchnev, erano delle rivolte contadine e delle sommosse dei lavoratori e dei poveri nelle città contro il sistema dello sfruttamento. Il giogo fiscale non faceva altro che concludere la rovina sia dei braccianti e dei fittavoli, «già sfrut-tati all’osso dai signori feudali», sia degli apprendisti, dei lavoratori a giornata e dei disere-dati nelle città60. Queste lotte collegavano con linee sempre più solide le campagne alle città,

e nei centri urbani, le frazioni della borghesia più colpite dalla rapacità dello Stato ai «ple-bei di città»61.

La comunicazione tra i gruppi e la continuità delle forme di lotta attraversano la storia d’Europa dal Medioevo al XVII secolo. Il loro primo importante epicentro, dice Foucault, è stata la «grande crisi del XIV secolo». Una fiammata di sommosse rurali e urbane si diffon-de in Europa con impressionante velocità. Nelle campagne i contadini fuggono dal servag-gio e, sotto la morsa della Peste nera, vanno in cerca di terre più fertili; nelle città, i lavora-tori senza privilegi corporativi lottano per il salario e contestano i poteri costituiti62. Come

sottolineano Michel Mollat e Philippe Wolff, autori di una delle principali fonti storiografi-che utilizzate da Foucault per la redazione di TIP, le lotte del XIV secolo hanno attaccato tre nuclei che saranno ancora quelli contro i quali si rivolteranno le sedizioni del XVII secolo: la signoria feudale, la città e lo Stato63. Infine, la comunicazione tra i gruppi e la continuità

delle lotte, insieme allo spazio, hanno attraversato il tempo: dai Ciompi e dalle Jacqueries sino alla sedizione dei Nu-Pieds:

«La dialettica tra i poveri e i proprietari» così si conclude il grande libro di Mollat e Wolff «muta-tis mutandis è paragonabile da un’epoca a un’altra. La fortuna del termine jacquerie ne è un se-gno, e la riproposizione degli stessi gesti, nella guerra dei contadini in Germania nel XVI secolo, poi nel corso delle guerre di religione in Francia, infine, durante i “furori contadini” del XVII seco-lo, dimostra la persistenza degli stessi problemi e della stessa collera»64.

4.

Divide et impera

Le operazioni del sistema repressivo di Stato tra la prima e la seconda metà del XVII secolo svolgono una serie di azioni politiche che, a partire da alcune istanze tattiche

imme-59 M.FOUCAULT, Al di là del bene e del male, in Microfisica del potere, p. 56.

60 B.PORCHNEV, Lotte contadine e urbane nel Grand Siècle, pp. 263. Sulla composizione e le forme di lotta

dell’«opposizione plebea» ivi, pp. 264-277.

61 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 45. Foucault mutua il termine «plebei di città» da Porchnev il

quale, a sua volta, lo ricava da Engels, La guerra dei contadini in Germania, in K.MARX –F.ENGELS, Opere, vol. X, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 410-412. Cfr. la nota dei curatori M.FOUCAULT, Théories et institutions péna-les, nota 16, p. 16.

62 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, pp. 173-175.

63 M.MOLLAT P.WOLFF, Ongles blues, Jacques et Ciompi: les révolution populaires en Europe aux XIV et XV

siècles, Paris, Calmann-Levy, 1970; riedizione del 1993, Les révolutions populaires en Europe aux 14. et 15 siècles, Paris, Flammarion, 1993, p. 278.

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diate e urgenti – la repressione dei Nu-Pieds e la normalizzazione del contesto politico – producono degli effetti che si sedimentano in una prospettiva strategica a più lungo termi-ne. Nell’immediato, occorreva tracciare delle linee di separazione per spezzare le comuni-cazioni tra città e campagna e per sciogliere le coalizioni e le solidarietà tra i contadini, i plebei di città e le frazioni della borghesia65. Il sistema repressivo interverrà poi nella

distri-buzione dei poveri, dei disoccupati e dei mendicanti controllandone le pratiche di mobilità, ostacolandone i contatti e reindirizzandone forzosamente le destinazioni:

«Ora, se li si rinchiude» scrive Foucault nel Résumé del corso su La société punitive «non è tanto per fissarli là dove vengono trattenuti, quanto per spostarli: per cacciarli dalle città, per rispedirli in campagna, o anche per impedire loro di vagabondare in una regione, per costringerli a trasfe-rirsi dove possono farsi assegnare un lavoro»66.

Anche il diritto penale fissa delle linee di separazione laddove regnavano zone di indi-stinzione e si verificavano sconfinamenti che alimentavano degli episodi di radicalizzazione dei comportamenti insubordinati e delle pratiche di resistenza. La sedizione dei Nu-Pieds era nata in un denso amalgama di rifiuti della legge e di lotte contro il potere. In tal senso, nella lezione del 24 novembre 1971, Foucault dice che tra tutte le forme del rifiuto della legge che proliferavano tra XVI e XVII secolo era difficile distinguere i delitti politici dai cri-mini comuni. Nel momento in cui lo Stato metteva definitivamente le mani sulla giustizia, questa opposizione veniva riqualificata in funzione di un compito politico67. L’ordinamento

giudiziario era chiamato a risolvere un problema politico, e solo in subordine – e su questo punto l’insistenza di Foucault è martellante per tutto il corso – a reprimere la delinquenza:

«Il rovescio del sistema repressivo non è la delinquenza, è la lotta popolare, la lotta del popolo contro il potere. È verso quest’ultima che reagisce un sistema repressivo. Quanto alla delinquen-za, essa è un effetto di questo sistema repressivo […] La coppia sistema penale-delinquenza è un effetto della coppia sistema repressivo-sedizione. Un effetto, nel senso che la prima è, ad un tem-po, il prodotto, la condizione del mantenimento, lo spostamento e l’occultamento della secon-da»68.

Sin tanto che le forme giuridiche tardo medievali definivano il delitto in base alla gravi-tà del danno arrecato e al rango di chi lo aveva subito, non ci poteva essere una rottura netta tra sfera civile e sfera penale69. A partire dal momento in cui «l’ambito delle infrazioni

si distacca dalla sfera dei danni», gli atti e i comportamento che formavano il retroterra delle sedizioni dovevano essere giudicati come infrazioni, e cioè delle azioni che provocava-no «un disordine»70. Assalire qualcuno sulle strade, non importa se di proposito o per fame,

oltre a provocare un danno ai corpi, ai beni ed eventualmente a ranghi e onori, infrange l’ordine e attacca l’autorità di chi lo ha costituito e lo garantisce. Portare delle armi è una

65 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, pp. 45-46.

66 M.FOUCAULT, La società punitiva. I corsi al Collège de France. I Résumés, a cura di A. Pandolfi, Milano,

Feltri-nelli, 1999, p. 34.

67 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 6. 68 Ivi, pp. 102-103.

69 Ivi, pp. 189-190. Foucault sottolinea che le dispute intorno alle proprietà che preludevano alla loro occupazione

unilaterale, il loro conseguente recupero mediante le armi a cui seguiva una catena di vendette private che veniva-no sottomesse a un tribunale che ne disponeva la risoluzione con un duello giudiziario costituivaveniva-no, nelle forme giuridiche tardo medievali, un continuum irriducibile alla distinzione tra diritto civile e diritto penale.

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lesione inferta all’ordine anche se nessuno ha subito violenze. Chi contravviene a un’ordinanza, violando gli interessi e i diritti demaniali o signorili di qualcuno, attacca di-rettamente il potere di chi dà gli ordini:

«Occorre dunque ricavarne una conseguenza assolutamente logica: se il potere ritiene di essere stato leso da un crimine è perché il crimine è sempre, in almeno uno dei suoi aspetti, un attacco al potere, una lotta contro di esso, una sospensione provvisoria delle sue leggi. Del resto, è quello che affermava il crimen maiestatis dei Romani o la generalizzazione dei casi reali»71.

Nella lezione del 21 febbraio 1973 del corso su La société punitive, il corso successivo a TIP, Foucault dice che il termine «plebe sediziosa», utilizzato in TIP e in altri testi coevi, forse non è il più corretto per comprendere la formazione del sistema punitivo tra il XVIII e il XIX secolo72. Inquadrato in una diversa prospettiva genealogica (la nascita della prigione

nell’epoca dell’affermazione del capitalismo), il termine plebe sediziosa va ridimensionato: «come caso particolare di un argomento più profondo e più costante: l’illegalismo popola-re». La lettura di TIP permette di storicizzare questo assunto di Foucault. A partire dalla sollevazione dei Nu-Pieds, e poi dalla crisi della Fronda, la principale azione strategico poli-tica del sistema repressivo di Stato è stata quella di separare gli illegalismi mantenendoli al di sotto della soglia di intensità delle sedizioni. In Antico Regime, lo scopo del sistema re-pressivo di Stato non è mai stato quello dell’eliminazione degli illegalismi. Come Foucault scriverà in Sorvegliare e punire, la fisiologia degli illegalismi – signorili, borghesi, popolari, degli apparati e dei funzionari dello Stato – assicurava il funzionamento politico ed econo-mico della società73. Il compito politico della repressione era mantenere una separazione

funzionale tra illegalismi tollerati e tollerabili, criminalità e ribellione, soprattutto contro le nuove forme economiche della proprietà e della distribuzione capitalistica, e verso la ge-stione governamentale della popolazione74. Alla fine dell’Antico Regime, le linee di

separa-zione tra gli illegalismi, e tra crimini comuni e delitti politici saranno completamente ridise-gnate. In Antico Regime – così, secondo Foucault, la borghesia risponde al proletariato che le chiede il perché della conclusione di un’alleanza che le ha viste coalizzate nell’opera di spoliazione delle ricchezze feudali – gli illegalismi popolari non riguardavano tanto le ric-chezze feudali, ma i diritti, i privilegi, gli abusi. Erano degli illegalismi rivolti contro il pote-re, e dunque, erano degli illegalismi politici. «Mentre ora» dice Foucault ne La société puni-tive «si hanno di mira le cose, le proprietà, e dunque, il diritto comune, il diritto naturale. Un tempo si attaccavano gli abusi di potere, ora, la violazione del diritto manifesta un

di-71 Ibidem. Sui “casi reali” cfr. M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, pp. 184-192. Sull’allargamento della

casistica dei crimina lesae maiestatis tra XVI e XVII secolo, si veda M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 2014, p. 58: «In ogni infrazione c’è un crimen maiestatis e, nel più infimo dei criminali, un regicida in potenza»; cfr. M.SBRICCOLI, Crimen lesae maiestatis, pp. 263 e sgg.

72 M.FOUCAULT, La société punitive. Cours au Collège de France 1972-1973, Paris, Ehess, Gallimard, Seuil,

2013, p. 144.

73 M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire, p. 90.

74 M.FOUCAULT, La société punitive, p. 147; M.FOUCAULT, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de

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fetto morale»75. Questo punto è anticipato in TIP laddove Foucault descrive il carattere

dif-ferenziale del sistema repressivo borghese rispetto a quello di Antico Regime. Il «discorso del procuratore» che riassume i principi del nuovo ordinamento penale afferma che il crimine non è un attacco alla persona del re quale fondamento dell’ordine costituito, ma un atto di ostilità, dovuto a una mancanza morale che poi diventerà una patologia del carattere, alle nuove figurazioni del potere sovrano: la morale, la legge naturale, l’interesse generale.

«Il potere non si considera, nello stesso tempo, come vittima di un attacco e come pubblico mini-stero. In quanto oggetto di un attacco, il potere è l’universale della natura e della legge, in quanto pubblico ministero, è la generalità del volere. Si comprende allora perché il potere tenga tanto al-la distinzione tra al-la politica e il diritto comune. L’esistenza del delitto politico, da cui il potere vie-ne attaccato, gli permette di far apparire, per contrasto, il crimivie-ne comuvie-ne da cui esso difende ciò che è stato attaccato come natura, interesse generale o come la morale»76.

In TIP, questo «documento eccezionale», Foucault definisce il compito originariamente politico del diritto e della giustizia penale. Dall’età moderna, la missione politica del diritto e della giustizia penale è stata quella di reprimere e di prevenire le lotte popolari contro il potere e per il potere: «la penalità» dice Foucault in TIP «è politica da cima a fondo». Con-testualmente, la struttura e l’esercizio della sovranità politica si sono costituiti lungo un pro-cesso di statalizzazione della giurisdizione e delle operazioni repressive. Lo Stato non figura come un universale, un punto centrale che emana organi, istituzioni e funzioni. In TIP l’intelaiatura dello Stato è costituita da un insieme di reazioni, più o meno strutturate e isti-tuzionalizzate, alle lotte, all’antagonismo, alle resistenze popolari. Secondo quelle che sa-ranno le indicazioni di Nascita della biopolitica, lo Stato è la coagulazione di un processo di statalizzazioni successive e cumulative. In TIP, la dialettica della repressione costituisce uno dei principali catalizzatori di questo processo attraverso una trama di appropriazioni ed espropri di istituti, prerogative e poteri; attraverso negoziazioni e alterazioni di rapporti di forza con poteri locali, soggetti sociali, attori istituzionali; attraverso la creazione di struttu-re, giurisdizioni e personale politico. Le parole di Nascita della biopolitica sono il miglior riassunto della genealogia della governamentalità in Théories et institutions pénales:

«Lo stato non è un universale, non è in sé una fonte autonoma di potere. Lo stato non è altro che l’effetto, il profilo, la sagoma mobile di un processo di statalizzazione, o di statalizzazioni inces-santi, di transazioni continue, che modificano, spostano, rovesciano oppure introducono insidio-samente – poco importa – le fonti di finanziamento, le modalità di investimento, i centri di deci-sione, le forme e le modalità di controllo, i rapporti tra poteri locali e autorità centrale, ecc. […] Lo stato non è altro che l’effetto mobile di un regime di governamentalità molteplici»77.

75 M.FOUCAULT, La société punitive, p. 160.

76 M.FOUCAULT, Théories et institutions pénales, p. 191.

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