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Toccare l'arte: un'avventura percettiva che accomuna i ciechi e i vedenti

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Academic year: 2021

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LAVORO DI DIPLOMA DI

NEVENA.MARINCIC

BACHELOR OF ARTS IN PRE-PRIMARY EDUCATION

ANNO ACCADEMICO 2011/2012

TOCCARE L’ARTE:

UN’ AVVENTURA PERCETTIVA CHE ACCOMUNA I CIECHI E I

VEDENTI

RELATRICE

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È doveroso da parte mia ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a mettere insieme i pezzi del puzzle che stanno alla base del mio lavoro di ricerca, che mi hanno permesso di fare chiarezza nel mio infinito mare di idee. Ringrazio prima di tutto Luisa Figini e Dario Bianchi che mi hanno appoggiato nel portare avanti questo lavoro. Grazie anche a Dorothea Buschmann, Andrea Mühlemann e Ettore Frigerio che si sono messi a disposizione per spiegarmi alcuni aspetti legati alla cecità. Grazie inoltre al Museo d’arte di Mendrisio, così disponibile nella collaborazione. Ma, non da ultimo, un grazie speciale va ai bambini protagonisti della mia ricerca per l’entusiasmo dimostrato, e alla docente titolare Antonella Martelli per la sua grande disponibilità.

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i

Sommario

Introduzione ... 1  

Quadro teorico ... 3  

L’esplorazione tattile manuale nel vedente e nel cieco ... 3  

Implicazioni per l’accesso manuale alle opere d’arte ... 5  

Le procedure esplorative ... 5  

Le proprietà degli oggetti ... 6  

Dall’accessibilità alla fruizione estetica ... 7  

La fruizione estetica: tra informazione ed emozione ... 7  

L’ atteggiamento percettivo intenzionale e contemplativo ... 8  

L’arte astratta può favorire maggiormente la contemplazione rispetto a quella figurativa? ... 9  

Il realismo visivo e l’arte astratta ... 9  

Quadro metodologico ... 10  

Metodologia utilizzata ... 10  

Campione di riferimento ... 12  

La scelta della scultura ... 13  

Domande e ipotesi di ricerca ... 14  

Domande ... 14  

Ipotesi ... 14  

Analisi dei dati ... 16  

1.   In che modo si differenzia l'esplorazione tattile di una scultura astratta nel bambino vedente, privato del canale visivo, rispetto al bambino cieco? ... 16  

2.   Quali rappresentazioni suscita nei bambini l'esplorazione tattile della scultura astratta? ... 19  

3.   La restituzione della scultura, attraverso la modellatura con l’argilla, permette al bambino di differenziare maggiormente le sue impressioni/rappresentazioni rispetto all’opera? ... 22  

Conclusione ... 24  

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Limiti della ricerca e possibili sviluppi ... 26  

Bibliografia ... 28  

Allegati ... 30  

Allegato 1 - La scultura da diversi punti di vista ... 30  

Allegato 2 – Le fasi dell’esperienza ... 32  

Allegato 3 – Protocolli concernenti le esplorazioni tattili della scultura (fase 1) ... 32  

Allegato 4 – Riproduzioni della scultura in argilla e riflessioni finali (fase 2 + 3) ... 67  

Allegato 5 – Le riproduzioni in argilla realizzate dai bambini (fronte e retro) ... 92  

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Introduzione

“Chi guarda con gli occhi è lì, davanti ad un’immagine fatta di forma, di luce e anche di colori. Ma il cieco che cosa contempla? Quale significato assume per lui quel fluido che passa dalle mani al cervello fino al cuore? (...) Qualcuno pensa che, per chi vede, gli occhi sono il luogo dell’emozione estetica, dove nasce e vive la gioia del bello. E invece per loro gli occhi sono solo la porta – come per i ciechi le mani – da cui passa quel fluido misterioso che nel cervello accende lo stupore e nel cuore l’emozione! Diversa è la partenza: l’itinerario è lo stesso” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p. 39]. La riflessione di Grassini ha inizialmente ispirato il mio lavoro di ricerca, poiché mi sono incuriosita sulla possibilità dei bambini vedenti di provare emozioni e impressioni attraverso l’esplorazione tattile di una scultura. Inoltre, mi sono chiesta se tali emozioni, “guidate” dall’esplorazione tattile, si differenziano rispetto a quelle di un bambino cieco, che dovrebbe possedere una maggiore consapevolezza tattile.

Per rispondere a questa mia curiosità ho fatto esplorare tattilmente ad un numero ridotto di bambini di quinta elementare (compreso un bambino cieco dalla nascita) una scultura astratta. La scelta di presentare un’opera del genere deriva dall’idea, maturata in me durante una ricerca letteraria, che l’arte astratta possa suscitare una maggiore contemplazione rispetto a quella figurativa, in quanto quest’ultima sollecita maggiormente un’esplorazione tattile volta al riconoscimento dell’oggetto tastato.

Ho deciso di svolgere questa ricerca spinta dall’interesse di capire se un’esperienza del genere, che pone il vedente in condizioni di privazione visiva, permette a quest’ultimo di conoscere le potenzialità dell’esplorazione tattile e di comprendere che anche attraverso quest’ultima è possibile costruirsi delle immagini mentali e provare delle emozioni. Sono convinta che favorire esperienze tattili del genere possa permettere ai bambini vedenti una migliore comprensione della realtà percettiva della persona cieca, superando il pregiudizio, secondo me ancora molto diffuso tra le persone, che i ciechi vivano in un mondo buio e tenebroso privo di “immagini” ed esperienze estetiche. Attraverso questa ricerca intendo superare questo preconcetto, dimostrando che l’unica cosa che differenzia il cieco dal vedente è una percezione del mondo che privilegia il senso tattile, rispetto a quello visivo.

Un’accurata ricerca letteraria mi ha permesso di chiarire alcuni presupposti di base inerenti il discorso che desidero intraprendere. Ciò mi ha consentito di definire un quadro di riferimento, nel

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quale inizialmente chiarisco le capacità e le problematiche percettive dell’esplorazione tattile nei vedenti e nei ciechi, per poi andare a indagare in che modo avviene una fruizione dell’opera d’arte attraverso il tatto, con quali prerequisiti e vantaggi, e che ruolo può avere in tutto questo l’arte astratta.

La ricerca mi permetterà di scoprire che gli interrogativi che mi sono posta inizialmente si inseriscono in un dibattito molto attuale e complesso. Inoltre rivaluterò l’importanza dell’arte figurativa nella contemplazione, lasciando ancora aperti degli interrogativi riguardo alla fruizione di un’opera astratta.

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Quadro teorico

L’esplorazione tattile manuale nel vedente e nel cieco

Il tatto è un senso percettivo che permette di accedere alla conoscenza delle proprietà materiali degli oggetti non identificabili o identificabili con minore certezza dalla vista, quali la consistenza, la forma, la grandezza, il peso, la temperatura, e così via. Pertanto assume una funzione primaria durante la prima infanzia, in quanto il neonato, non ancora in possesso di una completa maturazione della discriminazione visiva, è sollecitato a realizzare dei piccoli movimenti esploratori con le mani per conoscere il proprio corpo e le proprietà degli oggetti che lo circondano [Hatwell, Streri e Gentaz, 2000].

Tuttavia, come afferma Hatwell, per i vedenti la vista diventa col tempo talmente dominante che «(...) sia i bambini sia gli adulti tendono a prendere gli oggetti e a portarli nel campo di visione per esaminarli piuttosto che studiarli manualmente [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.78].

Per tali ragioni, può risultare molto complesso far esplorare ai bambini vedenti un oggetto senza il controllo visivo, in particolare per i più piccoli, in quanto quest’ultimo è rassicurante e una sua privazione può provocare ansia. Hatwell spiega, infatti, che all’età di 3-4 anni i bambini sopportano difficilmente l’idea di non poter vedere ciò che manipolano con le mani e l’esplorazione manuale risulta pertanto poco attiva, parziale e inadatta al compito. Si riscontra che la mano rimane spesso immobile sull’oggetto. A partire dai 5 anni, un’esperienza tattile con privazione visiva risulta più proponibile, ma i movimenti esplorativi rimangono disorganizzati, parziali, e si limitano alle zone di contatto più vicine al proprio corpo. I bambini tendono inoltre a percepire gli elementi di un oggetto in modo isolato, non arrivando a percepire l’oggetto in modo globale. Questo non è solo dovuto alla parzialità dei movimenti, ma anche alla piccolezza delle mani e finezza delle dita. Verso i 7-9 anni il bambino tende ad ampliare i suoi movimenti per esplorare zone più estese di un oggetto, ma il movimento esplorativo della mano rimane poco organizzato. Solo con l’avvicinarsi all’età adulta le procedure esplorative del vedente si perfezionano, grazie al progressivo miglioramento dei fattori cognitivi e motori implicati nell’esplorazione, diventando sempre più strutturate e ricoprendo la totalità della figura. Ne consegue un’esplorazione finalizzata a raggiungere un’immagine globale della figura e non a percepirla come suddivisa in elementi distinti e isolati [Hatwell, Streri & Gentaz, 2000].

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A differenza dei vedenti, per le persone cieche, che non beneficiano di alcuna esperienza visiva a causa di danni alla retina avvenuti alla nascita o tardivamente [Buratto, 2010], il senso tattile risulta chiaramente indispensabile per tutta la vita, in quanto è principalmente attraverso quest’ultimo che i ciechi imparano ad orientarsi nell’ambiente circostante e a conoscerlo. Eppure, l’utilizzo del tatto è anche per loro poco spontaneo in quanto, a differenza dei vedenti, non hanno un riscontro visivo di ciò che toccano. Pertanto, le loro azioni verso gli oggetti, se non incoraggiate e accompagnate dal linguaggio, rischiano di essere poco attive e di limitare in modo considerevole lo sviluppo motorio [Unione Italiana Ciechi, 1981].

Secondo Grassini, questa poca spontaneità tattile che si verifica sia nel cieco che nel vedente è proprio da ricercare nella limitatezza del campo percettivo stesso:

“a colpo d’occhio un oggetto si vede subito nella sua interezza, lo si abbraccia istantaneamente nella forma (...) successivamente si procede alla scoperta dei particolari attraverso un lavoro di analisi. Il tatto, invece, procede analiticamente, percepisce soltanto la porzione di superficie che cade sotto i polpastrelli delle dita impegnate nell’esplorazione e, con atti successivi, le zone limitrofe a quelle già esplorate (...)” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.40]. L’oggetto in questione viene dunque conosciuto in maniera sequenziale e segmentaria, cosa che rende più difficile e incompleto il riconoscimento di un oggetto nella sua totalità. Questo spiega perché la conoscenza tattile implica un’intensa attività cognitiva [Hatwell, Streri & Gentaz, 2000; Museo Tattile Statale Omero, 2006]. Come afferma Grassini:

“il cieco procede dapprima con una ricognizione rapida e sommaria, creandosi così una rappresentazione schematica dell’oggetto ; poi analizza le singole parti, fermandosi sui particolari. In questa fase egli compie un’operazione assai impegnativa per le sue funzioni intellettive ; deve tener fermo nella memoria lo schema dell’immagine sommaria, frutto del primo esame, e in esso deve inserire, l’uno dopo l’altro, i particolari che a mano a mano emergono dall’esplorazione, arricchendo sempre di più l’immagine iniziale. » [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.40].

Al termine dell’esplorazione la persona cieca deve riorganizzazione mentalmente le informazioni tattili percepite per ricostruire in modo integrale l’oggetto. Ma queste immagini o rappresentazioni mentali non rimangono, secondo Ceppi e Grassini, impresse saldamente nella memoria come una prima impressione visiva, ma risultano molto provvisorie e fragili. Pertanto è necessario ripetere più volte queste esperienze tattili per rinnovare e rafforzare le rappresentazioni, rispettando sempre e comunque i tempi e i bisogni del bambino [Ceppi, 1992 ; Museo Tattile Statale Omero, 2006]. A tale proposito, l’accesso tattile alle opere d’arte nei musei diviene un

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5 contributo di prezioso valore. Infatti, “(...) l’abile esplorazione tattile, che coglierà la morbidezza delle linee, gli incavi, i rilievi, le concavità, gli angoli, ecc, di una colonna, di un capitello, di una statua richiameranno alla memoria del cieco precedenti esperienze, immagini, ricordi, procurandogli diletto e arricchendo e ravvivando la sua immaginazione e il suo spirito.” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.50-51]. Tuttavia, per permettere un buon accesso alle opere d’arte è necessario tenere conto di alcuni aspetti, che verranno illustrati nel capitolo seguente.

Implicazioni per l’accesso manuale alle opere d’arte

Le procedure esplorative

Le modalità esplorative possono inibire o attivare l’indagine tattile. Pertanto Lederman e Klatzky sostengono che per conoscere un oggetto nella sua totalità è necessario compiere con le mani delle procedure esplorative, ossia un insieme di movimenti volontari che permettono di cogliere le principali proprietà degli oggetti (cfr. Figura 1) [Hatwell, Streri & Gentaz, 2000].

Attrito laterale (texture) Pressione (durezza)

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Avvolgimento (forma globale, volume) Controllo dei contorni (forma globale, esatta) Figura 1 – Le sei principali procedure esplorative individuate da Lederman e Klatzky. Le parole tra parentesi indicano

la proprietà percepita da ciascuna procedura [adattate da Lederman & Klatzky, 1987].

Questi processi esplorativi devono essere eseguiti, secondo Hatwell, l’uno successivamente all’altro e non contemporaneamente, in quanto non sono compatibili fra loro dal punto di vista motorio [Hatwell, Streri & Gentaz, 2000 ; Museo Tattile Statale Omero, 2006].

Secondo Gargiulo e Dadone l’attivazione di entrambe le mani durante l’esplorazione può aiutare a consolidare tali capacità conoscitive e di manipolazione. Gli stessi autori individuano a tale proposito due tipi di coordinazione bi-manuale : una simmetrica e l’altra complementare. La prima implica movimenti uguali e speculari rispetto all’oggetto manipolato e si adatta a delineare i contorni di oggetti piuttosto simmetrici e con forme ampie. La seconda, invece, agevola le esplorazioni di precisione, in quanto solo una mano è attiva nell’indagine tattile dell’oggetto, mentre l’altra ne controlla il movimento e la posizione nello spazio [Gargiulo M. e Dadone V., 2009].

Le proprietà degli oggetti

Anche le proprietà degli oggetti possono attrarre o respingere l’esplorazione tattile.

Innanzitutto Mühlemann, citando Kern [in Kobbert, 1978, p. 21], sostiene che è più piacevole tastare oggetti in tridimensione: “il tastare di figure lineari tondeggianti e sinuose viene percepito con più piacere, che il tastare di cerchi piatti o linee spigolose” [Mühlemann, 1994-1995, p.71]. Inoltre, tali oggetti sono più accessibili al tatto in quanto “(…) il cieco, attraverso il tatto è abituato a conoscere gli oggetti nelle loro tre dimensioni; schiacciarli su un piano e trasformarli in una figura piana è un’operazione astratta a cui non può arrivare immediatamente, (...) come se si esprimessero in una lingua che non gli appartiene naturalmente e dev’essere studiata (…)” [Bellini, 2000, p. 28]. La grandezza di questi ultimi deve anche essere accessibile al movimento

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7 delle mani. Come spiega Mühlemann, oggetti troppo grandi o troppo piccoli sono difficilmente percepibili attraverso il tatto e la loro immagine rischia di risultare inesatta e indefinita [Mühlemann, 1994-1995].

Hatwell aggiunge che le superfici lisce, morbide e calde sono molto più gradite rispetto a quelle rugose, rigide e fredde. I materiali appiccicosi e gommosi sono invece rifiutati totalmente. Tali sensazioni tattili vissute intensamente rimangono impresse nella memoria in modo permanente. Pertanto, quest’ultima ha il potere di favorire o sfavorire successive esperienze tattili, influenzando allo stesso tempo la costituzione dell’immagine tattile dell’oggetto percepito. Pertanto risulta necessario favorire contatti piacevoli con l’oggetto che verrà sfiorato con le dita, rassicurando il bambino [Museo Tattile Statale Omero, 2006].

Dall’accessibilità alla fruizione estetica

La fruizione estetica: tra informazione ed emozione

“La fase iniziale del comportamento estetico è quella in cui il fruitore “coglie” e si impadronisce della “forma” dell’opera, basando su questa variabile la sua interpretazione (...)”.[Danila Bertasio, 1998, 79]. In altre parole, “(...) nel momento della fruizione (...) lo spettatore anche il più ingenuo non si limita ad assaporare un’opera d’arte, ma anche senza rendersene completamente conto la valuta e la interpreta alla luce dei propri modelli mentali di riferimento”. [Danila Bertasio, 1998, 78].

Secondo Grassini, tuttavia, un’opera d’arte diviene bella “quando è capace di evocare emozioni e sentimenti (…)” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.41]. Lo stesso autore definisce questo fenomeno “piacere estetico”. Quest’ultimo può certamente essere favorito da un “piacere tattile”, ma non si riduce ad esso [Museo Tattile Statale Omero, 2006].

Tuttavia, secondo lo stesso autore, “(...) i ciechi appaiono spesso abbastanza tetragoni all’emozione estetica provocata dai capolavori della scultura, e sembrano più interessati all’informazione che al godimento estetico” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.43]. Infatti, come afferma Hatwell: “(...) quando il sistema tattile è attivo, possiede soprattutto una funzione utilitaria e cognitiva. Ciò significa che il suddetto sistema si orienta principalmente verso la conoscenza e l’acquisizione di informazioni concernenti la forma degli oggetti e lo studio della loro identità. (...) L’intensa attività

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cognitiva che viene impiegata durante l’esplorazione e lo studio cognitivo delle informazioni tattili, la maggior parte delle volte viene fatta a spese delle attività ludiche, delle sensazioni di piacere e delle emozioni estetiche” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p. 78-79].

L’ atteggiamento percettivo intenzionale e contemplativo

Mühlemann, citando i volumi di Spitzer & Lange (1988) e di Kobbert (1978), sostiene che il fenomeno descritto nel capitolo precedente da Grassini e Hatwell è dovuto al fatto che tendenzialmente il cieco per accedere ad un’opera d’arte utilizza maggiormente un atteggiamento percettivo intenzionale, a scapito di quello contemplativo. Attraverso l’atteggiamento intenzionale, infatti, “il cieco non vive i suoi movimenti tattili in un modo cosciente, perché si concentra sull’identificazione delle caratteristiche formali, figurative dell’opera per poterle dare un nome” (ossia, cerca il significato di ciò che è rappresentato per poter comprendere il messaggio dell’opera). Mentre attraverso l’atteggiamento contemplativo, “il cieco prova i suoi movimenti tattili in modo molto cosciente, perché si lascia condurre dal ritmo del linguaggio formale dell’artista (…)”. Menzionando Kobbert, Mühlemann non nega il fatto che entrambe le modalità percettive siano necessarie per capire pienamente un’opera d’arte. Tuttavia, sostiene che assumere un atteggiamento contemplativo può aiutare molto il cieco a percepire delle opere d’arte provando piacere: “(…) il cieco può provare nel suo tastare un’emozionante e forte sensazione estetica” [Mühlemann, 1994-1995, p.79]. Aggiungerei che tale piacere estetico può favorire ulteriori esplorazioni tattili e, di conseguenza, una migliore educazione della mano del cieco.

Come afferma Mühlemann, infatti, “anche per il cieco è importante avanzare nell’esperienza estetica dell’opera d’arte, perché esperienze di questo tipo, dove prova delle emozioni e del piacere, sono importanti per il suo sviluppo individuale e la sua comprensione del mondo. Può per esempio capire che ogni artista ha un suo linguaggio figurativo individuale, che appartiene per certe caratteristiche formali ad un certo stile d’arte, che è a sua volta caratteristico per un certo periodo della storia dell’uomo” [Mühlemann, 1994-1995, 81]. Pertanto, pare indispensabile permettere ai ciechi un accesso precoce alla fruizione delle arti plastiche, anche perché, come sostiene Aldo Grassini, la maggior parte dei ciechi non raggiunge un’adeguata educazione artistica, a causa delle posticipate e poco frequenti occasioni di contatto con le opere d’arte [Bellini, 2000].

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9 L’arte astratta può favorire maggiormente la contemplazione rispetto a quella figurativa?

Nelle arti figurative, “si può individuare, almeno nelle espressioni artistiche di tipo figurativo, un più stretto legame tra percezione e concetto, poiché le immagini rappresentano generalmente oggetti identificabili immediatamente con cose, persone, situazioni” [Bellini, 2000, p.33-34]. Non si nega pertanto l’importanza che può avere un approccio verso questo tipo di arte per la persona cieca, in quanto rimanda ad oggetti riconoscibili nell’ambiente che richiamano concetti condivisi dalla società. Trovo che grazie ad un approccio figurativo il cieco possa ad esempio conoscere degli elementi della natura che magari non riuscirebbe nemmeno a tastare realmente durante la sua vita (si pensi ad esempio alla possibilità di toccare un “leone”). Pertanto, l'arte figurativa permette senz'altro una condivisione e una comunicazione di significati tra il cieco e il vedente. Inoltre il cieco, per orientarsi nella vita di tutti i giorni, deve per forza aver acquisito una buona conoscenza dell’ambiente circostante. L’arte figurativa può favorire ciò, allenando il tatto della persona verso il riconoscimento degli oggetti di uso quotidiano.

L'arte astratta, invece, non richiama un concetto univoco e immediatamente identificabile in natura [Dietmar, 2009]. Tuttavia, secondo De Bartolomeis, quest’ultima ha il potere di “(…) dar forma rappresentativa alle emozioni (...)” [De Bartolomeis, 1998, p. 11]. Sorge allora in me una riflessione spontanea: l'arte astratta, la quale non richiama oggetti identificabili in natura, potrebbe limitare la supremazia del riconoscimento, sollecitando invece una condotta maggiormente contemplativa, la quale può favorire il piacere di toccare (che non è cosa da poco, soprattutto per il cieco).

Il realismo visivo e l’arte astratta

I bambini che parteciperanno alla mia ricerca si trovano, secondo Luquet, nella fase del “realismo visivo” che comprende la fascia d’età dagli otto ai dieci anni. Durante questa fase, il bambino compie delle raffigurazioni con l’intento di imitare la realtà e, pertanto, tende a preferire le opere realistiche a scapito di quelle astratte, in quanto un’opera d’arte, per essere accessibile e leggibile , deve apparire verosimile alla realtà [Luquet, 1969].

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Quadro metodologico

Metodologia utilizzata

Siccome il mio interesse è rivolto ad indagare l’esplorazione e la fruizione tattile di un’opera scultorea astratta da parte di un numero ridotto di bambini, la metodologia che maggiormente si addice a tale indagine è di tipo qualitativo, il cui scopo “non è quello di ottenere dei risultati rappresentativi di un universo, quanto quello di approfondire le tematiche che la ricerca quantitativa lascia giocoforza inespresse (...) dovendo semplificare la realtà per renderla comprensibile” [Poggi & Ghelfi, 2004, p.44]. In altri termini, un’indagine qualitativa non si traduce in dati numerici volti, come afferma Dovigo, a “materializzare la correlazione delle variabili e a operare inferenze causali riduttive”, ma viene condotta su un campione di riferimento ridotto, che consente una conoscenza più profonda della realtà. Inoltre, il ricercatore assume un ruolo partecipante nel processo di conoscenza. Ne consegue, prendendo in prestito le parole di Dovigo, una “disponibilità a mettersi in ascolto dei soggetti e della loro interpretazione della realtà”. Pertanto la ricerca qualitativa risulta meno predeterminata e una grande flessibilità è richiesta da parte del ricercatore [Dovigo, 2005, p.17-18].

Alla luce di queste considerazioni, il mio intervento prevede un’unica uscita, durante la quale effettuerò delle interviste individuali semistrutturate per approfondire le rappresentazioni ed emozioni che l’esplorazione tattile della scultura avrà provocato nei bambini. Secondo Grassini, questo scambio verbale tra il ricercatore e il soggetto di indagine è indispensabile, in quanto se il bambino è stimolato a descrivere con precisione tutto ciò che fa e percepisce, esso diventa maggiormente consapevole rispetto all’esperienza che sta vivendo e, pertanto, può rafforzare la comprensione dell’opera d’arte [Bellini, 2000].

L’intervista semistrutturata “prevede un insieme fisso e ordinato di domande aperte” alle quali i bambini potranno rispondere come meglio credono [Bichi, 2002, p.23], pertanto il ricercatore deve essere in grado di rilanciare queste affermazioni, ponendo domande di approfondimento (pertinenti rispetto all’indagine), e deve lasciare il tempo al bambino di rispondere con calma. Il ricercatore deve essere, pertanto, cosciente del fatto che può influenzare o inibire certi atteggiamenti o risposte dei bambini. “(...) il ricercatore diventa a sua volta oggetto (non sempre consapevole) di indagine” [Dovigo, 2005, p.18]. Durante l’esperienza lascerò in un primo tempo esplorare la scultura senza intervenire, per vedere se i bambini diranno qualcosa spontaneamente. In seguito, porrò le seguenti domande guida : “descrivi quello che senti”; “cosa potrebbe essere? Come

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11 mai?”; “quali aggettivi useresti per descriverla?; “toccando la scultura, che immagini ti vengono in mente?”; “cosa provi quando la tocchi? come ti fa sentire? che emozioni provi?” e “cosa ti fa sentire in questa maniera?”. Queste ultime si adatteranno agli stimoli dei bambini.

La concentrazione che richiede la conversazione col bambino può far perdere di vista al ricercatore tutta una serie di informazioni e osservazioni, che magari sul momento non coglie al meglio. Per tale ragione, è importante trovare delle modalità per protocollare i dati [Glaser & Strauss, 2009]. Siccome la mia indagine è inseparabile da un’attenta osservazione delle procedure esplorative tattili dei bambini, sarà indispensabile rilevare tali informazioni percettive attraverso una registrazione audiovisiva.

Il mio intervento prevede anche un momento individuale, appena successivo all’esplorazione della scultura, di restituzione creativa dell’opera d’arte attraverso la modellatura con l’argilla perché, come sostiene Loretta Secchi, “le verifiche servono a cogliere i diversi gradi di percezione e conservazione mnemonica delle immagini e tutto questo concorre al perfezionamento degli strumenti di percezione, cognizione, interpretazione delle forme, reificazione dei concetti. (...) fondamentale è valutare la restituzione di posture e proporzioni, allo scopo di capire quanto sia stata interiorizzata una visione di insieme delle parti che compongono l’opera (...)” [Carboni, 2011, p.84-85]. Ho optato per la modellatura e non per una rappresentazione bidimensionale perché, su consiglio del docente di appoggio, “pareggia” maggiormente le capacità del bambino cieco rispetto a quelle dei compagni. Il bambino ha infatti delle difficoltà nella rappresentazione bidimensionale.

Infine è previsto un momento, in un luogo appartato, in cui i bambini vedenti (senza la benda) avranno la possibilità di osservare ciò che hanno creato con l’argilla, verbalizzando le impressioni rispetto a quando toccavano la scultura. Anche al bambino cieco si chiederà di esporre le somiglianze e differenze della sua creazione rispetto alla scultura toccata. In questo modo si potranno riprendere ulteriormente le emozioni provate. Le domande guida saranno: “ti fa ricordare la scultura la tua creazione?”, “cosa in particolare?”, “perché non ti ricorda la scultura?”.

Una volta raccolti i dati procederò a reperire in essi delle possibili categorie interpretative, rispetto alle ipotesi teoriche inizialmente costruite. In questo modo potrò procedere all’analisi dei dati e alla formulazione di una possibile conclusione, facendo riferimento ai paradigmi teorici che sono stati di supporto alla mia ricerca.

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Campione di riferimento

La mia ricerca vuole indagare in che modo si differenzia l’esplorazione tattile e fruizione di una scultura astratta di cinque bambini vedenti con gli occhi bendati (I., Ge., Gi., L. e I.) rispetto a quella di un bambino cieco dalla nascita (F.). Tutti i bambini frequentano la stessa classe di quinta elementare e si trovano nella fascia d’età compresa tra i dieci e gli undici anni. Si dovrebbero quindi trovare nella fase del realismo visivo, descritto da Luquet [1969].

La scelta dei bambini vedenti, in accordo con la docente titolare, è stata fatta in modo da rappresentare bene la classe, in base al criterio della maggiore o minore riflessività che dimostrano nella risoluzione dei compiti scolastici.

Il numero di bambini vedenti coinvolti è per forza di cose maggiore rispetto al numero di bambini ciechi, ma siccome la mia ricerca è di tipo qualitativo non si pone alcun tipo di problema.

Ritengo importante sottolineare che per i vedenti il fatto di rimanere a lungo con gli occhi bendati potrebbe creare una certa inquietudine, ma con questi bambini potrebbe non essere un problema, siccome sono sensibilizzati verso il loro compagno cieco. Ho saputo che nelle ore di ginnastica fanno ad esempio degli esercizi ad occhi chiusi. Per tale ragione potrebbero essere predisposti a toccare con maggiore sicurezza la scultura. Inoltre, gli stessi potrebbero aver visto in varie situazioni delle strategie esplorative del compagno cieco. Magari, durante l’esplorazione della scultura ad occhi bendati, potrebbero avere il desiderio di imitarle.

Riguardo al bambino cieco, il suo docente di sostegno mi ha riferito che il bambino ha fatto delle esperienze nei musei toccando delle sculture figurative e ha potuto osservare che quest’ultimo tende ad essere molto veloce nella percezione delle cose, tende a non soffermarsi sui particolari ma a voler scoprire velocemente ciò che rappresenta una scultura. Sarà quindi interessante vedere se con la scultura astratta la sua percezione intenzionale diventerà più contemplativa.

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La scelta della scultura

La scultura scelta è di Pierino Selmoni:

Figura 2 – la scultura di Pierino Selmoni. Forma secca e morbida, 1963

Bronzo N. d’Inv 06-063

Dimensioni oggetto : 42 x 39 x 29 cm, Peso : 25 kg

La scelta è ricaduta su questa scultura per due ragioni: innanzitutto, dato che è tridimensionale e di dimensione né troppo piccola né troppo grande, risultava accessibile al movimento delle mani. In secondo luogo, desidero comprendere se il fatto che sia astratta solleciti l’esplorazione tattile e fruizione dei bambini, anche se questi ultimi si trovano nella fase del realismo visivo [Luquet, 1969]. In altri termini voglio capire se, come sostiene De Bartolomeis [1998], ha il potere di suscitare molte emozioni e interpretazioni diversificate e libere rispetto magari ad una scultura figurativa che richiama un atteggiamento maggiormente intenzionale e delle interpretazioni più univoche [Bellini, 2000].

Dal tipo di risposta dei bambini potrò cogliere tutta una serie di interpretazioni in termini rappresentativi (ad esempio: vanno a cercare una verosimiglianza con elementi conosciuti? O piuttosto trovano delle analogie con concetti astratti?).

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Domande e ipotesi di ricerca

Domande

1. In che modo si differenzia l’esplorazione tattile di una scultura astratta nel bambino vedente, privato del canale visivo, rispetto al bambino cieco?

2. Quali rappresentazioni ed emozioni suscita nei bambini l'esplorazione tattile di una scultura astratta?

3. La restituzione della scultura, attraverso la modellatura con l’argilla, permette al bambino di differenziare maggiormente le sue impressioni/rappresentazioni rispetto all’opera?

Ipotesi

1. Come afferma Grassini, “il cieco procede dapprima con una ricognizione rapida e sommaria, creandosi così una rappresentazione schematica dell’oggetto ; poi analizza le singole parti (…) arricchendo sempre di più l'immagine iniziale” [Museo Tattile Statale Omero, 2006, p.40]. Secondo quest’affermazione, F. dovrebbe analizzare prima “sommariamente” la scultura a livello globale, dopodiché procedere all'esplorazione dei particolari in fasi successive, fino ad arrivare ad un'immagine completa.

Hatwell (cfr. quadro teorico) sostiene che l'esplorazione manuale può essere maggiormente favorita da superfici lisce, e inibita da superfici fredde e rigide. Siccome la scultura è di un materiale rigido e freddo, potrebbe non essere molto gradito al tatto e limitare l'esplorazione. Lederman e Klatzky (cfr. quadro teorico) descrivono le sei principali procedure esplorative necessarie per riconoscere le proprietà significative degli oggetti. Siccome il bambino cieco è più “allenato” a tastare gli oggetti rispetto al bambino vedente, mi aspetto che il bambino cieco utilizzi in modo più efficace tali procedure esplorative rispetto al vedente.

Per il bambino cieco la coordinazione bi-manuale, definita da Gargiulo e Dadone (cfr. quadro teorico), dovrebbe risultare più sicura e organizzata, mentre per il vedente il fatto di non vedere potrebbe creare una certa ansia e la coordinazione delle mani potrebbe diventare problematica e molto disorganizzata.

2. Seguendo la logica di Hatwell, i bambini vedenti, che si trovano nella fascia d’età compresa tra i dieci e gli undici anni, dovrebbero muovere le mani in maniera ancora poco

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15 organizzata, non ricoprendo la totalità della figura. Ne consegue un’esplorazione non finalizzata a raggiungere un’immagine globale della figura, ma a percepirla come suddivisa in elementi distinti e isolati (cfr. quadro teorico).

La stessa autrice sostiene, inoltre, che sia nel cieco che nel vedente potrebbe dapprima prevalere un atteggiamento intenzionale finalizzato al riconoscimento dell’oggetto rappresentato, a scapito di quello contemplativo.

Questo atteggiamento contemplativo potrebbe essere favorito dall’astrattismo dell’opera, ma, secondo la teoria di Luquet riguardante il realismo visivo, i vedenti potrebbero rimanere reticenti o “rassegnati” rispetto a quest’opera, in quanto non richiamerebbe loro nessun aspetto concernente la realtà. Oppure potrebbero cercare di dare proprio un significato figurativo/realistico a quest’ultima. Mi aspetto diversi approcci di entrata in relazione con l’opera e di rappresentazione per l’eterogeneità del gruppo in relazione alle capacità comunicative.

Al bambino cieco, invece, che si muove col suo canale percettivo, l’opera potrebbe parlare di più, richiamando delle esperienze concrete vissute attraverso il tatto e magari favorire la contemplazione. La contemplazione per il cieco che ha avuto accesso nella vita a esperienze diverse (prettamente tattili), potrebbe riferirsi ad esperienze concrete e vissute. Sarà interessante vedere se l’atteggiamento “sbrigativo” di F. (vedi quadro metodologico, campione di riferimento) verso le opere figurative si riscontrerà anche con quest’opera astratta.

3. Loretta Secchi afferma che “le verifiche servono a cogliere i diversi gradi di percezione e conservazione mnemonica delle immagini e tutto questo concorre al perfezionamento degli strumenti di percezione, cognizione, interpretazione delle forme, reificazione dei concetti. (...)” (cfr. quadro metodologico). Sulla base di queste considerazioni, ritengo che durante la modellatura con l’argilla le rappresentazioni del bambino riguardanti l’opera possano evolvere. Infatti, quest’ultimo potrebbe riorganizzazione o magari differenziare le rappresentazioni che aveva precedentemente costruito attorno alla scultura. Manipolando l’argilla e ritornando sull’esplorazione della scultura, potrebbe infatti rendersi conto di alcuni particolari che magari ha tralasciato durante l’esplorazione manuale.

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Analisi dei dati

Ogni informazione contenuta nei primi due capitoli che seguono rimanda ai protocolli dell’allegato 3 (p. 35 - 69) e al filmato nr. 1 presente nel cd dell’allegato 6.

Il terzo capitolo, invece, fa riferimento ai protocolli dell’allegato 4 (p. 69 - 93), alle riproduzioni in argilla illustrate nell’allegato 5 e ai filmati nr. 2 e 3 contenuti nel cd dell’allegato 6.

Per maggiori informazioni è dunque opportuno riferirsi a tali raccolte di dati.

Inoltre, può essere utile considerare l’allegato 1, per cogliere le caratteristiche formali dell’opera presentata ai bambini, in quanto permette di comprendere meglio le rappresentazioni che sono nate in loro.

1. In che modo si differenzia l'esplorazione tattile di una scultura astratta nel bambino vedente, privato del canale visivo, rispetto al bambino cieco?

Innanzitutto ritengo che i bambini vedenti non abbiano provato alcuna ansia a rimanere a lungo bendati, in quanto l’esperienza si è tenuta a scuola, un ambiente a loro familiare.

La freddezza e la rigidità della scultura non hanno sfavorito l'esplorazione, anzi hanno sollecitato l'utilizzo di quasi tutte le procedure esplorative, definite da Lederman e Klatzky (cfr. quadro teorico). Grazie a tali procedure i bambini hanno individuato le seguenti proprietà dell’opera: “sembra marmo” (L.),“gesso” (E.), “bronzo”, per il suono che rimbomba (F.). Inoltre, è “fredda” (I., Gi., L. e F.), “liscia” (Gi. e Ge.), “dura” (Gi., ed E.),“pesante” (L.),“piccola” (L.), “un po' alta” (Ge.). Quest’ultima presenta anche una forma molto variata, piena di curve e angoli, che ricorda le forme geometriche (Gi., I., E., Ge.) Secondo F. è “un po’ a settori”. I. aggiunge che è “tutta rotonda e quadrata”, “raggruppata insieme” e un po' “tagliata fuori in alcune parti”. E., riferendosi alla sommità a destra della scultura, segnala che “(...) fa come tutte delle scale”. Queste principali caratteristiche sottolineate dai bambini richiamano, per analogia, l’idea stessa che forse l’autore dell’opera voleva rappresentare, in quanto ha intitolato quest’ ultima: “forma secca e morbida”.

Le procedure esplorative che prediligono tutti i bambini per comprendere le qualità materiali dell'opera sono l'attrito laterale, la pressione e il contatto statico. Un tentativo di sollevamento è unicamente mostrato da L. Inoltre, F. suggerisce una nuova procedura esplorativa finalizzata al

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17 riconoscimento del materiale: “picchietta” con le dita la scultura per vedere se questa rimbomba all'interno. In tale modo riesce a riconoscere se si tratta di marmo o di un altro materiale.

Per comprendere invece la forma globale della scultura, tutti i bambini procedono attraverso un controllo dei contorni. Unicamente il bambino cieco esegue la procedura di “avvolgimento” servendosi del braccio sinistro, ossia “abbraccia” la scultura per definirne il volume.

Tale controllo dei contorni avviene sia lungo i lati principali della scultura, che definiscono la forma “globale” di quest'ultima, sia lungo le parti in rilievo o incavate dei settori che la compongono. In generale, in tutti i bambini si osserva un utilizzo alternato di entrambe le possibilità di controllo, in quanto (come si comprenderà meglio nel capitolo seguente) da un lato vi è la necessità di comprendere la scultura nella sua “globalità”, dall'altro bisogna anche cogliere i cambiamenti di forma e le particolarità di quest'ultima.

Tuttavia, trovo che quasi tutti si siano concentrati maggiormente su un’analisi segmentaria dell’opera a causa del carattere astratto di quest’ultima, cosa che, come vedremo nel capitolo seguente, ha messo un po’ in difficoltà i bambini, in quanto non ha permesso loro di dare un significato preciso e “totalizzante” alla scultura.

Questo atteggiamento è ancora più evidente nel bambino cieco, il quale predilige un’esplorazione minuziosa di ogni singola parte che compone la scultura. Le stesse parole del bambino confermano tale attenzione ai particolari: in seguito alla mia domanda “cosa senti quando la tocchi?”, F. mi risponde prontamente: “dipende dove la tocco!”. Questo spiega perché l’esplorazione del bambino risulta molto più lunga rispetto a quella dei compagni: 23:55 min, rispetto ai 12:27 di I., ai 10:14 di E., ai 5:26 di Ge., ai 4:53 di Gi. e ai 2:37 di L.

Osservando la durata delle esplorazioni, queste ultime variano molto e sembrano coincidere con la minore o maggiore “riflessività” impiegata in genere dai bambini durante i loro ragionamenti, che mi è stata indicata dalla docente titolare e che è stata il criterio di scelta dei bambini. Una prova di quanto detto si riscontra durante l’iniziale esplorazione spontanea, in quanto I., F. ed E., prima di esporre verbalmente qualsiasi impressione, esplorano una volta per intero la scultura, toccandola lungo tutti i sui lati. L., Ge. e Gi. iniziano invece a rendere manifeste le prime intuizioni già dopo pochi secondi, dopo aver toccato unicamente la parte superiore della scultura. La base dell’opera verrà toccata solo successivamente dai bambini in questione. Non sembra dunque che abbiano sentito fin da subito la necessità di conseguire dapprima una visione “globale” di quest’ultima.

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Per esplorare i contorni ho osservato che tutti i bambini effettuano un'esplorazione bi-manuale sia simmetrica che complementare (cfr. quadro teorico, p. 6). Attraversi tali movimenti delle mani realizzano sia degli “sfregamenti” che delle “pressioni” sulla superficie della scultura, mobilizzando alcune dita oppure la mano intera.

Nei bambini vedenti prevale l'utilizzo della mano intera (dalla parte palmare, anche se I. e Ge. utilizzano in minima parte anche quella dorsale), in quanto le dita appaiono poco “mobili” e volte principalmente ad “accompagnare” lo sfregamento della mano. F., da parte sua, ha acquisito tutto un suo modo di esplorare mobilizzando le dita e la parte dorsale di entrambe le mani. In particolare mette in moto l'indice e il pollice, ad uno scopo che sembrerebbe quello di individuare in modo più soddisfacente i cambiamenti di forma della scultura, nei punti in cui le cavità si intercalano con i rilievi.

Inoltre, F. passa da un lato all'altro della scultura in maniera molto più veloce rispetto ai compagni vedenti, i quali analizzano la scultura in maniera molto più lenta. La sua coordinazione bi-manuale risulta più sicura e organizzata rispetto a quella dei compagni vedenti, i quali esplorano anch’essi con entrambe le mani, ma i loro movimenti sembrano procedere in maniera più casuale e inoltrarsi dal globale al particolare senza particolare ordine o logica, come invece accade in F, il quale dà l’impressione di analizzare un segmento alla volta in modo molto consapevole e preciso. Infatti, le riflessioni inerenti la scultura risultano nel bambino cieco piuttosto “stabili” e “ben definite”, mentre nei compagni vedenti variano molto nell’arco di poco tempo.

Analizzando l'esplorazione del bambino, potrei ipotizzare che ciò sia dovuto al fatto che il bambino “guida” e organizza i movimenti delle mani attraverso la parola, sintetizzando e riprendendo più volte quanto verbalizzato precedentemente rispetto alle parti di scultura già esplorate. Il fatto di “ri-raccontarsi” i particolari colti attraverso il tatto sembra infatti permettergli di tenere presente a livello uditivo la globalità delle osservazioni fatte precedentemente, tenendo insieme ogni singolo elemento individuato. In questo modo risulterebbe che F. organizzi meglio la sua esplorazione e dunque comprenda in modo più soddisfacente ogni singola parte della scultura (cfr. quadro teorico, p. 4). Nei bambini vedenti, invece, la parola non pare essere utilizzata come “guida” alla scoperta, ma più che altro come “risposta” alle mie sollecitazioni.

In tutti i bambini, inoltre, la mano sinistra si specializza maggiormente nell'esplorazione del lato sinistro della scultura, e quella destra al lato destro. F., inoltre, utilizza la mano sinistra anche per esplorare il retro della scultura (soprattutto verso la base), mentre la mano destra si specializza maggiormente sul davanti dell'opera.

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19 I., rispetto ai compagni, ad un certo punto ha sentito il bisogno di spostarsi sul lato sinistro del tavolo in cui era appoggiata la scultura per esplorare da un'altra prospettiva quest' ultima dopo che le ho chiesto cosa potesse essere. Oltre a ciò, la stessa bambina in un altro momento ha sentito la necessità di abbassarsi sulle ginocchia per esplorare da quell' altezza la scultura.

F. invece ha utilizzato anche l'intero busto per scoprire gli aspetti formali dell’opera: quando gli ho chiesto cosa potesse rappresentare nel complesso, si è addossato col busto alla scultura, appoggiando anche il collo alla sommità.

2. Quali rappresentazioni suscita nei bambini l'esplorazione tattile della scultura astratta?

In tutti i bambini prevale inizialmente un atteggiamento intenzionale finalizzato al riconoscimento dell'oggetto rappresentato, fatto che confermerebbe la teoria di Hatwell, secondo la quale il sistema tattile si orienta principalmente verso il riconoscimento degli oggetti (cfr. quadro teorico, p. 7, 8). Inizialmente tale attribuzione di significato tende a rivestire la “totalità” della scultura. Infatti, sin dall’inizio, tutti i bambini cercano di attribuire un senso “globale” a quest’ultima, paragonandola a elementi realmente riconducibili alla natura. Questo fenomeno si distanzia da un’altra teoria di Hatwell (cfr. quadro teorico, p. 3), secondo la quale i bambini vedenti compresi nella fascia d’età presa in considerazione dovrebbero ancora percepire la scultura come suddivisa in elementi isolati, senza comprenderne la totalità.

Tale ricerca di senso, tuttavia, risulta assai difficile e parziale per tutti i bambini, in quanto la scultura, essendo astratta, non evoca un significato univoco e omogeneo rispetto ad un preciso significato. I bambini, infatti, esplicitano più volte di non capire cosa possa raffigurare l’opera per via della sua forma variata. I., Gi., E. e Ge. affermano che l’opera è “strana”. Secondo E., per tale motivo “(...) non è una cosa semplice”, “non capisco cosa possa essere”. Inoltre, F. precisa: “(...) riesco a capire che è un'indefinita, non è regolare”. Ge. aggiunge: “non ne ho idea (…) perché sono abituato a vederle le cose e non a toccarle”. L. proclama che per lui è “tutto buio”.

Per il fatto di non capire cosa possa rappresentare la scultura nel globale, tutti i bambini esprimono le loro impressioni nell’ordine del “possibile” e del “non sicuro”. Infatti, sono innumerevoli le affermazioni del tipo: “sembra”, “non so”, “potrebbe, però...”, “non mi convince”, “non sono

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sicuro”, “ma ovviamente non lo è”, “però non è molto logico”, ecc. Nessuno proclama con convinzione una rappresentazione.

Inoltre, tramite affermazioni come “non so come dire” (I.) o “non so perché, mi viene in mente qualcosa che c’entra con gli uccelli, ma non so perché” (F.), si comprende che non è sempre facile per il bambino trovare le parole giuste per descrivere la scultura toccata o esplicitare le proprie impressioni.

Tali “dubbi rappresentativi” sembrano aver incoraggiato progressivamente i bambini a distanziarsi da una comprensione “globale” dell’opera, per tentare di dare dei significati ai singoli elementi che la compongono.

Nel senso “globale”, le immagini che maggiormente sono emerse nei bambini vedenti richiamano elementi della natura molto conosciuti da questi ultimi: la figura umana in posizione eretta, accovacciata o che sta in piedi su un sasso (I., E., L., Gi.), un “albero” tagliato o pieno di frutti col tronco in basso e i rami che si originano a partire da quest’ultimo (I., E.), un “uccello” con la coda sul retro (Ge.), un semplice “sasso tagliato” (L.), un “marmo” (E., L.), un’ “incidente d’auto”, perché “non si capisce cos’è” (Gi.) e una“(..) cosa geometrica che è uscita”, “come quando disegni una forma e poi è come se esce dal foglio” (E.).

Per quel che riguarda i dettagli sono invece venute a galla immagini come un “cuore che batte” sul davanti della scultura (I.), “perché si sente proprio qualcosa, cioè si sente... sembra qualcosa che ha un movimento un po’ irrequieto che vuole muoversi”, “un cuore un po’ severo”, perché ha delle “linee (...) che non lasciano spazio ad altre cose”; una “roccia” con “degli omini che la stanno scalando”, dalla quale fluiscono inoltre tre “cascate” che individua sulla parte superiore (E.); “una biscia che scende” sulla base (Gi.); sempre all’altezza della base, Gi. indica un “uovo” Pasquale dal quale esce “la zampetta di un coniglio”; e infine Gi., I., E., e Ge. riconoscono varie forme geometriche.

Il bambino cieco, il quale inizialmente rimane molto legato al bisogno di dare un significato ad ogni singolo segmento della scultura, si immagina “i dadi da dieci” (sulla sommità a destra), perché hanno un po’ quella forma: “scendono e poi rigirano”; riferendosi alla base davanti della scultura, individua “la forma di un animale a cui ci manca il collo e le parti dietro e sono stati arrotondati i tagli” che potrebbe centrare con “gli uccelli”; sulla sommità centrale, adiacente al “dado da dieci”, individua dei “marciapiedi o degli scalini fatti male”, in quanto “inizia ad avere cavità, discese”; il lato destro e il retro della scultura gli ricorda “vagamente” due “quadrilateri”, perché la loro forma “assomiglia in parte o a un quadrato o a un rettangolo”. F. ad un certo punto definisce la scultura come non “logica”.

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21 Solo quando lo sollecito a riflettere su una possibile rappresentazione “complessiva” della scultura, F. inizia a porsi il problema della rappresentazione in un senso più “globale”, e fa emergere l’immagine di un “albero” che si biforca di continuo, col tronco alla base, dal quale si originano tutti gli altri rami. Oppure afferma che la scultura, per la sua forma irregolare, potrebbe raffigurare “qualcosa che è successo”, come ad esempio la scena di un “puma sotto l’albero” pronto a slanciarsi per arrampicarsi sui tronchi e cacciare ad esempio“giovani maiali selvatici”. Ad un certo punto F. sente il bisogno di far vedere concretamente col proprio corpo la posizione del puma, pertanto si posiziona inginocchiato con i gomiti per terra. Tuttavia, ad un certo punto afferma che la raffigurazione non lo convince, “perché se fosse un puma sotto l’albero, avrebbe una forma un po’ diversa”, in quanto l’animale dovrebbe essere più indietro rispetto alla base della scultura e il tronco dovrebbe avere una forma “più precisa”, essere “a tronco” (r. 155). A partire da questa riflessione, afferma: “non mi viene in mente che cosa potrebbe raffigurare” (r. 155).

F., attraverso queste rappresentazioni mi fa riflettere su due aspetti: da una parte, rispetto ai bambini vedenti, ha verbalizzato un’esperienza che sembrerebbe aver vissuto concretamente (gli scalini fatti male); dall’altra, richiama un animale (il puma) che non ha potuto conoscere di persona ma, nonostante ciò, lo descrive nei minimi dettagli, come se avesse effettivamente potuto vederlo attraverso gli occhi. Inoltre, si ritrovano alcune analogie tra le rappresentazioni del bambino cieco e dei compagni vedenti: F., come Ge., si immagina un uccello, oppure come I. e E. un albero che si biforca. Inoltre i quadrilateri si collegano alle forme geometriche individuate da Gi., I., E., Ge.

L’atteggiamento contemplativo che mi aspettavo sarebbe emerso per la qualità astratta della scultura, siccome non porta con sé un significato subito attribuibile, non è nato spontaneamente nella quasi totalità dei bambini (tranne in una bambina, I.), né spontaneamente e nemmeno in seguito ad una sollecitazione da parte mia. L’opera astratta sembra dunque aver piuttosto “inibito” la contemplazione, favorendo invece una vastità di ipotesi di rappresentazione.

Tre bambini su sei hanno dichiarato di provare alcune emozioni (I., E., Ge.): I. afferma di sentire un po’ di tristezza quando tocca la scultura, in quanto quest’ultima sembra “un po’ triste”, perché “è tutto un po’ confuso”, “piccolo”, “messo insieme”, con delle cose un po’ squadrate e non simmetriche “come che vogliono uscire ma non possono”. “Forse non si sente a suo agio qua”, “(...) sembra anche che ha un po’ paura, non so”, perché è tagliata e piccola e “dà l’impressione che è chiusa su sé stessa”. Ge., invece, prova un’emozione “bella” che richiama il “Paradiso”,

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perché afferma di non avere mai toccato “cose così”, “lisce” e a “spicchi”. E. dice di emozionarsi, nonostante non sappia cosa sia, in quanto le vengono in mente tante immagini: “dai spazio alla tua fantasia. È come un sogno tipo”. “È come quando vai in un posto nuovo e non sai bene dove andare, e che cosa c’è… è bello”.

Gi., L. e F., invece, riferiscono di non provare alcuna emozione. La cosa interessante è che questa mancanza di suggestione sembra derivare, per F. e Gi., dal fatto che non riescono a classificare l’opera secondo un’interpretazione di tipo realistico, ribadendo più volte l’incapacità di riconoscerla e comprenderne il significato. Per tale ragione, il “realismo visivo”, o forse per il bambino cieco è meglio parlare di “realismo tattile”, assume un rilievo importante, in quanto sia il bambino vedente che il bambino cieco hanno bisogno di riconoscere le forme, cosa che può derivare dalla necessità di essere rassicurati. A tale proposito F., riferendosi ad un’esperienza vissuta al museo, afferma: “se almeno la capissi in parte... capisco che si tratta di un uomo. Lì inizia ad interessarmi... magari capisco che ha una posizione particolare e lì inizia ad interessarmi tanto... e lì lo guardo... però questa non mi dà alcuna idea”. F. afferma di non provare alcuna emozione, ma semplicemente “indifferenza”.

L. invece non prova alcuna emozione, in quanto paragona la scultura ad un semplice “sasso”. Dunque sembra che il bambino non attribuisca un valore importante all’opera, ma un significato “banale”: non ha senso provare un’emozione per un “sasso”.

3. La restituzione della scultura, attraverso la modellatura con l’argilla, permette al bambino di differenziare maggiormente le sue impressioni/rappresentazioni rispetto all’opera?

Esplicito qui solo alcune osservazioni e riflessioni riguardo a quest’ ultima parte di raccolta dei dati, rimandando una più dettagliata analisi ad un futuro approfondimento della ricerca stessa.

I bambini vedenti, durante la modellatura, non esprimono delle impressioni o riflessioni rispetto al procedimento di riproduzione (tranne in minima parte E.). Forse questo atteggiamento è stato favorito dalla consegna che avevo posto: “prova a riprodurre la scultura in argilla”. Tale consegna ha forzatamente limitato i ragionamenti dei bambini.

F., invece, sfrutta questo momento per far evolvere le sue interpretazioni e riorganizzare le immagini che si era costruito mentalmente durante l’esplorazione dell’opera. Ad esempio esplicita che la base poteva essere anche una “barca”.

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23 La dimensione attiva del fare non mi ha dunque permesso di comprendere qualcosa in più sulle impressioni dei bambini rispetto alla scultura. Tuttavia, osservando le riproduzioni in argilla (vedi allegato 5), ho colto che la modellatura è stata guidata dalle caratteristiche formali dell’opera astratta, in quanto tutti i bambini hanno cercato di riprodurre la forma “variata” e “a segmenti” caratterizzante la scultura.

Alcuni bambini hanno riprodotto la scultura in poco tempo (Ge., L.). Ge. ad esempio ha assemblato un pezzo sopra l’altro senza esplorare la scultura. Altri bambini invece (F., I. e E.) hanno modellato con cura l’argilla, cercando sempre un “confronto tattile” con l’opera. In particolare F. è stato minuzioso nei dettagli (infatti ha impiegato 45 min. per modellare l’argilla). Quest’ultimo, insieme a I., si è inoltre posto il problema di ricreare la scultura in scala.

Quasi la totalità dei bambini vedenti, durante la riflessione finale nella quale viene chiesto loro di paragonare la riproduzione in argilla rispetto alla scultura che toccavano, offre delle riflessioni interessanti riguardo al tema del vedere e del toccare. Ad esempio, I. afferma che toccando la creazione in argilla le sembrava simile alla scultura, ma poi vedendola comprende che la scultura era molto più grande. Il tatto potrebbe dunque avere il potere di “amplificare” la percezione che si ha di qualcosa.

I. ed E. mostrano addirittura una certa delusione una volta che vedono attraverso gli occhi la loro creazione, dichiarando che la preferivano prima, solo al tatto. I. afferma, ad esempio, che al tatto è “più vera” e che “quando tu tocchi qualcosa (…) ti dà più sensazioni” (73, p. 43).

Infine, Gi. rivela: “non mi sento tanto bene perché non riesco a vedere, non so a cosa vado incontro tipo”.

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Conclusione

Considerazioni finali

Grazie alla mia indagine ho potuto rispondere alle prime due domande di ricerca, confermando o confutando le ipotesi formulate a partire dal quadro teorico di riferimento. Rimando invece le mie considerazioni generali sulla terza domanda ad un’analisi più dettagliata dei dati in una futura ricerca (nel capitolo seguente, “i limiti della ricerca e possibili sviluppi”, spiegherò il motivo di tale scelta).

Portando alla luce i dati più significativi emersi rispetto al primo e al secondo interrogativo, posso dire che grazie a questa ricerca ho compreso che ogni bambino, non importa se vedente o cieco, manifesta in modo personale un utilizzo delle proprie mani, così come quello della parola e dell’immaginazione. Ognuno interpreta l’opera in modo diverso, perché ha alle spalle una storia e delle esperienze differenti. Qualcuno ad esempio esplora la scultura in maniera approfondita e “riflessiva”, qualcun’altro fa prevalere un atteggiamento più “sbrigativo”; qualcuno si concentra sulla parte superiore dell’opera, qualcun’ altro su quella inferiore, qualcuno utilizza maggiormente le dita per esplorare, qualcun’altro la mano intera, e così via.

Vi sono inoltre alcuni atteggiamenti che si sono riscontrati in tutti i bambini: l’utilizzo delle procedure esplorative definite da Lederman e Klatzky per conoscere le proprietà della scultura; la tendenza a privilegiare un’esplorazione finalizzata ad attribuire all’opera un significato, che la maggior parte delle volte era riconducibile ad elementi della natura conosciuti; l’attitudine inversa di non prendere in considerazione la contemplazione. A tale proposito trovo opportuno riflettere sul fatto che, nonostante l’opera astratta abbia inibito le emozioni di tre bambini, l’altra metà ha potuto lo stesso sviluppare un’attitudine contemplativa. Tale fenomeno mi permette di considerare la possibilità che l’arte astratta possa aiutare in qualche modo a prendere coscienza della dimensione emotiva, favorendo il piacere di “ascoltare” i movimenti delle proprie mani, senza limitarle ad un “macchinoso” fine di identificazione.

Allo stesso modo, le considerazioni di F. riguardo alle emozioni che ha provato durante l’esplorazione di un’opera figurativa, mi porta a riconsiderare il potere contemplativo dell’arte figurativa.

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Ricadute didattiche

Secondo me è ancora molto presente tra le persone il pregiudizio che il cieco viva in un mondo “buio”, privo di immagini. Tale preconcetto deriva dal ruolo predominante che attribuiamo alla vista: immaginiamoci solo di rimanere chiusi in una stanza buia, la prima cosa che faremmo sarebbe quella di cercare l’interruttore della luce, talmente non siamo abituati ad immaginarci il mondo senza la vista.

Grazie a questa ricerca si può comprendere che l’unica cosa che differenzia il bambino cieco da quello vedente è la minuziosa, differenziata e organizzata maniera di utilizzare le mani, accompagnata da un utilizzo molto cosciente del linguaggio, che il bambino ha acquisito per necessità, per far fronte alla mancanza di un canale così importante, quello visivo.

L’intera esperienza dimostra, infatti, che in realtà il bambino cieco non ha una “mancanza” rispetto ai suoi compagni. Le immagini che il bambino rivela non hanno niente di diverso rispetto a quelle emerse dai bambini vedenti. In entrambi i casi, i bambini richiamano elementi della natura a loro conosciuti (anche se F., ad un certo punto descrive in modo meraviglioso le movenze del “puma”, animale che probabilmente non ha avuto modo di toccare, ma che suppongo abbia saputo rappresentarsi grazie a dei racconti).

Sulla base di queste considerazioni, ritengo che avanzare esperienze tattili a scuola, accompagnandole con informazioni concernenti il mondo percettivo del bambino cieco, possa sollecitare il vedente a distanziarsi dal pregiudizio che i ciechi non possano crearsi delle immagini mentali solo perché privati del canale visivo. Tali preconcetti potrebbero dissolversi favorendo momenti di reciproca conoscenza con le persone cieche, durante i quali queste ultime potrebbero divenire delle guide per i vedenti, per far loro scoprire nuove qualità del mondo, nuovi modi di fruire un’opera, svelando ad esempio la possibilità di accedere alla qualità di contemplazione di cui ho parlato, che è pure una forma di conoscenza, di sé e del mondo. In questo modo si sollecita la persona vedente ad individuare delle potenzialità nell’esplorazione tattile e a comprendere che anche attraverso quest’ultima è possibile costruirsi delle immagini mentali e provare delle emozioni piacevoli. In relazione alla mia esperienza, posso ad esempio dire che i bambini hanno partecipato con entusiasmo a quest’ avventura tattile così particolare e diversa dal solito.

In conclusione, trovo che “risvegliare” il senso tattile possa consentire di rivalutare il dominio della vista. Oggigiorno, infatti, mi risulta che i bambini siano sempre meno stimolati a vivere esperienze tattili concrete, a favore di quelle “virtuali”, in quanto viviamo in una società in cui trionfa il

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“vietato toccare” e l’importanza dell’immagine, la quale può essere avvicinata solo attraverso la vista e che dunque esclude le persone cieche.

Limiti della ricerca e possibili sviluppi

Questa ricerca non rileva sempre le rappresentazioni ed emozioni spontanee dei bambini, poiché una sollecitazione da parte mia è stata necessaria per stimolare i bambini a verbalizzare ciò che sentivano. Inoltre, siccome ho svolto l’esperienza con un bambino alla volta durante le normali ore di lezione, non so se i bambini si siano scambiati delle riflessioni riguardo alla scultura toccata, influenzando magari i soggetti che dovevano ancora svolgere l’attività. Alcune rappresentazioni risultano infatti simili tra i bambini.

Siccome questa indagine si rivolge ad un campione piccolo di bambini, non deve essere generalizzata a “tutti i vedenti” o “tutti i ciechi”. Soprattutto per quel che riguarda i bambini ciechi, non tutti magari ricevono una precoce ed adeguata educazione della mano. Pertanto, il contatto con un’opera d’arte potrebbe risultare molto più problematico.

I bambini vedenti che hanno partecipato al mio lavoro possiedono una certa sensibilità verso il tema del tatto, in quanto frequentano la stessa classe del bambino cieco. Pertanto, se dovessi ripetere l’esperienza con bambini di un’altra classe, i risultati potrebbero essere totalmente diversi.

All’inizio della ricerca ho ritenuto che la dimensione attiva della modellatura e la riflessione finale sull’esperienza vissuta avrebbe permesso ai bambini di differenziare maggiormente le rappresentazioni rispetto alla scultura. Ma, come accennato nell’analisi dei dati, non è stato così, anche perché gli stimoli da parte mia non si dirigevano più verso quella direzione. Pertanto, considerando anche la ricchezza dei materiali raccolti per le prime domande, ho deciso di non analizzare in modo approfondito i dati emersi durante questi due momenti dell’esperienza, in quanto ho ritenuto che non mi avrebbero apportato molte informazioni in più. Con questo non voglio però negare che possano divenire lo spunto per nuove riflessioni. Ad esempio, considerando il fatto che unicamente il bambino cieco ha differenziato le sue rappresentazioni, potrebbe nascere una riflessione inerente il ruolo della dimensione attiva del fare nell’educazione del bambino cieco. A tal proposito Loretta Secchi (cfr. quadro metodologico) suggerisce già una possibile via d’indagine, affermando che le verifiche plastico-manipolative permettono al bambino cieco di perfezionare la percezione e riorganizzare i concetti e le interpretazioni delle forme.

Infine, si potrebbero avanzare ulteriori ricerche inerenti l’esplorazione tattile dell’arte astratta contrapposta a quella figurativa per chiarire degli interrogativi ancora aperti e poco esplorati.

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27 Attraverso nuovi studi si potrebbe ad esempio indagare in che modo è possibile avvicinare concretamente il bambino cieco alla fruizione dell'arte.

Questa pubblicazione, Toccare l’arte: un’avventura percettiva che accomuna i ciechi e i vedenti, scritta da nevena.marincic, è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 3.0 Unported License.

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