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Percezione e Immaginazione nella fenomenologia di Edmund Husserl

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Academic year: 2021

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(1)

INDICE

I

NTRODUZIONE 4

1.

F

ENOMENOLOGIA DEL

P

ERCEPIRE E DELL

’I

MMAGINARE

1.1 Percezione e Immaginazione: atti intuitivi della coscienza

intenzionale

1.1.1 Presentazione e presentificazione di un oggetto 14 1.1.2 Lo schema apprensione - contenuto di apprensione 17 1.1.3 Il vissuto di coscienza e il senso dell’esperienza

fenomenologica 23

1.2 L’esperienza e l’immagine

1.2.1 Il rifiuto della Bildtheorie nelle Ricerche Logiche 30 1.2.2 Immagini e immaginazione 32 1.2.3 Immaginazione e forme di presentificazione 36

1.3 Fenomenologia dell’assenza

1.3.1 Percezione e datità assente 41 1.3.2 Immaginazione e presentificazione di un assente 45

1.3.3 La presenza come uno dei possibili modi di darsi dell’assenza e viceversa 50

(2)

2.

S

PAZIO

,

PROFONDITÀ E CINESTESI

2.1 Fantasia pura, immaginazione percettiva e percezione: gli

sviluppi del pensiero husserliano

2.1.1 Due fronti d’indagine dopo le Ricerche Logiche 52 2.1.2 Coscienza figurale e «immaginazione percettiva» 54

2.1.3 Costituzione di un oggetto percettivo: apparizione

propria e impropria nelle lezioni del 1907 59

2.2 Fenomenologia dello spazio e della profondità

2.2.1 Intuizione spaziale e oggetto spaziale 66 2.2.2 Una questione di profondità 70 2.2.3 Profondità e prospettiva: se viviamo in un mondo

che è un quadro cubista 72

2.3 Cinestesi, profondità e possibilità di movimento

2.3.1 Sensazioni di movimento 78 2.3.2 Genesi della profondità e cinestesi 82 2.3.3 Il sistema cinestetico come sistema di

(3)

3.

F

ENOMENOLOGIA DEGLI ORIZZONTI

:

LE SFUMATURE DELLA PENOMBRA

3.1 Orizzonti di esperienza fenomenologica

3.1.1 Il mare senza confini della coscienza 92 3.1.2 Orizzonte interno e orizzonte esterno 95 3.1.3 Questione di datità degli orizzonti e relazione 101 con la coscienza

3.2. Mondo reale e mondo come-se

3.2.1 Il passaggio da presente a presentificato nell’orizzonte

indeterminato 107 3.2.2 Il mondo come- se delle modificazioni non posizionali 111 3.2.3 Immaginazione e oggetti possibili d’esperienza 116

3.3 Il senso dell’orizzonte indeterminato nell’esperienza

di un

oggetto

3.3.1 Immaginazione, percezione e orizzonte di relazione 121 3.3.2 L’orizzonte indeterminato e il complesso dei vissuti 125 della coscienza

3.3.3 Il senso dell’esperienza percettiva 131

C

ONCLUSIONI 135

(4)

INTRODUZIONE

L'immaginazione, al pari di sensibilità e intelletto, è stata tematizzata e definita nel corso dell'intera storia della filosofia. Tuttavia il suo carattere multiforme e la plasticità con cui si può adattare a diversi tipi di contesti ne ha reso difficile la formazione di una visione unitaria, sia per quanto riguarda la sua origine, che per quanto concerne il suo ruolo e il suo valore.

Possiamo enumerare molteplici esempi di teorie dell'immaginazione che la vedono come attività integratrice della sensibilità, o come facoltà ponte tra sensibilità e intelletto, come concetto affine alla previsione (anche nel linguaggio comune la parola “immaginarsi” spesso si confonde con il fare ipotesi o congetture), o come percezione sbiadita,

decaying sense per dirla con le parole di Hobbes.

È difficile in effetti pensare ad un concetto di immaginazione completamente svincolato dalla sensibilità o dall'intelletto, anche nel caso in cui ci si limiti a relegarla nel campo della produzione di oggetti immaginari inesistenti, come centauri o unicorni.

In particolare ciò che spesso è stato considerato prerogativa dell'immaginazione e confuso con essa, è la capacità di riprodurre la realtà, di duplicare cioè l'esperienza con un'immagine interiorizzata di essa; l'elemento riproduttivo, con tutte le diverse possibili implicazioni epistemologiche che esso può assumere, sembra essere in qualche modo la radice comune di molte tra le teorie dell'immaginazione genericamente sopraelencate.1

1Ovviamente in questa sede non è possibile farsi carico di tutte le teorie dell'immaginazione nello

sviluppo della storia della filosofia. È dunque brutale, ma necessario, riconoscere un debito in particolare nei confronti di Kant e della sintesi dell'immaginazione produttiva, condizione di ogni conoscenza possibile. L'immaginazione kantiana infatti non riproduce ( se non a livello empirico)

(5)

Il rapporto tra immagini e immaginazione trova molte conferme nella storia del concetto di immaginazione, oltre che nella comune etimologia delle parole, dal latino imago.

Tale rapporto si estrinseca essenzialmente con l’idea che l’immaginazione riproduca la realtà attraverso “immagini interne”, le quali, a loro volta, ricoprono un ruolo particolare per la conoscenza, o come semplici supporti rappresentativi per il pensiero, o come mediatrici tra sensibilità e intelletto etc.

In questo contesto, dunque, prende le mosse la visione fenomenologica dell’immaginazione nella sua peculiare originalità che investe, non solo la teoria dell’immaginazione vera e propria, ma anche la prospettiva trasversale del suo rapporto con la percezione - dunque il suo stesso ruolo nella teoria dell’esperienza.

L’immaginazione viene presa in considerazione in fenomenologia come atto intuitivo della coscienza intenzionale, al pari della percezione.

Sono necessarie, però, alcune precisazioni sul significato fenomenologico dei termini atto e coscienza intenzionale.

Il mondo con cui l'essere umano intrattiene un rapporto continuo di esperienza è un mondo variegato di cose, di cui il soggetto stesso fa parte, corpo tra i corpi, occupando la sua porzione di spazio.

La fenomenologia guarda alle cose da un punto di vista privilegiato, cioè quello della coscienza, teatro del complesso degli atti ad esse rivolti e in cui vengono prese in considerazioni in quanto fenomeni; il nocciolo di tale coscienza fenomenologica consiste nell'essenziale proprietà di

intenzionalità che la anima e, ancora più fortemente, la salda con quel

mondo di fenomeni a cui è rivolta in un flusso continuo.

Gli atti, in cui non è implicata alcuna idea di attività, sono ciò attraverso

ma produce determinazioni del senso interno, cioè gli schemi, assolutamente da non confondere con le immagini.

(6)

cui si esplica questo legame intenzionale tra coscienza e mondo dei fenomeni, punto di partenza imprescindibile per un'analisi fenomenologica; tali atti sono molteplici e diversificati: possiamo percepire, immaginare, pensare, ricordare, anticipare etc.

Tuttavia gli oggetti non si dissolvono né si esauriscono con gli atti della coscienza che li apprende. Come nota J.J. Wunenburger, “se guardare il mondo dipende pur sempre da un atto del soggetto, il mondo è però sempre già di là, nella sua trascendenza originaria”2; in questa frase si

riassume brevemente il modo di porsi della fenomenologia rispetto a soggettivismo o empirismo; in questa prospettiva non si rincorrono fatti ma non si rinuncia nemmeno a prendere in considerazione oggetti nella loro datità originaria posta fuori dalla coscienza, indipendente e svincolata da essa.

Il vissuto di coscienza non coincide dunque con l’oggetto esperito, ma non è neppure una sua immagine; esso esprime piuttosto il modo in cui la coscienza apprende intenzionalmente ciò che dell’oggetto si dà ad essa originariamente. “Intendere l’oggetto è già un vissuto; ma l’oggetto stesso può essere meramente presunto e in realtà non sussistere affatto”.3

Dunque, dal punto di vista dei vissuti di coscienza, non c’è alcuna distinzione da operare in base all’esistenza degli oggetti a cui sono riferiti; il soggetto può avere vissuti di oggetti come un tavolo o una stanza, esattamente come il vissuto di un centauro o di un ippogrifo (anche se è fondamentale non confondere mai il vissuto immaginario del centauro con l’oggetto centauro stesso).

Spesso, quando ci viene chiesto di pensare ad un oggetto immaginario, è quasi automatico riferirsi ad un oggetto inesistente. La prospettiva

2 J.J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, Einaudi, Torino, 1999, p. 120. 3 E.Husserl, Ricerche Logiche, Il Saggiatore, Milano, 2005, p. 163.

(7)

fenomenologica consente invece di ribaltare questa “facile associazione” tra irrealtà e fantasia, mettendo in discussione il senso stesso dell’assenza qui ed ora di un oggetto immaginario. La fenomenologia riporta, per così dire, l'immaginazione “sul pianeta Terra”, con tutte le conseguenze che ciò può implicare.

Il fatto che, quando immagino un certo oggetto, esso non appare materialmente di fronte a me in carne ed ossa, non implica necessariamente la sua inesistenza. Posso immaginare la città di New York mentre sto seduta ad un tavolo di una biblioteca di Pisa. Devo forse dedurne che la città di New York non esiste? Oppure devo pensare che non la sto immaginando?

Dal punto di vista fenomenologico io sto immaginando la città di New York, la quale esiste dall’altra parte del mondo, anche se non è qui ed ora di fronte ai miei occhi. È un oggetto assente, assente dall’attualità qui ed ora della mia coscienza, non assente in quanto inesistente in senso assoluto.

Dunque, il punto di partenza per lo studio dell’immaginazione è quello di considerarla “atto tra gli atti” della coscienza intenzionale; tuttavia, come avremo modo di analizzare, le sue peculiarità porteranno lo stesso Husserl a cercare un sempre maggior approfondimento della tematica immaginativa, che lo accompagnerà per tutto lo sviluppo del suo pensiero, sebbene non in modo sistematico.4

È come se il concetto d’immaginazione avesse “preso la mano” ad Husserl nel corso degli anni, fino ad arrivare ad estendersi verso territori che prima sembravano inaccessibili, quale quello delle essenze. In questo senso Husserl affermerà che la finzione è l’elemento vitale della fenomenologia, come di tutte le scienze eidetiche.

4

Husserl infatti, pur affidando un ruolo importantissimo all’immaginazione nella fenomenologia, non dedicherà mai un’opera specifica al concetto di immaginazione.

(8)

Ma qual è dunque la differenza peculiare dell’immaginazione rispetto alla percezione se entrambe in fenomenologia sono considerate come atti intuitivi della coscienza? La principale distinzione operata nelle

Ricerche Logiche riguarda il carattere di apprensione di tali atti; mentre

la percezione mostra un oggetto presente attualmente in carne ed ossa, l’immaginazione rende presente un oggetto che non lo è qui ed ora, un oggetto inattuale, attraverso una presentificazione di esso.

“L’oggetto sta nella percezione come presente in carne ed ossa , sta, più precisamente, come attualmente presente, come dato in persona nell’Ora attuale. Nell’immaginazione l’oggetto non sta nel modo della presenza in carne ed ossa (Leibhhaftigkeit), dell’effettività, della presenza attuale. Sta davanti ai nostri occhi, ma non come dato in un atto qui ed ora”.5

Il termine tedesco per presentificazione è Vergegenwärtigung, letteralmente il richiamare alla mente qualcosa di assente, che non è più qui ed ora, contrapposto a Gegenwärtigung, presentazione, così come in inglese presentation è contrapposto re-presentation. Il punto focale su cui è necessario porre attenzione sta nel fatto che una presentificazione non implica affatto una riproduzione della realtà attraverso un’immagine. Non è un’immagine, ma l’oggetto stesso inattuale ad essere reso presente come se fosse qui ed ora. Sul significato di questa modificazione come se si tornerà tra breve.

Questa, dunque, è la premessa necessaria per introdurre la direzione che il presente lavoro vuole intraprendere, cioè quella di analizzare, in diversi frangenti dello sviluppo del pensiero husserliano, il rapporto tra percezione e immaginazione che ruota intorno alla fondamentale questione dell’assenza. Tale analisi ci porterà dritti al cuore dell'essenza

5 E. Husserl, Ding und raum, Vorlesungen 1907, trad. francese “Chose et Espace, leçon de 1907”,

(9)

fenomenologica della percezione per capire come qualcosa possa darsi come assente all’interno di essa. La percezione in fenomenologia non si esaurisce infatti con ciò che dell’oggetto si dà immediatamente, ma comprende in sé anche il dato come assente, che rappresenta la possibilità di sempre nuove ed ulteriori determinazioni dell’oggetto percepito. L’oggetto si dischiude a poco a poco per la coscienza, mentre il suo vissuto si salda progressivamente all’orizzonte complessivo della coscienza stessa.

La percezione è quindi un atto che intende più di ciò che effettivamente coglie, e questo, come vedremo, è un nodo fondamentale per la teoria della conoscenza husserliana.

Ma qual è il posto assegnato all’immaginazione in tale contesto? In che modo essa si affianca alla percezione?

Facendo particolare riferimento ad alcuni controversi passi delle

Ricerche Logiche, si cercherà di rendere chiaro come Husserl, di fatto,

non abbia mai pensato ad un ruolo integrativo dell’immaginazione rispetto alla percezione; tuttavia la questione del dato come assente, modulato attraverso il concetto di orizzonte, acquista in fenomenologia una rilevanza assolutamente cruciale. In particolare, distinguendo le diverse direzioni di determinazione possibile rappresentate dall’orizzonte che circonda necessariamente un oggetto di percezione, si porrà attenzione sull’orizzonte indeterminato che più propriamente lega il vissuto di un oggetto percettivo al complesso dei vissuti coscienziali del soggetto, cioè l’orizzonte di tutti i possibili oggetti presentificabili e affiancabili per associazione all’oggetto stesso. Ci interrogheremo dunque, alla luce di questo, sulle ripercussioni di tale orizzonte indeterminato sul rapporto tra percezione e immaginazione e in particolare sul senso dell’esperienza percettiva, intesa come sintesi tra ciò che è immediatamente dato e gli orizzonti che si stagliano a

(10)

partire da esso.

L’esperienza di un oggetto non si esaurisce con il suo profilo determinato. Anzi, la questione dell’indeterminato, di ciò che è assente, ma dato in quanto assente, sembra assumere un ruolo fondamentale in fenomenologia, soprattutto per capire fino in fondo il senso della trascendenza degli oggetti e il senso della struttura intenzionale della coscienza stessa, come catena di rimandi. Non si può però fare a meno di notare come la questione dell’indeterminato non sia mai stata affrontata di petto da Husserl; essa sembra sempre entrare “di straforo”, almeno per quanto riguarda la prima fase del pensiero husserliano. Nel ciclo di lezioni del 1907 Ding und Raum, leggiamo: “il carattere essenziale della percezione è di essere «coscienza » della

presenza in carne ed ossa dell’oggetto.”6 Tuttavia poco oltre Husserl

afferma che “l’indeterminatezza è un carattere immanente dell’apprensione”7, esattamente come, nelle Idee, riconosce che

l’orizzonte indeterminato è necessariamente presente. L’inadeguatezza dell’atto percettivo testimonia dunque che ci sia un di più, originariamente dato, ma appreso soltanto in forma vuota, co-inteso nell’atto percettivo; anche se la caratteristica essenziale della percezione è dunque quella di essere “coscienza di presenza”, questo non significa che non si diano ugualmente, al suo interno, orizzonti vuoti indeterminati, e che essi non abbiano una loro forte rilevanza per penetrare il senso fenomenologico dell’esperienza.

La questione dell’assenza è dunque assolutamente cruciale, benché controversa, tanto più se possiamo considerarla come punto di raccordo con l’immaginazione. Immaginare infatti significa rendere presente qualcosa di attualmente assente. Nell’opera matura di

6

E. Husserl, Ding und raum, cit. p. 36 (corsivo mio).

7

(11)

Husserl, l’immaginazione assumerà i contorni della quasi-percezione; immaginare un oggetto è una quasi percezione di esso; significa, cioè, che è come se lo stessi percependo in questo momento.

Ciò che è dato come assente non è però necessariamente dato attraverso un atto di immaginazione, o di presentificazione in generale. Il dato come assente della percezione non dipende da un atto di presentificazione, ma, proprio in quanto dato nella modalità di assente non è reso presente alla coscienza. La coscienza dunque intende il dato come assente attraverso un'intenzione vuota, lo co-intende come possibilità di ulteriore determinazione. Diverso è il caso in cui il soggetto si immagina o anticipa il lato posteriore invisibile di una cosa; in questo modo si presentifica agli occhi della coscienza qualcosa di ben preciso, il profilo assente, con un atto ulteriore rispetto a quello percettivo.

Immaginare dunque non significa dare qualcosa nella modalità dell’assenza, ma l’immaginazione piuttosto attinge dal bacino dell’assenza, dell’inattualità, per rendere come se fosse qui ed ora qualcosa che non lo è.

Il senso della presentificazione non sta nel coprire l’assenza di un oggetto con un’immagine di esso, ma nel modificare l’oggetto inteso rendendolo come se fosse un oggetto di percezione, cioè come se fosse presente. L’immaginazione non duplica la realtà attraverso immagini interne o mentali. La prospettiva fenomenologica si pone infatti di affrontare il rapporto tra immagini e immaginazione in rottura con quella tradizione filosofica che vuole le immagini come prodotti dell’immaginazione. Husserl ha il merito di scardinare da questa dipendenza entrambe. Scrive infatti nelle Ricerche Logiche:

(12)

immagini possibili, un’unica e identica cosa, si costituisce intenzionalmente e non può valere essa stessa come un momento reale del vissuto della fantasia.”8

L'immagine è anch'essa un oggetto di percezione, ma non un semplice “oggetto tra gli oggetti”; essa ha infatti una struttura ben precisa, tripartita: l'immagine oggetto fisico (Bildding), l'immagine oggetto, cioè la raffigurazione stessa (Bildobjekt), e l'immagine soggetto, il contenuto a cui la raffigurazione rimanda (Bildsujet). L'immagine dunque nel suo apparire mostra qualcosa che gli altri oggetti non possono mostrare. Per questo alle immagini sarà dedicata una trattazione specifica nel corso dell'analisi della coscienza figurale (Bildbewuβtsein), che è la modificazione della coscienza stessa di fronte ad un'immagine.

L’immaginazione come atto intuitivo che presentifica un oggetto alla coscienza non produce dunque immagini interne dell’oggetto, ma intende tale oggetto, scavalcando l’inattualità e facendolo irrompere nel tempo oggettivo nella forma del come se.

Husserl non emancipa però l’immaginazione solo dalla funzione produttiva di immagini; la mancanza di espliciti riferimenti ad un’attività produttiva la libera anche dalla prerogativa di creare oggetti immaginari; fantasticare di un unicorno o di un centauro non significa produrre tale unicorno, ma soltanto intenderlo. Niente si “costruisce” nella prospettiva fenomenologica; l’oggetto di costituisce piuttosto come trascendente rispetto alla coscienza, attraverso la sintesi della fasi con cui viene vissuto dalla coscienza stessa.

Alla luce di queste considerazioni, si può iniziare a connotare il presente lavoro come una prospettiva trasversale su immaginazione e percezione nella fenomenologia husserliana, in rapporto alla questione

8

(13)

cruciale dell'assenza e del dato come assente. Se, come vedremo nel primo capitolo, immaginazione e percezione partono alla pari, come atti intuitivi della coscienza intenzionale dalla struttura analoga, la loro corsa non va comunque di pari passo, ma si caratterizza anzi come rapporto dinamico e discontinuo, con possibili “punti di collisione”. Una volta escluso con sicurezza ogni apporto possibile dell’immaginazione alla percezione riguardo al profilo assente, si cercherà di capire come si generi il problema del dato come assente in fenomenologia, nonché i suoi successivi sviluppi; in particolare, facendo riferimento al concetto di orizzonte interno, cioè alle possibili ulteriori determinazioni riguardanti il profilo non visibile dell’oggetto, si analizzerà il sistema cinestetico come sistema di possibilità pratiche, da cui dipende il vissuto della profondità dello spazio da parte della coscienza.

Sarà quindi legittimo chiedersi come si dischiuda, invece, alla coscienza l’orizzonte indeterminato non spaziale, nonché il suo ruolo specifico nella determinazione ulteriore dell’oggetto stesso. Esso infatti sarà individuato come l’orizzonte di possibilità di connessione del vissuto di un oggetto con gli altri vissuti della coscienza, dunque, come garante dell’ unitarietà dell’esperienza della coscienza stessa, il senso del suo essere “complesso dei vissuti”. Dunque, procedendo in questo modo, indagando sempre più a fondo le strutture della coscienza, tentando di capire, cioè, il senso del suo continuo andare oltre, come del suo essere trascesa dagli oggetti, si cercherà di restare fedeli allo spirito stesso della fenomenologia, in quanto:

“È nella natura della fenomenologia di penetrare, per passi successivi, dalla superficie fino alle profondità.”9

9

(14)

1.

FENOMENOLOGIA DEL PERCEPIRE E

DELL’IMMAGINARE

§ 1. 1 Percezione e immaginazione: atti intuitivi della

coscienza intenzionale

1.1.1 Presentazione e presentificazione di un oggetto

Percepire e immaginare sono atti della coscienza intenzionale, modificazioni possibili nell'esperienza di qualcosa.

La distinzione tra percezione e immaginazione, in quanto atti, si fonda sulle loro differenti forme di apprensione, cioè tra la forma del presentare e quella del presentificare qualcosa.

“Il carattere intenzionale della percezione è il rendere presente (il presentare), a differenza del mero presentificare dell’immaginazione. Si tratta, come sappiamo, di una differenza interna di atti e, più esattamente, di una differenza della loro rappresentanza (forma apprensionale).” 10

In primo luogo è necessario fare chiarezza sul senso di questa distinzione.

In una sezione della V Ricerca Logica dedicata alle equivocazioni più frequenti di alcuni termini specificamente fenomenologici, leggiamo:

“La differenza tra percezione e immaginazione (…) viene di continuo confusa con la differenza tra sensazioni e fantasmi. La prima è una

(15)

differenza di atti, la seconda una differenza tra non-atti, cioè tra contenuti vissuti che ricevono un’apprensione in atti della percezione e della fantasia”.11

Nel prossimo sottoparagrafo torneremo su cosa si intenda in fenomenologia per contenuto. Tuttavia per adesso è importante porre attenzione sulle implicazioni immediate di questa precisazione.

Sensazioni e fantasmi sono ciò attraverso cui possiamo avere vissuti di percezione o di fantasia, ma non sono, essi stessi, gli oggetti a cui si rivolgono tali atti. Non si percepiscono sensazioni, ma oggetti attraverso sensazioni, così come non si immaginano fantasmi, ma oggetti reali, modificati dall’immaginazione in modo tale che possano rendersi presenti anche se non lo sono.

L’immaginazione, in quanto presentificazione, è come una finestra aperta sul regno dell'inattualità da cui essa può attingere liberamente, senza vincoli causali, per portare alla mente un qualunque oggetto. Al concetto di immaginazione, dunque, non è sottesa alcuna idea di copia o di raffigurazione interna della realtà; essa, proprio come la percezione, si rivolge direttamente verso l’oggetto. L’immaginazione, inoltre, condivide con la percezione il carattere di intuitività. Ma che cos’è un’intuizione in fenomenologia?

L’intuizione è “l’operazione attraverso cui la coscienza trova la pienezza e il riempimento” e, nota Eva Brann, “è fonte di autorità per la conoscenza più dell’intelletto”12.

Il carattere intuitivo degli atti di percezione e immaginazione indica il riempimento dell’intenzione diretta verso un oggetto, attuabile sia attraverso una presentazione che una presentificazione. A ben vedere,

11 E. Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 290. 12

E. Brann, The world of the imagination. Sum and substance, Rowman & Littlefield Publishers,p.123.

(16)

anche se non si è ancora specificato come funzioni e come avvenga il riempimento, in questa caratterizzazione dell’immaginazione troviamo già spunti importanti per capirne l’essenza. È l’oggetto stesso che viene intuito, infatti, non una sua raffigurazione o immagine mentale.

È importante inoltre aggiungere che l’immaginazione, come la percezione, si differenzierà successivamente dal segno e dal concetto proprio in virtù di tale carattere intuitivo.

In fenomenologia si istituisce un vero e proprio nesso ideale tra percezione e fantasia, per cui “ad ogni percezione corrisponde a priori una fantasia possibile”13; dunque c’è un rapporto di corrispondenza

continua tra attualità e inattualità, tra l’apparizione presente qui ed ora di un oggetto e la sua presentificazione inattuale, rapporto che tuttavia implica necessariamente un salto, una netta linea di confine tra immaginare e percepire. “Se immagino il gesso bianco come un gesso rosso, allora per un momento la fantasia del gesso rosso trionfa, sebbene si alterni immediatamente con la percezione del gesso bianco.”14, sostiene Husserl nel corso delle lezioni del semestre

invernale 1904/05. Non si può avere, infatti, simultaneamente una percezione attuale e una presentificazione immaginaria di uno stesso oggetto, in quanto l’una esclude necessariamente l’altra.

Una presentificazione di qualcosa è infatti una presentazione nel modo del come - se, come se quel qualcosa fosse presente, quando di fatto non lo è. Essa implica una vera e propria irruzione di un oggetto nella catena temporale, che, per tutta l’intera durata della presentificazione, cancella letteralmente la realtà circostante, per cui il soggetto immaginante è quasi del tutto immerso nella fantasia. Questo, come

13 E. Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 416.

14 E.Husserl, Phantasie,Bildbewuβtsein,Erinnerung. Zur Phänomenologie der anschaulichen

Vergegenwärtigungen. Texte aus dem Nachlass (1898-1925), Husserliana XXIII, hrsg. Eduard

Marbach, The Hague, Martinus Nijhoff, 1980. Trad. inglese: Phantasy, image consciousness and

(17)

vedremo, è un altro punto di fondamentale importanza per capire il senso di un’esperienza immaginativa.

Dunque, abbiamo definito la differenza tra percezione e immaginazione come differenza tra atti intenzionali della coscienza, evitando di equivocare questa differenza con quella tra i contenuti di tali atti (sensazioni e fantasmi). Non è stato però – volutamente - fatto alcun cenno ad una differenza tra oggetti e non si tratta di una semplice dimenticanza. Non esiste infatti alcuna linea di demarcazione tra gli oggetti che possono essere fantasticati e quelli che possono essere solo percepiti; la fantasia si può rivolgere a qualsiasi oggetto del mondo reale presentificandolo come se fosse qui ed ora. Non si può porre una limitazione al raggio d’intenzione della fantasia; ad essa è permesso dirigersi verso oggetti di qualunque tipo, a prescindere dalla loro esistenza. La qualità, dunque, di un oggetto per essere presentificato immaginativamente è semplicemente l’inattualità, la sua assenza qui ed ora rispetto alla coscienza.

1.1.2 Lo schema apprensione - contenuto di apprensione

La distinzione husserliana tra atto, contenuto e oggetto, con cui il filosofo prenderà definitivamente le distanze dal suo “maestro d'iniziazione” alla filosofia Franz Brentano15, si attua nel contesto di un

confronto con un altro allievo di Brentano, Kazimierz Twardowski16, il

quale a sua volta aveva marcato una differenza importante tra contenuto e oggetto di una rappresentazione; l'ambiguità nell'uso dei

15 Franz Brentano fu il primo filosofo del quale il giovane Husserl, fresco di una laurea in

matematica, iniziò a frequentare le lezioni, cosa che ne determinò definitivamente l’avvicinamento alla filosofia.

16 Kazimierz Twardowski (1866-1938) fu allievo a Vienna di Brentano e di Zimmermann, circa

(18)

due termini fino a quel momento aveva infatti condotto ad una sorta di loro interscambiabilità, in virtù del fatto che sia un contenuto che un oggetto sono di fatto “rappresentati”.

La teoria di Twardowski, ammettendo che “nel rappresentarsi un oggetto, una persona si rappresenta nello stesso tempo un contenuto che si riferisce a questo oggetto”17, fa del contenuto il termine medio,

ovvero, ciò che permette essenzialmente alla coscienza di cogliere un oggetto in un determinato modo. Questo punto fu ripreso fedelmente da Husserl e ulteriormente sviluppato; l’atto intenzionale coglie l’oggetto sempre sotto un particolare aspetto, dunque, per uno stesso oggetto, a seconda della prospettiva sotto cui lo si coglie, si possono avere diversi contenuti apprensionali.

Il motivo di distacco si pose però a partire dal problema delle rappresentazioni prive di oggetto, cioè rappresentazioni a cui non corrispondono oggetti nella realtà, come “quadrato rotondo” o “montagna d’oro”. Twardowski risolse la questione affermando che non si trattava di rappresentazioni prive di oggetto, bensì di rappresentazioni di oggetti inesistenti; in questo modo, tentando di salvare il presupposto che per ogni rappresentazione ci sia un oggetto, finì però per scivolare nella Bildertheorie, la teoria delle immagini mentali, che, come vedremo, sarà bersaglio critico di Husserl nelle

Ricerche Logiche.

Inoltre Husserl considerò quella di Twardowski come una falsa soluzione, in quanto il “contenuto di una rappresentazione non viene toccato dall'essere o dal non essere dell'oggetto”18; l'oggetto, cioè, può

essere esistente o soltanto presunto, ma questo non influisce affatto sul

17 Cfr. K. Twardowski, Sulla dottrina del contenuto e dell’oggetto di rappresentazioni, cit. da V.

Ghiron, La teoria dell’immaginazione di Edmund Husserl, fantasia e coscienza figurale nella

«fenomenologia descrittiva », Venezia, Marsilio Editore, 2001, p.61.

(19)

nostro modo di intenderlo attraverso un certo contenuto. Husserl, infatti, non intendeva rinunciare all'identità tra oggetto intenzionale e oggetto reale, perchè in essa risiedeva il nucleo fondamentale della fenomenologia nonché il vero distacco da Brentano; ma non per questo intendeva, d’altro canto, accettare il presupposto che ogni rappresentazione si riferisse ad un oggetto attraverso un’immagine mentale. Anzi, mettendo in luce i limiti di una teoria del contenuto -immagine mediatore rispetto alla coscienza, Husserl definì ulteriormente i contorni del concetto di contenuto, il quale non deve assolutamente essere confuso con un'immagine; essa infatti, in quanto raffigurazione di qualcosa, rimanda sempre a qualcosa d'altro; il contenuto non raffigura l’oggetto, ma ne presenta un aspetto, precisamente l’aspetto secondo cui si manifesta alla coscienza. 19

La teoria del contenuto, quindi, può essere davvero vista come una conquista importantissima per la fenomenologia, in quanto inserendo un “principio di variabilità” nel rapporto tra soggetto e oggetto, permette un perfetto incontro tra la libertà del punto di vista e il darsi stesso dell’oggetto secondo coordinate spaziali e temporali, senza cadere né nel relativismo soggettivistico, né in una prospettiva fenomenista.

Dunque, alla luce di queste considerazioni, è chiaro come si possa percepire qualcosa, per esempio un libro che sta di fronte agli occhi, presente qui ed ora, ma, chiudendo gli occhi e cessando di percepirlo, si possa immaginativamente presentificarlo, come se fosse ancora di fronte agli occhi. E' lo stesso libro, cioè lo stesso oggetto, a cui si rivolgono entrambi gli atti, ma con diversi contenuti e caratteri di apprensione.

19

“Le cose si danno attraverso aspetti, i quali non sono cose e neanche immagini”. V. De Palma, Il

soggetto e l’esperienza. La critica di Husserl a Kant e il problema fenomenologico trascendentale,

(20)

“L'apparizione percettiva e immaginativa sono così strettamente legate l'una all'altra, così simili, che immediatamente suggeriscono l'idea di una relazione tra copia e originale. In entrambi i casi abbiamo apprensioni oggettivanti; e in entrambi i casi lo stesso oggetto appare e inoltre appare precisamente con le stesse determinazioni, secondo lo stesso lato che appare [...] A cosa si deve la differenza? Dunque, ovviamente a due tipi di cose molto diverse: i contenuti delle apprensioni, e le caratteristiche delle apprensioni stesse.” 20

E’ opportuno sottolineare a questo proposito la considerazione di Husserl riguardo al fatto che sia la percezione che la fantasia mostrano l’oggetto secondo certe determinazioni, secondo i lati che di volta in volta vengono appresi. L’inadeguatezza è una caratteristica costituiva della percezione, ma neppure l’immaginazione sembra poter cogliere un oggetto da tutti i suoi lati contemporaneamente; (è irrilevante, infatti, che si possa immaginare i lati che non si vedono, poiché comunque non si potrà mai immaginarli contemporaneamente tutti insieme).

È opportuno però notare che quando si immagina un oggetto non ci si pone il problema se esso si presenti secondo un determinato punto di vista o meno. Scrive infatti Giovanni Piana:

“Se immagino un cubo, ciò non implica che esso venga afferrato tutto intero in un colpo solo e neppure che esso mi si presenti di scorcio, mentre gli altri lati mi sono nascosti. Semplicemente immagino un cubo e per adesso non mi pongo alcun problema. Se poi venissi interrogato intorno al suo «aspetto», potrei eventualmente dare un senso a quella domanda attraverso una decisione immaginativa esplicita”.21

20 E. Husserl, Phantasy, image consciousness and memory, cit. p. 10.

21 G.Piana, Elementi di una dottrina dell’esperienza.Saggio di filosofia fenomenologica, Milano, Il

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Tuttavia, poiché il cubo in quanto oggetto si mostra soltanto secondo lati e profili, si potrebbe concludere che esso si presentifichi ugualmente attraverso quei lati e quei profili. In caso contrario, infatti, non avremmo più un atto intuitivo diretto verso un oggetto, cioè verso una porzione di spazio ben precisa, ma, probabilmente, avremmo in mente il concetto di cubo, con sei facce, i lati uguali etc. cioè nel complesso delle sue caratteristiche essenziali.

Il problema sta nell’analizzare la percezione senza cadere né in un’interpretazione puramente sensistica né in una prospettiva di organizzazione concettuale dei dati di sensazione. “L’essere del contenuto sensoriale è del tutto diverso dall’essere dell’oggetto percepito, che viene presentato dal contenuto, ma che non è realmente (reell) cosciente”22.

I processi percettivi si svolgono nel tempo, dunque non potranno mai dare luogo ad una visione istantanea e completa dell’oggetto; un oggetto presentato in una percezione non mostra di sé che profili, aspetti, lati, che, di volta in volta, possono variare a seconda dell’angolazione da cui il soggetto osserva sempre lo stesso identico oggetto. Questo sistema di apprensione di un oggetto per sue successive determinazioni, come abbiamo notato, è lo stesso sia che si parli di presentazione, che di presentificazione; per questo si può legittimamente concludere che immaginazione e percezione abbiano, in quanto atti, una struttura del tutto analoga. Tuttavia è facile rischiare di cadere nell’idea che l’atto d’immaginazione ricalchi fedelmente quello di percezione, senza avere sue caratteristiche peculiari. L’esperienza di fantasia, invece, non è un mero parallelo di quella percettiva, anzi, possiede peculiarità e potenzialità che, in questa prima fase del pensiero husserliano, rimangono ancora nell’ombra, ma che non

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mancheranno di far sentire il loro peso nelle fasi successive.

In particolare il punto che si pone con maggiore forza riguarda la temporalità dell’esperienza immaginativa rispetto a quella percettiva. Il processo percettivo, come abbiamo visto, è articolato nel tempo, dunque, consta di più momenti, di scene percettive che insieme formano una sequenza percettiva; ma la presentificazione inattuale è stata presa in considerazione fino ad ora come attività libera dai vincoli temporali e causali propri della percezione. Una scena immaginativa può essere considerata come “assoluta”, sciolta cioè rispetto ad altre scene immaginative; la domanda quando? rispetto a qualcosa di immaginato è del tutto irrilevante; se si immagina di mangiare un gelato in una spiaggia tropicale non ha senso chiedersi quando avvenga tale situazione immaginaria, la si immagina e basta.23 Tuttavia non si

può negare che anche l’esperienza immaginativa abbia una sua durata e, soprattutto, che l’immaginazione in quanto atto abbia una sua posizione precisa nel tempo oggettivo. Se, infatti, non ha senso chiedersi quando avvenga una certa azione immaginata, è quantomeno possibile chiedersi quando è stata fantasticata una certa cosa piuttosto che un’altra etc.

Il punto allora è cercare di entrare nella dinamica fenomenologica vera e propria e specificare cosa significhi quell’incontro tra il darsi dell’oggetto e il sistema di apprensione di esso, cioè tra l’aspetto noematico e quello noetico; la percezione in quanto atto (noesi) si articola temporalmente, ma l’oggetto (noema), a sua volta, è una porzione di spazio, è un oggetto tridimensionale e risponde a regole di composizione spaziale. L’immaginazione, rispetto alla percezione, può in qualche modo “isolare” temporalmente il suo oggetto, facendolo scivolare in un a temporalità sua propria, una psuedo-temporalità, una

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temporalità come-se.

1.1.3 Il vissuto di coscienza e il senso dell’esperienza

fenomenologica

La concezione fenomenologica della coscienza intenzionale mette in luce il suo particolare carattere di unità dinamica, il suo fluire in una corrente di vissuti che la pervadono immanentemente.

Il vissuto intenzionale è ciò che lega profondamente la coscienza al mondo della vita, in quanto realmente presente in essa, a differenza della cosa spaziale, cioè dell’oggetto, che non può mai essere presente in tutti i suoi lati e profili contemporaneamente alla coscienza stessa. Nella V Ricerca Logica Husserl esplicita la necessaria differenza tra oggetto e vissuto dell’oggetto, differenza che tuttavia non riflette la soggettività dello sguardo rivolto all’oggetto e non mira quindi a relativizzarlo.

“La manifestazione della cosa (il vissuto) non è la cosa che si manifesta («ciò che ci sta di fronte» presuntivamente nel suo essere in se stesso, in carne ed ossa). Noi «viviamo» le manifestazioni come appartenenti al nesso della coscienza, mentre le cose ci si manifestano come appartenenti al mondo fenomenale. Le manifestazioni stesse non si manifestano, esse vengono vissute.”24

Dunque, al di là della distinzione tra lati propriamente visti nella percezione e profili assenti, ma co-intenzionati nell’atto stesso, è importante scandagliare la differenza tra l’oggetto spaziale e il vissuto di tale oggetto, cioè, tra ciò che è visibile e propriamente presentato e

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ciò che in realtà viene vissuto di esso.

Infatti, mentre la percezione di una cosa è costitutivamente inadeguata, imperfetta ad infinitum, il vissuto di qualcosa è dato alla coscienza, proprio in quanto il vissuto è diverso dalla cosa che si presenta. Nelle

Idee25 Husserl chiarisce questi passaggi con l’esempio del foglio di

carta. Un foglio di carta che mi sta davanti, che posso toccare e vedere comodamente, mi è dato secondo certe qualità ed è un vissuto di coscienza, una cogitatio. Mentre il foglio stesso con le sue determinazioni oggettive, caratteri di estensione etc…non è cogitatio, ma cogitatum, non è quindi il vissuto intenzionale, ma proprio ciò che viene percepito.

“Ora, un percepito può benissimo essere un vissuto di coscienza; ma è evidente che una cosa materiale come questo foglio dato nel vissuto percettivo non è per principio un vissuto, bensì un essere di una specie totalmente diversa”26.

Questa è dunque una vera e propria salvaguardia dal confondere una cosa con un vissuto, cadendo così in una prospettiva idealistica. Non bisogna invece dimenticare che la coscienza fenomenologica è una coscienza intenzionale, cioè rivolta ad oggetti, a realtà che non dipendono da essa, cioè perfettamente autonome.

Inoltre, sempre riprendendo l’esempio della percezione di un foglio, nel campo visivo in cui esso si staglia, non è mai presente solo esso, ma tutta una serie di altri oggetti di contorno che vengono definite da Husserl “un alone di «intuizioni » di sfondo”27 su cui non è focalizzata

l’attenzione, ma che pure viene vissuto e compreso nell'atto percettivo.

25 E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi,

Torino, 2002.

26 Ivi. p. 81. 27 Ibidem.

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Dunque Husserl esclude che il flusso di coscienza possa mai consistere in pura attualità, poiché circondato sempre e comunque da questo alone di inattualità, passibile di eventuale attualizzazione, qualora l’attenzione si sposti in altre direzioni. Questa scoperta e valorizzazione del contorno, dello sfondo, in fenomenologia ha delle importanti ripercussioni sul piano della conoscenza e del suo significato. Piana, in “Elementi di una dottrina dell’esperienza”28, afferma infatti che si è

finito per dare troppo per scontato l’apporto della percezione alla conoscenza; sostanzialmente si è naturalizzato un rapporto di subordinazione dell'esperienza percettiva all’istanza conoscitiva. Questo però non è sempre vero, non sempre ad una percezione corrisponde la conoscenza di qualcosa; proprio come abbiamo visto, oltre all’oggetto, entra nel campo visivo uno sfondo fuori fuoco su cui non si pone attenzione, ma che è compreso nell’atto di percezione anche se non contribuisce alla conoscenza dell’oggetto stesso.

C’è infatti, secondo Piana, una sostanziale differenza tra percepire e constatare e si tratta di una “modificazione del contesto che propone l’atto percettivo in connessione con un interesse”29. Il constatare è

comunque pur sempre uno dei modi in cui si esplica l’esperienza percettiva ed è in particolare sul termine esperienza che è necessario soffermarsi. Piana parla di un senso ristretto e un senso lato a cui riferirsi parlando di esperienza; in senso ristretto con esperienza si intende solo percezione, ma in senso più ampio qualsiasi atto della coscienza, anche gli atti presentificanti, offrono un’esperienza dell’oggetto, per cui al mondo dell’esperienza “partecipano dinamismi soggettivi di ogni genere”30.

28 G.Piana, cit.

29 Ivi p. 23. 30 Ivi p. 27.

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Il problema dell’esperienza e quello della conoscenza non sono identici dunque si può affermare che l’esperienza percettiva non è sempre esperienza che porta una conoscenza; la percezione infatti inizia a delinearsi come un atto complesso, dai contorni sfumati, un atto composito, sintetico, che prende forma in uno sviluppo temporale. Ma allora che differenza c'è tra conoscere e percepire un oggetto? Si può davvero, in fondo, conoscere completamente un oggetto se l'atto di percezione è un atto costitutivamente inadeguato, attraverso cui non si potrà mai giungere alla meta ideale dell'oggetto “a tutto tondo”?

A questo punto si aprono almeno due fronti di problemi: il primo riguarda la questione della conoscenza in fenomenologia e la conseguente problematizzazione di essa; il secondo, invece, si pone riguardo al come si possa, in effetti, avere un vissuto di un unico oggetto, se l'atto di percezione si dipana e si espande a macchia d'olio anche verso ciò che non è direttamente intuito (come appunto lo sfondo sfuocato).

Abbiamo preso in considerazione il punto di vista di Piana riguardo all'esperienza da non subordinare sempre e comunque all'attività conoscitiva. Ma che rapporto possiamo allora stabilire tra esperienza e conoscenza? Cosa può sostituire l’istanza di subordinazione? La questione sta dunque nel chiedersi se, seguendo le conclusioni di Piana, non si finisca per relegare la conoscenza ad un piano puramente ideale, il piano cioè dell'oggetto da tutti i possibili lati e profili, che trascende la coscienza. Il piano conoscitivo è dunque qualcosa di irraggiungibile come lo è l'oggetto fisico?

Ma il vero interrogativo che si nasconde dietro a questi consiste nel chiedersi cosa si intenda, in effetti, con il termine conoscere, cosa significhi cioè conoscere. È necessario infatti disarticolare il concetto di conoscenza prima di assegnargli un posto nell'ambito fenomenologico.

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Sarebbe un errore voler applicare a tutti i costi alla fenomenologia un concetto che viene dall'atteggiamento naturale. Essa si occupa infatti di vissuti di esperienza, esperienza che, come abbiamo visto, può modularsi in varie forme. Il concetto di conoscenza, per come esso può venir inteso storicamente, implica un'idea di dominio, di possesso di un certo oggetto conosciuto, da parte di un soggetto, o meglio, dell'intelletto. Se ci si riferisce a questo significato del conoscere, è evidente che non potrà esserci spazio per esso in fenomenologia. Bisogna allora rassegnarsi e concludere che la conoscenza è riservata solo agli oggetti trascendenti, dunque è una pura meta ideale irraggiungibile?

La problematizzazione del concetto di conoscenza non deve necessariamente muoversi verso un suo restringimento soltanto perchè in fenomenologia non esistono fatti, ma si parla di vissuti. Si può invece forse pensare ad un nuovo senso di conoscenza che non si identifichi con l’inglobamento dell’oggetto fisico in strutture intellegibili, ma che miri piuttosto a svelare le variegate profondità dell’esperienza.

La ridefinizione dei contorni della conoscenza in fenomenologia, dunque, passa attraverso il concetto di riempimento:

“Il termine di riempimento è un’espressione che caratterizza meglio l’essenza fenomenologica del riferimento conoscitivo” 31, afferma

Husserl nelle Ricerche Logiche.

Conoscere dal punto di vista fenomenologico non coincide, dunque, con il percepire, ma non è neppure un qualcosa di ideale, svincolato dagli atti di coscienza. Questa ridefinizione del riferimento conoscitivo in base al riempimento dell’intenzione ha degli interessanti risvolti anche per l’immaginazione, in quanto sembra muoversi verso l’eliminazione di ogni principio aleatorio di gerarchia tra gli atti,

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rispetto all’istanza conoscitiva.

“il carattere del riempimento non presuppone ciò che viene attribuito al concetto logico di conoscenza, cioè la qualità posizionale sia nel caso degli atti intenzionali sia in quello degli atti riempienti. Parliamo di conoscenza in senso preminente laddove una presunzione nel senso normale di credenza viene rafforzata o confermata.”32

Per quanto riguarda poi la questione dell’unitarietà del vissuto di coscienza di un oggetto, bisogna soffermarsi sul fatto che gli atti intenzionali infatti sono degli “interi stratificati”33 e questa loro

caratteristica permette di modulare su diversi piani quel rapporto intenzionale che li lega agli oggetti intesi, senza per questo implicare un’eventuale possibilità di isolamento e autonomizzazione delle singole parti rispetto al tutto.34

Il punto comune è che le diverse fasi di un processo intuitivo, sia di percezione che di fantasia, sono reciprocamente inerenti l’una all’altra e conducono ad un solo identico oggetto, nel rispetto di un principio di regolarità e stabilità della conoscenza, pur lasciando, per così dire, aperto uno spiraglio di libertà rispetto ai contenuti.

Nota De Palma a questo proposito: “il rapporto tra apparizione e cosa non è quello tra il dato fenomenico e la realtà che sta dietro di esso, ma quello tra una singola e parziale presentazione dell’oggetto e l’insieme completo delle sue presentazioni possibili, tra un membro del sistema e

32 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 367. 33 V.Ghiron, cit. p.50.

34 Riguardo a questo punto risulta molto utile la differenza operata da Sokolowski tra pezzi e

momenti, in base alla separabilità o non separabilità dal loro contesto. “Le totalità possono essere

analizzate secondo due tipi diversi di parti: i pezzi e i momenti. I pezzi sono parti che possono sussistere e presentarsi anche separati dall’intero; essi possono essere staccati dalle loro totalità.[…]I momenti sono parti che non possono sussistere o presentarsi separatamente dal tutto al quale appartengono; non possono venir staccati”. R.Sokolowski, Introduzione alla

(29)

il sistema stesso.”35

Non si può infatti considerare in se stesso un lato del libro, senza riferirlo al libro stesso, come non si può percepire il libro se non attraverso molteplici manifestazioni. Questo tuttavia non dipende da una preconoscenza di qualche tipo della “forma-libro”; anche qualora infatti avessimo di fronte il profilo di oggetto mai percepito prima d’ora, esso sarebbe comunque inserito all’interno di una catena di rimandi per cui non verrebbe mai colto in se stesso come un aspetto svicolato dal resto.

35

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§ 1.2 L’esperienza e l’immagine

1.2.1 Il rifiuto della Bildertheorie nelle Ricerche Logiche

Nella V Ricerca Logica Husserl chiarisce, con il famoso esempio della scatola, la differenza tra contenuto e oggetto di coscienza.

“Io vedo una cosa, ad esempio, una scatola, e non le mie sensazioni. Io continuo a vedere quest’unica e identica scatola, comunque essa venga fatta ruotare od orientata. Perciò ho anche sempre lo stesso «contenuto di coscienza » - se vogliamo designare l’oggetto percepito come contenuto di coscienza. Ma se, in un senso ben più pertinente, designo con questa espressione i contenuti vissuti, ad ogni rotazione io ho un nuovo contenuto di coscienza. Quindi, vengono vissuti contenuti molto diversi e tuttavia viene percepito lo stesso oggetto.” 36

La coscienza d’identità che ci porta a considerare un unico oggetto attraverso molteplici contenuti, è a sua volta un vissuto con cui presumiamo di cogliere l’identità dell’oggetto.

Husserl, dunque, considera il contenuto come il modo attraverso cui l’oggetto può essere inteso dalla coscienza, ma esso non deve mai essere confuso con un’immagine dell’oggetto stesso. Nella celebre appendice alla V Ricerca Logica Husserl rigetta infatti la Bildertheorie, la teoria delle immagini, secondo cui fuori dal soggetto esisterebbero le cose in sé e nel soggetto sarebbero presenti solo immagini, copie di tali oggetti. Probabilmente la confusione si genera a causa dell’uso dell’espressione “cosa in sé” che fa pensare a qualcosa di non manifestabile, ma non bisogna dimenticare che il concetto di oggetto

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trascendente in fenomenologia è totalmente diverso da quello tradizionale; esso infatti non si riferisce ad enti trascendenti di cui non è possibile avere alcuna esperienza, anzi, trova la sua applicazione proprio nell’ambito dell’esperienza di qualcosa, come, ad esempio, dell’esperienza percettiva, grazie alla mediazione operata dai contenuti. Il contenuto tuttavia non deve essere confuso con l’immagine (intesa come raffigurazione di qualcosa), errore in cui era caduto Twardowski, in quanto è solo una coscienza intenzionale che può rendere immagine di qualcosa qualcos’altro. L’immagine, per usare le parole di Sartre, è a sua volta una forma di coscienza, cioè la coscienza figurale (Bildbewuβtsein), di cui però ci occuperemo meglio in seguito.

Husserl comunque esclude che si possa ragionare in termini di oggetti fuori dalla coscienza e immagini interne ad essa; nell’immagine sono presenti due fondamentali componenti: l’oggetto riprodotto in immagine e il soggetto dell’immagine stessa, a cui l’oggetto rimanda. Ma perché si attivi questo processo di rimando è necessario che ci sia un io che operi la rappresentazione; non basta che un oggetto lasci una traccia ritenuta nella coscienza perché si possa parlare di immagine. L’immagine inoltre, come vedremo, ha sostanzialmente un diverso registro di trascendenza, rispetto ad un oggetto. Mentre infatti quest’ultimo rimanda oltre, l’immagine rimanda dentro di sé aprendo uno spazio per un’apparizione altra rispetto a ciò che è meramente percepito.

Dunque possiamo affermare che la fenomenologia husserliana affranchi completamente l’immagine da qualsiasi ruolo nella teoria dell’esperienza che, in effetti, non le compete affatto. L’immagine, proprio per la sua plurivocità, è stata a lungo chiamata a sopperire mancanze, a mettere toppe qua e là senza che si tenesse minimamente conto delle sue effettive prerogative e competenze; dunque la sua

(32)

espulsione fenomenologica dal contesto percettivo e, come vedremo, da quello immaginativo, non può che rappresentare una svolta importantissima perché l’immagine venga restituita alla sua originaria significatività.

“Appena cominciamo a riflettere, ci accorgiamo di aver finora commesso un duplice errore. Pensavamo, senza neppure rendercene conto, che l’immagine fosse nella coscienza, e l’oggetto dell’immagine fosse

nell’immagine. Ci figuravamo la coscienza come un luogo popolato di

piccoli simulacri: le immagini. Senza dubbio, l’origine di quest’illusione va cercata nella nostra abitudine di pensare nello spazio e in termini di spazio. La chiameremo illusione di immanenza”.37

Dunque, solo liberandosi della Bildertheorie, la fenomenologia potrà sbarazzarsi di quella che Sartre definisce “illusione d’immanenza”, riconoscendo, allo stesso tempo, il carattere dinamico della coscienza in quanto complesso di vissuti.

1.2.2 Immagini e immaginazione

“Per quanto un’immaginazione possa essere compiuta, continua a sussistere una differenza rispetto alla percezione: essa non dà l’oggetto stesso, nemmeno in parte, ma solo la sua immagine che, nella misura in cui è appunto un’immagine, non è mai la cosa stessa. Di quest’ultima siamo debitori alla percezione.”38

Con questo sorprendente passo tratto dalle Ricerche Logiche possiamo iniziare ad avere un’idea di come si evolva il pensiero di Husserl

37

J.P. Sartre, Immagini e coscienza. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Einaudi, Torino, 1964, p. 15.

(33)

riguardo all’immaginazione. Per prima cosa è necessario non fraintendere completamente l’intento husserliano di descrivere la differenza effettiva tra la presenza in carne ed ossa di un oggetto di percezione e la presenza come - se di un oggetto di immaginazione. Tuttavia bisogna notare che il dar conto dell’assenza di un oggetto di immaginazione non passa necessariamente per un’immagine. Lo stesso Husserl lo negherà con forza già nelle lezioni di Gottinga del 1904, pur ammettendo quanto possa essere seducente e comoda la teoria delle immagini per risolvere le questioni incentrate sul modo di darsi dell’oggetto di fantasia.

Ancora una volta, dunque, sarebbe semplice inserire un’immagine come terzo termine mediatore che serva a “coprire” in qualche modo l’assenza dell’oggetto inteso. Ma la struttura analoga degli atti di percezione e immaginazione può comunque venire in aiuto; nemmeno per l’atto di fantasia c’è bisogno infatti di un’immagine, in quanto è pur sempre il contenuto dell’atto immaginativo ciò attraverso cui si presentifica un determinato oggetto.

In questo modo quindi, non solo si affrancano le immagini da eventuali subordinazioni in quanto mediatrici tra atti e oggetti, ma si libera anche l’immaginazione da istanze produttive di copie o raffigurazioni della realtà. L’atto d’immaginazione è diretto verso l’oggetto, né più né meno che quello di percezione.

La confusione tra oggetto d'immaginazione e immagine non è però del tutto priva di ragioni; l'oggetto presentificato in un'esperienza di fantasia, infatti, non appare nella sua fisicità, non si materializza di fronte agli occhi in carne ed ossa. Per questo Husserl nelle Ricerche

Logiche parla di “immagine” di esso. Tuttavia è il termine immagine ad

essere usato impropriamente, in quanto un'immagine risponde a criteri ben precisi, ha una struttura particolare etc.

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Una volta, però, acquisita una certa sicurezza su cosa sia un'immagine in fenomenologia, è possibile dissipare in effetti ogni dubbio riguardo alla sua confusione con un oggetto d'immaginazione? Il punto da risolvere sta ancora nel capire come sia dato un oggetto presentificato; se esso non è un'immagine mentale dell'oggetto e non è la materializzazione in carne ed ossa dell'oggetto in sé, che altro può essere?

Questo punto è assolutamente centrale per capire il senso fenomenologico di un'esperienza di fantasia, per capirne l'intrinseca originalità rispetto alle altre teorie dell'immaginazione e anche per valutarne, in un certo senso, la “riuscita” finale.

È proprio per far fronte a questo tipo di interrogativo, infatti, che Husserl utilizzerà il concetto di modificazione e, in particolare, la

modificazione come - se insita in un atto di fantasia. L’oggetto, dunque, è

riprodotto, ma solo esclusivamente nel senso di modificato nell'immaginazione, in modo che possa rendersi disponibile nonostante la sua assenza qui ed ora.

Molte questioni si potrebbero aprire sul significato di questa modificazione, una su tutte riguarda il rapporto dell'immaginazione con un qualche tipo di ritenzione. Lo spunto di riflessione è controverso: se da una parte infatti possiamo pensare che senza la capacità di ritenzione della coscienza non sarebbe possibile un atto di immaginazione, in quanto esso è volto a modificare un certo oggetto “ritenuto”, dall'altra è necessario chiedersi se questo non rappresenti anche un limite per l'immaginazione. Questa stessa questione si riproporrà, come vedremo, nel terzo capitolo, a proposito della modificazione di neutralità e del rapporto tra immaginazione e memoria.

(35)

immaginato, deve essere stato esperito e ritenuto nella coscienza?

Poniamo il caso che qualcuno mi parli di un oggetto che non ho mai visto e di cui non ho nessun tipo di esperienza pregressa. Io posso immaginarmelo in un certo modo, piuttosto che in un altro. Ma questo determinato oggetto che io mi presentifico di fronte agli occhi risponderà ad una mia specifica aspettativa; si può dunque ugualmente parlare di un atto di libera fantasia? Come vedremo nel prossimo sottoparagrafo, è necessario marcare delle distinzioni tra le varie forme di presentificazione, in quanto il termine immaginazione non può essere usato tout court come sinonimo di presentificazione.

Husserl afferma che “la fantasia intesa come abilità giace fuori dal raggio del nostro interesse”39, poiché in fenomenologia non si dà molta

importanza alla varietà di esperienze che la fantasia abbraccia, in particolare quella produttiva, ma si pone attenzione soprattutto sull’unità essenziale del tipo di apprensione. Questa dichiarazione d’intenti, che verrà riconfermata pressochè in tutta l’opera husserliana, non sembra bastare per rendere conto appieno di tutti i risvolti di un’esperienza così complessa come quella dell’immaginazione.

Si potrebbe pensare, al di là delle difficoltà che si pongono riguardanti cosa venga modificato dall’immaginazione, che il senso della produzione immaginativa in fenomenologia stia proprio nella produzione di un legame come – se, vero mediatore tra presenza e assenza di un oggetto, piuttosto che un’immagine. Soltanto in questo modo l’assente assume i contorni del quasi-presente, rendendosi cioè accessibile in ogni momento alla coscienza.

39

(36)

1.2.3 Immaginazione e forme di presentificazione

Nel corso di questo capitolo è stata sottolineata la differenza tra percezione e immaginazione in quanto atti della coscienza intenzionale, basata sulle diverse forme di apprensione che essi hanno. Ma le distinzioni che sussistono tra presentare e presentificare un oggetto alla coscienza non riflettono adeguatamente la separazione tra un’esperienza di fantasia e una di percezione, in quanto il termine presentificazione (Vergegenwärtigung) non può essere trattato come sinonimo di immaginazione. Presentificare, anzi, viene usato da Husserl anche a proposito di memoria e anticipazione. Anch’esse infatti a buon diritto possono essere considerate presentificazioni di qualcosa di assente. In particolare la memoria è coscienza di qualcosa di passato mentre l’anticipazione è coscienza di qualcosa di futuro

Ma cosa le distingue a loro volta dall’immaginazione? E, soprattutto, la condivisione del carattere di presentificazione nell’apprensione da parte di più atti della coscienza come immaginazione, memoria, anticipazione, non indebolisce necessariamente la distinzione precedentemente operata tra immaginazione e percezione? Addentrandosi sempre di più nell’analisi del rapporto tra percezione e immaginazione non si può fare a meno di notare come l’esperienza immaginativa sia una miniera di input e di possibilità per sviscerare ulteriormente tale rapporto. Non si può accontentarsi, dunque, di un appiattimento dell’immaginazione sul concetto di presentificazione, poiché essa presenta peculiarità che le altre forme di presentificazione non hanno.

Confrontiamo ad esempio un atto di immaginazione con uno di memoria: anche la memoria è una forma di presentificazione, in particolare essa presentifica un qualsiasi atto passato della coscienza,

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volto a cogliere un qualunque oggetto, sia di percezione che di fantasia etc. Dunque si ha memoria sempre di un atto determinato temporalmente, che abbia cioè già colto un certo oggetto. La memoria quindi permette l’affiorare di “pezzi” di passato, per i quali avrà senso la domanda quando?. Il soggetto che ricorda sarà consapevole che cioè che ricorda è esistito, crederà cioè che esso abbia una sua determinata posizione nel tempo. La stessa cosa accade per l’anticipazione. Nonostante l’assenza dei loro oggetti memoria e anticipazione operano all’interno dello stesso mondo che attualmente percepito, muovendosi semplicemente avanti o indietro sulla linea del tempo oggettivo.

Tale carattere di credenza è considerato essenziale soprattutto per l’atto di percezione; nel momento in cui si percepisce qualcosa si crede che quel qualcosa stia lì di fronte a me, presente attualmente. Tuttavia, come è stato appena mostrato, questo carattere non è affatto incompatibile con un atto di presentificazione quale quello di memoria o di aspettazione.

La differenza fondamentale consiste nella presenza in carne ed ossa dell’oggetto di percezione qui ed ora, rispetto a tali atti di presentificazione.

Dunque l’immaginazione sembra essere l’unico atto di presentificazione “fuori dal coro”, proprio in virtù della mancanza di una precisa posizione temporale degli oggetti suoi correlati. Questo è inoltre ciè che costituisce la distinzione più evidente tra una fantasia e un’allucinazione; quando immagino, ad esempio, che crolli la Torre di Pisa io non credo che questo stia succedendo davvero, come se avessi un'allucinazione, semplicemente sono libera di immaginarlo.

L'esperienza immaginativa infatti irrompe all'interno della catena temporale senza alcun tipo di connessione, senza stabilire cioè un legame di continuità temporale tra i suoi oggetti e il mondo circostante.

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Questa considerazione non deve fuorviare: non si tratta infatti di stabilire due mondi paralleli, uno di percezione e in generale, di atti di credenza, e un mondo immaginativo in cui la credenza è sospesa. C'è un solo ed unico mondo a cui si rivolgono tutti gli atti della coscienza intenzionale e in cui si inscrive anche l'esperienza immaginativa, pur nella sua complessità.

Anche se abbiamo precedentemente notato che la domanda quando? non ha senso riguardo ad una fantasia di qualcosa, non si può tuttavia escludere che l'esperienza immaginativa abbia la sua temporalità, cioè una sua “temporalità come-se”.

Husserl inoltre sintetizza l'apparire immaginativo come “apparire di un non-ora in un ora”. Questa definizione deve far riflettere sopratutto per quello che riguarda un'altra caratteristica importante dell'esperienza immaginativa; per quanto essa al suo interno possa in qualche modo sospendere la credenza, alienare e decontestualizzare temporalmente il suo oggetto, essa ha pur sempre una sua collocazione temporale. Quando infatti un soggetto immagina, ad esempio, di fare una passeggiata in campagna è come se si verificasse uno sdoppiamento della sua coscienza, per cui il soggetto immaginante è quasi del tutto proiettato e assorbito dalla scena immaginaria, pur essendo ancora presente a se stesso nel qui ed ora reale. Nell'esperienza di fantasia, dunque, l'Io tiene per così dire il piede in due staffe, sebbene soltanto un residuo di coscienza rimanga attaccata al mondo reale, rispetto alla gran parte di essa che si tuffa nell'esperienza immaginativa.

Potremmo quindi pensare che in qualche modo sia il corpo stesso, inteso qui in senso fisico, a fungere come “resistenza” rispetto all'immaginazione, cioè a costituirsi come interfaccia tra il qui ed ora attuale e il tempo come - se proprio della fantasia.

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In base a queste riflessioni viene però da chiedersi se in effetti possa esistere una fantasia in cui non sia proiettata anche una parte del soggetto che immagina, cioè se ogni esperienza di fantasia non sia in qualche modo anche un immaginarsi. Anche qualora si stia immaginando un certo oggetto x, esso è come - se fosse presente ai nostri occhi, dunque immaginiamo di percepirlo, di osservarlo, di toccarlo etc. entrando quindi come soggetti agenti nell’esperienza di quasi-percezione dell’oggetto stesso. Inoltre si può davvero immaginare un oggetto svincolato da un contesto spaziale? Anche nel caso che io fantasticassi di questo pc portatile e lo vedessi immaginativamente in un’altra stanza, magari anche in un posto che non ho mai visto e che mi sto inventando in questo momento, lo immaginerei comunque in un contesto spaziale.

La questione in effetti non è semplice, perché l’immaginazione si rivolge ad oggetti, che sono a loro volta, come vedremo nel prossimo capitolo, porzioni di spazio, non svincolabili da esso. L’esperienza immaginativa è una concreta esperienza di modificazione, un concreto vissuto di oggetti che possono far parte del mondo reale (cioè non necessariamente inesistenti) in quanto l’immaginazione è un atto

intenzionale, vale a dire, essa è sempre coscienza di qualcosa. Dunque

all’esperienza di fantasia in fenomenologia non appartiene nessuna prerogativa di astrazione o “universalizzazione” di un certo oggetto. Essa semplicemente lo modifica rendendolo accessibile alla coscienza attraverso la presentificazione.

Scrive Husserl nelle Idee:

“Bisogna osservare che nel linguaggio comune presentificazione (riproduzione) e fantasia si confondono. Noi adoperiamo queste espressioni in modo che, tenendo conto delle nostre analisi, lasciamo il

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termine generale «presentificazione» senza alcuna indicazione circa il fatto che l’inerente «posizione» sia autentica o neutralizzata.” 40

Nel corso del terzo capitolo avremo modo di riprendere il concetto di neutralizzazione e gli ulteriori sviluppi dell’immaginazione come forma di modificazione di neutralità.

40 E.Husserl, Idee, cit. p. 272.

(41)

§ 1.3 Fenomenologia dell’assenza

1.3.1 Percezione e datità assente

L’atto di percezione è un atto costitutivamente inadeguato rispetto a tutti i possibili punti di vista da cui può essere colto un oggetto. Non bisogna dimenticare che in fenomenologia sussistono distinzioni fondamentali tra il contenuto di un atto e l’oggetto inteso da tale atto, se l’oggetto fosse colto nella sua interezza da un atto di percezione esso si ridurrebbe necessariamente a qualcosa di “fisso”, di meramente fattuale, senza fornire la possibilità di un progresso di esperienza e di conoscenza.

La percezione è, in particolare, coscienza di una presenza; in questa affermazione è implicita la sua ammissione di inadeguatezza, poiché gli oggetti non si danno come presenti contemporaneamente da tutti i lati, ma, per ogni lato che essi offrono come presente, ce n’è un altro necessariamente assente, nascosto dietro esso o celato da un altro oggetto. In fenomenologia la questione dell’assenza è assolutamente centrale e rilevante, anche se non sono poche le difficoltà interpretative che essa para di fronte a sé. Già nelle Ricerche Logiche Husserl è consapevole del problema che può rappresentare la questione del dato come assente, compreso nell’atto percettivo, poiché si intende pur sempre un oggetto e non un suo lato, ma, paradossalmente, non coglibile in senso stretto attraverso un atto di percezione.

In particolare prenderemo adesso in considerazione la VI Ricerca Logica, in cui Husserl cercherà di dare conto della questione dell’assenza attraverso una scomposizione dell’atto percettivo.

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