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Il diritto di recesso del consumatore alla luce del D. Lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014

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Indice

Premessa 3

CAPITOLO I- INTRODUZIONE 1. La nascita della figura del consumatore come soggetto da tutelare 9

2. L’evoluzione della figura del consumatore in Italia“ 12

3. Il Codice del consumo 18

CAPITOLO 2 – IL RECESSO NEL CODICE CIVILE 1. Il recesso convenzionale 20

2. Il recesso nei contratti di durata 23

3. Il recesso determinativo 26

4. Il recesso impugnatorio e di pentimento 28

5. Alcune considerazioni sul recesso 32

CAPITOLO III- IL RECESSO NEL CODICE DEL CONSUMO 1. Introduzione 35

2. Diritto di recesso: aspetti generali nei contratti a distanza e conclusi fuori dai locali commerciali 36

3. La disciplina generale del recesso 39

4. L’evoluzione della disciplina del recesso nei contratti conclusi fuori dai locali commerciali 45

5. Il D. Lgs. n. 50/1992 46

6. La disciplina dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali nel Codice del consumo 51

7. Dovere d’informazione e recesso 54

8. L’evoluzione della disciplina sul recesso nei contratti a distanza 59

9. I contratti a distanza nel Codice del consumo 64

10. I contratti a distanza aventi ad oggetto servizi finanziari 71

11. La disciplina del recesso nei contratti a distanza aventi ad oggetto servizi finanziari 76 12. Il diritto di recesso nelle televendite e nei contratti conclusi via internet 82

13. I contratti di multiproprietà 83

14. La disciplina del recesso nei contratti di multiproprietà 87

15. I servizi turistici 88

CAPITOLO IV- CONSEGUENZE DEL MANCATO RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO DI RECESSO 1. Introduzione 92

2. Contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali 93

3. Contratti a distanza aventi ad oggetto servizi finanziari 96

4. La multiproprietà 100

5. Servizi turistici 101

CAPITOLO V- LE MODIFICHE SULLA DISCIPLINA DEL RECESSO CON L’INTRODUZIONE DEL D. LGS. N. 21 DEL FEBBRAIO 2014 1. Premessa 106

2. Gli obblighi di informativa precontrattuale previsti dal decreto 109

3. Il diritto di recesso nel D. Lgs. n. 21/2014 111

4. Il recepimento della direttiva 2013/11/UE ( Direttiva sull’ADR per i consumatori) 117 5. Principali modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 21 del 21 febbraio 2014 119 CAPITOLO VI- CONCLUSIONI 122

(2)

3

Premessa

La figura del consumatore nel codice del consumo

L’Italia, in materia di tutela dei consumatori, si è trovata in forte ritardo rispetto agli altri Paesi europei, i quali avevano già da tempo raggiunto la consapevolezza dell’importanza del consumatore. Con la pubblicazione del Codice del consumo tutte le varie leggi speciali e direttive comunitarie sono state raggruppate in un unico corpus di semplice consultazione. L’unico punto che rimaneva da chiarire era legato al fatto che il Codice si limitava alla tutela dei rapporti fra professionista e consumatore, mentre per quanto riguardava i rapporti fra due professionisti si doveva fare riferimento al Codice civile; quindi diventava necessario raccogliere le varie nozioni di consumatore previste dalle leggi speciali, e da queste raggiungere una definizione che le potesse sintetizzare. In generale, secondo queste disposizioni, il consumatore appariva come la parte contrattuale “contraria e complementare” del professionista. Le due teorie giurisprudenziali sulla valutazione della figura del consumatore riguardavano essenzialmente l’utilizzo futuro del bene acquistato. In poche parole, se l’obiettivo dell’acquisto era l’utilizzazione del prodotto per una attività imprenditoriale futura allora questo non poteva essere considerato consumatore, mentre se il bene veniva acquistato per uso personale, senza che vi fosse l’interesse di svolgimento di attività economica futura, allora l’acquirente rientrava nell’area del consumatore. In realtà, parte della dottrina è apparsa più

volte favorevole a un’interpretazione estensiva1 delle norme, piuttosto che

1

Trib. Roma, 20 ottobre 1999, in Foro.it., 2000, p. 645. Il Tribunale ha qualificato consumatore anche lo scultore che aveva concluso un contratto di trasporto, in quanto questo contratto non era da considerare rientrante negli atti tipici della sua professione. Il Tribunale ha poi spiegato la sua decisione con l’esempio del mediatore immobiliare che acquista un computer con l’intenzione di destinarlo alla sua attività, ovvero all’avvocato che affida ad un corriere una sua lettera diretta ad un cliente, perchè tali contratti sono al di fuori dell’oggetto delle loro attività professionalmente svolte, anche se si tratta comunque di contratti collegati in maniera strumentale. In questo senso anche pronunce precedenti: Pret. Foggia – Orta Nova, 17 dicembre 1998, in Giur.it., 2000, p. 312, con nota di TORRESI; Trib. Terni, 13 luglio 1999, in Foro.it., 2000, p. 862, con nota di PALMIERI.

(3)

4

restrittiva2, volta a ricomprendere nella nozione di consumatore anche il soggetto

che compie acquisti destinati a un’attività economica futura, quando si trova in

condizioni di debolezza rispetto al professionista di una grande impresa3. Ad

esempio l’artigiano produttore di tavoli in legno che acquisti, per la prima volta,

un computer per tenere la contabilità.4

Con l’evolversi delle strutture socio-economiche e l’affermarsi del diritto privato europeo si sta assistendo ad una lenta ma sostanziale modifica dei connotati tipici della materia contrattuale.

2

Cass. civ., 14 aprile 2000, n. 4843, in Corr. Giur., 2001, p. 524. La Corte ha negato la qualifica di consumatore alla persona fisica che “in vista di intraprendere un’attività imprenditoriale, cioè per uno scopo professionale, acquista gli strumenti indispensabili per l’esercizio di tale attività”. Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2001, n. 10127, in Contratti, 2002, p. 338, con commento di Caserta ha confermato l’orientamento riconoscendo la qualifica di consumatore solo alla persona fisica che acquista un bene per esigenze di natura quotidiana, quindi completamente estranee all’attività professionale. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ribadito che è professionista anche la persona fisica, ogni volta che stipuli un contratto in qualche modo connesso all’attività professionale. Trib. Bari, 19 settembre 2005 che non considera consumatore il laureato in economia che s’iscrive ad un master, in virtù delle qualità culturali e personali a lui riconosciute in materia bancaria e creditizia. Il giudice ha motivato la sua decisione, affermando che la disciplina a tutela del consumatore ha come destinatario un contraente occasionale, non professionale, notoriamente privo delle necessarie competenze per negoziare.

3

A.PALMIERI, Alla (vana?) ricerca del consumatore ideale, in Foro.it., 2005, I, pp. 993 s s.; E.GABRIELLI, Sulla nozione di consumatore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, pp. 1149 ss.

4

Corte Costituzionale, 22 novembre 2002, n. 469 (Gazzetta ufficiale, 1° serie speciale, 27 novembre 2002, n. 47), in Foro.it, 2003, p.332. Il Giudice di pace di San Remo, con ordinanza emessa il 5 luglio 1999, sollevava, con riferimento agli artt. 3, 25 e 41 della Costituzione, la questione di legittimità dell’art. 1469 – bis laddove non equipara al consumatore le piccole imprese e quelle artigiane: “..il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta..“ (il testo è stato oggi modificato dll’art. 142 del Codice del Consumo). Ad avviso del remittente, tale norma sarebbe stata incostituzionale per la irragionevole discriminazione posta in essere dal legislatore tra piccolo imprenditore ed artigiano rispetto al “privato consumatore”. La Corte, con la sentenza del 22 novembre 2002, ha dichiarato infondato il giudizio di illegittimità presentato dal Giudice di pace di San Remo, in quanto il consumatore è soggetto da tutelare poichè “privo della necessaria competenza a negoziare” quindi diverso dall’artigiano, e aggiunge che “Il legislatore, con l’art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1994), ha dato attuazione alla direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, introducendo nel titolo II del libro quarto del codice civile il capo XIV-bis dedicato ai contratti del consumatore. La prima di tali norme, l’art. 1469-bis cod. civ., dopo aver stabilito il campo di applicazione della disciplina ed aver offerto una definizione di carattere generale delle clausole vessatorie, attribuisce, in conformità al testo della direttiva, la qualità di consumatore alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. L’esclusione dalla speciale tutela di tutti quei soggetti che in forma individuale o anche collettiva agiscono per scopi comunque connessi all’attività economica da essi svolta, quantunque senza finalità di lucro, è stata posta in discussione dalla dottrina, soprattutto in relazione a quelle particolari ipotesi nelle quali la linea di demarcazione tra le varie finalità del consumo risulti particolarmente incerta”.

(4)

5

È in atto, infatti, una vera e propria rivoluzione copernicana di essa, per ciò che

concerne i contenuti, la forma e le parti contraenti.

In questo nuovo scenario normativo un ruolo di particolare interesse è rivestito dallo status di consumatore, introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge 6 febbraio 1996 n.52, la quale ha novellato il codice civile con il Capo XIV - bis (artt. 1469 - bis – 1469 - sexies) del Libro IV, Titolo II, relativo ai “contratti

del consumatore”, oggi trasfuso nel D.lgs. 6 settembre 2005, n.206, Codice del

consumo5, il quale, ancora oggi, anche a seguito dell’acceso dibattito dottrinale e

giurisprudenziale registratosi in materia, si presenta dai confini particolarmente incerti e mobili.

Il Codice del consumo è arrivato a una definizione unitaria di consumatore, rintracciabile all’art. 3, comma 1, lett. a) “consumatore o utente: la persona

fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Da qui, si evince chiaramente

come questa figura sia caratterizzata da un duplice connotato: il primo, di carattere «limitativo», in virtù del quale il consumatore può essere, almeno stando alla portata letterale della norma, la sola persona fisica, escludendo quindi le persone giuridiche, siano esse pubbliche o private, e gli enti no profit, con o senza personalità giuridica.; il secondo, invece, di carattere «negativo», come già ampiamente discusso, che permette di attribuire lo status giuridico di consumatore soltanto alla persona fisica che agisca per far fronte a fabbisogni propri o della propria famiglia, estranei alla attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, eventualmente svolta.

La motivazione per la quale il legislatore abbia voluto escludere alcuni soggetti dalla presente definizione, risiederebbe, da un lato, nella circostanza che essi risulterebbero dotati di una maggior forza contrattuale, dall’altro, nel fatto che il dover necessariamente perseguire lo scopo sociale previsto dallo statuto,

5

per un ampia e dettagliata disamina della disciplina dei contratti del consumatore E. Graziuso, La tutela del consumatore contro le clausole abusive, Giuffrè, 2010.

(5)

6

comporterebbe, di per sé, che la loro attività debba considerarsi svolta in chiave

«professionale».6

Ritornando alla considerazione di agire “per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, è importante riportare l’esempio dell’avvocato, il quale potrà assumere in ordine ad uno stesso contratto, sia lo status di professionista che quello di consumatore: egli, infatti, qualora stipuli con un falegname un contratto per l’acquisto della libreria del proprio studio legale, agirà da professionista, in quanto lo scopo perseguito è strettamente collegato alla attività economico – professionale svolta; qualora, invece, sempre lo stesso avvocato stipuli con lo stesso falegname un contratto per l’acquisto di una libreria per la propria casa, in tal caso egli agirà come consumatore, essendo i suoi scopi estranei alla sua attività professionale. È, quindi, evidente il ruolo fondamentale assunto dallo “scopo”, che ha indotto un soggetto a porre in essere una determinata operazione giuridica.

La qualifica di consumatore deriverebbe, pertanto, direttamente da una indagine sulla natura dell’atto posto in essere, il quale dovrà essere diretto al

perseguimento di uno scopo di tipo non professionale7.

In tal modo, accanto alla caratteristica soggettiva dei contraenti, la normativa in esame presenterebbe un ulteriore connotato, quello della “distinzione oggettiva

tra atti con scopi non professionali e atti con scopi professionali”.8

Sarà, dunque, la natura funzionale dell’oggetto del contratto a fornire il parametro in base al quale stabilire se siano o meno applicabili le norme contenute nel codice del consumo.

La definizione di consumatore che troviamo all’art. 3 non è però unica, infatti questa viene integrata con altre definizioni che troviamo agli artt. 5, 7, 70, 71,

6

M. Sannia, Commento sub art. 1469-bis, comma 1, in Cesàro (a cura di), Clausole vessatorie e contratto del consumatore, 1998, p. 101.

7 M. Sannia, op.cit., 1998, p 104; G. Chinè, Commento sub art. 3 cod. cons., in Cuffaro V. (a cura di),

Codice del Consumo, Giuffrè, 2008, p. 19.

8

L. Gatt, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina; il consumatore e il professionista, in Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore, in NLCC, 1997, p. 821

(6)

7

che hanno lo scopo di estendere l’ambito di applicazione di alcune normative ad altri soggetti, per proteggere interessi e diritti, senza però pregiudicare quanto espresso dall’art. 3. Quindi il concetto di consumatore può essere definito come elastico perchè soggetto ad ampliamenti, dove espressamente dettato dal legislatore per singoli settori di tutela, ma allo stesso tempo restrittivo ed

estensivo9, perchè limitato alla persona fisica e volto ad escludere soggetti che

concludono contratti con la grande impresa in condizioni di debolezza, ma qualificati come piccoli imprenditori, professionisti o artigiani.

La controparte del consumatore, definita sempre all’interno dell’art.3 comma 1, lett. c) è sempre un professionista o un’impresa, ovvero “persona fisica o

giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.10

All’interno di questa categoria rientrano l’imprenditore commerciale, quello agricolo, il prestatore d’opera manuale e intellettuale, gli enti privi di scopo di

lucro che, per perseguire lo scopo sociale, svolgano attività d’impresa11

, le persone giuridiche, i soggetti privi di personalità giuridica, gli enti pubblici e gli intermediari.

Egli rappresenta la “parte forte” all’interno di una contrattazione, dal momento che svolge in maniera abituale questa attività, ed è maggiormente a conoscenza delle dinamiche del mercato e delle scelte differenti per le quali il consumatore potrebbe optare se fosse completamente a conoscenza del bene o servizio che gli viene offerto. È proprio a causa della presenza di asimmetrie informative fra i due contraenti, che il legislatore ha, negli anni, cercato di introdurre una disciplina che regolasse i rapporti fra le parti, e in particolar modo quelli conclusi in condizioni che aggravano ulteriormente le posizione di debolezza del consumatore. Allo stesso modo, però, imponendo dei limiti temporali entro i

9

G.CAGNOLATI, Guida ai diritti dei consumatori, Milano, 2007, p. 16.

10 L’art.3 Cod. cons. è stato recentemente modificato dal D.Lgs. n. 221 del 23 ottobre 2007. Prima, la

norma definiva professionista: “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario”.

(7)

8

quali intervenire, il legislatore ha garantito anche una parziale tutela al professionista, il quale non si trova completamente scoperto da qualsiasi forma di protezione.

(8)

9

CAP. 1 - INTRODUZIONE

1. La nascita della figura del consumatore come soggetto

da tutelare

Il D.Lgs. n. 26 del 6 settembre 2005, denominato Codice del consumo, costituisce una delle innovazioni più significative introdotte dal nostro governo

per tutelare il rapporto contrattuale tra professionista e consumatore12. Tale

documento si presenta come il manifesto dei diritti dei consumatori, all’interno del quale è contenuta la quasi totalità delle norme che li riguardano.

Prima di partire con l’analisi del Codice, e in particolare della normativa sul recesso, è necessario analizzare il concetto di “consumo”. Con esso, dal punto di vista economico, si intende l’atto finalizzato al soddisfacimento dei bisogni di colui che si muove sul mercato alla ricerca di beni, ovvero il consumatore, il quale sceglie cosa acquistare, in che quantità e con che modalità farlo, sulla base di dati razionali e irrazionali. La sua valutazione terrà conto, da una parte, della sua capacità economica e dei prezzi, dall’altra sarà guidato da forze irrazionali come il proprio gusto o le sue aspirazioni.

L’interesse da parte dei giuristi sulla figura dei consumatori come individui da tutelare è stato influenzato dall’evoluzione in campo economico e sociale innescata dalla Rivoluzione industriale. La massiccia industrializzazione, che ha soprattutto interessato i Paesi occidentali negli ultimi due secoli di storia, ha sicuramente modificato i rapporti economici. I prodotti sono in continua evoluzione, al passo con il progresso tecnologico e sociale, e sono destinati a una

più ampia massa di destinatari13. Anche i bisogni si modificano continuamente,

portando i soggetti economici a prestare maggiore attenzione alla qualità dei beni e dei servizi scambiati nel mercato. Le imprese si sono trovate così a riconoscere

12

G.Alpa,L.R. CARLEO, Codice del consumo, Napoli, 2005, 17; G.Alpa, I diritti dei consumatori e il “Codice del consumo” nell’esperienza italiana, in Contr. e impr. eur.,2006, p. 1.

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10

nel tempo l’importanza di uno studio approfondito delle dinamiche di mercato per garantirsi la sopravvivenza, mentre i destinatari di beni e servizi, in particolar modo i consumatori, sono stati considerati come soggetti da tutelare, a causa della loro posizione di debolezza rispetto all’impresa. Si può quindi affermare che la scoperta della figura del consumatore è stata la conseguenza del capitalismo avanzato dei paesi occidentali.

Il punto di partenza dell’attività di protezione del consumatore è il consumerism, un movimento di pensiero nato negli Stati Uniti agli inizi del Novecento che fa riferimento a una serie di proteste provenienti soprattutto dalle fasce più deboli della popolazione, riguardanti: la mancanza di informativa sui beni in commercio e la conseguente impossibilità di scegliere quanto più utile a soddisfare i propri

bisogni; l’assenza di una rappresentanza politica dei consumatori14.

In seguito a tali eventi, il Governo Federale giunse all'approvazione di leggi molto importanti che imponevano un controllo, anche se non troppo restrittivo, nei confronti dell'industria. La prima esperienza organizzata concernente il consumerismo portò alla fondazione della rivista "Consumers Research Bulletin", che pubblicava i risultati di test comparativi su prodotti di largo consumo; successivamente nel 1928 fu fondata la "Consumer Union", una associazione ancora oggi molto attiva negli Stati Uniti e in Canada. Tale associazione attraverso una propria rivista informava gli iscritti delle novità sui beni e servizi immessi sul mercato, dando la possibilità al consumatore di conoscere in maniera più approfondita il prodotto che aveva intenzione di acquistare. Il consumerismo americano ha avuto in J. F. Kennedy un grande

sostenitore.15

14

F. SILVA, A. CAVALIERE, I diritti del consumatore e l'efficienza economica, in "La tutela del consumatore tra mercato e regolamentazione", a cura di F. SILVA, Roma, 1996, p.12. Fino ai primi anni del 900 gravavano sul consumatore acquirente finale tutti gli oneri di controllo sulla qualità del bene acquistato, ed il peso dei costi, nel caso questo non corrispondesse per qualità o sicurezza a quello effettivamente atteso. Il criterio della responsabilità per colpa del venditore scattava solamente quando la negligenza era grave ed evidente.

(10)

11

È stato infatti proprio J. F: Kennedy che in un discorso al popolo americano16 ha

ufficialmente riconosciuto quattro diritti fondamentali del consumatore americano, ovvero: la libertà di scelta dei prodotti in regime di concorrenza, la sicurezza, l’informazione commerciale, il riconoscimento della sua importanza nel lavoro del Governo.

È però solo verso la fine degli anni Sessanta che gli Stati Uniti hanno visto la nascita di una vera tutela di settore con l’adozione normativa del principio giuridico della responsabilità oggettiva dei produttori nei rapporti con i consumatori.

Per quanto concerne l’Europa, i primi interventi normativi a favore dei consumatori sono stati adottati negli anni Cinquanta, ma è solo con la seconda metà degli anni Settanta che il consumatore è diventato oggetto istituzionale di tutela.17

Dapprima sono nati gli opuscoli a difesa dei consumatori, le assicurazioni private, le riviste; in seguito sono comparse le prime trasmissioni radiofoniche e televisive che avevano come scopo l’informazione commerciale e l’educazione del consumatore, seguite da veri e propri organi amministrativi a suo favore in Francia, Inghilterra, Olanda e Svezia.

L’atto di consumo si è così trasformato da fatto privato a questione di pubblico interesse

16

Discorso al Congresso americano 15 marzo 1962.

17

www.mdcromaovest.it. in La tutela del consumatore e il diritto dei contratti. Si hanno le prime disposizioni che qualificano il consumatore come soggetto meritevole di tutela. In generale consumatore è colui che acquista servizi o prodotti per soddisfare necessità personali, familiari ma non professionali. In particolare in Italia,prima della produzione normativa resa obbligatoria dalla conformazione alle direttive comunitarie , l'espressione " tutela del consumatore" era assente dal linguaggio del legislatore ed utilizzata con molta parsimonia da parte della giurisprudenza.

Nel 1972 i capi di stato e di governo della CE e incaricano la Commissione di stabilire un programma a tutela del consumatore. Nel 1975 la Commissione adotta il Primo programma d'azione quinquennale intitolato “ per una politica di protezione e di informazione del consumatore” i cui obiettivi erano:

 tutela della salute e sicurezza

 protezione degli interessi economici del consumatore nel rapporto contrattuale con l'imprenditore

 diritto al risarcimento dei danni cagionati da prodotti

 diritto all'informazione e educazione

(11)

12

2. L’evoluzione della figura del consumatore in Italia

La considerazione del consumatore come soggetto debole da tutelare si sviluppa in Italia nella seconda metà del Novecento. Negli anni Settanta nascono le prime associazioni a favore dei consumatori: l’Unione Nazionale Consumatori; il Movimento dei Consumatori; la Federconsumatori; a queste negli anni se ne sono aggiunte altre, come: Adiconsum, Adoc, Codacons, Altroconsumo, Lega

consumatori, ecc.18

È proprio grazie alle associazioni rappresentative e al lavoro delle istituzioni comunitarie che si è ottenuto il progressivo riconoscimento giuridico della figura del consumatore e l’adozione di molteplici direttive di tutela.

Nel trattato di Roma del 1957 non c’era una specifica menzione della figura del consumatore. Successivamente, con l’Atto Unico Europeo del 1986, entrato in vigore in Italia nel 1987, si è integrato e modificato il Trattato, prevedendo l’impegno della Commissione ad adottare un “livello di protezione elevato” del consumatore nelle sue proposte in materia di sanità, sicurezza, protezione

dell’ambiente e protezione dei consumatori.19 In seguito, il Trattato di Maastricht

ha stabilito che le azioni della Comunità dovessero dare un contributo al rafforzamento della protezione dei consumatori, confermando che la loro tutela era ormai diventata una delle priorità perseguite in ambito europeo. Infine, nel 1997, il Trattato di Amsterdam ha riconosciuto la politica della tutela dei consumatori come obiettivo istituzionale dell’Unione Europea e ha considerato le associazioni rappresentative come fondamentali elementi di dialogo con le

istituzioni europee.20

18

A.BARCA, Il diritto di recesso nei contratti del consumatore, 2011, p. 5.

19

Quest’articolo, prima art. 100 A, oggi art. 95 , ha gettato le basi per il riconoscimento giuridico delle politiche a tutela del consumatore.

20

L’art. 153 del Trattato è una clausola “orizzontale” che obbliga giuridicamente le istituzioni europee ad operare tenendo conto delle esigenze dei consumatori. Delle Direttive che compongono l’ acquis comunitario nel diritto dei consumi si ricordano in particolare: Direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole; 85/374/CEE sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso; 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali; 87/102/CEE sul credito al consumo; 90/314/CEE sui viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso; 93/13/CEE sulle clausole abusive; 93/22/CEE sui servizi di investimento nel mercato mobiliare; 94/47/CEE sul godimento a tempo parziale di beni immobili;

(12)

13

In Italia, in realtà, la figura del consumatore come persona “debole” da tutelare inizia già a comparire nel 1941, quando era stato introdotto il Libro V, del lavoro, all’interno del Codice Civile. La Commissione incaricata di redigere il testo, infatti, all’articolo 531 (attuale 2597 c.c.) aveva previsto l’obbligo del monopolista legale di contrattare con chiunque lo chiedesse, purchè le richieste fossero compatibili con i mezzi dell’impresa, rispettando il principio della parità

di trattamento tra i diversi richiedenti.21 La norma in questione era definita dalla

Commissione una disposizione necessaria per garantire la difesa del consumatore, individuando nel principio della parità di trattamento “il necessario

temperamento della soppressione della concorrenza, tenuto conto che il regime di monopolio legale, per ragioni varie e non tutte contingenti, va estendendosi molto aldilà di quei particolari settori nei quali tradizionalmente si soleva considerare tale fenomeno”22

.

La figura del consumatore all’interno del Codice civile, però, era limita soltanto alla considerazione di questo come mero destinatario dei prodotti e dei servizi e

metro di valutazione di eventuali comportamenti scorretti dell’imprenditore23,

mentre all’interno della Costituzione non era nemmeno menzionato.

Tale assenza, in un documento così importante, trova le sue ragioni nel contesto storico in cui proprio la Costituzione è stata concepita. Infatti, le Assemblee costituenti dei Paesi europei hanno assorbito termini e teorie che per noi possono sembrare antiquati, ma riflettevano le teorie economiche del tempo, come quella classica, priva dell’idea di un controllo della concorrenza a protezione dei consumi. Per questo, ad esempio, ritroviamo nella nostra Costituzione articoli 97/7/CEE sui contratti a distanza; le Direttive sul commercio elettronico; sulla vendita a distanza di prodotti finanziari; sulle pratiche commerciali sleali e le Direttive modificative delle precedenti. Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ha confermato l’impegno delle istituzioni europee a favore dei consumatori e, nel febbraio 2007, la Commissione ha realizzato una revisione dell’acquis comunitario dei consumatori, con l’obiettivo di semplificare la normativa esistente.

21

Art. 2597 c.c. “Chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento”.

22

Relazione al Re n.238 riguardante il Libro V del Codice civile, approvato con R.D. n. 17 del 30 gennaio 1941-XIX.

23

G:ALPA, La codificazione del diritto dei consumatori. Aspetti di diritto comparato, in CONSIGLIO

NAZIONALE FORENSE,

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14

riguardanti il lavoro, le successioni, la libertà d’iniziativa economica, i concetti di elettore, lavoratore, contribuente, ma nessun riferimento esplicito al consumatore.

Parte della dottrina suddivide il percorso evolutivo dei diritti dei consumi in

quattro fasi temporali24:

I. Quella del diritto corporativo25, all’interno della quale i consumatori non

sono visti come un polo organizzato di interessi, ma semplicemente come il “metro” che serve per commisurare la liceità dei singoli atti di concorrenza compiuti dagli imprenditori. È la concezione che si sviluppa non solo intorno agli obblighi del monopolista, ma anche

nell’applicazione dell’art. 259826 c. c. in materia di concorrenza sleale. In

ogni caso, in conflitti tra soggetti portatori di interessi contrapposti (se non si vuole già parlare di diritti), sono risolti in sede istituzionale, sia da parte del Legislatore statuale, sia da parte degli organismi rappresentativi delle forze del “lavoro”.

II. Quella del periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione27, in

cui i consumatori emergevano solo come fenomeno economico, come conseguenza del consumismo determinato dalla produzione di massa. Concetti come salute, sicurezza, informazione riferiti al consumatore non erano oggetto di attenzione dell’opinione pubblica. I consumatori, così come gli utenti nei confronti della pubblica amministrazione, erano

24

G.ALPA, I diritti dei consumatori e il “Codice del consumo” nell’esperienza italiana in Contr. e impr. eur., 2006 p., 3.

25

P. CENDON, Commentario al Codice civile, p.5. Questa fase si sviluppa negli anni 1926-1944.

26

Art. 2598 c.c. “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.”

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15

soggetti ad una tutela di secondo livello, quale conseguenza della

soluzione delle frizioni nelle relazioni tra imprese28

III. Quella dell’adesione dell’Italia alla comunità Europea29, che ha

rappresentato il punto cardine per il cambiamento di tendenza nella considerazione della figura del consumatore, in quanto il diritto comunitario, grazie alle numerose Direttive emanate fungeva da stimolo per il legislatore nazionale.

IV. La fase storica attuale, in cui l’importanza della figura del consumatore è

ormai assodata.

Come già accennato, sono state proprio queste ultime due fasi a incidere sulla considerazione della figura del consumatore; infatti, intorno agli anni Novanta, sono state approvate una serie di disposizioni (oggi abrogate, perché sostituite dal codice del consumo), ma il passo più importante è stato compiuto dalla l. n. 52/1996, che ha aggiunto al Titolo II, Libro IV del Codice civile, il capo XIV-bis rubricato “Dei contratti dei consumatori” contenente gli articoli da 1469-bis a 1469-sexies. Queste norme disciplinavano la materia delle clausole vessatorie e introducevano i concetti di consumatore e professionista.

Un’altra novità importante era la concessione, alle associazioni rappresentative dei consumatori e alle camere di commercio, artigianato, agricoltura e industria, della possibilità di reprimere l’utilizzazione, da parte del professionista, di contratti viziati da clausole abusive.

I legittimati avrebbero potuto ottenere dal giudice l’inibizione delle clausole e la pubblicazione in più giornali del provvedimento. Questa disciplina è oggi inserita

all’interno dell’articolo 37 del Codice del consumo.30

28

AA.VV., Strategie processuali. La tutela del consumatore, Piacenza, Celt, 2009, p. 15.

29

1957- anni ’90.

30

Art. 37, Codice del consumo, azione inibitoria: “1. Le associazioni rappresentative dei consumatori, di cui all’articolo 137, le associazioni rappresentative dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’ abusività ai sensi del presente capo. 2. L’inibitoria può essere concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, ai sensi degli articoli

(15)

669-16

L’introduzione di una così forte tutela per il consumatore non è stata significativa soltanto dal punto di vista simbolico, ma anche giuridico-formale, dato che a distanza di anni si è riconosciuta dignità giuridica a una figura che precedentemente riceveva attenzioni solo dalla dottrina economica. Tale figura è portatore di diritti in quanto individuo, ma anche in ragione della sua particolare

condizione di debolezza di fatto nei confronti della grande impresa31

La posizione del consumatore nell’ordinamento italiano si è ulteriormente rafforzata con la L. n. 281/1998, la quale riconosce i diritti fondamentali dei consumatori, ovvero: diritto alla tutela della salute, diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, diritto ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, diritto all’educazione al consumo, diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi, diritto alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti, diritto all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

La disciplina in questione ha dato valore ai consumatori come individui portatori di diritti soggettivi propri, ma anche alle associazioni, riconosciute come soggetti

istituzionali cui destinare le competenze in materia dei consumatori32.

Inoltre, la norma istituiva il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU), avente la funzione di:

a) esprimere pareri; b) formulare proposte;

c) promuovere studi e ricerche;

d) realizzare una politica d’informazione;

e) favorire l’accesso alla giustizia di consumatori ed utenti;

bis e seguenti del codice di procedura civile. 3. Il giudice può ordinare che il provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale. 4. Per quanto non previsto dal presente articolo, alle azioni inibitorie esercitate dalle associazioni dei consumatori di cui al comma 1, si applicano le disposizioni dell’articolo 140.”

31

G.ALPA, L.ROSSI CARLEO, Codice del consumo, cit., p. 20.

(16)

17

f) coordinare le politiche nazionali e regionali in materia di tutela.

È da notare che, a differenza del legislatore nazionale, in ambito regionale le forme di intervento a tutela dei consumatori erano iniziate già in tempi precedenti, ma si concretizzavano sostanzialmente con finanziamenti a favore di Associazioni che agivano nella tutela dei consumatori.

In merito a questo argomento, è infine necessario aggiungere che il nuovo testo

dell’art. 117 Cost.33

non prevede espressamente la competenza legislativa statale

33

Art. 117 Cost.: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza, sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con

(17)

18

per la tutela dei consumatori, ma elenca una serie di materie che necessariamente li coinvolgono. Le principali materie la cui competenza legislativa è propria dello Stato sono: moneta, mercati finanziari, concorrenza, e tutte altre materie che riguardano consumatori e utenti.

3. Il codice del consumo

Il Ministero delle attività produttive, con Decreto ministeriale del 23 dicembre del 2002 ha istituito una Commissione di lavoro presieduta dal professor Guido Alpa, alla quale hanno partecipato alcuni tra i massimi esperti in materia; nel

novembre 2003 la Commissione ha presentato il suo progetto alla stampa34, alle

associazioni rappresentative dei consumatori e delle categorie professionali in modo da acquisire le relative osservazioni prima dell’approvazione definitiva. Così in seguito alle varie valutazioni, si è arrivati all’approvazione di un testo definitivo nella riunione del Consiglio dei Ministri del 14 luglio 2005; ilCodice del consumo è così entrato in vigore con il D.Lgs. n. 206 del 6 settembre 2005. Il Codice del consumo è stato emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 7 della L. n. 229 del 29 luglio 2003, recante interventi urgenti in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione. L’art. 7 chiedeva al Governo di emanare uno o più decreti legislativi per riordinare in maniera sistematica le numerose norme riguardanti i consumatori,

frutto del recepimento della normativa comunitaria35. Si trattava di norme di

legislazione speciale, che finivano per contraddire l’esigenza di tutela del consumatore per il numero di disposizioni e per la loro collocazione in provvedimenti diversi, che ne rendevano difficoltoso il coordinamento.

altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.”

34

12 novembre 2003, nel corso di una conferenza stampa presso il Ministero delle Attività Produttive. v. M. DONA, in Presentato il Codice del consumo: il paradiso può attendere, www.consumerlaw.it.

35

G.ALPA, Presentazione, in G.VILLANACCI (a cura di), Manuale del diritto dei consumi, Napoli, 2007, p.7, definisce il Codice del consumo come “un testo aperto” proprio per sottolineare la sua capacità di adattarsi all’evoluzione del diritto dei consumi. Esso, infatti, “non fossilizza i diritti dei consumatori, perchè si adatta via via che dalla Comunità o dal legislatore nazionale provengono input che richiedono di essere coordinati e collocati nella sua trama sistematica in modo appropriato”.

(18)

19

Il Codice oggi rappresenta il punto di arrivo di tutte le disposizioni e di tutti gli interventi che sono stati effettuati nel corso degli anni dal legislatore nazionale e

dalle varie direttive comunitarie36. Infatti all’interno del Codice sono racchiuse

tutte le leggi speciali, articoli aggiunti al codice civile e decreti legislativi, che prima erano più difficoltosi da consultare per i consumatori, in quanto contenuti in documenti differenti; quindi si può affermare che la prima innovazione apportata dal codice deriva proprio dalla praticità e semplicità con la quale il consumatore può venire a conoscenza delle norme esistenti a sua tutela. Un altro grande cambiamento riguarda l’aspetto economico sul quale il Codice ha inciso profondamente; infatti, a seguito degli obblighi informativi che questo impone, si sono ridotte le pratiche scorrette che spesso caratterizzavano le contrattazioni fra un professionista e un contraente, il quale spesso si trova in una situazione di svantaggio, legata al fatto che frequentemente non conosce a pieno determinati aspetti o caratteristiche del prodotto che acquista. Grazie al Codice, così, il consumatore si trova ad essere tutelato fin dalla fase precontrattuale, che rappresenta la fase cruciale per la formazione della volontà dell’acquirente .

(19)

20

CAPITOLO 2 - IL RECESSO NEL

CODICE CIVILE

1. Il recesso convenzionale

Il recesso consiste in un atto negoziale 37unilaterale38 inteso ad eliminare la

vigenza di un contratto, per lo più produttivo di effetti che si protraggono nel

tempo39

Prima ancora che nel Codice del consumo, in cui questo diritto ha acquisito un ruolo rilevante all’interno del rapporto professionista-consumatore, il nostro legislatore aveva disciplinato questo istituto all’interno del Codice civile.

Una prima puntualizzazione da effettuare è che tale diritto non è esplicitamente affrontato nel c.c., ma se ne possono trarre alcuni aspetti all’interno degli articoli 1372 e 1373.

Nella prima parte dell’art. 137240 emerge chiaramente la forza vincolante

intrinseca in un contratto, ovvero che al momento della stipula di questo le parti

37

Vi è in dottrina chi (Cfr. P. Rescigno, Incapacità naturale ed adempimento, Napoli, 1950, p. 113) ha per vero dubitato di questa conclusione, contestando la natura negoziale del recesso. Esso sarebbe non tanto espressione di libertà, quanto esercizio di un potere potestativo. In realtà, come è stato rilevato (Gabrielli-Padovini, voce Recesso, in Enc. dir., vol. XXXIX, 1988, p. 42) detta incompatibilità di opinioni è solo apparente, giacché un unico atto può essere espressione al contempo di libertà e di potere: chi recede da un rapporto incide sulla altrui sfera giuridica, esercitando un diritto potestativo, ma viene anche a determinare la modifica della propria situazione giuridica, ciò che corrisponde ad una chiara manifestazione di autonomia (sostengono il carattere negoziale degli atti di esercizio di un diritto potestativo anche Cesaro, Il contratto e l'opzione, Napoli, 1969, p. 249 e Carpino, L'acquisto coattivo dei diritti reali, Napoli, 1977, p. 153).

38 Cfr. D'Avanzo, cit., p. 1031, per il quale il negozio di recesso non perde il carattere di unilateralità

anche qualora fosse stato convenuto il pagamento di una somma da parte di chi ha la facoltà di esercitarlo.

39

Si tratta di una definizione generale sulla quale la dottrina (cfr. D'Avanzo, cit., p. 1027) conviene, nonostante la disomogeneità semantica del dato normativo. La legge, infatti, non sempre si esprime con il termine "recesso", utilizzando espressioni quali richiesta, rinunzia, revoca, disdetta. Occorre però precisare che, al di là della plurivocità terminologica, non si dubita (Sangiorgi, voce Recesso, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVI, 1991, p. 1) che si sia di fronte ad ipotesi di recesso tutte le volte in cui una parte possa determinare unilateralmente il venir meno del programma contrattuale cui si è precedentemente obbligata, tant'è che si parla anche di una "causa" del negozio di recesso da individuarsi nella funzione assolta dal potere attribuito alla parte di far venir meno l'impegno contrattuale (Sangiorgi, cit ., p. 7).

(20)

21

sono obbligate a rispettare e portare a termine l’impegno assunto; ma è nella seconda parte che è presente un primo richiamo al diritto di recesso, il quale, secondo l’articolo, può essere esercitato solo in due condizioni specifiche, cioè, o per mutuo dissenso, ossia per un accordo diretto ad estinguere un rapporto contrattuale precedente, oppure in altri casi espressamente previsti dalla legge. Da qui sembrerebbe emergere l’impossibilità, prevista dal Codice civile, di esercitare questo diritto per scelta unilaterale, quindi di uno solo dei due contraenti. In realtà tale affermazione viene indebolita all’articolo seguente, il

1373 c. c41, il quale realizza di fatto un’eccezione a tale principio: stabilisce che,

per facoltà pattuita dalle parti, una di esse possa sciogliere il vincolo contrattuale. In questo caso si parla di recesso convenzionale, in cui le parti hanno, in base a determinate clausole stabilite all’interno del contratto, la facoltà di recedere a

favore di una o entrambe le parti42, anche se occorre, tuttavia, che il recesso

venga esercitato dalla parte che ne ha diritto anteriormente all’inizio dell’esecuzione del contratto; questa tipologia di recesso è contrapposta a quello legale, stabilito per legge per singole ipotesi contrattuali, ovvero vendita, affitto, locazione, somministrazione, appalto, ecc.

Inoltre sempre all’art. 1373 il legislatore prevede due ipotesi differenti di recesso convenzionale: la prima per i contratti ad esecuzione istantanea, mentre la

seconda per quelli ad esecuzione continuata o periodica43. Nel primo caso tale

diritto può essere esercitato solo nel momento antecedente l’esecuzione dell’obbligazione, mentre nel secondo caso può essere esercitato in qualsiasi

40 Art. 1372, comma I, c.c.: “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per

mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”;

41

Art. 1373 c. c.: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita. È salvo in ogni caso il patto contrario.”

42

Il recesso convenzionale rappresenta quindi una manifestazione del riconoscimento normativo dell’autonomia privata.

43 Art. 1373 comma 1 e 2, Codice civile “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal

contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.”

(21)

22

momento. Tuttavia, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, l’efficacia di questo diritto inizia a decorrere dal momento in cui questo viene esercitato, mentre non ha alcuna conseguenza sulle prestazioni precedenti, in quanto non ha efficacia retroattiva. Sulla base di queste considerazioni, emerge chiaramente l’impossibilità di esercitare il recesso nei contratti a efficacia traslativa, ovvero tutti quei contratti che producono come effetto il trasferimento della proprietà di un bene specifico o la costituzione o il trasferimento di un diritto reale su un bene determinato, in quanto è impossibile rendere compatibile l’immediata efficacia dell’atto con la necessità che il recesso intervenga anteriormente all’inizio

dell’esecuzione44

.

Infine, l’art. 1373 c.c. al terzo e quarto comma45, disciplina la possibilità delle

controparti di pattuire un corrispettivo, che può essere versato anticipatamente o al momento del recesso, il quale rappresenta un misto fra una sorta di prezzo da corrispondere per il recesso e un risarcimento per i danni causati dall’esercizio di tale diritto; nella seconda parte emerge invece il “carattere dispositivo” e quindi la derogabilità di alcune disposizioni, dal momento che le controparti possono stabilire che:

Il diritto di recesso anzichè avere efficacia ex nunc46, abbia efficacia

retroattiva;

 il diritto di recesso nei contratti ad esecuzione immediata sia esercitabile

anche dopo che il contratto sia stato in tutto o in parte eseguito.

In quest’ultimo caso, però, la dottrina proibisce la possibilità di ricorrere a questo diritto nei contratti ad effetti reali in cui il contratto abbia avuto totale o parziale

44

Così Balbi, Il contratto estimatorio, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, vol. VII, t. 2, Torino, 1960, p. 91; De Nova, Il recesso, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, vol. X, t. 2, Torino, 1982, p. 548; Bianca, Diritto civile, vol. III, Milano, 2000, p. 739, per i quali il limite del principio di esecuzione sarebbe pattiziamente derogabile proprio in forza del disposto dell'ultimo comma dell'art. 1373 cod. civ. .

45

v. nota n. (41)

46

Così anche la dottrina prevalente (cfr. D'Avanzo, cit., p. 1028 e Rubino, La compravendita, in Trat.dir.civ. e comm., dir. da Cicu-Messineo, vol. XXIII, Milano, 1971, p. 1079), anche se non mancano voci discordanti (Gabrielli-Padovini, cit., p. 39), secondo le quali occorrerebbe attribuire effetto retroattivo anche al recesso, perché solo la retroattività dello scioglimento del vincolo soddisferebbe in maniera compiuta le esigenze della parte cui il potere è attribuito.

(22)

23

esecuzione, mentre ritiene ammissibile l’apposizione di una condizione risolutiva

potestativa47.

2. Il recesso nei contratti di durata

Un problema che si è ampiamente posto il nostro legislatore è quello relativo alla tutela del consumatore nel caso di contratti di durata, ovvero quei contratti che regolano rapporti destinati a durare nel tempo, con una pluralità di prestazioni o

controprestazioni (come ad esempio il contratto di utenza telefonica)48.

Queste tipologie di contratti, infatti, se non correttamente tutelati possono portare a un continuo abuso di una situazione di vantaggio da parte di uno dei due contraenti, in quanto le condizioni pattuite inizialmente andranno a ripetersi in

futuro senza possibilità di cambiamenti49; inoltre, anche le risorse materiali ed

umane, piuttosto che essere spese in maniera ottimale nel mercato, rimarrebbero vincolate in virtù di un unico atto dispositivo, con la conseguente impossibilità di un uso più proficuo di tali risorse. Per evitare la possibilità di verificarsi di tali situazione, il Codice civile istituisce due strumenti per la tutela di questi contratti:

il termine finale massimo e il recesso legale50.

Il termine finale massimo rappresenta un vincolo essenziale per alcune tipologie

di contratti: il contratto di società di capitali51, la locazione52, il patto di non

concorrenza53; tale termine conclude il rapporto contrattuale.

Invece, il recesso legale è disposto dal legislatore per singole tipologie contrattuali.

47

http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-v/sezione-i/art1373.html. vedi nota n. (41)

48

In dottrina si parla, per queste ipotesi, di revoca ordinaria (Gabrielli-Padovini, cit., p. 27) o di revoca ad nutum (Sangiorgi, cit., p. 3). Dette ipotesi vengono contrapposte ai casi in cui il recesso presuppone una giusta causa (recesso straordinario).

49

C. MELLONE, Manuale di diritto privato, in http://www.dirittoprivatoinrete.it/INDEX.htm.

50 F.GALGANO, Il contratto, Padova, 2007, p. 472. 51

Art. 2328 c. c. n.13

52

Art. 1573 c. c.

(23)

24

È da notare, che questa tipologia di recesso sembrerebbe un po’ in contrasto con l’art. 1372 secondo il quale il contratto ha forza vincolante tra le parti; in realtà, questo, insieme al mutuo dissenso, rappresenta una tipologia di tutela a disposizione di un contraente, il quale può recedere anche senza aver sentito il parere della controparte, ma soltanto tramite atto unilaterale.

Quindi, il Codice civile prevede innanzitutto l’esercizio del recesso legale in quei contratti a durata indeterminata nel tempo, in applicazione del principio della non

perpetuità dei vincoli contrattuali54, ma anche per ragioni diverse dalla necessità

di evitare contratti di durata indeterminata, ovvero55: tutelare uno dei due

contraenti dal sopravvenire di condizioni contrattuali, emerse successivamente alla conclusione di quest’ultimo, che possano palesemente sfavorirlo; proteggere il contraente debole da determinate forme contrattuali

In entrambe queste situazioni, è evidente che il professionista non ha rispettato il principio di correttezza e buona fede nei contratti, sancito dal legislatore agli artt. 1337 c. c. 1366 c. c. e 1375 c. c.. In generale, è possibile ricondurre la previsione legislativa del recesso come strumento per l’attuazione di tale principio.

Infatti, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di recesso al contratto a tempo indeterminato, ricollegandolo strettamente al principio di buona fede,come

emerge da alcune sentenze della cassazione56:

54

Secondo questo principio, anche se la data di scadenza di un contratto non sia stata stabilita, i vincoli obbligatori che trovano fonte all’interno di esso non potrebbero essere perpetui, e le parti dovrebbero disporre di uno strumento giuridico, il recesso appunto, per porre ad essi termine.

55

R.GAROFALO, Recesso dal rapporto e tutela del lavoratore, 2010.

56

Il contenuto dell’art. 1372 c. c., per lungo tempo, ha portato la dottrina a ritenere che presupposto per l’esercizio del diritto di recesso unilaterale fosse la sua specifica previsione normativa o convenzionale. Poichè “il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause previste dalla legge”, si è pensato che nel nostro ordinamento vigesse un principio di “stabilità” del vincolo contrattuale. Vari autori si sono chiesti se il principio riguardasse i rapporti di durata, oppure i contratti ad esecuzione continuata o periodica e a tempo indeterminato e ne sono derivati due filoni dottrinali: uno negativo e l’altro positivo. Secondo la tesi negativa, i vincoli obbligatori perpetui sono contrari al principio di libertà dei contraenti. Da questo principio ne deriva, ad esempio, che un prestatore di lavoro non possa vincolarsi per sempre, ma possa interrompere il rapporto giuridico esercitando le dimissioni. Con l’entrata in vigore del Codice civile, questa tesi è stata consolidata e si è giunti a sostenere che i contratti di durata privi di termine sono sempre recedibili in virtù di un principio generale dell’ordinamento giuridico: quello della temporaneità dei vincoli contrattuali.

(24)

25

- “la corrispondenza al canone di buona fede dell’esercizio del diritto di recesso previsto in un contratto deve essere valutata nel contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, al fine di accertare se il recesso sia stato esercitato secondo modalità e tempi rispondenti ad un interesse del titolare meritevole di tutela piuttosto che al solo scopo di recare danno all’altra parte, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all’esatto adempimento delle rispettive prestazioni.”57

- “viene in rilievo l'ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all'un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell'interesse del partner negoziale.”58

- “L’irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto negoziale, non esclude ma anzi prevede un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l’esercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei principi espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza.”.59

La dottrina60 ha individuato delle sottocategorie di recesso legale, secondo la

funzione che l’istituto si presta a perseguire: il recesso determinativo (o ordinario) e il recesso straordinario.

Il recesso legale si definisce "determinativo" quando la legge accorda ad una o ad entrambe le parti contrattuali la possibilità di liberarsi dal vincolo assunto qualora non sia stato espressamente stabilito un termine finale o quando lo stesso non si

57 Cass. 16 ottobre 2003, n. 15482, in Foro.it, 2004, I, 1845. 58

Cass. civ. Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726. http://www.altalex.com/index.php?idnot=39123

59 Cass., 18 settembre 2009, n. 20106. http://www.altalex.com/index.php?idnot=48597 60 CIMMINO, Il recesso unilaterale del contratto, Padova, 2000, pp. 23 ss.

(25)

26

possa ricavare dalla natura o da altri elementi del contratto61; quello straordinario

comprende il recesso come mezzo d’impugnazione, in grado di determinare la risoluzione del contratto (per vizi sopravvenuti come: inadempimento, eccessiva onerosità o impossibilità sopravvenuta), l’annullamento (per vizi originari) e il recesso come ius poenitendi,ossia come diritto a pentirsi della regola contrattuale

precedentemente posta62. Alcuni esponenti della dottrina63, in merito a questa

ultima tipologia di recesso, si sono spesso interrogati sulla possibilità di ricondurre questo alla disciplina della risoluzione e dell’annullamento, in quanto questi istituti, soprattutto la risoluzione e il recesso straordinario, possiedono degli aspetti simili tra loro, ma rimangono comunque distinti da alcune caratteristiche proprie, in particolare perchè il recesso opera ex nunc e non ex

tunc.

Infine, altre sottocategorie del recesso che vengono individuate dalla nostra

dottrina64 sono: recesso iniziale65, che riguarda la tutela del contraente colto di

sorpresa, e il recesso di protezione66, che costituirebbe la facoltà di recedere dal

contratto attribuita al consumatore67

3. Il recesso determinativo

Questa tipologia di recesso è prevista dal legislatore nei contratti di durata indeterminata, in cui nè la legge nè l’autonomia contrattuale hanno stabilito un termine finale, con l’obiettivo di limitare la protrazione nel tempo del vincolo contrattuale stabilito in sede di conclusione dello stesso.

61 F. PAROLA, Il recesso determinativo di fonte legale, RIVISTA- Sintesi articolo, tratto da : Obbligazioni e

Contratti n. 3/2011 N. 3/2011

62

F.DELFINI, Il commercio elettronico, Padova 2004, p. 229, che richiama la distinzione di recesso determinativo, impugnatorio e penitenziale di G. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Giuffrè, p.1985.

63

S.CICOGNA, Recesso e figure affini, in Foro.it., 1997, II, p. 46.

64 DE NOVA, voce Recesso, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Torino, 1997, p. 318; DE NOVA, In Trattato di

diritto privato, vol. 10, III ec., Torino, p. 2004.

65

Si ritiene, in particolare, che la facoltà dell’acquirente di sciogliersi unilateralmente dal contratto, senza motivazione alcuna, entro il breve termine di dieci giorni dalla sua conclusione, costituisca espressione di quella forma di recesso, detta “iniziale” con il quale si attribuisce all’acquirente un periodo di valutazione supplementare in ordine alla bontà del vincolo negoziale.

66

Si parla di recesso di protezione nel caso in cui il contratto non contenga alcune informazioni espressamente richieste. In tal caso il potere di scioglimento unilaterale dal vincolo costituirebbe la reazione dell’acquirente sorpreso, cioè una sorta di autotutela contro la violazione degli obblighi di informazione gravanti sul venditore.

(26)

27

Questa tipologia di recesso, come ogni altro, non ha mai effetto retroattivo, non

richiede forme particolari, può essere sottoposto a condizione sospensiva68 e lo si

può trovare nei contratti come: la somministrazione69, il mandato70, il contratto di

agenzia a tempo indeterminato71, il contratto d’opera72, il contratto d’opera

intellettuale73, il contratto di affitto74, il contratto di lavoro75.

In tutti questi casi, la controparte che si ritenga danneggiata o che in ogni caso voglia sottrarsi al vincolo contrattuale, può in qualsiasi momento, previa concessione di un termine di preavviso, porre termine al rapporto, in applicazione del principio di buona fede nell’applicazione del contratto.

Quindi, caratteristica comune a tutte le figure di recesso determinativo è la subordinazione dell’esercizio del relativo potere alla preventiva comunicazione del preavviso, per la necessità di chi subisce la decisione altrui di trovare soluzioni alternative capaci di soddisfare quel bisogno che il rapporto oramai

esaurito era in grado di colmare.

Singolare, in merito a quest’ultimo punto, è stata nel 2009 la modalità con la quale il tribunale di Vicenza è intervenuto nella risoluzione di una controversia tra il Banco Popolare di Verona e Novara scarl e un individuo a favore del quale era stato concesso un mutuo dallo stesso istituto; nella sentenza il tribunale ha dichiarato che “Il recesso improvviso e senza preavviso dal contratto di mutuo da

parte della banca integra violazione del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, che costituisce espressione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, violazione che costituisce di per sé inadempimento fonte di risarcimento del danno” e quindi il recesso immediato

“deve ritenersi illegittimo, alla stregua di una prassi contraria alla correttezza

commerciale ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto.”76

68

In diritto si ha una condizione sospensiva quando gli effetti del negozio giuridico ad essa sottoposta non si producono immediatamente, ma solo qualora la condizione espressa si avveri.

69 Art. 1569 c.c. 70 Art. 1725, comma 2, c.c. 71 Art. 1750 c.c. 72 Art. 2227 c.c. 73 Art. 2237 c.c. 74 Art. 1616 c.c. 75 Art. 2118 c.c.

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