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Studio delle modificazioni post-traduzionali delle proteine indotte da palmitato in isole pancreatiche umane

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Academic year: 2021

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I

Abstract

pag. 1

Introduzione

pag. 3

1.

Il pancreas

pag. 4

1.1. Struttura del pancreas endocrino

pag. 6

2.

Fisiologia del pancreas endocrino

pag. 7

2.1. Normale funzionamento dell’omeostasi glicemica

pag. 8

2.2. Meccanismo fisiologico del rilascio dell’insulina

pag. 11

3.

Il diabete mellito

pag.14

3.1. Classificazione del diabete

pag. 14

3.2. Insulino resistenza

pag. 18

3.3. Disfunzione delle cellule β

pag. 19

3.4. Complicanze a lungo termine del diabete di tipo 2

pag. 20

3.5. Terapia farmacologica del diabete di tipo 2

pag. 20

3.5.1. Le sulfaniluree

pag. 20

3.5.2. Metformina

pag. 21

3.5.3. Tiazoledindioni

pag. 21

3.5.4. Agenti GLP-1 mimetici

pag. 21

3.6. Terapia insulinica

pag. 22

3.6.1. Analoghi insulinici di prima generazione:

Lispro, Aspart, Glulisine

pag. 23

3.6.2. Analoghi insulinici di seconda generazione:

Glargine e Deltemir

pag. 23

4.

Ruolo dei mitocondri

nell’omeostasi cellulare e nel diabete

pag. 24

4.1. Il ruolo energetico dei mitocondri

pag. 24

4.2. Le specie reattive dell’ossigeno (ROS)

pag. 25

4.3. L’apoptosi cellulare parte dal mitocondrio

pag. 26

(4)

II

4.5. Le deacetilasi mitocondriali: proteina SIRT3

pag. 28

4.6. Il progetto Mitochondrial Human Proteome Project

initiative (mt-HPP) ed il ruolo del mt-DNA nel diabete

pag. 28

4.7. Il ruolo del mitocondrio nel rilascio insulinico

pag. 29

5.

Gli acidi grassi nella cellula e loro ruolo

nello sviluppo del diabete

pag. 30

5.1. Le elongasi

pag. 30

5.2. Desaturasi

pag. 31

5.3. Formazione dei triacilgliceroli

pag. 31

6.

Reticolo Endoplasmatico (RE) e suo ruolo

nello sviluppo del diabete

pag. 31

6.1. PERK (Protein ER-kinase)

pag. 33

6.2. IRE1 (inositol requiring enzyme-1)

pag. 33

6.3. ATF6 activating transcription factor-6

pag. 34

6.4. Sfingosina

pag. 34

6.5. La ceramide

pag. 34

6.6. La sfingosina chinasi

pag. 35

6.7. I recettori per la sfingosina 1-fosfato (S1P)

pag. 36

7.

La risposta delle cellule β

delle isole pancreatiche al palmitato

pag. 36

7.1. I recettori per gli acidi grassi e il loro ruolo

nel rilascio insulinico

pag. 39

Scopo della tesi

pag. 40

Materiali e metodi

pag. 42

1.

Materiali e strumentazioni utilizzate

pag. 43

2.

Estrazione delle proteine totali

dalle cellule di isole pancreatiche umane

pag. 43

3.

Quantificazione delle proteine totali

dei campioni

pag. 44

(5)

III

4.1. Preparazione del campione all’isoelettrofocusing

pag. 47

4.2. Isoelettrofocusing

pag. 48

4.3. Equilibratura della strip per la seconda corsa elettroforetica

pag. 50

4.4. Seconda corsa elettroforetica SDS PAGE

pag. 50

5.

Western Blot

pag. 52

6.

Colorazione della membrana di nitrocellulosa

con coloranti fluorescenti: complessi del Rutenio (II)

pag. 54

7.

Immunoblot

pag. 55

7.1. Blocking dei siti aspecifici

pag. 55

7.2. Incubazione con l’anticorpo primario

pag. 56

7.3. Incubazione con l’anticorpo secondario

pag. 56

7.4. Lettura dei risultati

pag. 56

5.

Analisi dei risultati mediante il software

PROGENESIS SAME SPOT (TotalLab)

pag. 57

Risultati e discussione

pag. 58

(6)

1

Abstract

Il diabete mellito è una patologia che ad oggi colpisce una grande percentuale della popolazione mondiale. Secondo le stime dell’American Diabetes Association, gli individui colpiti negli USA nel 2012 sarebbero circa 29,1 milioni con tendenza all’aumento. Essendo una patologia cosiddetta “silente” molti sono i casi ancora non diagnosticati e molti sono i soggetti predisposti inconsapevoli di esserlo. Il diabete può essere suddiviso in 2 tipi: il diabete di tipo 1 che è caratterizzato da ridotta secrezione insulinica da parte delle isole pancreatiche o di Langherhans ed il diabete di tipo 2 il quale è caratterizzato dalla progressiva carenza di sensibilità dei tessuti all’insulina e/o dalla progressiva diminuzione della secrezione di insulina da parte delle cellule  delle isole.

Nel nostro studio ci siamo focalizzati principalmente sul diabete di tipo 2. Una delle principali cause di sviluppo di questa patologia è l’obesità. Infatti le persone obese, o meglio le persone con la cosiddetta “sindrome metabolica”, sviluppano, più o meno velocemente, la patologia diabetica oltre ad altri problemi a carico del sistema cardiocircolatorio.

La presente tesi prende in esame l’effetto palmitato, un acido grasso a 16 atomi di carbonio, abbondante a livello ematico nei pazienti obesi che notoriamente è tossico per le cellule. Lo studio è stato effettuato addizionando palmitato al mezzo di coltura di isole di Langherhans e quindi valutando i sui effetti a livello molecolare. L’analisi è stata eseguita effettuando un’elettroforesi bidimensionale delle proteine totali delle cellule insulari. Successivamente è stato effettuato un immunoblot dei gels e sono stati identificate le proteine acetilate utilizzando un anticorpo che riconosce le lisine modificate. Dai risultati è evidente come l’incubazione con palmitato modifichi il

pattern di acetilazione delle proteine cellulari ed in particolare di quelle mitocondriali.

Le modificazioni post-traduzionali delle proteine implicano variazioni delle loro funzioni e questo ci fa ipotizzare che il palmitato induca le note alterazioni cellulari fino all’eventuale apotosi attraverso questi effetti a livello molecolare. In particolare, risultano essere acetilate dopo esposizione delle cellule all’acido grasso, la glutammato deidrogenasi, la superossido dismutasi (SOD), la Sterol regulatory element-binding

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2

qualche modo legate al processo di secrezione insulinica ed anche a processi che possono indurre l’apoptosi cellulare.

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Capitolo 1

(9)

4

1.

Il pancreas

Il pancreas è una ghiandola situata nella parte superiore dell’addome; si trova davanti la colonna vertebrale all’altezza della I e II vertebra lombare, dietro lo stomaco, tra la milza a sinistra e il duodeno a destra (Figura 1). Risulta essere molto simile alle ghiandole salivari, sia per le caratteristiche macroscopiche che microscopiche e per questo viene anche definita ghiandola salivare addominale. Questa ghiandola è collegata con il duodeno attraverso il dotto pancreatico. Attraverso questo collegamento, essa riversa il succo pancreatico, il suo secreto esocrino, nel duodeno. Le dimensioni ed il peso di questa ghiandola sono molto variabili da individuo a individuo, tuttavia risulta essere più grande nell’uomo che nella donna. Il suo volume aumenta gradualmente fino a 40 anni, per diminuire a partire dai 50 anni e subire allora, più o meno rapidamente atrofia senile.

Essendo una ghiandola, il pancreas tende ad assumere la forma degli organi vicini e per questo non si può dare, da un punto di vista anatomico, una perfetta definizione di forma. Comunque possiamo definirlo come un organo allungato in senso trasversale, appiattito in senso antero-posteriore, più voluminoso a destra che a sinistra.

(10)

5

Questa ghiandola può essere suddivisa in tre parti fondamentali: la testa, il corpo e la

coda. Esiste una linea fisica che demarca la separazione tra corpo e testa che viene

chiamata collo o istmo.

Il pancreas possiede due dotti principali: il dotto pancreatico principale (di Wirsung) ed il dotto pancreatico accessorio. Il principale percorre il pancreas dalla coda alla testa decorrendo lungo l’asse maggiore della ghiandola. Arrivato alla testa fuoriesce e, decorrendo insieme al coledoco va a terminare nella papilla duodenale maggiore a livello del duodeno. Il dotto accessorio invece, è lungo solo 5-6 cm e decorre nella parte superiore della testa del pancreas. Da qui prosegue il suo cammino per andare a sboccare circa 2-3 cm superiormente alla papilla duodenale maggiore formando la papilla duodenale minore.

Il pancreas strutturalmente è costituito da due ghiandole, compenetrate tra di loro, differenti per struttura e funzione. La maggior parte della sua struttura costituisce il pancreas propriamente detto. Questa è una ghiandola a secrezione esocrina che riversa nel duodeno il succo pancreatico, una sostanza fondamentale per la digestione degli

alimenti. Questa parte si organizza in lobi, a loro volta costituiti da lobuli i quali sono formati da strutture più piccole definite cellule acinose.

(11)

6

Alla prima parte si associa una ghiandola endocrina rappresentata da piccoli corpuscoli epiteliali sparsi tra i lobuli pancreatici, detti isole pancreatiche (o isolotti di Langerhans). Queste piccole formazioni producono sostanze che, riversate nel sangue, svolgono un’importante funzione nell’omeostasi del glucosio e nel metabolismo degli zuccheri (Figura 2).

1.1. Struttura del pancreas endocrino

Le isole di Langerhans sono ammassi di cellule endocrine disseminate in tutta la struttura del pancreas. Esse sono visibili come delle piccole formazioni rotondeggianti od ovali, particolarmente abbondanti soprattutto nella coda della ghiandola.

La separazione degli isolotti dal circostante tessuto ghiandolare è a carico di un sottile strato connettivale che si continua con lo stroma reticolare associato ai capillari. Le cellule che compongono le isole sono di forma poliedrica e sono distinguibili dalle cellule acinose adiacenti tramite tecniche di colorazione e di microscopia elettronica. Inoltre per queste cellule è possibile anche una distinzione in: cellule α, cellule β, cellule

δ ed infine cellule PP (Figura 3).

Le cellule α rappresentano circa il 20% delle cellule delle isole, nelle quali si ritrovano sparse. Contengono granulazioni citoplasmatiche colorabili in nero con alcuni metodi di impregnazione argentica, solubili in acqua ed insolubili in alcol. Le cellule α producono glucagone, un ormone polipeptidico che produce, come effetto finale, l’aumento della glicemia. Spesso associate a fibre nervose, le cellule rispondono a stimolazione simpatica ed alla somministrazione di farmaci simpatico-mimetici.

Le cellule β sono le più numerose arrivando a rappresentare circa il 75-80 % delle cellule insulari. Queste sono ricche in granuli colorabili con l’ematossilina, ma non con

Figura 3: Isole pancreariche

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7

la colorazione argentica. Tali granuli sono riempiti di insulina variamente complessata con ioni Zn++, un’ormone, che se rilasciato, produce un abbassamento della glicemia.

Le cellule δ rappresentano la percentuale minore delle cellule delle isole pancreatiche, appena il 5%. Presentano dei granuli citoplasmatici molto simili a quelli delle cellule α in quanto anche questi sono positivi alla colorazione argentica. Nei granuli di queste cellule è contenuta la somatostatina, un ormone che se rilasciato, agisce come regolatore dei primi due ormoni.

Le cellule PP rappresentano il 10-35% di tutto il volume insulare. Di norma sono disposte nella parte periferica delle isole, quasi a contatto con il tessuto connettivo che le separa dalle cellule acinose. Queste cellule producono il cosiddetto polipeptide pancreatico, un ormone che svolge, come la somatostatina, una regolazione dell’azione degli altri ormoni pancreatici.

Il pancreas è una ghiandola riccamente vascolarizzata. La vascolarizzazione proviene dai rami dell’arteria celiaca e da rami dell’arteria mesenterica superiore oltre che dall’irrorazione da parte dell’arteria splenica. Il sistema venoso derivante dal pancreas, defluisce completamente nel sistema portale (1).

Oltre ad essere riccamente vascolarizzato, è anche molto ben innervato. Le vie afferenti decorrono lungo i nervi splancnici mentre le vie efferenti sono sotto il controllo del nervo vago.

Questi due caratteristiche anatomiche sono molto importanti per la sua attività endocrina. Infatti gli ormoni rilasciati dal pancreas riescono subito ad entrare in circolo grazie all’importante irrorazione e contemporaneamente, la buona innervazione consente un agevole controllo del rilascio da parte del sistema nervoso autonomo (2).

2.

Fisiologia del pancreas endocrino

Il pancreas endocrino ricopre un’importante funzione di controllo del metabolismo degli zuccheri, ma anche delle proteine e dei lipidi grazie alla secrezione dei suoi ormoni principali: insulina e glucagone. A questi si aggiungono la secrezione di somatostatina e di PP che svolgono, in prima approssimazione, una funzione regolatoria. Le insule sono in diretto contatto con le cellule degli acini che le circondano e con i capillari ematici: tale struttura anatomica rende capaci le cellule che producono gli ormoni di interagire in modo stretto con le cellule che producono le principali secrezioni digestive,

(13)

8

partecipando nella regolazione della funzione pancreatica esocrina e nel metabolismo dei nutrienti assorbiti (asse insulo-acinare).

2.1. Normale funzionamento dell’omeostasi glicemica

La glicemia, in condizioni normali, è strettamente regolata intorno a valori di circa 4,5 mM secondo tre processi principali: la produzione di glucosio nel fegato, l’assorbimento di glucosio da parte dei tessuti periferici e la secrezione di ormoni pancreatici.

L’insulina viene secreta in risposta ad un aumento di glicemia. Infatti dopo un pasto abbondante di carboidrati, per esempio, il livello glicemico sale vertiginosamente. Di conseguenza essa viene rilasciata dalle cellule β pancreatiche. L’insulina ora in circolo, agisce principalmente su tre distretti attraverso l’attivazione di recettori di membrana: tessuto muscolare, tessuto adiposo e fegato (Figura 4).

Sul tessuto muscolare, essa agisce aumentando l’entrata del glucosio all’interno della cellula, incrementando la sua trasformazione in glucosio 6-fosfato da parte della esochinasi (3).

Nel fegato attiva la glicogeno sintasi e inattiva la glicogeno fosforilasi, con l’obiettivo di aumentare la quantità di questo polisaccaride di riserva e di diminuirne la sua degradazione. Qui, oltre a stimolare l’entrata del glucosio nella cellula, l’insulina favorisce la via glicolitica per la produzione di piruvato ed incrementa la produzione da quest’ultimo di acetil-CoA. L’acetil-CoA viene usato in questo distretto come base per

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9

la sintesi di acidi grassi che verranno poi trasferiti negli adipociti come trigliceridi legati alle lipoproteine plasmatiche (VLDL).

Gli adipociti, come risposta all’insulina, aumentano l’assorbimento di glucosio e la produzione e rilascio dei trigliceridi.

Il glucagone viene secreto quando i livelli di glicemia scendono sotto la soglia normale. In queste condizioni il rilascio di insulina si interrompe e la contemporanea liberazione di glucagone dalle cellule α genera l’aumento della concentrazione ematica di glucosio attraverso varie vie alternative (Figura 5).

A livello del fegato, il glucagone stimola la demolizione del glicogeno epatico attraverso l’attivazione della glicogeno fosforilasi e la contemporanea inattivazione della glicogeno sintasi. Entrambi gli effetti avvengono attraverso un meccanismo di segnalazione legato all’cAMP che terminano nella fosforilazione degli enzimi chiave che sono così attivati od inattivati. Sempre nel fegato il glucagone stimola la gluconeogenesi ed inibisce le vie degradative del glucosio come la glicolisi. Questi effetti portano alla liberazione di glucosio che entra in circolo.

Bersagli secondari dell’azione del glucagone sono anche gli adipociti, i quali sono stimolati a degradare i triacilgliceroli attraverso una azione mediata ugualmente dal cAMP. L’aumento di cAMP all’interno di queste cellule provoca l’attivazione, mediante fosforilazione, della perilipina e della triacilglicerolo lipasi. La liberazione di acidi grassi da parte degli adipociti, fa aumentare l’azione degradativa degli stessi nel

(15)

10

fegato e quindi, considerato che la cellula si trova in una condizione di eccesso energetico, essa genera un aumento del glucosio in circolo mediante gluconeogenesi. Il polipeptide pancreatico (PP) è un peptide di 36 amminoacidi sintetizzato ed escreto dalle cellule PP del pancreas di peso molecolare 4,2 kDa. La struttura del PP si compone di varie parti che, partendo dall’estremità ammino terminale sono: un’elica di poli-prolina, un ripiegamento β, un’α elica ed infine un esa-peptide terminale. Proprio in quest’ultima sequenza risiede la sua attività biologica che necessita anche dell’amidazione del gruppo carbossilico terminale per poter essere espletata. L’analisi immunogenica ed immunoistochimica del pancreas ha mostrato come i globuli di PP risultino essere molto elettron-densi, più grandi rispetto a quelli degli altri ormoni pancreatici ed infine disposti nella parte periferica delle isole di Langerhans. Il polipeptide pancreatico viene rilasciato dalle cellule pancreatiche a seguito dell’ingestione di cibo, con un picco che si osserva 15-30 min dopo il pasto seguito da una fase di lenta secrezione che continua per le successive 4-5 h. Il PP ha un’emivita molto breve di circa 6 min, con la sua metabolizzazione negli stessi letti capillari. I processi che portano alla secrezione dell’ormone PP sono sia legati all’ingestione di cibo (le proteine sono lo stimolo più forte per la secrezione, seguito dai grassi e dagli zuccheri), ma anche alla stimolazione del nervo vago. Un altro stimolo che genera il rilascio del PP è la stimolazione degli ormoni gastrici. Il rilascio di PP è invece inibito dalla somatostatina.

Gli effetti biologici che seguono il rilascio del PP non sono del tutto chiari. Appaiono evidenti gli effetti di questa sostanza sul tratto gastrointestinale, dove aumenta la motilità gastrica, diminuisce il tempo di svuotamento gastrico, aumenta la peristalsi intestinale e soprattutto quella del colon. Gli effetti del PP sul metabolismo invece, includono un leggero aumento della secrezione basale di insulina e la diminuzione dell’insulino resistenza epatica nei pazienti che ne sono affetti.

E’ stato evidenziato (4) come il PP risulta essere associato alla sensazione di sazietà. Infatti le osservazioni su pazienti affetti dalla sindrome di Prader-Willi, hanno dimostrato come la somministrazione di PP riducesse il loro appetito e li facesse sent ire sazi. Evidenze sperimentali (4) su topi geneticamente obesi (ob/ob), hanno evidenziato come la somministrazione di PP generasse una riduzione della necessità di assumere cibo con il contemporaneo aumento del consumo energetico da parte dell’organismo.

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11

Recentemente (4) sono anche stati evidenziati recettori per il PP nei nuclei ipotalamici. Questo lascia pensare che la sensazione di sazietà causata da PP sia generata sia a livello centrale che periferico. Sono stati evidenziati (4) 4 sottotipi di membrana per PP, denominati Y1-4. Tutti appartengono alla famiglia dei GPCRs accoppiati a proteine Gi.

L’azione finale del PP sul pancreas esocrino è quella di ridurre tutte le sue secrezioni. Molti sono stati gli studi compiuti per evidenziare come questa azione potesse essere svolta. Dalle conclusioni che sono state tratte, si pensa che il meccanismo risieda a livello centrale (20).

La somatostatina è un ormone peptidico a struttura ciclica, formato da 14 amminoacidi, sintetizzato dall’ipotalamo, dal pancreas, dalla mucosa gastroduodenale, dalla tiroide e, in minor misura, da altre formazioni ghiandolari come le ghiandole salivari. L’attività biologica della somatostatina risiede nella sua capacità di inibire la secrezione ipofisaria della somatotropina. Come molti altri peptidi biologicamente attivi, deriva da un precursore a maggior peso molecolare, che va incontro a successive degradazioni proteolitiche. Nell’uomo, questo peptide, oltre a inibire la produzione di somatotropina, ha un effetto inibitorio sulle secrezioni pancreatiche di insulina e glucagone, sulla motilità e l’assorbimento intestinale, sul flusso ematico del circolo splancnico e sulla secrezione di colecistochinina, e gastrina (35).

2.2. Meccanismo fisiologico del rilascio dell’insulina

L’insulina è una proteina, formata da 51 amminoacidi (21 nella catena A e 30 nella catena B) rilasciata dalle cellule  delle isole pancreatiche a seguito di elevate concentrazioni di glucosio ematico. Il gene dell’insulina è composto da quattro esoni e due introni. Il primo peptide sintetizzato dalla cellula è la preproinsulina, un pro-ormone di peso molecolare di 1.150 Da che contiene una sequenza denominata peptide segnale, la quale ne permette l’indirizzamento verso il reticolo endoplasmatico. La struttura della preproinsulina è formata, a partire dall’estremità N-terminale dal peptide segnale, dalla catena B, dalla catena C ed infine dalla catena A. Una volta giunto nel RE, il taglio del peptide segnale trasforma le preproinsulina in proinsulina, la quale viene quindi indirizzata nell’apparato del Golgi ed è impacchettata in vescicole. L’ultimo passaggio, ossia il taglio del peptide C, insieme alla formazione dei due ponti disolfuro tra la catena A e B, permette la completa maturazione dell’insulina. L’ormone ora racchiuso

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nelle vescicole di trasporto viene complessato con un atomo di zinco, ed è pronto per essere rilasciato nel torrente ematico (3) (Figura 6).

Gli eventi che portano alla secrezione di insulina avvengono immediatamente a seguito del superamento della soglia omeostatica del glucosio nell’organismo. Il glucosio, essendo nel circolo ematico, viene trasportato in tutte le cellule tra cui anche quelle β pancreatiche. Il trasporto in queste cellule avviene ad opera del trasportatore GLUT 2. Una volta trasportato all’interno della cellula, l’enzima esochinasi IV (glucochinasi) lo trasforma in glucosio 6-fosfato, facendolo così entrare nel ciclo glicolitico. La conseguenza di un aumento del processo glicolitico genera un incremento della concentrazione di ATP il quale porta alla chiusura dei canali per il K+ ATP-dipendenti presenti sulla membrana plasmatica. Il ridotto efflusso di K+ dalla membrana produce una depolarizzazione della stessa causando l’apertura dei canali per il Ca2+ voltaggio dipendenti. L’aumento della concentrazione degli ioni calcio all’interno del citoplasma, promuove la fusione delle vescicole di accumulo dell’insulina con la membrana plasmatica, generando in definitiva, il suo rilascio nel circolo sanguigno. Un semplice meccanismo di feed-back negativo riduce il rilascio della stessa: l’insulina causa l’abbassamento del glucosio ematico che si ripercuote nella diminuzione della velocità della via glicolitica in tutte le cellule, comprese quelle β pancreatiche, interrompendo così tutto il processo (5).

Il processo su descritto si attiva anche a seguito di aumento della concentrazione di altri nutrienti nella cellula. Per esempio un’elevata concentrazione di amminoacidi, può generare un aumento del metabolismo cellulare e quindi innalzare a quantità di ATP citoplasmatico. Come visto prima, questo porta alla chiusura dei canali per il K+ e così

via, fino alla secrezione di insulina.

Figura 6: Processo di maturazione dell’insulina

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13

Una via secondaria, mediata da recettori che portano a processi di secrezione insulinica è la via del cAMP. Sulle cellule β pancreatiche sono presenti sia recettori α che recettori β adrenergici: l’attivazione di questi recettori presenta due effetti differenti sulla secrezione insulinica. L’attivazione dei recettori β adrenergici, essendo legati a delle vie di segnalazione che portano all’attivazione di proteine Gs, aumentano il cAMP cellulare

e quindi attivano la PKA. L’attivazione di questa chinasi, porta alla fosforilazione dei canali del Ca2+ voltaggio dipendenti, aumentando la concentrazione cellulare di questo ione e portando al rilascio insulinico. I recettori α2 invece, attivano delle proteine Gi che

riducono la secrezione insulinica tramite la diminuzione della concentrazione del cAMP nella cellula e della conseguente inattivazione della proteina chinasi A (PKA) (6,7).

Un’altra via alternativa è la via colinergica. L’attivazione di recettori colinergici di membrana, determina l’innesco della via della fosfolipasi C. Quest’ultima a partire da fosfolipidi di membrana catalizza la formazione del fosfatilinositolo 4,5 difosfato (PIP2), il quale scindendosi produce inositolo 3-fosfato e diacilglicerolo. Il

diacilglicerolo attiva una PKC che determina la fusione delle vescicole di membrana, mentre l’IP3 provoca l’aumento della concentrazione del Ca2+ citoplasmatico causando

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14

l’apertura di canali sul RE. Come visto precedentemente, l’aumento della concentrazione del Ca2+ citoplasmatico genera il rilascio di insulina (Figura 7).

3. Il diabete mellito

Il diabete mellito viene considerato più che una singola patologia, un insieme di disordini metabolici che portano alla stessa conseguenza ossia l’iperglicemia. L’iperglicemia, se si verifica per periodi prolungati di tempo può avere effetti nefasti su molti organi tra cui reni, sistema visivo, nervi e vasi sanguigni portando lentamente e silenziosamente il paziente a conseguenze molto gravi fino alla morte. Ad oggi secondo stime dell’American Diabetes Association, circa 20 milioni di adulti e bambini soffrono di questa patologia e circa un terzo di loro non sa neppure di averla. Ogni anno negli Stati Uniti vengono diagnosticati circa 1,5 milioni di nuovi casi ed il diabete si pone al primo posto tra le cause di insufficienza renale, cecità negli adulti, ed amputazioni non traumatiche degli arti inferiori.

3.1. Classificazione del diabete

Il diabete si classifica in due categorie: il diabete mellito di tipo 1 ed il diabete mellito di tipo 2.

Il diabete di tipo 1 è un diabete che insorge fin dai primi anni di vita diventando sempre più grave con il passare degli anni. E’ una patologia a carattere autoimmune nella quale si configura una mancanza della secrezione insulinica a causa della distruzione delle cellule pancreatiche. L’incidenza di questo tipo di diabete è di circa il 10% dei casi. L’unica terapia possibile, fin da subito, consiste nella somministrazione di insulina, alla quale può seguire il trapianto di pancreas (8).

Il diabete di tipo 2 è un diabete che di norma compare nella popolazione più anziana (30-70 anni) anche se recenti studi epidemiologici hanno dimostrato come la sua incidenza stia aumentando anche nella popolazione in età adolescenziale (9). La caratteristica di questo tipo di diabete è la carenza di una risposta all’insulina da parte degli organi ed una inadeguata compensazione della sua secrezione da parte delle cellule β. Il diabete di tipo 2 copre circa l’80-90% dei casi di diabete mellito. Guardando i recenti dati pubblicati dall’ World Health Organization (10), i numeri dei pazienti affetti da diabete sono aumentati da 108 milioni negli anni ’80 a 422 milioni nel 2014, e l’aumento è rappresentato principalmente da casi di diabete di tipo 2. L’incidenza del

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diabete di tipo 2, negli ultimi 30 anni è aumentata vertiginosamente nei paesi in via di sviluppo, mentre nei paesi già sviluppati l’aumento è avvenuto in maniera meno marcata e veloce. Questa tendenza è confermata dal fatto che l’instaurarsi delle abitudini non salutari nei paesi in via di sviluppo va di pari passo all’insorgenza della patologia diabetica, la quale è la conseguenza di obesità e di stile di vita sedentario. Recentemente, l’American Diabetes Association, ha evidenziato una nuova tendenza all’insorgenza del diabete di tipo 2 nei ragazzi sotto i 20 anni di età. I numeri di questa tendenza sono allarmanti in quanto circa 3600 nuovi casi di diabete di tipo 2 vengono diagnosticati ogni anno nella popolazione adolescenziale americana. Dalle proiezioni pubblicate dall’American Diabetes Association, si stima che nel 2050 i casi di diabete di tipo 2 diagnosticati nella popolazione adolescenziale potranno aumentare fino a coprire

Figura 8:

Stime epidemiologiche sul Diabete Mellito. Fonte International Diabetes Foundation

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16

il 45% di tale popolazione. Le cause dell’aumento del diabete di tipo 2 negli adolescenti sono principalmente l’obesità adolescenziale che fa seguito ad abitudini alimentari sbagliate e stile di vita sedentario (Figura 8).

I fattori che più generalmente portano all’insorgenza della malattia sono numerosi. Tra i principali troviamo i fattori ambientali, come la vita sedentaria ed abitudini alimentari sbagliate ed anche fattori genetici. La dipendenza della malattia dai fattori genetici è evidenziata da studi condotti su gemelli omo ed eterozigoti. Recentemente sono stati scoperti anche dei geni specifici responsabili alla predisposizione al diabete di tipo 2. Uno studio pubblicato lo scorso gennaio da Minako Imamura et al. (11) sulla popolazione giapponese, ha mostrato come i loci collegati alla suscettibilità per il diabete di tipo 2 siano 80; tra tutti questi, tuttavia, solo 7 possono essere correlati ad una predisposizione alla patologia diabetica. I polimorfismi a singolo nucleotide, SNPs, che sembrano essere legati ad una predisposizione sono: rs1116357 vicino al gene CCDC85A sul cromosoma 2, rs147538848 vicino il gene FAM60A presente sul cromosoma 12, rs1575972 vicino il gene DMRTA1 sul cromosoma 9, rs9309245 vicino al gene ASB3 sul cromosoma 2, rs67156297 vicino al gene ATP8B2 sul cromosoma 1, rs7107784 vicino al gene MIR4686 sul cromosoma 11 ed infine rs67839313 vicino al gene INAFM2 sul cromosoma 15. Un’indagine condotta, su popolazioni di altre etnie, ha mostrato come i polimorfismi che generano una predisposizione sono invece solamente 4. Nonostante queste recenti evidenze ed altri studi precedenti, tuttavia le informazioni al riguardo sono ancora poche e molti dovranno essere gli sforzi da compiere, per ottenere una relazione tra diabete e predisposizione genetica.

Oltre ai fattori genetici, come citato precedentemente, all’insorgenza del diabete concorrono anche fattori ambientali e l’obesità. In generale possiamo dire che gli individui più predisposti allo sviluppo del diabete sono i soggetti con la cosiddetta sindrome metabolica (12). Si iniziò a parlare di sindrome metabolica già nel 1920 quando Kylin la descrisse come la contemporanea presenza in un paziente di ipertensione, ipertrigliceridemia e gotta. Da allora le definizioni sono state modificate ed ampliate anche grazie alle scoperte che via via venivano fatte, fino a definirla ai giorni nostri come una serie di condizioni cliniche che, se presenti contemporaneamente, generano un elevato rischio cardiovascolare ed un’elevata predisposizione all’insorgenza del diabete di tipo 2. Da un punto di vista medico, risulta essere di fondamentale importanza la classificazione dei soggetti colpiti poiché, in

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17

questo modo possono essere attuati tutti quei protocolli terapeutici che permettono di limitare le conseguenze che derivano da questa sindrome. I principali parametri che permettono di definire un paziente affetto dalla sindrome metabolica sono: distribuzione anomala del grasso corporeo soprattutto nella regione addominale (cosiddetta obesità viscerale), Indice di Massa Corporeo (BMI) fuori norma, resistenza insulinica, dislipidemie con aumento dei trigliceridi e delle LDL e contemporanea riduzione delle proteine HDL e delle apolipoproteine (ApoA), pressione sanguigna fuori norma. Molto importante nello studio della sindrome metabolica, risulta essere il suo controllo a livello della popolazione pediatrica (13). Infatti, in accordo con dati statistici, l’obesità infantile è in rapida crescita e risulta essere molte volte associata alla sindrome metabolica.

I sintomi del diabete di tipo 2 sono principalmente:

 Poliuria, un aumento del volume escreto di urine

 Polidipsia, forte sensazione di sete che determina l’assunzione di elevate quantità di liquidi

 Sensazione di pelle secca,

 Lenta guarigione delle ferite.

Tutto sommato il diabete di tipo 2 risulta essere una patologia silente e poche persone si rendono subito conto di esserne affetti ed intraprendono una terapia. E’ di grande importanza, il controllo periodico della glicemia, soprattutto in quei soggetti che sono predisposti allo sviluppo di questa patologia. Rientrano in questa categoria tutte quelle persone che per stile di vita sedentario, dieta ricca di grassi e/o predisposizione genetica sanno di poter essere a rischio di diabete. A questa categoria si aggiungono tutti coloro che posseggono un alterato metabolismo del glucosio. Un primo tipo di soggetti denominato IFG (Impaired Fasting Glycaemia) risulta avere una glicemia superiore al limite normale di 100 mg/dL a digiuno. Questi soggetti, definiti pre-diabetici, a seguito di carico orale di glucosio non presentano, tuttavia, una glicemia superiore ai limiti fisiologici dopo due ore dall’assunzione (140 mg/dL). Nonostante questo, i soggetti pre-diabetici sono molto sensibili allo sviluppo del diabete ed è consigliabile per essi un controllo periodico. Oltre a questa categoria distinguiamo i soggetti IGT (Impaired Glucose Tolerance) i quali normalmente presentano dei valori normali di glicemia a digiuno, ma a seguito di carico orale dopo due ore dal trattamento, essi risultano avere

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dei valori della glicemia superiori al normale. Questi soggetti possono essere già considerati diabetici e devono iniziare già da subito la terapia.

Un altro marker clinico che è importante tenere sotto controllo è l’emoglobina glicata (HbA1C). Quest’ultimo ci può dare un’idea dell’esposizione ad elevate concentrazioni di glucosio nell’arco di tempo che va dai 2 ai 4 mesi ossia il tempo del turnover dell’emoglobina.

3.2. Insulino resistenza

Si definisce insulino resistenza, l’incapacità dei tessuti target di rispondere normalmente all’insulina. Il principale fattore che genera il problema dell’insulino resistenza rimane, ad oggi, l’obesità. Spesso con la cosiddetta obesità viscerale, un accumulo di grasso nella sezione addominale, aumentano i rischi di insulino resistenza e quindi di sviluppare un diabete di tipo 2. I rischi aumentano se le abitudini di vita e l’alimentazione non vengono modificate repentinamente, predisponendo il paziente anche a danni più immediati come l’infarto al miocardio e l’arteriosclerosi. In generale, è stato determinato come il rischio di diabete aumenti con l’aumentare dell’indice di massa corporeo, insieme al problema dell’insulino resistenza. Anche se il legame tra grasso ed insulina rimane ancora oggi fonte di studio, alcuni collegamenti iniziano ad essere chiari come ad esempio (14):

 Ruolo dell’eccesso di acidi grassi

E’ stato dimostrato come ci sia un andamento inverso tra aumento repentino di acidi grassi liberi nel sangue e sensitività all’insulina da parte dei tessuti. I trigliceridi intracellulari, soprattutto nei muscoli e nel fegato, di norma aumentano nelle persone obese. I prodotti di degradazione e gli stessi acidi grassi risultano essere dei potenti inibitori della segnalazione insulinica.

 Ruolo dell’infiammazione

Anche l’infiammazione è un fattore di rischio per lo sviluppo del diabete di tipo 2. Infatti in un ambiente pro-infiammatorio, aumenta sia il rischio di insulino resistenza nei tessuti periferici sia il rischio di perdita di funzionalità delle cellule β. Infatti l’eccesso di FFA (Free Fatty Acid) all’interno di macrofagi e di cellule β può attivare i cosiddetti infiammasomi, complessi multiproteici citoplasmatici, che portano alla produzione di citochine ed interleuchine come IL-1β. Queste sostanze pro infiammatorie possono agire sia a livello periferico

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come inibitori della segnalazione insulinica e sia a livello delle isole pancreatiche ove inibiscono la produzione della stessa.

 Ruolo delle adipochine

Le adipochine sono delle sostanze con funzione endocrina che vengono rilasciate dagli adipociti a seguito di stimoli derivati dalle cellule o cambiamenti metabolici. L’eccesso di acidi grassi circolanti genera la produzione di queste sostanze da parte degli adipociti, le quali promuovono la produzione di IF-1β dopo numerosi passaggi intermedi. L’ IF-1β, come abbiamo visto, è legato al fenomeno dell’insulino resistenza. La produzione da parte degli adipociti di adiponectina invece, riduce questo effetto portando alla modulazione della risposta infiammatoria.

 Ruolo dei recettori γ attivatori della proliferazione perossisomiale (PPARγ) Il recettore PPARγ è un recettore nucleare espresso nel tessuto adiposo che gioca un ruolo importante nella differenziazione degli adipociti. Infatti una classe di farmaci, i tiazoledindioni, agisce come agonista per questi recettori, stimolando la proliferazione degli adipociti ed evitando la deposizione di grassi nel fegato e nei muscoli. Inoltre il PPARγ evita il fenomeno della desensibilizzazione dei tessuti periferici all’insulina. Oltre a ridurre questo fenomeno, i farmaci attivatori del PPARγ, aumentano la captazione del glucosio da parte delle cellule diminuendo la glicemia. Da studi recenti (15), è emerso che lo sviluppo di diabete nei pazienti obesi è legato ad un fenomeno di fosforilazione del recettore PPARγ. La fosforilazione di questo recettore sul sito Ser273, è operata sia dall’enzima Cdk5 che dall’enzima ERK entrambi presenti nel tessuto adiposo. Questi enzimi possono essere sfruttati come bersaglio per produrre in futuro nuovi farmaci antidiabetici.

3.3. Disfunzione delle cellule β

Per disfunzione delle cellule β, si intende la progressiva perdita di capacità delle cellule pancreatiche di aumentare il rilascio di insulina a seguito della carenza di sensibilità dei tessuti periferici alla stessa.

Quando le cellule dei tessuti periferici risultano meno sensibili all’insulina, le cellule β pancreatiche per alcuni anni riescono a sopperire alla carenza di sensibilità aumentando la secrezione di insulina. Successivamente, l’apporto insulinico di queste cellule diviene

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inadeguato, portando progressivamente allo sviluppo del diabete ed alla perdita di cellule beta. Non si conosce ancora il motivo di questa perdita ma, un possibile meccanismo legato all’obesità, può iniziare dall’accumulo di nutrienti, come acidi grassi, nelle cellule β. Questo accumulo tende a far produrre a queste cellule numerose citochine proinfiammatorie le quali, a loro volta, tendono a richiamare macrofagi e linfociti T nell’area (14). L’ambiente infiammatorio nel quale le isole si trovano, porta inesorabilmente alla morte delle cellule. Infatti in numerosi diabetici, nelle isole pancreatiche si può trovare della sostanza amiloide che rimpiazza le cellule ormai morte. Questa sostanza viene secreta dalle cellule β sofferenti e, come l’eccesso di nutrienti, essa stessa favorisce l’infiammazione.

3.4. Complicanze a lungo termine del diabete di tipo 2

Le complicanze, che elevati livelli glicemici mantenuti per lungo tempo, possono causare sono numerose. Le principali risultano essere:

 Macroangiopatie e microangiopatie

 Retinopatia, cataratta e glaucoma

 Ipertensione

 Aumento del rischio di infarto al miocardio

 Arteriosclerosi

 Perdita delle cellule β pancreatiche

 Nefropatia

 Neuropatia periferica

 Piede diabetico (con aumento della possibilità di infezioni periferiche)

3.5. Terapia farmacologica del diabete di tipo 2

3.5.1 Le sulfaniluree

Le sulfaniluree stimolano il rilascio di insulina legandosi ad uno specifico sito sui canali KATP della cellula β (il cosiddetto recettore SUR) inibendone l’attività. L’inibizione dei

canali KATP causa una depolarizzazione di membrana e di conseguenza attiva la cascata

di eventi che porta alla secrezione di insulina. Inoltre le sulfaniluree riducono la clearance epatica di insulina, aumentandone ulteriormente le concentrazioni ematiche (16) (Figura 9).

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3.5.2 Metformina

La metformina è l’unica molecola appartenente alla classe dei biguanidi. Essa funziona aumentando l’attività della chinasi AMP dipendente. Questo enzima catalizza la fosforilazione di numerosi pathway metabolici che si attivano in caso di carenza energetica della cellula. In definitiva aumenta l’ossidazione degli acidi grassi, la captazione del glucosio ed il metabolismo non ossidativo, mentre riduce la lipogenesi e gluconeogenesi (16) (Figura 10).

3.5.3 Tiazoledindioni

Questa classe di farmaci agisce legando il recettore nucleare del PPARγ. Questo recettore è espresso soprattutto nel tessuto adiposo ed in misura minore nelle cellule cardiache, tessuto muscolare e cellule β pancreatiche. L’attivazione di questi recettori produce una differenziazione degli adipociti ed un assorbimento degli acidi grassi circolanti promuovendo una redistribuzione ottimale del grasso corporeo. Inoltre in generale, l’attivazione di questi recettori, promuove una maggior sensibilità globale all’insulina, fattore principale dell’uso di questi farmaci come antidiabetici orali. (16)

3.5.4 Agenti GLP-1 mimetici

A questa categoria appartengono 2 farmaci ossia Exenatide e Liraglutide, i quali agiscono attivando il recettore del GLP-1 (glucagon like peptide-1). I recettori GLP-1 sono espressi sia nelle cellule β, sia nelle cellule del SNC e periferico, nel cuore, vasi,

Figura 9: Struttura generale delle

sulfaniluree

Figura 10:

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polmoni e mucosa del tratto GI. L’attivazione di questi recettori, produce un’attivazione della via del cAMP/PKA, la quale, nelle cellule β, produce un’aumento della secrezione insulinica in maniera glucosio dipendente. L’appellativo glucosio dipendente significa che la secrezione insulinica viene aumentata in generale, ma è incentivata ancor di più in condizione di elevato livello glicemico. Il vantaggio dell’uso di questi farmaci rispetto agli altri è quello di limitare gli sbalzi glicemici prima e dopo i pasti (16).

3.6. Terapia insulinica

In alcuni casi, quando la terapia per il diabete di tipo 2 con antidiabetici orali non è più sufficiente per garantire una buona omeostasi glicemica, si passa all’utilizzo dell’insulina per via parenterale. L’insulina è stata scoperta nel 1921 e fin da subito sono stati sviluppati processi di estrazione e purificazione di questa proteina da pancreas di suini e bovini per il suo ottenimento. Il primo preparato insulinico ad essere messo in commercio dalla Lilli, un industria farmaceutica statunitense, risale al 1923. In realtà la struttura completa dell’insulina fu nota solo nel 1960. L’insulina ora presente in commercio, è un’insulina prodotta mediante ingegneria genetica attraverso la tecnica del DNA ricombinante. Questa proteina è stata la prima ad essere approvata dall’FDA come proteina ricombinante terapeutica (17).

L’utilizzo di tecniche di ingegneria genetica ha permesso di modificare la struttura dell’insulina per adattarne la durata d’azione. Infatti sono state create insuline a breve, media e lunga durata d’azione che garantiscono, se opportunamente dosate, un giusto controllo della glicemia durante tutto l’arco della giornata (Figura 11).

Tra le insuline a breve durata d’azione troviamo le Aspart, Glulisina e Lispro; tra quelle a media e lunga durata d’azione troviamo le Deltemir e Glargina.

Figura 11:

Grafico di confronto delle farmacocinetiche dei vari

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3.6.1 Analoghi insulinici di prima generazione: Lispro, Aspart, Glulisine

La Lispro, che rappresenta il primo esempio di “insulina rapida”, differisce dall’insulina umana per lo scambio tra Pro28 e Lys29 nella catena B. Questa insulina mostra un picco

di attività ad un’ora dalla somministrazione, mentre le insuline regolari raggiungono una attività di picco tra le 2 e le 3 ore.

Lo stesso effetto della Lispro è ottenuto dall’insulina Aspart prodotta per sostituzione del residuo Pro28 nella catena B con Asp. I tempi di onset e durata d’azione rimangono uguali alla Lispro.

Nella Glulisine, l’Asn3 nella catena è sostituita da una Lys e la Lys29 sempre nella catena B da un residuo di Glu. Anche questa insulina risulta essere classificata tra le insuline a rapido effetto e breve durata d’azione (17).

3.6.2. Analoghi insulinici di seconda generazione: Glargine e Deltemir

Nell’insulina glargine risultano essere modificati 3 amminoacidi: due residui di Arg sono aggiunti al C-terminale della catena B, spostando così il punto isoelettrico della proteina da 5,4 a 6,7. Inoltre il residuo Asn21 nella catena A è stato sostituito con un

residuo di Gly. Come conseguenza alla modifica della pKa, l’insulina glargine è solubile a pH leggermente acido e quindi nel sito di iniezione, a pH fisiologico, precipita formando dei microcristalli che si depositano e si risolubilizzano lentamente, producendo un profilo farmacocinetico costante per circa 24 h.

L’insulina Deltemir è stata ottenuta per amidazione con acido miristico della catena laterale di Lys29 nella catena in B. Tale modifica promuove il legame reversibile

dell’insulina Deltemir all’albumina plasmatica, ritardandone la distribuzione. Questa insulina è l’unica che viene prodotta tramite una reazione chimica successiva alla sua produzione e non per modifica genetica (17).

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24

4.

Ruolo dei mitocondri nell’omeostasi cellulare e nel

diabete

4.1. Il ruolo energetico dei mitocondri

I mitocondri sono degli organelli citoplasmatici sede della respirazione cellulare, il processo che permette alla cellula di vivere e produrre energia. Questi organelli di forma allungata, lunghi da 0,5 a 2 µm, sono costituiti da due membrane, la membrana esterna, che racchiude completamente l’organello e la membrana interna ripiegata su se stessa a formare delle creste. Tra le due membrane è presente uno spazio intermembrana importante nel processo della fosforilazione ossidativa (Figura 12).

Il glucosio che penetra nella cellula, inizialmente subisce la glicolisi nel citoplasma, ed il prodotto che ne deriva, il piruvato, viene condotto nel mitocondrio della cellula per entrare nel cosiddetto ciclo di Krebs. I NADH e FADH2 prodotti dai processi metabolici

cellulari a questo punto, si ritrovano concentrati principalmente nel mitocondrio, il quale li convoglia alla tappa finale del metabolismo: la catena di trasporto degli elettroni. La catena di trasporto degli elettroni è una tappa metabolica che permette di convertire i NADH e FADH2 in energia cellulare ossia in ATP. Il processo utilizza 5

enzimi presenti sulle creste della membrana interna mitocondriale sottoforma di complessi multienzimatici.

Figura 12:

Rappresentazione al pc di un mitocondrio (a sinistra) Un mitocondrio visto al microscopio elettronico (a destra)

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Il primo complesso, la NADH:ubichinone ossidoreduttasi accetta il protone dal NADH e lo utilizza per ridurre l’ubichinone.

Il secondo complesso, la succinato deidrogenasi utilizza i FADH2, che si formano dal

ciclo di Krebs e non, per ridurre le molecole di ubichinone.

Il terzo complesso, l’ubichinone:citocromo c ossidasi riduce come suggerisce il nome stesso il citocromo c attraverso l’ossidazione dell’ubichinone.

Il quarto ed ultimo complesso, la citocromo ossidasi permette la riduzione dell’ossigeno (O2) per formare H2O.

Durante ognuno di questi passaggi di reazioni RED/OX, vengono rilasciati dai complessi enzimatici dei protoni nello spazio intermembrana. Questo gradiente protonico verrà utilizzato come spinta energetica dal complesso dell’ATP sintetasi per permettere l’attacco di un fosfato inorganico all’ADP per formare l’ATP, molecola ad alto contenuto energetico. L’ATP è la molecola principalmente usata dalla cellula in quasi tutte le reazioni endoergoniche, come molecola fornitrice di energia chimica. Può essere considerata la molecola necessaria per permettere alla cellula di vivere (3) (Figura 13).

4.2. Le specie reattive dell’ossigeno (ROS)

Nelle varie tappe della fosforilazione ossidativa della cellula possono essere prodotte da reazioni collaterali alla catena di trasporto degli elettroni, specie altamente reattive dell’ossigeno dannose per la cellula. In particolar modo, durante il trasferimento

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elettronico dall’ubichinone al complesso 3, e dal complesso 1 all’ubichinone, alcuni elettroni possono essere donati all’ossigeno per generare radicali O

2- e radicali OH.

Queste specie, anche se si generano in basse quantità (tra lo 0,1% ed il 4%), risultano essere distruttive per la cellula poiché fortemente reattive. Per prevenire i loro effetti dannosi, le cellule posseggono gli enzimi super ossido dismutasi (SOD) che convertono queste specie in H2O2, meno reattiva e pericolosa. L’H2O2, a questo punto, può essere

eliminata ossidandola in H2O attraverso la glutatione perossidasi, un altro enzima

importante nel processo di detossificazione della cellula. Nonostante la presenza di sistemi di controllo, queste reazioni risultano essere pericolose per la cellula poiché a seguito di una qualsiasi inefficienza dei sistemi su citati, si può generare un accumulo di ROS il quale può anche risultare fatale per la cellula (18).

4.3. L’apoptosi cellulare parte dal mitocondrio

Moltissime cellule riescono a decidere quando dover terminare la loro vita. Il processo che permette loro di compiere questo “suicidio programmato” viene denominato APOPTOSI. L’apoptosi, in generale, è un processo positivo in quanto sia per motivi di sviluppo che per motivi fisiologici alcune cellule devono morire periodicamente. Diviene ulteriormente utile quando avviene a seguito di sofferenza cellulare a causa di virus o danni cellulari irreparabili al DNA che potrebbero causare maggiori problemi rispetto a quelli che si avrebbero a seguito della morte della cellula stessa. Una delle cause scatenanti l’apoptosi, può essere ad esempio un accumulo di ROS nei mitocondri. Questi organelli hanno un ruolo chiave nell’intero processo. L’inizio del processo apoptotico parte dall’aumento della permeabilità della membrana mitocondriale esterna con apertura del complesso del poro di transizione della permeabilità (PTPC), una proteina formata da più subunità che permette la fuoriuscita del citocromo c nel citosol. In questo compartimento, il citocromo c si lega in rapporto di 7:7 alla cosiddetta proteina fattore-1 di attivazione della proteasi dell’apoptosi Apaf-1. La complessazione di questi enzimi porta alla formazione del cosiddetto apoptosoma il quale a sua volta attiva la caspasi-9. Quest’ultima è una proteina ad alta specificità che idrolizza i legami peptidici dal lato carbossilico dei residui di Asp (da qui il loro nome caspasi). Una volta attivata la caspasi-9, essa attiva un meccanismo a cascata che vede l’attivazione di tutte le caspasi cellulari con la definitiva digestione cellulare attraverso la proteolisi di tutte le proteine presenti nella cellula.

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4.4. Acetilazione delle proteine cellulari

L’acetilazione delle proteine fa parte del grande gruppo delle modificazioni post traduzionali delle proteine. Questa modifica fu scoperta per la prima volta nel 1964 da Vincent Allfrey (19), quando emersero delle acetilazioni alle proteine istoniche, le quali regolavano l’espressione del DNA ad esse legato. Solo nel 1997 (19) si scoprirono molte proteine non istoniche che risultavano acetilate e questa scoperta aprì la strada a numerosi studi su questa specifica modificazione proteica.

L’acetilazione delle proteine prevede l’attacco per via covalente alla catena peptidica di un gruppo acetile. Esistono in natura due tipi differenti di acetilazione: l’acetilazione del gruppo N-terminale e, sicuramente più comune, l’acetilazione dei residui Lys. L’acetilazione dell’ε-ammino gruppo del residuo Lys, modifica la carica netta della proteina mascherando la carica positiva del residuo in questione. Questa modifica può generare un cambiamento della conformazione proteica che può tradursi, in via generale, nella diversa interazione col DNA, modifiche della trascrizione, localizzazione subcellulare della proteina, diversa solubilità ed attività enzimatica. L’acetilazione è inoltre un processo reversibile operato dagli enzimi N-acetil trasferasi (NAT) i quali trasferiscono reversibilmente un gruppo acetile sulle Lys a partire da Acetil-CoA. La reversibilità del processo fa sì che esso sia, in definitiva, un buon metodo per la cellula di controllare determinati pathways metabolici.

Da studi condotti (20) sull’intero proteoma cellulare, è stato evidenziato come, molte proteine soggette ad acetilazione reversibile, risultano essere presenti nel mitocondrio della cellula, facendo supporre che l’acetilazione sia una delle modifiche post-traduzionali di elezione per il fine controllo del metabolismo (Figura 14).

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4.5. Le deacetilasi mitocondriali: proteina SIRT3

Lo stato dell’acetilazione delle proteine è controllato da una grande famiglia di enzimi deacetilasici NAD+ dipendenti: le sirtuine. Il primo enzima ad essere scoperto è stato SIR2 (silent information regulator 2), un enzima presente nelle cellule di lievito e responsabile del controllo di numerose vie metaboliche in questa cellula. L’uomo, rispetto al lievito, possiede sette tipi di sirtuine chiamate SIRT1-7. Questi sette sottotipi occupano differenti compartimenti subcellulari. Nel mitocondrio ritroviamo le sirtuine 3, 4 e 5. Tra queste tre, l’enzima con più importante attività deacetilasica è la SIRT3, mentre SIRT4 possiede una debole attività ADP-ribosiltrasferasica e SIRT5 ha più un’attività deacetilasica verso gli istoni rispetto alle altre proteine. L’indicazione che le sirtuine siano implicate nella regolazione del metabolismo, la ritroviamo oltre che nella loro presenza nel mitocondrio, anche nell’utilizzo come cofattore del NAD+. Infatti il

rapporto NADH/NAD+, indice dello stato metabolico della cellula, regola l’attività enzimatica di questi enzimi (21) (Figura 15).

4.6. Il progetto Mitochondrial Human Proteome Project initiative

(mt-HPP) ed il ruolo del mt-DNA nel diabete

Il genoma mitocondriale, costituito dall’intero DNA mitocondriale umano mt-DNA, può essere definito come il 25esimo cromosoma umano. La particolarità di questo

genoma è che esso non segue le classiche regole di trasmissione mendeliana da generazione in generazione. Il DNA mitocondriale, infatti, si trasmette attraverso la cellula uovo e quindi sempre dalla madre. Inizialmente il progetto Proteoma Umano, ha avuto come oggetto di studio esclusivamente le proteine espresse dalla decodifica del

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genoma nucleare. Dall’ultimo congresso internazionale HUPO tenutosi a Boston nel settembre 2012, si è sollevato il problema che, nonostante esprima solo poche proteine, il genoma mitocondriale sia molto importante anche in vista del fatto che da esso derivano numerose patologie ancora oggi non completamente spiegate. Questo progetto può quindi collaborare con il progetto biology and disease driven project (B/D-HPP) che studia appunto tali patologie. Tra queste figura anche il diabete (22).

L’associazione tra mutazione del mt-DNA e diabete, è legata alla mutazione puntiforme A3243G, la quale può spiegare almeno in parte questa correlazione nel 3% circa della popolazione (23). Altre mutazioni che risultano essere alla base del diabete, sono mutazioni agli t-RNA ed alle proteine codificate dal genoma nucleare responsabili del mantenimento e della giusta gestione del mt-DNA.

La particolarità di questi tipi di diabete legati a mutazioni è che insorgono tutte in pazienti intorno ai 40 anni di età, inoltre è rilevante anche il fatto che in questi pazienti la terapia convenzionale finisce in tutti i casi per essere inefficiente, dovendo obbligatoriamente sostituirla con la terapia insulinica.

La mutazione del mt-DNA, tuttavia, non va intesa come un fattore scatenante, ma piuttosto come un fattore di predisposizione genetica allo sviluppo del disordine. Un corretto stile di vita e una corretta alimentazione sono importanti nei pazienti predisposti che con questi accorgimenti possono comunque evitare il diabete (23).

4.7. Il ruolo del mitocondrio nel rilascio insulinico

Il mitocondrio è la sede di produzione energetica della cellula. Nelle cellule β pancreatiche, esso rientra anche nel complesso meccanismo di rilascio insulinico. Quando le cellule β delle isole di Langherhans ricevono un elevato livello di glucosio, esso viene trasportato nella cellula ove viene processato nel ciclo glicolitico per produrre piruvato. Oltre il 90% del piruvato prodotto viene trasportato nel mitocondrio dove viene ulteriormente processato nel ciclo di Krebs. Al termine del ciclo, i coenzimi ridotti NADH e FADH2 vengono utilizzati dalla catena di trasporto degli elettroni per

produrre ATP. Il ruolo dell’ATP nel processo di rilascio insulinico è molto importante, in quanto produce la chiusura dei canali K+ ATP dipendenti. Come descritto precedentemente, la loro chiusura genera il rilascio insulinico passando per l’aumento della concentrazione di Ca2+ citoplasmatico e quindi attraverso la fusione delle

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5.

Gli acidi grassi nella cellula e loro ruolo nello sviluppo

del diabete

Gli acidi grassi circolanti nel torrente ematico legati all’albumina vengono assorbiti dalle cellule le quali li processano per ricavarne energia. Appena entrati nella cellula essi vengono attivati attraverso la acil-CoA sintetasi ACS, un enzima presente sulla membrana mitocondriale esterna, che permette la formazione di un legame tioestere tra il coenzima A e il gruppo acido dell’acido grasso attraverso l’utilizzo di una molecola di ATP. A questo punto, quando la richiesta energetica è alta, gli acidi grassi vengono trasportati nel mitocondrio per demolirli ed ottenere energia. I trasportatori che vengono usati a questo scopo sono la carnitina palmitoil-trasferasi 1 e 2, trasportatori che utilizzano la carnitina come coenzima. All’interno dei mitocondri avviene il processo di β ossidazione, che permette di demolire le lunghe catene carboniose in molecole di acetil-CoA, utilizzabili nel ciclo dell’acido citrico per produrre ATP. A seconda della richiesta energetica può prevalere o la via mitocondriale di β ossidazione oppure delle vie metaboliche citoplasmatiche che portano alla formazione di trigliceridi, diacilglicerolo, fosfolipi o lipidi complessi. Il punto di controllo di questo snodo metabolico è il malonil CoA, molecola iniziale della via di sintesi de novo degli acidi grassi. L’eccesso di glucosio nella cellula, genera un’elevata quantità di acetil-CoA che, oltre agli altri destini a cui va incontro, può essere trasformato dalla acetil CoA carbossilasi in malonil CoA. Questa molecola agisce come inibitore della carnitina acil trasferasi 1, inibendo il passaggio degli acidi grassi nel mitocondrio (3).

5.1. Le elongasi

Le elongasi sono una famiglia di enzimi presenti sulla membrana del reticolo endoplasmatico che permettono l’elongazione delle catene di acidi grassi, con il fine ultimo di ottenere lipidi necessari alla formazione della membrana plasmatica o di ligandi per i recettori peroxisome proliferator-activated receptor α (PPARα). La regolazione delle elongasi è sotto stretto controllo di molti fattori di trascrizione, tra cui ad esempio gli stessi recettori PPARs i quali attivano la loro trascrizione. Inoltre anche gli sterol response element binding protein (SREBP) -1c, da soli o in combinazione con gli up-stream regulator liver X receptor α (LXRα), possono incrementare la produzione di questi enzimi.

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5.2. Desaturasi

Le stearil-CoA desaturasi (SCD) sono una classe di enzimi che permette la formazione del doppio legame negli acidi grassi, producendo i relativi MUFA (mono unsatured fatty acid) a partire dai corrispondenti SFA (satured fatty acid). Questi enzimi risiedono, come le elongasi, sulla membrana del reticolo endoplasmatico e sono caratterizzati da una elevata specificità di substrato. E’ stato dimostrato come topi knock-out per gli enzimi SCD risultino avere un metabolismo molto più accentuato e non ingrassano se alimentati con una dieta ricca in acidi grassi saturi. In particolare questi topi presentano un elevato assorbimento energetico, riduzione della sintesi de novo degli acidi grassi, riduzione della espressione di geni lipogenici, e incremento della secrezione insulinica. Questa evidenza, lega tali enzimi anche al processo regolatorio tra metabolismo lipolitico e lipogenico. I topi KO per il gene SCD, risultano limitare anche i fattori di trascrizione lipogenici come SREBP-1c ed il suo co-attivatore PPAR-γ. Molecole inibitrici degli enzimi SCD possono essere quindi dei buoni target terapeutici, per il trattamento delle sindromi metaboliche e per incrementare la sensibilità all’insulina dei tessuti (24).

5.3. Formazione dei triacilgliceroli

La formazione dei triacilgliceroli avviene sulla membrana del reticolo endoplasmatico ad opera dell’enzima diacilglicerolo-acil trasferasi 1(DGAT1). Questo è l’ultimo passaggio che permette alla cellula di formare i trigliceridi a partire da un acil-CoA presente nella cellula e un diacilglicerolo. Molto spesso la molecola donatrice per questo legame è il palmitoil-CoA. E’ stato evidenziato come topi KO per l’enzima DGAT1 risultino essere meno predisposti all’obesità ed alla resistenza insulinica. Lo svantaggio è che la carenza di questo enzima riduce sensibilmente la quantità di grassi nei tessuti, ed induce una morte prematura dei topi KO. Anche questo enzima, tuttavia, si configura nel pool dei target terapeutici per i disordini metabolici tra i quali è presente il diabete (24).

6.

Reticolo Endoplasmatico (RE) e suo ruolo nello sviluppo

del diabete

La formazione di insulina è un processo che avviene nel reticolo endoplasmatico. Infatti in questo organello, tutte le proteine vengono sintetizzate, modificate e ripiegate. I

(37)

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chaperoni, come la glucose-regulated protein (GRP), la calnexina e la protein disulphide isomerase (PDI), sono delle proteine necessarie affinchè le proteine si ripieghino nel modo corretto. Le varie perturbazioni cellulari come lo sbilanciamento della concentrazione del Ca2+ intracellulare, omeostasi dei nutrienti e stress ossidativo,

possono portare ad uno stress del RE con conseguente ricaduta nella sintesi delle varie proteine. Lo stress delle cellule β pancreatiche è principalmente associato od alle citochine oppure all’elevata concentrazione degli acidi grassi nella cellula. Il meccanismo che induce lo stress da parte delle citochine prevede una down-regulation delle pompe del Ca2+ sulle membrane del RE, mentre rimane ancora sconosciuto quello legato agli acidi grassi. Il RE è comunque la sede della sintesi degli acidi grassi e un’esposizione al palmitato ha mostrato la deposizione di trigliceridi nella sua membrana, con conseguente perdita di fluidità e rilascio di chaperoni nel citoplasma cellulare (24).

Per proteggere il RE dallo stress, la cellula può attivare dei meccanismi di difesa che iniziano dall’UPR (Unfolded Protein response). Il meccanismo dell’UPR include l’arresto del ciclo cellulare, l’attenuazione transiente della sintesi proteica globale, la catalisi delle reazioni di ripiegamento delle proteine attraverso la coadiuvazione dell’azione dei chaperoni, e l’attivazione della proteina ERAD (ER-associated protein degradation). Se tutti questi meccanismi non riescono a ripristinare l’omeostasi del RE, allora si avvia il processo dell’apoptosi. Nelle cellule β, la mancata attivazione dell’UPR può dare origine al diabete, motivo per cui si può pensare che lo stress del RE può essere in qualche modo legato ad esso. L’attivazione delle UPR, avviene attraverso tre pathways distinte: PERK, IRE1 ed ATF6 (24) (Figura 16).

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6.1. PERK (Protein ER-kinase)

Le proteine PERK si trovano sulla membrana del RE ed in condizioni normali risultano essere dimerizzate grazie al GRP78 (chiamato anche BiP) legato nel dominio luminale delle stesse. Quando l’omeostasi risulta interrotta, il GPR78 si stacca da queste proteine attivando il loro dominio catalitico situato nella faccia citoplasmatica della membrana dell’RE. L’attivazione di questo dominio causa un legame tra le due proteine dimerizzate, che genera una loro autofosforilazione. La forma attivata del PERK, a questo punto, porta alla fosforilazione della subunità α dell’eucariotic initiation factor-2 (eIF2α). Questa fosforilazione riduce la possibilità di scambio tra GDP e eIF2-GTP. Quest’ultimo complesso è necessario ad iniziare la sintesi proteica, permettendo il legame tra il tRNA portante la Met al macchinario della traduzione. Il risultato dell’attivazione del PERK è la riduzione globale della sintesi proteica. Inoltre la sua attivazione, consente anche la traduzione alternativa della proteina ATF4 (activation transcriptor factor-4), la quale incrementa la trascrizione dei geni dell’UPR, chop ed ATF3, che insieme generano una regolazione del metabolismo, dello stato redox della cellula e del meccanismo dell’apoptosi.

6.2. IRE1 (inositol requiring enzyme-1)

Come il PERK, anche l’IRE1 interagisce con il GPR78 nel suo dominio luminale in condizioni normali. Quando l’omeostasi non viene mantenuta, il GPR78 si stacca dall’IRE1, il quale dimerizza e si attiva mediante una sua autofoforilazione del dominio

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