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Le biforcazioni coronariche: dalla anatomia alla pratica clinica.

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INDICE

 Introduzione pag. 2

 Caratteristiche generali e classificazione pag. 3

Tecniche di stenting

pag. 6

Aspetti tecnici generali pag. 10

Approccio provisional pag. 11

Doppio stent in elezione

pag. 13

Caso clinico pag. 15

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INTRODUZIONE

Le biforcazioni coronariche costituiscono il 15-20% di tutti gli interventi coronarici percutanei [1] e rappresentano uno degli scenari più affascinanti e difficili da affrontare nell’ambito della cardiologia interventistica, con una frequenza minore di successo procedurale ed aumento rischio di eventi avversi cardiologici, a causa di trombosi di stent e restenosi anche nell’attuale epoca di stent a rilascio di farmaco (DES - drug eluting stent) [2,3].

Per molti anni l’attenzione è stata rivolta all’ottimizzazione del side branch (SB) durante l’angioplastica, ma l’outcome clinico è fondamentalmente dipendente dal main vessel (MV). Per cui l’obbiettivo principale è quello di trattare al meglio il vaso principale, preservando quanto più possibile il vaso collaterale, e conoscere l’anatomia e la fisiologia delle biforcazioni è il passo più importante per raggiungere tale obiettivo.

Attualmente l’approccio con un solo stent (provisional stenting) si è dimostrato non inferiore alla tecnica con due stent [4], anche in termini di infarto miocardico periprocedurale [5], il che rende la tecnica provisional la strategia standard [6].

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CARATTERISTICHE GENERALI E CLASSIFICAZIONI

L’albero coronarico presenta delle caratteristiche geometriche di tipo frattale, cioè di ente geometrico caratterizzato dalle dimensioni non intere e dalla proprietà di riprodurre l'ente di partenza ad ogni scala. Esso si dirama in biforcazioni asimmetriche ed è regolato dalla Legge di Murray, semplificata con la formula di Finet, che rapporta tra loro il MV prossimale e distale ed il SB [diametro MV prossimale = (diametro MV distale + diametro SB) x 0.678].

La particolare conformazione delle biforcazioni coronariche espone a pattern aterosclerotici dipendenti da pattern di flusso e dal conseguente stress parietale che conducono allo sviluppo della placca. Lungo le pareti laterali del MV ed all’ostio del SB, vige un pattern di flusso con shear stress ridotto ed oscillatorio, mentre uno shear stress endoteliale elevato lo si riscontra all’altezza della carena. Questo risulta nell’assenza di aterosclerosi a livello della carena nella maggior parte dei casi, ed allo sviluppo dei placche aterosclerotiche sulle pareti opposte alla carena. La carena e la presenza della placca aterosclerotica rappresentano due punti fondamentali nel trattamento di una biforcazione, dal momento che si può assistere a due fenomeni che possono compromettere il

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risultato finale da un punto di vista tecnico e di outcome clinico, “shift di carena” e “shift di placca”, determinando una stenosi ostiale od una occlusione del SB.

Una ottima definizione di biforcazione è quella fornita dall’EBC (European Bifurcation Club): “un’arteria coronaria che si restringe in corrispondenza e/o coinvolgente l’origine di un side branch significativo, ossia la cui perdita può casuare conseguenze al paziente (sintomi, ischemia, perdita di funzione sistolica etc) [7].

Esistono 8 diversi tipi di classificazione delle lesioni di biforcazione. La più importante distinzione va fatta tra biforcazioni “vere”, quando una stenosi >50% interessa sia il MV che il SB, e “non vere”. La classificazione più semplice e più comunemente utilizzata per le biforcazioni è la classificazione di Medina, si articola in considerazione della localizzazione delle stenosi (MV prossimale, MV distale, SB). Non vengono annoverati angoli di biforcazione, presenza di calcificazioni, lunghezza delle lesioni e significato funzionale, che invece rappresentano degli elementi fondamentali per l’approccio interventistico ad una biforcazione; in tal caso vengono in nostro aiuto l’imaging intracoronarico e la fractional flow reserve. Per quanto riguarda tale ultima tecnica, uno studio di Koo et el. ha mostrato come solo il 20% delle stenosi >70% ostiali del side

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branch è funzionalmente ischemizzante (FFR <0.75) [8], con un outcome clinico eccellente per le lesioni ostiali con valori superiori.

L’EBC, inoltre, ha formalizzato una classificazione che raggruppa le varie tecniche di stenting, definita MADS (Main, Across, Distal, Side), ed è definita dalla posizione di impianto del primo stent.

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TECNICHE DI STENTING

In precedenza già abbiamo accennato alla non inferiorità della tecnica ad un solo stent rispetto ad i due stents.

Numerosi trials, sia randomizzati che non, hanno comparato l’uso di 1 DES vs 2 DES nelle biforcazioni coronariche non interessanti il tronco comune, e la maggior parte di esse non ha dimostrato alcun vantaggio nell’utilizzo della tecnica a doppio stent indipendentemente dalla tipologia di lesione [9].

Una recente metanalisi di due RCTs ha mostrato una sopravvivenza a 5 anni inferiore nel gruppo di pazienti indirizzato ad un approccio sistematico al doppio stent [10]. Nel trial EBC TWO non vi è nessuna differenza tra strategia provisional (T-stenting) vs strategia a doppio stent (culotte) in termini di endpoint composito di morte, infarto miocardio e rivascolarizzazione del vaso target ad 1 anno in 200 pazienti con biforcazioni vere di buon calibro (diametro SB > 2.5 mm) e con lunghezza significativa della lesione ostiale (> 5 mm) [11]. Per queste ragioni è preferibile l’approccio provisional ad uno stent. Ovviamente esistono delle eccezioni; basti pensare a diametri del SB > 2.75 mm con lesioni ostiali lunghe, angoli determinante accesso difficoltoso dopo impianto dello stent nel MV, vere biforcazioni del tronco comune distale.

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Recentemente, un trial multicentrico condotto in Cina ha comparato una tecnica a doppio stent (double kissing crush – DK Crush) con tecnica provisional in 482 pazienti con malattia del tronco comune distale; ebbene i pazienti trattati con la tecnica DK Crush hanno avuto un minore rischio ad un anno di target lesion failure [12].

Al momento è ancora dibattuto quale sia la strategia a doppio stent preferibile. Le tre tecniche più validate sono culotte, crush (classico o DK) e T and protrusion (TAP) [13,14]. Nelle biforcazioni in generale, escludendo il tronco comune, non sembra esserci una superiorità dell’una rispetto all’altra tecnica in termini di endpoint clinici maggiori; per quel che riguarda invece il tronco comune il DK Crush sembra avere i dati di outcome più favorevoli [15].

Oltre alla scelta di uno stent o due stent, un altro aspetto tecnico importante è il final kissing balloon inflation (FKBI), che permette il trattamento dell’ostio del SB e la giusta copertura dell’ostio stesso dagli struts dello stent del MV. Tale tecnica ha il vantaggio di aprire le maglie dello stent che potrebbero altrimenti compromettere l’ostio del SB, correggendo la distorsione dello stent nel MV, dovuto alla dilatazione del SB attraverso gli struts, e facilitando futuri accessi al SB [16].

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A differenza dell’approccio provisional, il FKBI ha dimostrato in numerosi studi di ridurre significativamente late loss e restenosi, specialmente all’ostio del SB, ed è diventato uno standard del trattamento con doppio stent.

Va ricordato, inolte, che nel FKBI, per ridurre al minimo il rischio di danni al SB (ex. dissezione), vanno evitati palloni semicomplianti, dal momento che il loro utilizzo potrebbe risultare in una sottoespansione dello stent del MV e significativa sovraespansione dell’ostio del SB [17].

Dunque, è mandatorio il FKBI nell’approccio a due stent, scegliendo palloni non complianti di adeguata grandezza, gonfiaggio ad alte pressioni, 2 step kissing (ossia gonfiaggio ad alte atm dopo impianto del primo stent, seguito dal FBKI finale vero ad atm medie) [18], e la correzione con pallone non compliante corto della distorsione prossimale dello stent del MV dovuta al gonfiaggio dei due palloni.

L’obiettivo di una angioplastica di biforcazione è quello di mantenere beanti entrambi i vasi a fine procedura, con un risultato ottimale nel MV. Comunque, le biforcazioni variano non solo per le caratteristiche anatomiche (entità e localizzazione della placca, angolo di biforcazione, diametri, siti di biforcazione), ma anche per le modifiche dinamiche a cui possono essere

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sottoposte durante il trattamento (shift di carena, shift di placca, dissezione). A tal proposito, non esiste una biforcazione uguale ad un’altra e non esiste una sola strategia applicabile ad ogni biforcazione.

I maggiori fattori da tenere in considerazione e valutati per la scelta del giusto approccio sono i seguenti:

1 Importanza del SB nel contesto clinico ed anatomico: rischio di occlusione e quota miocardica perfusa dal SB.

2 Distribuzione delle lesioni: coinvolgimento di un solo ramo piuttosto che due.

3 Diametro e territorio di distribuzione del SB: un ramo anche se con diametro <2.5 mm ha la sua rilevanza e va considerato lo stenting se il territorio di distruzione è esteso.

4 Estensione della malattia nel SB: lesioni ostiali vanno trattate con tecnica provisional; se il diametro è >2.5 mm e la placca si estende da 10 a 20 mm, va considerato ab initio una strategia a doppio stent.

5 Angolo di biforcazione: a seconda dell’angolo varia la tecnica di angioplastica di scelta, ed inoltre predice possibilità di occlusione.

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6 Presenza di concomitante malattia distale nel MV: preferibile tecnica a doppio stent.

ASPETTI TECNICI GENERALI

Se sono richiesti due stent e si utilizza un catetere guida 6F, vi sono alcune limitazioni da tener presente: 1- due stent possono essere inseriti ed impiantati solo uno alla volta; 2- quando si effettuano T-stent, step-crush o TAP, va prima avanzato lo stent nel SB e poi il pallone nel MV; 3- per kissing stent, V stent e standard crush serve un catetere di 7 o 8F.

Non vi è una via preferenziale per quel che riguarda gli accessi vascolari; procedure di biforcazione possono essere effettuate anche per via radiale, scegliendo accuratamente il materiale (ex. cateteri sheathless, introduttori slender etc.).

Nella maggior parte dei casi va posizionato un filo guida anche nel SB, con la consapevolezza che la guida resti intrappolata o “jailed” sotto le maglie dello stent impiantato nel MV.

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Avere la seconda guida nel SB può consentire di recuperare lo stesso vaso qualora se ne verifichi l’occlusione. Se questa interessa un SB >1 mm può essere associata ad un 14% di incidenza di infarto del miocardio [20], e la compromissione di un SB >2 mm durante un approccio provisional può essere associato ad un infarto miocardico periprocedurale di grosse dimensioni. Il filo guida jailed favorisce il rewiring del SB ampliando l’angolo di biforcazione ed il suo accesso. Infine, in caso di occlusione, la guida può essere utilizzata per far avanzare un piccolo pallone tra lo stent e la parete vasale.

APPROCCIO PROVISIONAL

Per tale approccio si preferisce catetere guida 6F e ci si può imbattere in due diversi scenari.

1 Se il SB è troppo piccolo per stenting o clinicamente irrilevante ed ha malattia ostiale o diffusa, vale il concetto del Keep It Open, per cui si posiziona la guida in entrambi i rami, si dilata il MV se necessario ma non il SB, si posiziona

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lo stent nel MV e si effettua postdilatazione con la guida jailed, non si procede a rewiring o dilatazione del SB [21].

2 Se il SB è eligibile per stenting ed ha minima malattia o solo localizzata all’ostio, allora è raccomandata la strategia Provisional: si posiziona la guida in entrambi i rami, si predilatata il MV e se necessario il SB, si impianta lo stent nel MV e si effettua postdilatazione (POT proxymal optimization technique), si effettua rewiring del SB attraverso le maglie distali, rimuovendo poi la guida jailed, e si dilata SB effettuando poi FKBI. Se il risultato finale sul SB è insoddisfacente allora va impiantato stent anche sul SB (crossover stenting).

Un aspetto importante e fondamentale nella tecnica suddetta è la POT. Per prevenire lo shift di carena, il diametro dello stent va scelto in base al diametro distale del MV. La dilatazione di un pallone corto subito prima dell’ostio del SB, corregge la sottoespansione dello stent nel MV e consente una apertura migliore delle maglie verso il SB, facilitando se necessario rewiring, passaggio di palloni e stent.

Uno dei vantaggi della tecnica è quello di poter consentire se necessario di impiantare il secondo stent sul SB, potendo scegliere tra diverse tecniche di doppio stent (T-stenting, T-stenting and small protrusion ossia TAP, culotte).

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Preferenzialmente il T-stenting è preferito per angoli di biforcazione a 90 gradi, invece per angoli conformati ad Y sono preferibili TAP e culotte [22], per ottenere una perfetta conformazione dell’ostio del SB.

DOPPIO STENT IN ELEZIONE

Quando ci si trova di fronte a biforcazioni con un ampio angolo (prossimo ai 90°), il T stenting è la tecnica più comunentemente raccomandata [23], garantendo un’ottima copertura dell’ostio del SB, senza protrudere nel MV.

La tecnica TAP rappresenta un T-stenting modificato, in cui lo stent è posizionato nel SB con minima protrusione delle maglie nel MV, con un pallone posizionato a cavallo della biforcazione nel MV. Dopo il posizionamento dello stent nel SB, si ritira il pallone dello stent nel MV e si effettua FKBI, costituendo quella che viene definita “neocarena metallica”, che va preservata qualora si intenda effettuare POT.

Entrambe le tecniche sono controindicate se gli angoli di biforcazione sono stretti.

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Un vantaggio fondamentale per l’esecuzione di tali tecniche è la possibilità di effettuare tutta la procedura con catetere guida 6 F.

Quando invece gli angoli di biforcazione sono stretti (<70°), culotte e crush sono le tecniche più consigliate [24].

La culotte può essere applicata soprattutto a biforcazioni in cui non vi è una grossa discrepanza di calibro tra i vasi, e si può confezionare se non risulta soddisfacente il risultato dopo provisional, ricrossando le maglie distali dello stent, e posizionando lo stent con minimo overlap nel MV (miniculotte). Qualora invece si decida ab initio per tale tecnica, va prima applicato lo stent nel vaso più angolato (culotte classica).

FKBI è raccomandato per entrambe le tecniche.

La tecnica crush consiste nel posizionamento dello stent dapprima nel SB, e le maglie che protrudono nel MV vengono schiacciate con un pallone; successivamente si ricrossa si posiziona lo stent nel MV, si ricrossano le maglie preferibilmente centrali e si effettua FKBI. Aggiungendo un ulteriore FKBI prima dell’impianto dello stent nel MV, si configura il DK crush, che consente, come già descritto in precedenza, una migliore configurazione dell’ostio del SB.

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CASO CLINICO

Il caso clinico preso in esame riguarda una sig.ra MDV di 61 anni, ipertesa e dislipidemica, affetta da cardiopatia ischemica già sottoposta mesi prima ad angioplastica dell’arteria discendente anteriore per episodio anginoso acuto, giunta alla nostra osservazione per nuova diagnosi di NSTEMI (GRACE score 172), con sintomi via via ingravescenti insorti da circa 2 mesi.

Circa 8 mesi prima la paziente era stata ricoverata per angina instabile con evidenza angiografica di malattia coronarica ateromasica monovasale, trattata con angioplastica ed impianto di stent medicato nel tratto medio dell’arteria discendente anteriore (provisional stenting).

L’ECG mostra modifiche della ripolarizzazione di tipo ischemico in sede anterolaterale ed all’ecocardiogramma sono presenti acinesie apicale ed anterolaterale.

La coronarografia mostra una stenosi critica della triforcazione del tronco distale coinvolgente l’ostio dell’arteria discendente anteriore (occlusa), del ramo intermedio (suboccluso) e del ramo circonflesso (suboccluso) – Figura 1.

Vista la persistenza della sintomatologia anginosa e l’instabilità del caso si procede ad angioplastica della triforcazione: dopo aver posizionato 3 guide

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coronariche nei tre rami interessati e predilatato le lesioni, si impianta uno stent medicato all’ostio del ramo circonflesso (Resolute Onyx 2.75 x 12 mm) ed un altro (Resolute Onyx 3.0 x 18 mm) nel tratto dal tronco comune verso il ramo intermedio con tecnica T-stenting, effettuando poi kissing balloon finale (con palloni NC 3.25 mm) – figura 2. A questo punto si ricrossa l’arteria discendente anteriore ed si impianta stent medicato (Resolute Onyx 3.0 x 22 mm) all’ostio con tecnica TAP, con kissing balloon finale e POT (pallone NC 3.75 mm) su tronco comune – figure 3 e 4. Il buon risultato angiografico della procedura è accompagnato dalla risoluzione della sintomatologia.

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La paziente è stata dimessa in quinta giornata con ramipril 5 mg/die, atenololo 50 mg /di, PPI 40 mg/die, atorvastatina 40 mg/die, evolocumab 150 mg, ASA 100 mg/die, ticagrelor 90 mg bid.

Attualmente dopo 4 mesi di follow-up la sig.ra M.D.V. è asintomatica per angor e/o dispnea, pressione arteriosa e dislipidemia sono on target.

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