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Elias Canetti, Aforismi per Marie Louise

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Academic year: 2021

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ELIAS CANETTI, AFORISMI PER MARIE-LOUISE ,a cura di Jeremy Adler, pp. 101, Euro 12 ,Adelphi, Milano 2015 (ed, orig. 2005 , trad. dal Tedesco di Ada Vigliani).

Il ritrovamento di un gruppo di aforismi di Elias Canetti – premio Nobel nel 1981, nato a Rustschuk in Bulgaria nel 1905 da una famiglia di ebrei sefarditi e morto a Zurigo nel 1994 – tra le carte dell’amica pittrice Marie-Louise von Motesiczky ha permesso a Jeremy Adler di approntarne un’edizione corredata da un ampio, approfondito saggio– presente anche nell’edizione italiana – che fa il punto su questo aspetto non certo secondario dell’opera dell’autore austriaco. La pratica della scrittura quotidiana di “appunti”, come preferiva chiamarli Canetti, rifiutando altri termini più classici (aforismi, massime, riflessioni) alla cui illustre tradizione per altro egli ampiamente si rifà, è una parte molto ampia della sua produzione. Se è vero che leggendo i grandi aforisti del passato, a partire da Montaigne e dai moralisti francesi, sino a Lichtenberg o Nietzsche o ancora al maestro e modello di Canetti, il viennese Karl Kraus, si ha l’impressione che tutti si conoscessero tra loro, è anche vero che Canetti scrive queste riflessioni tra l’agosto e l’ottobre del 1942. Sono gli anni dell’esilio in Inghilterra, dei “party sotto le bombe”, del lavoro febbrile al grande saggio su Massa e potere, che Canetti trascorre in disparte, cercando di sopravvivere come altri fuoriusciti non precisamente benestanti, allacciando relazioni con il mondo intellettuale anglosassone, appoggiandosi principalmente a due donne, la moglie Veza Taubner-Calderón, il grande amore della sua vita, e Marie Louise appunto, per lungo tempo mecenate e musa ispiratrice. Ed è forse proprio negli aforismi, per il loro carattere costituzionalmente frammentario e antisistematico, per la loro estemporaneità – Canetti afferma di non aver mai voluto ritoccare a posteriori quel che quotidianamente scriveva in quelle due ore del tutto libere, dedicate a sé – che va ricercata la radice del tenace impegno in difesa dell’umano contro la barbarie della guerra o contro la morte che caratterizzano tutto il suo pensiero e la sua riflessione, spesso eterodossa, sostenuta da aperçu fulminanti che coniugano tra loro, in maniera quasi ossimorica, visceralità e trascendenza. “Cercò di restare ragionevole all’inferno” “Anche solo per saperne di meno, mi piacerebbe saperne di più” – che sembra la versione riveduta e corretta del kantiano sapere aude. La guerra è un tema centrale : Canetti era sfollato alla periferia di Londra per sfuggire agli attacchi tedeschi con le famigerate V2, ma l’orrore del conflitto gronda inevitabilmente dalle sue pagine e dilaga profanando l’inviolabilità del corpo : “Combattono tra le dita dei piedi, nell’ombelico, dentro le narici, combattono nel didietro, sotto le ascelle ,dentro le orecchie e in bocca, non c’è luogo nascosto, non c’è palmo, non c’è poro, nelle cui profondità non combattano l’uno contro l’altro all’ultimo sangue”. Per cui “La disperazione di chi sta al sicuro suona come la preghiera del sacerdote: non nasce dal bisogno”. Il gusto del paradosso tipico del genere, con i giochi di parole che illuminano territori inusitati del pensiero, i lampi sulfurei e poi le improvvise zone di penombra segnano questa raccolta che l’autore ha dedicato ad una delle donne della sua vita, dunque ascoltatrice e interlocutrice, in una condizione comunque di solitudine a due ma direi anche di riservatezza. Se c’è un aspetto che Canetti apprezzava della vecchia Inghilterra (e che poi gli fece odiare in ultimo quella nuova, tatcheriana, che finì per abbandonare quasi definitivamente per la Svizzera ) è il rispetto quasi maniacale per la dimensione della privacy. Pur avendo pubblicato tre tomi di autobiografia e volumi di aforismi molto personali, Canetti rimane per molti aspetti un grande autore dalla vita privata celata e dissimulata che rifugge da ogni forma di esibizionismo. “I destini hanno qualcosa di sacro, in ogni caso “Un rigorista del paradosso che lancia le sue sfide ai capisaldi del pensiero occidentale con l’aspirazione di ridefinirne i fondamenti. Il celebre pensiero pascaliano “Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi angoscia” in cui si esprime tutta l’ansia dell’uomo moderno di fronte all’infinito diviene in Canetti : “Io temo le stelle che non conosco” , un pensiero che ribalta l’assunto di Pascal spostando l’accento dall’infinitezza dell’universo all’inadeguatezza del soggetto che percepisce. La limpida versione di Ada Vigliani restituisce appieno il piacere della lettura e il fascino della scrittura di Canetti, la sua tagliente ironia: “Non gli sopravvivrà nessuno, perché tutti quelli che lo hanno sopportato sono morti”.

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RICCARDO MORELLO

riccardo.morello@unito.it

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