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L'ostetrica di comunità

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa Facoltà di medicina e chirurgia

Corso di laurea Magistrale in Scienze infermieristiche e Ostetriche

Ostetrica di comunità

MODELLI PROFESSIONALI E ORGANIZZATIVI NELLA GESTIONE DEL BENESSERE DELLA DONNA A LIVELLO TERRITORIALE

Relatore : Prof.ssa Lisa Donati Studente : Ferdinand Saro A.A 2016-2017

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OSTETRICA DI COMUNITA’

1 INTRODUZIONE 3

2 STORIA DELL’OSTETRICA 4

2.1 La I fase: gli anni della legittimazione sociale 5 2.2 La II fase: l’ospedalizzazione della professione 9 2.3 La III fase: il percorso di neo-professionalizzazione 13 2.4 Verso una quarta fase. Quali nuove prospettive? 17 3 NORMATIVA DEL REGOLAMENTO PROFESSIONALE E

ORGANIZZATIVO 18

4 IL TERRITORIO 19

5 CHI È L’OSTETRICA DI COMUNITÀ? 23

5.1 La sua vocazione 23

5.2 Con quale approccio di lavoro il mondo di oggi ci confligge? 28

6 MACRO AREE 30

6.1 Area di competenza propria 31

6.2 Competenze relazionali 32

7 L’OSTETRICA DI COMUNITÀ COME CASE MANAGER 33

7.1 Case Manager 33

7.1.1 Fasi di un programma di Case Management 34 7.1.2 Modalità 34

8 ESEMPI DI PROGRAMMAZIONE STRATEGICA DELLE ATTIVITÀ

OSTETRICHE 36

8.1 Nascita 36

8.2 Adolescenti 37

8.3 Prevenzione dei tumori femminili 37

8.4 IVG 37

8.5 Disagio familiare 37

8.6 I bisogni di madre e bambino nel puerperio 38

9 APPENDICE 40

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1 Introduzione

L’attuale tessuto sociale ed economico sta attraversando rapide e profonde trasformazioni dovute al passaggio da un modello di stato sociale “tradizionale” ad uno di welfare mix, per questo accanto al servizio pubblico assumono sempre più rilevanza la progettualità e il lavoro delle organizzazioni del terzo settore e la sperimentazione a livello regionale di nuove forme per la programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari: la Società della Salute, laddove per “salute” si intende - nel senso più ampio del termine - il benessere sociale del cittadino, sono fenomeni che richiedono un forte ripensamento delle politiche socio-sanitari integrate. Il processo di ridimensionamento delle famiglie, l’emergere di nuove tipologie familiari ed il mutato ruolo delle donne all’interno della famiglia e nel mercato lavorativo con la conseguente necessità di conciliazione dei tempi di cura e lavoro, nonché la complessità delle dinamiche migratorie con la progressiva stabilizzazione delle comunità migranti, determinano una costante evoluzione della struttura demografica dell’area provinciale e producono nuove forme di bisogno e domande inedite di servizi. Questi sono alcuni dei cambiamenti significativi che pongono con forza una duplice esigenza: da un lato sviluppare attività di analisi e ricerca finalizzate alla costruzione di scenari, di sintesi interpretative utili alla programmazione e alla governance locale, dall’altro promuovere un approccio nuovo più centrato e personalizzato possibile con azioni che indirizzano il soggetto stesso a lungo termine a migliorare la sua capacità di cercare salute.

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Storia dell’ostetrica

La figura della levatrice è tra le più antiche della storia; tracce della sua presenza sono infatti rinvenibili fin dalla formazione delle prime collettività umane organizzate. Numerose testimonianze portano a sostenere che almeno fino al diffondersi del cristianesimo il ruolo e la considerazione sociale della levatrice restino inalterati e che, anzi, nel XI secolo essa diventi la specialista della gravidanza, punto di riferimento anche rispetto a gestazioni complesse e a parti difficili. In epoca tardo medievale, conosciuta anche come periodo della caccia alle streghe, si apre una fase oscura della storia dell’ostetrica in termini di legittimazione sociale e di prestigio professionale, fase che proseguirà nel periodo rinascimentale quando gli uomini, per la prima volta, iniziano a manifestare un interesse verso lo studio dell’anatomia femminile (Spina, 2009). Se fino ad allora l’ostetrica è la protagonista dell’evento riproduttivo, nel XVII secolo, con la nascita di una nuova specialità medica, l’ostetricia-ginecologia, si assiste all’ingresso del genere maschile nell’ambito dell’assistenza alla gravidanza e al parto che cessano così di essere considerati eventi sociali e divengono questioni mediche (Filippini, 1985). Con l’applicazione delle conoscenze scientifiche e delle abilità chirurgiche «per la prima volta gli uomini insegnano alle donne l’arte dei parti» (Pancino 1984); ecco perché si può affermare che il conflitto tra la professione medica e quella ostetrica tragga origine da un conflitto di genere.

Guardando alle dinamiche evolutive della professione ostetrica a partire dai primi anni del ‘900, il percorso di professionalizzazione può essere suddiviso in tre fasi, in ciascuna delle quali si modificano i margini di autonomia goduti dalla professione.

Nel primo periodo, che corrisponde ai primi quarant’anni del Novecento, benché priva di formale riconoscimento giuridico, la

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5 categoria può contare su una forte legittimazione sociale esercitando la propria attività con un discreto grado di autonomia. Durante la seconda fase, che va dagli anni ’50 alla fine degli anni ’80 del Novecento, l’ospedalizzazione e la crescente medicalizzazione dei parti limitano l’autonomia delle ostetriche italiane che, a seguito dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale (Ssn), vengono trasferite all’interno dei nosocomi. Gli anni dell’aziendalizzazione sanitaria coincidono con l’inizio della terza fase che si protrae fino ad oggi ed è caratterizzata dall’avvio di un percorso di neo-professionalizzazione finalizzato ad una maggiore qualificazione delle occupazioni sanitarie non mediche cui non sembra seguire, sul piano sostanziale, un reale aumento dell’autonomia. Alcune recenti disposizioni (il Piano per la riorganizzazione dei punti nascita e le nuove linee guida sul taglio cesareo) unitamente all’avvento di un nuovo clima culturale in tema di assistenza e di cura, lasciano supporre che si stia aprendo una quarta fase caratterizzata da nuove opportunità occupazionali. Sembrano infatti individuabili nuovi spazi di autonomia per la categoria professionale nei quali essa potrà gradualmente recuperare l’insieme delle pratiche e delle abilità che compongono l’arte ostetrica, raggiungendo così la piena professionalizzazione.

2.1

La I fase: gli anni della legittimazione sociale

I primi anni del Novecento ereditano la legge sanitaria del 1888 che, facendo obbligo ai Comuni di sostenere le spese per l’assistenza sanitaria prestata gratuitamente agli indigenti, introduce di fatto un principio solidaristico e universalistico. Oltre a sollecitare la diffusione di levatrici professionalmente qualificate su tutto il territorio del regno, la normativa concorre a modificare la concezione intima del parto e il modo di vivere la maternità, introducendo un nuovo tipo ideale di levatrice. L’influenza dell’educazione ricevuta promuove lo

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6 sviluppo di una forte capacità critica e di un processo di emancipazione: le donne che esercitano la professione di ostetrica sono le prime che imparano a guidare e che, per seguire il lavoro, si dedicano in modo non tradizionale alla cura dei figli, contribuendo così a modificare il modello familiare prevalente che voleva la donna fedele custode del focolare domestico (Vitiello 2006). Tale connotazione rende la levatrice ostile agli occhi di una popolazione che, soprattutto nelle zone rurali, è ancora arretrata e legata a stereotipi culturali diversi. Le vicende narrate dalle levatrici del tempo testimoniano, tuttavia, come la passione per il lavoro, la disposizione al sacrificio e l’abilità professionale che caratterizzano il loro operato consentano di infrangere lo scetticismo e la riluttanza nutrita dalla popolazione.

I primi anni del nuovo secolo mostrano un miglioramento nelle condizioni generali di salute rispetto ai decenni precedenti, anche se si è ancora lontani dal raggiungimento del benessere sociale e da una dignitosa situazione igienica che, anzi, si aggrava per effetto del graduale processo di urbanizzazione. Il crescente impegno profuso dalla classe medica in questi anni, per contribuire al raggiungimento dello stato di benessere della popolazione, testimoniato peraltro da un fervente attivismo professionale e dallo sviluppo di nuove branche scientifiche vicine alle problematiche sociali (medicina del lavoro), determinano, da un lato la diffusione di un nuovo approccio meno scettico da parte dei pazienti e, dall’altro, un rafforzamento dell’intera categoria (Vicarelli 1997). La posizione di forza della professione medica viene di fatto ufficializzata per effetto della legge istitutiva dell’Ordine professionale dei sanitari (medici, veterinari e farmacisti, L. 455/1910) che, formalizzando una prassi associativa già di fatto spontaneamente sorta, vede nell’Ordine la garanzia di vantaggi collettivi rispetto alla correttezza e alla regolarità dell’esercizio professionale delle occupazioni sanitarie. Dall’insieme di queste ultime, ufficialmente riconosciute, rimane esclusa l’ostetrica,

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7 nonostante la fase preparatoria, preceduta alla emanazione della legge, ne lasciasse presagire l’inclusione. Tale estromissione appare perciò tanto inattesa quanto lesiva della seppur nascente identità corporativa, testimoniata dalla esistenza e dal funzionamento di organizzazioni associative a livello locale (Spina, 2009).

È solo nel 1927 con l’avvento del regime fascista che le levatrici ottengono un riconoscimento ufficiale attraverso la costituzione dell’Ordine professionale, coinvolte anch’esse in quel programma di perfezionamento della razza che il regime persegue come una missione. Il clima nazional-poliziesco introdotto dal governo porta all’approvazione, nel 1934, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. n. 1265) che assoggetta a vigilanza sanitaria l’esercizio delle professioni e delle arti sanitarie. L’ostetrica viene inclusa nel novero delle professioni sanitarie ausiliarie e di supporto, contrapposte a quelle principali (costituite dal medico-chirurgo, dal farmacista e dal veterinario) e ne vengono disciplinate le funzioni mediante l’assegnazione di un ruolo sussidiario e di second’ordine rispetto a quello medico. Il disposto normativo «mira soprattutto a focalizzare i limiti di competenza (delle levatrici) e a sottolineare l’ancillarità dell’intervento rispetto all’atto medico, piuttosto che a indicare una modalità di espletamento delle proprie funzioni professionali» (Guana

et alii 2011). Tuttavia la categoria sembra godere di una certa

legittimazione visto che nel 1934 viene fondata Lucina, la pubblicazione ufficiale delle levatrici e l’anno successivo, benché gli Ordini professionali, compreso quello delle levatrici, vengano soppressi (R.D. n. 184/1935) e i relativi compiti attribuiti ai sindacati fascisti di categoria, viene istituito l’albo delle levatrici (Legge n. 963/1935).

Il periodo fascista si caratterizza per l’ampia attenzione riservata alla maternità e all’infanzia, alla luce dell’ideologia nazionalista cui si ispira, che si concretizza principalmente attraverso l’istituzione dell’ONMI, nel 1925. L’OMNI è un ente cui è demandato il compito di

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8 assistere «le donne bisognose durante prima e dopo il parto cui si collegano i servizi di profilassi e di assistenza ai bambini in età infantile e scolare» (Vicarelli 1997). Nonostante la contraddittoria politica del regime fascista nei confronti della categoria professionale appare evidente ancora una volta in due delle ultime disposizioni: se nel 1937 si assiste all’ufficiale cambio di qualifica da levatrice ad ostetrica, che idealmente testimonia il raggiungimento di un traguardo simbolico (art. 3 RDL n. 1520), tre anni dopo viene introdotto il mansionario (RD n. 1364/1940). Si tratta di un atto regolamentare di carattere fortemente esecutivo attributivo di specifici compiti che regolamenta rigidamente l’esercizio professionale; viene così soppressa ufficialmente ogni forma di esercizio discrezionale dell’attività professionale, vincolando pesantemente l’autonomia dell’ostetrica e relegando quest’ultima allo svolgimento di funzioni ancillari.

Benché non trovi riscontro in termini di riconoscimento giuridico, la legittimazione sociale goduta dalla levatrice italiana di questi anni è piuttosto forte. Tra gli anni ’20 e gli anni ’40, infatti, la funzione pubblica della levatrice si evolve (Gissi 2006), non solo per via della considerazione sociale ottenuta attraverso l’istituzione delle condott ma anche e soprattutto per fattori di contesto legati alle variabili socio-economiche. L’Italia di questi anni non ha ancora conosciuto lo sviluppo industriale, quindi l’urbanizzazione. La popolazione vive per lo più nelle campagne dove il meccanismo di regolazione prevalente è basato sulla reciprocità e sullo scambio di tipo comunitario. Il parto è vissuto come un’esperienza di valore ed è condiviso con la collettività; la solidarietà femminile fa sì che le donne siano coinvolte attivamente nel sostegno e nella cura dei bambini. La levatrice condotta, bene accolta quando non estranea al mondo rurale, gode dunque di stima e di fiducia presso la comunità. Il senso di sicurezza che garantisce non deriva dal possesso di conoscenze specializzate bensì dal sapere acquisito con l’esperienza e dalla partecipazione emotiva che

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9 caratterizzano il suo agire (Spina, 2009). Si può affermare che la levatrice viva dal punto di vista professionale il momento di massimo vigore poiché segue l’intero processo della maternità ed espleta le funzioni che le competono con autonomia e discrezionalità (Lanzardo 1985). A favorire questa tendenza è senz’altro l’atteggiamento della popolazione e il valore attribuito al processo riproduttivo, alla nascita e ai rischi che questa comporta. Il mettere al mondo rappresenta, infatti, per la cultura rurale, la possibilità di perpetrare il lavoro contadino. Ciò spiega l’andamento dei tassi di natalità e di fecondità, ma anche la minore avversione rispetto ai rischi legati alle morti da parto.

2.2 La II fase: l’ospedalizzazione della professione

Durante gli anni del secondo dopoguerra prendono avvio cambiamenti di rilievo in ambito sanitario e assistenziale: nel 1946 vengono ripristinati gli ordini delle professioni sanitarie (D. Lgs. CPS n. 233); le mutue si espandono arrivando a coprire, alla fine degli anni ’60, oltre il 90% della popolazione italiana; gli ospedali escono dagli IPAB e diventano enti pubblici.

Contestualmente cambia l’assetto architettonico delle istituzioni sanitarie. Nel 1945 l’intera materia viene trasferita dal Ministero dell’Interno ad una amministrazione autonoma, l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica, che assumendo la gestione delle politiche sanitarie, lo rende un organico e specifico comparto di interesse. Nel 1956 viene istituito un Ministero appositamente dedicato alla sanità che, assumendo le funzioni dell’Alto Commissariato, viene incaricato di vigilare sugli enti erogatori di assistenza e sull’esercizio delle professioni sanitarie.

Con la riforma ospedaliera del 1968 (Legge n. 132), si abbandona definitivamente il criterio assistenziale e caritatevole che aveva sorretto il welfare state come pure il sistema sanitario italiano,

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10 attraverso la costituzione di ospedali autonomi e scorporati dagli enti pubblici (IPAB e Mutue). Vengono demandati compiti e funzioni sanitarie alle regioni, enti non ancora istituiti ma dei quali si sollecita la creazione.

Tali cambiamenti si riflettono anche sul sistema delle professioni sanitarie e, in modo particolare, sull’ostetrica. Già a partire dagli anni ’50 si assiste alla progressiva ospedalizzazione dei parti, tendenza legata a eventi socio-economici che sconvolgono il paese. Il boom economico, la conseguente urbanizzazione e il massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro, contribuiscono ad alimentare un graduale processo di spersonalizzazione della nascita e di allontanamento da quella che era stata per anni la figura di riferimento. L’industrializzazione modifica, infatti, i tempi quotidiani e sembra estendere i ritmi meccanicistici della fabbrica alle scelte personali e, in certa misura, condiziona anche il modo di concepire la maternità e il parto. La frenesia che caratterizza il mondo industriale si riflette sul rapporto tra la donna e la medicina modificandolo radicalmente e determinando il superamento della diffidenza rispetto alle strutture sanitarie. L’intimità domestica viene sacrificata alle esigenze di una sicurezza che l’ospedale sembra in grado di offrire (Spina, 2009).

A questa trasformazione sociale contribuisce, tuttavia, anche la diffusione dell’istituto della condotta che, riducendo le distanze tra il territorio e l’assistenza istituzionale, concorre a socializzare il ricorso alle cure mediche in senso lato. Se le ostetriche ottengono il monopolio della gestione del parto fisiologico, ciò avviene in verità più per l’incapacità della professione medica di essere presente in modo capillare sul territorio, che non per la reale volontà da parte di quest’ultima di abbandonare un fertile terreno di intervento.

In questi anni la possibilità di svolgere la professione resta ancora riservata esclusivamente alle donne, retaggio di un pregiudizio culturale che rimarrà fino al 1976 quando l’apertura al genere

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11 maschile segnerà una svolta rispetto alle modalità di concepire la gravidanza e la maternità. Sono questi, del resto, gli anni in cui i temi della salute, del corpo, della sessualità, del rapporto delle donne con la medicina e le sue istituzioni, iniziano a imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica grazie al clamore sollevato dal movimento femminista che contribuirà alla nascita dei Consultori Familiari (L.405/1975), riconosciuti come servizi di assistenza alla famiglia e alla maternità. Da questo momento prende avvio un percorso legislativo che porterà alla legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza (L. 194/1978), riconoscendo nel consultorio familiare il luogo della contraccezione, dell’educazione sessuale e della prevenzione.

È in questo clima che si consolida la posizione di forza della medicina e si intensifica il grado di influenza e di commistione tra la professione stessa e i pubblici poteri.

La copertura mutualistica dei parti fisiologici contribuisce notevolmente alla medicalizzazione del processo riproduttivo e le ostetriche condotte vivono questo cambiamento in modo traumatico poiché è messa a dura prova la loro identità professionale (Vitiello 2006). L’ospedalizzazione dei parti implica un massiccio ingresso delle condotte in ospedale e determina il progressivo declino, fino alla definitiva scomparsa, dell’attività libero professionale.

Con l’istituzione del Ssn (L. 833/1978) si dà avvio alla prima vera riforma sanitaria che, da un lato, introduce i principi democratici di uguaglianza, di partecipazione democratica e di globalità degli interventi e, dall’altro, invoca il coordinamento tra istituzioni coinvolte cioè lo Stato, cui compete la programmazione, il coordinamento e il finanziamento, le Regioni deputate a concorrere alla programmazione mediante la stesura dei Piani Sanitari Regionali e chiamate a organizzare le Unità Sanitarie Locali (U.s.l.) e, infine, le stesse U.s.l. erogatrici dei servizi a livello locale.

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12 L’epocale cambiamento che attraversa l’organizzazione della sanità italiana ha ricadute solo parziali sulla configurazione professionale dell’ostetrica, sebbene l’eliminazione dell’istituto della condotta e il confinamento dell’attività all’interno delle strutture ospedaliere determinino una cesura rispetto alle modalità lavorative, aprendo la strada a una nuova socializzazione pubblica del suo ruolo. L’autonomia che caratterizza le ostetriche condotte lascia il passo alla subordinazione, conseguenza principale dell’inserimento di tale figura all’interno di contesti lavorativi rigidamente strutturati e fortemente gerarchizzati (Spina, 2009).

Cresce la medicalizzazione del percorso nascita e, in modo particolare, del parto. L’introduzione e il ricorso massiccio alle tecnologie, che testimoniano uno sviluppo scientifico senza precedenti, contribuisce a diffondere e ad accrescere la fiducia nella medicina. Sul fronte della formazione professionale va osservato come, a seguito della modifica del piano di studi (D.P.R. 1029/80), si avverta per l’ostetricia la necessità di ripristinare la durata triennale e di eliminare l’obbligo della propedeuticità del diploma di infermiere professionale introdotto in precedenza. La Federazione Nazionale Collegi Ostetriche (FNCO) avanza la richiesta di trasformare le scuole di Ostetricia in Scuole Universitarie Dirette a Fini Speciali. Tuttavia sarà soltanto a seguito dell’istituzione del Ministero dell’Università (L. 168/89) e della riforma degli ordinamenti didattici (L.341/90) che le scuole verranno trasformate in corsi per il rilascio del diploma universitario.

In un quadro di costante scontro tra i vari livelli di governo, in una incertezza attuativa dovuta alla scarsa capacità da parte delle Regioni di recepire le disposizioni emanate a livello centrale, in una crescente emergenza finanziaria e in un ambiente politico caratterizzato da una corruzione dilagante (Maino, 1999), l’implementazione della riforma risulta tutt’altro che semplice.

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13 In questa fase storica l’ospedalizzazione dei parti e la crescente medicalizzazione del percorso nascita sono corresponsabili del declino socio-professionale della categoria ostetrica e, per contro, dell’irrobustimento della ginecologia come disciplina medica e come professione. Nata per curare la patologia, quest’ultima estende la propria giurisdizione alla fisiologia e i rapporti tra i due gruppi professionali tornano a configurarsi come rapporti di dominio e di subordinazione. Ciò è causa, ma anche conseguenza, di un cambiamento culturale nel modo di concepire la nascita. L’emancipazione raggiunta, che apre la strada al più generale processo di modernizzazione femminile, viene sacrificata alle esigenze di una nuova cultura e di un nuovo mito, quello della sicurezza e del rifiuto di ogni forma di rischio, diffusosi in conseguenza ai cambiamenti sociali ed economici che investono il paese. Le ostetriche, dal canto loro, restano però ampiamente responsabili della situazione creatasi, offrendo l’immagine di un gruppo occupazionale scarsamente coeso, quindi debole e incapace di opporsi alle strategie professionali messe in atto dalla professione medica.

2.3 La III fase: il percorso di neo-professionalizzazione

A partire dai primi anni ’90 prende avvio una lunga stagione di riforme destinate a cambiare profondamente l’assetto organizzativo e gestionale della sanità italiana.

Il D.Lgs. 502/92, che apre la strada alla seconda riforma sanitaria, introduce i livelli essenziali di assistenza (Lea), stabilisce una pianificazione delle politiche, prevede nuove regole relative al finanziamento e alla spesa e avvia un processo di aziendalizzazione sanitaria basato sulla trasformazione delle U.s.l. in aziende e sulla seppur amministrata competizione tra fornitori delle prestazioni (Vicarelli, 2002)

Nel quadro degli obiettivi che i provvedimenti si prefiggono, si colloca la volontà di disciplinare le professioni sanitarie, anche quelle

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14 non mediche, alla luce delle più generali finalità legate al miglioramento delle prestazioni erogate. Con riferimento alla professione ostetrica si assiste al superamento del sistema mansionariale con la previsione prima (D.Lgs. 517/93) e l’istituzione poi (DM 740/94) del profilo professionale attraverso il quale, per la prima volta, il soggetto pubblico individua gli ambiti di competenza e le responsabilità dell’ostetrica. Se da un lato l’espressione profilo

professionale sottende il preciso impegno dello Stato di voler favorire

il percorso di professionalizzazione al fine di riqualificare i servizi, dall’altro coglie l’istanza delle operatrici di affermare la propria identità e l’autonomia professionale, istanza che non si concretizza però in una vera politica di pressione né nell’adozione di strategie professionali.

Benché tra le competenze attribuite all’ostetrica siano comprese tanto le attività di accompagnamento e di psicoprofilassi che precedono il parto, quanto le attività da espletare durante il parto stesso, la legge non chiarisce i confini delle competenze rispetto alla prima delle due fasi, lasciando così un vuoto normativo (Benci 2001). In una logica parallela e affine viene riorganizzato il percorso formativo attraverso l’istituzione del corso triennale di diploma Universitario per ostetrica (Decreto MURST 1996), a seguito dell’approvazione della tabella relativa agli ordinamenti didattici universitari (D. Lgs. 502/92).

Il fermento normativo di questi anni, tuttavia, non è sufficiente ad avviare l’implementazione della riforma né sul piano dell’aziendalizzazione, né su quello della professionalizzazione. Se, da un lato, i percorsi formativi abilitanti alla professione vengono adeguati in breve tempo alle disposizioni di legge, garantendo così un’offerta più qualificata e professionalizzante, dall’altro non vi sono garanzie rispetto alla concreta applicazione delle normative all’interno dei contesti lavorativi. Non vengono previsti, cioè, strumenti idonei a verificare il rispetto dei confini delle competenze né l’effettivo ambito

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15 di autonomia della nuova professione. La riforma lascia dunque aperta una voragine discrezionale e, di fatto, poco cambierà dal punto di vista della dominanza medica e della subordinazione del personale ostetrico che continuerà a svolgere ruoli ancillari e ad essere definito

paramedico.

Sul finire del decennio, la necessità di «rivedere i meccanismi di aziendalizzazione introdotti in precedenza» (Vicarelli, 2002) determina l’avvio della terza riforma che avviene per effetto del D. Lgs. 229/99. In questo quadro di grandi trasformazioni prosegue il formale processo di neo-professionalizzazione dell’ostetrica che viene ufficialmente definita una professione (L. 42/99), assieme ad altri ventuno profili dell’area sanitaria. Viene contestualmente abolito il mansionario sancendo così il superamento della logica per compiti ed attribuzioni, sostituita da una logica basata sulle competenze e sulle responsabilità.

In questa direzione vengono istituite le laure triennali per le professioni sanitarie (D.M. 509/1999) e sancita l’equipollenza dei diplomi non universitari a quelli universitari (L. 42 e il D.M. 27 luglio 2000) Il D.M. 2 aprile 2001 determina le classi delle lauree specialistiche e ne stabilisce i requisiti di accesso. La specializzazione conseguita mediante l’acquisizione della laurea di secondo livello abilita all’assunzione di ruoli dirigenziali previsti, per le professioni sanitarie, dalla L. 251/2000. Quest’ultimo disposto normativo stabilisce all’art. 6 la possibilità di acquisire la «qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario, alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale».

Nel 2006, al fine di adeguare il livello culturale, deontologico e professionale degli esercenti le professioni in ambito sanitario a quello garantito negli Stati membri dell’Unione Europea, viene emanata la L. n.43 che, nel regolamentare le professioni sanitarie, estende a queste ultime la possibilità di accedere ai ruoli di coordinamento (art.6) e

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16 prevede l’istituzione dei rispettivi ordini ed albi (art. 4) che, però, non verranno mai istituiti.

Tale iter riformatore, seppur non sempre condiviso dalla professione medica, non minaccia la solidità e il posizionamento socio-professionale di quest’ultima, forte della legittimazione pubblica e del prestigio sociale di cui gode. Ed è in questo contesto che, mentre le leggi ed i regolamenti proiettano formalmente l’ostetrica verso un più elevato livello di professionalizzazione, nel 2007 viene avanzata una proposta di legge volta ad inserire l’analgesia epidurale all’interno dei LEA, invertendo in un certo senso la direzione di marcia. Se, da un lato, l’intento è quello di ridurre il ricorso al taglio cesareo (che in Italia raggiunge la percentuale più alta d’Europa, attestandosi attorno al 37,8% secondo le rilevazioni dell’European Perinatal Health Report del 2008) e di garantire una maggiore libertà di scelta alle donne, dall’altro, estendendo la possibilità di ricorrere a tale pratica legittima la presenza di una nuova figura medica, l’anestesista, sulla scena del parto. Questa scelta viene osteggiata, seppur debolmente, dalle ostetriche e da esse interpretata come l’ennesima conferma dell’alleanza storica tra istituzioni e potentati, cioè tra lo Stato e la professione medica. Tale interpretazione appare però in antitesi con il recepimento della direttiva europea n. 36 del 2005 in tema di ricettario ostetrico, attraverso cui si riconosce all’ostetrica il diritto di prescrivere gli esami diagnostici della gravidanza fisiologica, fino a questo momento appannaggio dei ginecologi.

In definitiva la fase della neo-professionalizzazione sembra essere caratterizzata da una forte ambiguità. Da un lato, infatti, il gruppo occupazionale ottiene sul piano formale il riconoscimento dello status professionale; dall’altro, continua però a manifestare una fragilità di fondo testimoniata sia dalla difficoltà della stessa categoria di identificarsi e di auto-percepirsi come una professione, sia dalla

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17 scarsa legittimazione sociale e dal debole consenso di cui gode tra la popolazione.

2.4 Verso una quarta fase. Quali nuove prospettive?

La FNCO è sempre in continuo movimento rilevandosi una ottima federazione la quale prende posizione evidenziando che in molte realtà sono state registrate in appropriatezze sull’attribuzione delle competenza e dei profili di responsabilità riconosciute all’ostetrica/o dalle Direttive Europee (206/07) e dalle leggi dello Stato anche in rispondenza all’evoluzione dei percorsi formativi ed allo sviluppo di competenze avanzate e specializzate in area clinica e manageriale. Evidenza anche che in molte realtà territoriali ed ospedaliere, contrariamente a quanto indicato dal “Progetto Obiettivo Materno infantile” e dal PSN, risulta esigua e limitata la figura dell’ostetrica di comunità (consultori e assistenza domiciliare) e nelle unità operative dell’area ostetrica - ginecologica e neonatale; stesso problema si rileva presso i dipartimenti universitari dell’area ostetrico-ginecologica. (Prot. 2039 Roma, 1 ottobre 2010 Class. 1101 – 1110 – 1701 – 1703 FNCO)

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3 Normativa del regolamento professionale e organizzativo

- leggi sanitarie del 1934; - L. 921/1937, art. 18; - R.D. 1364/1940;

- numerosi D.M. del 1975 e del 1981; - D.M. 740/1994 (profilo professionale); - L. 42/99; - L. 251/2000 (autonomia funzionale); - L. 43/2006 - Codice deontologico 2010  DM 740/1994 L. 251/2000 L. 43/2006 ( core competence)  DM 509/1999 DM 270/2004 * ( core curriculum)

 CODICE DEONTOLOGICO FNCO 2010 ( core values)

 Legge n. 405 del 1975 “Istituzione dei Consultori Familiari” • Legge n. 833 del 1978 - “Istituzione del Servizio Sanitario

Nazionale”

• Decreto Legislativo 502/92, 517/93, 229/99

• DM 24.04.2000 “Adozione del Progetto Obiettivo Materno Infantile”

• Livelli Essenziali di Assistenza • Piano Sanitario Nazionale • Piani Sanitari Regionali

 La Delibera 259/2006 della Giunta Regionale Toscana “Programma di interventi per una riqualificazione dei servizi

consultoriali e di educazione e formazione finalizzati alla diffusione ed al consolidamento di una cultura della maternità e paternità responsabile e di una sessualità consapevole”

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4 Il territorio

Le attività consultoriali assumono, infatti, un ruolo fondamentale nel territorio poiché la peculiarità del lavoro in equipe le rende uniche nella rete delle risorse sanitarie e socio-assistenziali esistenti.

Il Consultorio Familiare viene anche individuato come luogo per la continuità dell’assistenza alla puerpera e al neonato.

Nell’ambito del Percorso Nascita sono evidenziati importanti obiettivi cui tendere, tra cui:

• Promozione dell’allattamento al seno

• Dimissioni protette e dimissione precoce mediante l’attivazione della rete sanitaria ospedaliera-territoriale e sociale per il rientro a domicilio della madre e del neonato

• Favorire l’avvicinamento/contatto puerpera-neonato (anche patologico) mediante il collegamento funzionale-strutturale tra area ostetrico-ginecologica ed area pediatrico-neonatologica, tramite l’applicazione di norme regionali di indirizzo per l’area ospedaliera materno infantile mirati a favorire l’integrazione operativa tra UOO Ostetricia e UOO neonatologica-pediatrica soprattutto in fase di riordino-ristrutturazione dei reparti e l’adeguamento strutturale al fine di facilitare il rooming-in e l’allattamento al seno.

Gli obiettivi inerenti ai consultori familiari riguardano:

• Massima integrazione del Consultorio Familiare nell’organizzazione dipartimentale attraverso l’afferenza al Distretto e la collaborazione con i servizi sociali e socio - assistenziali ad esso afferenti tramite un piano di integrazione sanitario - sociale - socio-assistenziale con il coinvolgimento di tutti i servizi territoriali interessati e il suo finanziamento;

• Migliorare il benessere psicofisico della puerpera e del neonato tramite l’offerta attiva di visite domiciliari, con particolare

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20 riferimento al caso di dimissioni precoci e/o in situazioni di rischio sociale.

Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri relativo all’istituzione dei Livelli Essenziali di Assistenza, all’allegato 1.A Classificazione dei livelli, comma 2 Assistenza Distrettuale, punto g Assistenza territoriale ambulatoriale e domiciliare, è indicato che le prestazioni garantite sono:

- L’assistenza programmata a domicilio (assistenza domiciliare integrata, assistenza programmata domiciliare, comprese le varie forma di assistenza infermieristica territoriale)

- L’attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle donne, alle coppie e alle famiglie a tutela della maternità, (…).

Infine, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie” all’articolo 1 prevede le “prestazioni

sanitarie sulla base di progetti assistenziali personalizzati”.

Riflettendo su tutto quanto di nuovo c’è nell’organizzazione delle Aziende ospedaliere e sanitarie, e sul diritto dell’utenza di veder soddisfare al meglio i propri bisogni, è indispensabile rivisitare la professionalità dell’ostetrica partendo dalla consapevolezza di appartenere ad una professione intellettuale. Occorre quindi che le ostetriche italiane, forti degli indirizzi di legge, comincino a progettare e a realizzare proposte per servizi in linea con le normative e relativi al proprio ambito di competenza erogando assistenza nell’ambito della salute sessuale e riproduttiva, con particolare attenzione ai bisogni di salute della donna-madre, del feto-neonato, dell’uomo-padre, della coppia, della famiglia e della comunità.

Un’analisi dell’evoluzione dell’evento nascita in Italia ha rilevato che negli ultimi decenni l’assistenza è sempre più parcellizzata; si assiste:

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21 - a una separazione fra assistenza prenatale, intra-partum e

periodo successivo alla nascita

- all’intervento di differenti operatori che spesso non interagiscono fra loro

- ad un’offerta di informazioni e sostegno risultanti in larga misura frammentarie e inadeguate, denunciando così, la mancanza di continuità nell’assistenza al percorso nascita.

Un’indagine conoscitiva sul Percorso Nascita condotta nel 2002 dall’Istituto Superiore di Sanità, per quanto concerne il puerperio rileva che al rientro a casa oltre il 25% delle donne ha riferito di aver avuto problemi inerenti all’allattamento. Meno del 15% delle puerpere ha ricevuto una visita domiciliare. La proporzione di donne allattanti al seno in maniera esclusivaoltre il 4° mese varia del 18% al 56%. La percentuale di mamme allattanti al seno a 6 mesi di vita del bambino è compresa in un range del 31 - 68%. La percentuale di bambini svezzati entro il 4° mese di vita varia dal 16% al 51%.

Per quanto riguarda la ripresa della vita sessuale, circa il 70% delle donne ha dichiarato di aver ripreso i rapporti entro il 2° mese dal parto; oltre il 40% ha riferito di aver avuto problemi alla ripresa e circa il 70% ha riferito di aver utilizzato un metodo contraccettivo. Sinteticamente i risultati dell’indagine mostrano che un elemento critico è rappresentato dalla scarsa offerta di visite e di incontri in puerperio, dalla bassa prevalenza dell’allattamento al seno oltre i 3 mesi e dalla precocità dello svezzamento.

sostegno su tutti gli aspetti riguardanti questa fase delicata e importante del percorso nascita.

La frequente mancanza d’aiuto alla puerpera al momento del rientro a domicilio suggerisce un maggior impegno dei servizi ospedalieri e territoriali.

Si sta verificando una sempre maggiore tendenza alla deospedalizzazione del periodo del puerperio, che cerca

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22 giustificazione nei presunti vantaggi economici e socioculturali e non sempre nell’espressione di un reale miglioramento delle cure.

Se le motivazioni sono prevalentemente di carattere economico, si possono tradurre in dimissioni affrettate, senza la garanzia di un sostegno a domicilio con il conseguente aumento di riammissioni per patologie neonatali o maggiori difficoltà nell’allattamento al seno e nelle relazioni.

Il sostegno dopo la dimissione della madre e del neonato a domicilio trova significato soprattutto perché il rapporto con il neonato rappresenta un evento fortemente centrale nella vita della donna e della coppia.

Il fatto che questo evento sia più raro quantitativamente nella vita di ciascuna donna, lo rende ancora più “prezioso”, ma anche critico da diversi punti di vista. Infatti, essendo un evento meno presente nella comunità, viene a mancare quella modalità “spontanea” di apprendere il comportamento, sia materiale che relazionale con il neonato.

Sempre più le coppie, che si trovano nella situazione di mettere al mondo il loro primo - e spesso unico - figlio, dichiarano di sentirsi sole particolarmente in riferimento a “ciò che bisogna fare” nei primi tempi a casa con il bambino. E’ un senso di solitudine sostenuto dall’effettiva mancanza di un contorno protettivo, che accompagna, che guida, che sostiene. La famiglia allargata non è stata sostituita da rapporti comunitari tali da dare rinforzo al singolo individuo nel momento in cui vive un’esperienza forte e per molti versi unica, come quella di diventare genitore. La mancanza di scambi e di condivisione tra donne riguardo l’esperienza della maternità, nei suoi aspetti emotivi e psicologici ma anche nei suoi aspetti concreti legati alla cura e all’accudimento del bambino, acuisce il senso di inadeguatezza e di spaesamento di molte madri, rallentando così i tempi per un adattamento armonico nella relazione col bambino.

(23)

23

5 Chi è l’ostetrica di comunità?

In una società altamente dinamica e in continua evoluzione il modello di una “nuova ostetrica” è quello di una figura professionale che, ponendosi come leader naturale del processo di raggiungimento di nuovi valori sociali, conscia delle problematiche proprie del territorio in cui opera, sia veicolo principale nell’attuazione di un’assistenza sanitaria di base diversa e più in linea con il contesto ambientale e sociale dei tempi in cui viviamo, dove la tutela della salute si ottiene garantendo stili di vita sani e creando le condizioni ottimali per assicurare un completo benessere psichico, fisico e sociale all’utenza che afferisce ai servizi ostetrico-ginecologici.

La consapevolezza che la società ha bisogno delle loro competenze e che le donne/coppie cercano il rapporto fiduciario con “l’ostetrica di casa”, di famiglia, di comunità, apprezzando gli sforzi in tal senso, devono essere un incentivo per la categoria, e soprattutto per il suo gruppo dirigente, a trovare il giusto equilibrio nel contesto sociale.

5.1 La sua vocazione

Sempre vicino a te. Lo slogan con cui fu proposto il “Patto per la

Salute” fra cittadini e SSN nella passata legislatura, fatto proprio da tutte le professioni sanitarie, per le 14.600 ostetriche italiane si identifica col processo della midwifery care (arte e scienza dell’ostetrica che si prende cura della gestante). Esso non è altro che la nobile arte della maieutica esercitata attraverso un percorso altamente personalizzato in cui il “patto assistenziale” fra la donna e l’ostetrica/o è simmetrico.

Chi possiede i “saperi del parto” non è solo l’ostetrica/o, ma anche e soprattutto la donna. Una donna che, opportunamente supportata, sa attivare competenze endogene, innate, rispetto alla gestione della gravidanza, del “suo” parto, della sua salute (riproduttiva e non)

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24 nonché del benessere del nucleo familiare che, nel contesto sociale italiano, gravita tradizionalmente attorno a lei e da lei può essere fortemente influenzato.

L’ostetrica ha sempre avuto un ruolo di prevenzione e sorveglianza della fisiologia, ma spesso le sue azioni sembrano finalizzate solo ad aumentare la “compliance” (obbedienza, accondiscendenza) delle gestanti rispetto a schemi prestabili. Si tratta dell’active management (assistenza attiva) in cui l’operatore “giustifica” la sua presenza solo attraverso “azioni” (prescrittive, diagnostiche, terapeutiche) e con l’uso intensivo della tecnologia, non importa quanto e se supportata dalle evidenze scientifiche. E’ un modello confacente ad un SSN in cui la “produzione” deve essere misurata in termini di prestazioni codificate, di DRG (quantità) e non attraverso gli indici di rischio, gli indicatori di processo e di esito (qualità) che monitorizzano e testimoniano il raggiungimento di obiettivi di “salute”, intesa secondo l’accezione più nobile del termine.

La midwifery care prevede che si sappia applicare l’arte e la scienza anche “prestando attenzione, ascoltando, notando, distinguendo, rispondendo”, con l’obiettivo della partecipazione attiva e dell’empowerment (acquisizione di consapevolezza e di responsabile potere decisionale) delle persone assistite; nel nostro caso le donne/coppie, per lo più in attesa del loro primo e (speriamo non più) unico figlio.

La funzione di formatrice/informatrice dell’ostetrica/o, nel rispetto delle proprie competenze e delle effettive competenze altrui, è indispensabile perché le politiche di educazione sanitaria siano effettivamente correlabili poi ad aspetti estremamente delicati quali il consenso informato, la scelta informata, secondo valenze eticamente e deontologicamente ineccepibili.

Esplicando il suo ruolo tradizionale di consulente, l’ostetrica/o infatti predispone ed instaura, prima, durante e dopo il percorso nascita, quella fiduciosa partnership col SSN necessaria per costruire un

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25 modello sociale di salute (riproduttiva e non) veramente responsabile, in un settore in continua evoluzione in cui, grazie ai progressi della genetica, della medicina fetale, delle tecnologie applicate, possono ingenerarsi false sicurezze e false aspettative di onnipotenza. Nel suo contesto lavorativo, ben delineato nel Progetto Obiettivo Materno – Infantile (P.O.M.I.), alla base anche del PSN 2001-2004 ma purtroppo ancora in fieri, l’ostetrica/o assume il ruolo privilegiato di interlocutrice della donna/coppia oggi sempre più alla ricerca di un equilibrio tra concetti di naturalità/naturalezza e tecnicismo/scientificità il cui inderogabile denominatore comune è, sempre e comunque, la sicurezza.

In presenza di un progressivo trend ascendente della natalità, sebbene lungi dai baby boom del 1964, indice di una raggiunta stabilità e di una economia florida, si stenta ancora a scorgere un

modello organizzativo veramente integrato

territorio/ospedale/domicilio e prevale l’ospedalizzazione tradizionalmente intesa.

Una rete di consultori familiari sui generis, sottostimata, priva delle figure chiavi individuate dal P.O.M.I, punti nascita i cui standard strutturali, tecnologici ed organizzativi non rispondono ai requisiti previsti per i vari livelli di assistenza, ovviamente fatte salve le eccezioni, non sono il contesto ideale di lavoro. La qualità delle prestazioni offerte e dei servizi erogati non si disgiunge mai dalla qualità dell’organizzazione, da quella della struttura, da quella delle tecnologie e del personale coinvolto. Senza qualità accertata e certificata riteniamo francamente che sia difficile ipotizzare il contenimento di una spesa sanitaria, spesso gravata dal ricorso improprio alle strutture e dalla sovraesposizione alle prestazioni.

Abbiamo sufficienti dati epidemiologici per affermare che complessivamente l’outcome (risultato in termini di salute) materno-fetale-neonatale è soddisfacente. Ma occorre una ancora più accurata ed onesta valutazione del contesto ed una approfondita analisi delle

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26 possibilità future per puntare all’eccellenza, tenendo presente i veri bisogni assistenziali specie per la fascia, piuttosto larga ed eterogenea, della popolazione più a rischio, ossia quella non informata sui diritti, sui doveri e sulle azioni (anche economiche) poste in essere a tutela del loro benessere.

Ricomporre nell’evento nascita la componente affettiva e relazionale, ridarle l’indiscusso valore di evento altamente sociale e non solo sanitario è un imperativo che vige da anni, ma estremamente attuale ed all’attenzione del legislatore. Si sa che le leggi, come ogni altro atto umano, sono sempre perfettibili, ma non è per ordinanza parlamentare che si insegna o si impara la differenza fra affettività e sessualità, fra procreazione e corretto ruolo genitoriale in un nucleo familiare sano ed equilibrato.

Si contesta l’eccessiva medicalizzazione della nascita. Ebbene, il saper assistere senza intervenire è un modello di assistenza esemplare ed estremamente complesso che, a contrario di quanto si possa pensare, è in genere appannaggio solo dei professionisti più preparati, maturi, continuamente aggiornati. Significa infatti avere da un lato la capacità di gestire in modo adeguato eventi e situazioni potenzialmente naturali (in donne/uomini sani), e dall’altra l’abilità di individuare con la minor tecnologia possibile la potenziale patologia, trattandola correttamente.

Le leggi 42/99 e 251/00 hanno imposto una attenta ridefinizione delle responsabilità (che significa far la cosa giusta, al momento giusto, per la persona giusta) di tutti i professionisti. Il nuovo setting formativo dell’ostetrica/o, la consapevolezza delle nostre potenzialità e dei relativi limiti, ci consentono di fare alcune proposte operative:

1. una vera interazione coi i Medici di Base, attraverso il ripristino (perché no?) della Convenzionale territoriale per la gestione congiunta anche degli screening oncologici di I livello;

2. la differenziazione tra sedi e strutture preposte alla sorveglianza ed assistenza del basso rischio ostetrico, in cui

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27 esplicare al meglio le loro competenze, coadiuvate anche dal personale di supporto previsto già dal D.M. 740/94 (profilo professionale) e tuttora ignoto;

3. la riorganizzazione delle strutture di II e III livello in cui concorrere alla sorveglianza ed assistenza della fisio-patologia con lo specialista ostetrico-ginecologo e gli altri membri dell’equipe.

Congiuntamente, ginecologi ed ostetriche, potrebbero sfatare il paradigma per cui i fallimenti assistenziali in Ostetricia sono correlati non ad elementi di rischio insiti nella nascita, come in ogni atto della natura umana, ma solo e sempre a comportamenti di malpractice (mala sanità).

La convinzione è rafforzata nell’utenza dall’enfasi con cui viene proposto “il bambino in braccio, comunque sano e bello”, frutto del progresso scientifico, e sfocia in una medicina difensiva, diventata il razionale di comportamenti tecnici ed organizzativi posti in essere per scongiurare “il rischio denuncia”, che coinvolge irrimediabilmente tutti.

L’indice di attrazione della professione fra le nuove leve è buono, le potenzialità operative tante. Per accelerare il processo di cambiamento in atto, confidiamo che nel settore materno-infantile ben definito dal P.O.M.I. (che condividiamo ed alla cui stesura abbiamo partecipato con entusiasmo) si possa agire bene, subito e con la necessaria serenità.

L’umanità continua a perpetuare la specie anche in situazioni disperate; vogliamo che in Italia sia assistita da professionisti accreditati non su valori autoreferenziali, ma dimostrati e dimostrabili in termini di salute, di soddisfazione dei bisogni anche psicorelazionali ed affettivi del “customer” tanto protetto anche dalla normativa europea, fin da quando spalanca gli occhi in un paese dove, malgrado tutto, continua ad essere bello vivere.

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28

5.2 Con quale approccio di lavoro il mondo di oggi ci confligge?

In quest’epoca dove le risorse economiche stano creando un divario tra domanda di salute e domanda sodisfatta diviene cosi preoccupante.

Quindi diventa necessario un approccio diligente in ogni azione del singolo professionista e del sistema organizzativo e gestionale.

Un approccio si , basato su evidenze scientifiche ma non sufficiente se manca quella capacità di cercare il miglioramento anche in un settore già definito buono. Serve una inversione a U ed eliminare il paradossale ragionamento secondo il quale un intervento chirurgico per un tumore invasivo del collo dell'utero produce fatturato mentre l'esecuzione del Pap-test produce spesa.

La prevenzione deve essere proposta come opportunità di vivere meglio, non come mezzo per evitare il peggio

E' certamente una rivoluzione, rispetto agli stereotipi convenzionali, assumere la gentilezza, l'empatia e la compassione come caratteristiche "professionali" che ogni giorno vanno reinventate e riconquistate con ogni singola persona. Ed è fuori dubbio che è più facile sperimentare queste capacità con persone gradevoli, educate, dello stesso livello sociale, o che comunque stanno al loro posto. E' un po' più difficile con chi è radicalmente differente. E lì che viene messa alla prova la capacità professionale degli operatori della prevenzione. E' questa capacità il fondamentale requisito del professionista della prevenzione, mentre le competenze di merito, sempre importanti, rappresentano solo un perquisito.

Ma quale è la probabilità che una persona, che non ha il problema specifico ma è a rischio di andarvi incontro, si attivi spontaneamente, non avendo nessuno stimolo di urgenza (il problema è solo potenziale), in funzione delle sue condizioni socioeconomiche? Certo questa probabilità è direttamente proporzionale al livello della condizione sociale. Il dramma è che l'incidenza o la prevalenza degli

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29 eventi o delle condizioni di sofferenza sono quasi sempre inversamente proporzionali al livello della condizione sociale.

Da qui segue l'imperativo categorico, espressione della rivoluzione copernicana, che la "prevenzione" va attivamente offerta e non semplicemente raccomandata. E la conseguenza di tale imperativo è che chi opera nella prevenzione deve preoccuparsi di "raggiungere" chi è a rischio e, purtroppo, le persone più difficili da raggiungere sono anche quelle più a rischio.

Le domande che si impongono sono:

 Quali sono le condizioni e gli eventi che vengono giudicati dalla comunità meritevoli di azioni atte a prevenirli?

 Come si quantificano?  Con quali indicatori?

 Quale popolazione è a rischio di produrli?

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6 Macro aree

 Identificare e valutare i bisogni della donna all’interno del contesto culturale e di comunità

 Prendere decisioni su principi etici

 Pianificare, iniziare a fornire assistenza alla donna che fa parte dei casi presi in carico

 Promuovere la salute sessuale della donna, delle famiglie e della comunità

 Applicare la conoscenza delle diverse strategie di insegnamento con i singoli, la coppia e i gruppi.

 Utilizzare e valutare diversi metodi di comunicazione per una comunicazione efficacie.

 Partecipa alle attività di prevenzione in modo attivo  Coordina e gestisce l’assistenza da sola e in equipe.

 Crea, gestisce ed utilizza informazioni statistiche cliniche e non per pianificare interventi di assistenza mirate e definire le priorità d’intervento o informazione.

 Sostiene e incoraggia la donna e la famiglia ad influenzare e partecipare alle decisioni relative al sostegno del benessere.  Lavora da sola o in equipe

 Partecipa alle definizioni delle priorità nelle attività relative al percorso fisiologico della gravidanza

 Mantiene relazioni professionali ed un ruolo collegiale di sostegno con gli altri colleghi o figure professionali.

 Mostra evidenza di un impegno alla formazione continua e allo sviluppo professionale

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31

6.1 Area di competenza propria

Promozione della salute/ benessere globale della donna, in relazione agli eventi ed ai fenomeni naturali / fisiologici del ciclo della vita

 Promuovere/realizzare counselling preconcezionale

 Collaborare nella prevenzione dell’IVG e delle gravidanze indesiderate

 Promuovere una maternità e paternità responsabile  Promuovere la salute negli adolescenti

 Promuovere interventi di educazione compresa quella sessuale alla persona in relazione alla fasi della vita, alla coppia, alla famiglia e alla collettività

 Tutelare la salute della persona nell’ambiente di lavoro

 Prevenire e vigilare sugli incidenti domestici Vigilare sulla violenza sessuale e domestica

 Collaborare con i servizi scolastici

 Promuovere il benessere sessuale del singolo e della coppia  Promuovere la salute della donna in menopausa/ climaterio  Prevenire i tumori della sfera genitale femminile, compresa la

mammella

 Promuovere il benessere del perineo

 Promuovere stili di vita sani e modificare quelli a rischio nella persona, nella famiglia e nella collettività

 Promuovere un’educazione alimentare  Promuovere la salute globale della famiglia  Promuovere allattamento materno esclusivo

 Incoraggiamento e sostegno per un allattamento esclusivo fino al sesto mese di vita (OMS/UNICEF)

 Sostegno in tutti i casi di allattamento misto e/o artificiale  Sostegno allo svezzamento precoce e tardivo

(32)

32  Osservazione relazione madre-bambino e mamma

–papà-bambino

 Individuazione situazioni a rischio psico-sociali

 Assistenza domiciliare in casi a rischio in equipe multidisciplinare

6.2 Competenze relazionali

 Gestire il consenso informato

 Agire nel rispetto della deontologia professionale  Consulenza ginecologica

 Favorire l’autodeterminazione della donna, della coppia nelle scelte

 Mettere in atto una relazione di aiuto ed essere sostegno/supporto

 Conselling prenatale, in caso di IVG, sessuologico

 Sostegno psico-emotivo alla donna con problemi della sfera ginecologica

 Relazione di aiuto alla coppia infertile

 Gestire una richiesta di aiuto di fronte ad una richiesta sessuologica

 Gestire gruppi di auto-aiuto  Sostegno alla persona con disagio

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33

7 L’ostetrica di comunità come case manager

Il modello assistenziale del Case Manager, sviluppato in Italia e all’estero, opera nel contesto della Comunità e Ospedaliero con l’obiettivo imprescindibile della Presa in Carico e della garanzia del Percorso di Continuità Assistenziale.

Cuore del case management è “l’approccio sistematico all’assistenza.” Gli obiettivi del case manager sono:

 l’attenzione alla qualità e alla continuità dell’assistenza sanitaria erogata;

 la diminuzione della frammentazione dell’assistenza;  l’innalzamento della qualità di vita del paziente;  il contenimento dei costi”

7.1 Case Manager

 Professionista: può essere qualunque professionista che possa gestire continuativamente il paziente.

 Gestisce: deve essere presente un rapporto diretto e continuato fra professionista e paziente, non può essere legato all’erogazione di una specifica prestazione.

 Caso o casi affidati: il paziente o i pazienti riconoscono un operatore a cui fare riferimento per ogni tipo di problema.  Percorso predefinito: PDTA

(34)

34

7.1.1 Fasi di un programma di Case Management

 Screening dei pazienti e selezione dei “casi” da assegnare al case manager (selezionare i casi clinici che possono trarre maggior benefici da una applicazione di case management)  Valutazione del “caso” (una completa ed analitica valutazione

del paziente è la chiave di una gestione olistica e personalizzata)

 Sviluppo del piano assistenziale  Monitoraggio continuo del paziente  Attuazione del piano assistenziale

 Valutazione finale e chiusura del “caso”

7.1.2 Modalità

Parlare di strategie di prevenzione significa predisporre un piano operativo che risponda ai

seguenti quesiti:

1) Come, quando, dove offrire la prevenzione e a chi; 2) come gestire la misura di prevenzione;

3) come allestire e gestire una opportuna anagrafe al fine di verificare periodicamente chi non è stato raggiunto;

4) come svolgere indagini per identificare i determinanti del non raggiungimento;

5) come stimare i tassi di incidenza e/o prevalenza e di gravità attesi nella sezione della popolazione bersaglio non raggiunta

(35)

35 Una strategia di lavoro nella prevenzione deve essere basata su due cardini essenziali:

a. Cardine epidemiologico

Attraverso opportune indagini epidemiologiche va identificata la popolazione bersaglio, sezione della popolazione generale a rischio di produrre il problema e vanno riconosciute all'interno della popolazione bersaglio le sezioni a rischio differenziato (tenendo conto non solo del rischio relativo ma soprattutto del rischio attribuibile).

b. Cardine operativo

I servizi responsabili devono avere la capacità di raggiungere tutte le persone appartenenti alla popolazione bersaglio, avendo cura di dedicare prioritariamente le risorse per raggiungere le sezioni più a rischio. La strategia operativa deve essere praticabile ed accettabile.

c. Corollario

Il concetto di raggiungibilità va inteso nell'ambito della comunicazione, quindi non riguarda solo la dimensione fisica ma soprattutto quella psicosociale, culturale ed antropologica, e dipende dalla "visibilità" delle persone da raggiungere.

(36)

36

8 Esempi di programmazione strategica delle attività ostetriche

8.1 Nascita

a. Offerta attiva a tutte le coppie che si sposano di un colloquio prematrimoniale (consulenza preconcezionale, compresa quella genetica, fisiologia della riproduzione e procreazione responsabile, problematiche genitoriali, ecc.).

 La visibilità è data dalle pubblicazioni matrimoniali presso i municipi.

b. Offerta attiva di un colloquio informativo a tutte le donne in gravidanza (presso il consultorio o a domicilio, a discrezione della donna) sulle raccomandazioni riguardo l'assistenza in gravidanza, sui servizi disponibili e per invitarle a partecipare a corsi di preparazione alla nascita.

 La visibilità va recuperata con la collaborazione dei medici di base, dei ginecologi, dei laboratori di analisi e delle farmacie e presso l'ufficio ticket per esenzione

c. Offerta attiva di almeno una visita domiciliare entro uno-due mesi dal parto (sviluppo psico-fisico del nato/a, bilanci di salute, alimentazione procreazione responsabile, dinamiche relazionali, educazione alla salute, soprattutto per quanto concerne la prevenzione oncologica, ecc.).

 La visibilità è data dall'iscrizione all'anagrafe del nato/a, dai certificati di assistenza al parto.

d. Offerta attiva di assistenza ostetrica e pediatrica, a domicilio, entro la 1° settimana dalla nascita; in caso di parto fisiologico, ciò favorisce la dimissione precoce.

 La visibilità è data dai certificati di assistenza al parto. 

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37 8.2 Adolescenti

a. Offerta attiva di corsi di informazione sessuale nelle scuole (fisiopatologia della riproduzione, igiene, ecc.).

Offerta di possibilità di approfondimento per piccoli gruppi in tempi e spazi riservati presso il consultorio, soprattutto sulle problematiche psico-relazionali.

 Visibilità: scuole.

b. Incontri con genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, sulle problematiche della sessualità in età adolescenziale.

 Visibilità: scuole.

8.3 Prevenzione dei tumori femminili

a. Offerta attiva del Pap-Test a tutte le donne di età compresa tra 25 e 65 anni, con periodicità triennale.

b. Offerta attiva di addestramento all'autopalpazione del seno. Visita clinica e percorso programmatico dalla visita clinica effettuata nel consultorio familiare agli esami strumentali e istologici di approfondimento da eseguirsi nei serviziambulatoriali della Azienda Sanitaria Locale e in quelli ospedalieri.

Condizione: esistenza di servizi di secondo e terzo livello (citologia, colposcopia, mammografia, ecc.) accreditati e con controllo di qualità.  Visibilità: anagrafe comunale, anagrafe assistite.

8.4 IVG

Attività di sportello di prenotazione per l'IVG per i reparti di ostetricia e offerta attiva di colloquio preIVG e postIVG (salute, procreazione responsabile ecc.).

8.5 Disagio familiare

Ricerca attiva e valutazione dei casi di grave ritardo o evasione vaccinale (su segnalazione dei servizi vaccinali) e dei casi di grave basso profitto o abbandono scolastico (su segnalazione delle scuole).

(38)

38 Per ogni progetto indicato è possibile identificare e quantificare gli obiettivi, individuare e quantificare la popolazione bersaglio, individuare gli indicatori e i sistemi di valutazione, le risorse necessarie (soprattutto riguardo le ore lavoro per figura professionale) e i tempi di attuazione.

8.6 I bisogni di madre e bambino nel puerperio

Nel post-partum la donne hanno bisogno di informazioni e counselling su cura del bambino e allattamento; ciò che accade al proprio corpo-compresi i segni di possibili problemi ; selfcare – igiene e guarigione ; vita sessuale ; contraccezione ; nutrizione.

• Supporto da professionisti della salute ; partner e famiglia – emozionale e psicologico

• Cure per complicazioni sospette o manifeste • Tempo per la cura del bambino

• Aiuto per i compiti domestici • Permessi di maternità

• Reintegrazione sociale nella propria famiglia e comunità • Protezione da abusi/violenze

Le donne possono avere paura di : • Inadeguatezza

• Perdita dell’intimità coniugale • Isolamento

• Costante responsabilità della cura del bambino e di altri Il neonato bambino ha bisogno di:

• Facile accesso alla madre • Alimentazione appropriata

(39)

39 • Adeguata temperatura dell’ambiente

• Ambiente sicuro • Cure parentali • Pulizia

• Osservazione dei segni del corpo da parte di qualcuno che lo cura e può intraprendere azioni se necessario

• Accesso alle cure per complicazioni sospette e manifeste • Essere nutrito, coccolato, stimolato

• Protezione da malattie, pratiche dannose, abuso / violenza • Accettazione del sesso, dell’aspetto e del peso

•Ricognizione dello stato vitale attraverso un sistema di registrazione Tutti questi bisogni, se soddisfatti, rappresentano opportunità di salute che nel loro insieme contribuiscono a creare la base di un benessere della diade madre-bambino e della relativa famiglia. Purtroppo sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, i bisogni delle donne e dei neonati sono stati quasi completamente “eclissati “ dall’attenzione prestata a gravidanza e parto.

(40)

40

9 APPENDICE

LA DE MEDICALIZZAZIONE DEL PARTO: IL PARTO A DOMICILIO1

Le ostetriche italiane che da tempo e come scelta professionale assistono la nascita in casa si riuniscono, dal 1981,nell' Associazione Nazionale Culturale Ostetriche Parto a Domicilio con lo scopo di approfondire e diffondere una cultura sul parto a domicilio che promuova e tuteli innanzitutto la qualità dell'esperienza per la donna e per la coppia e garantisca un'assistenza qualificata da parte dell'ostetrica professionista .

Il nostro principale obbiettivo é la condivisione della esperienza di ciascuna , la creazione di una base comune su cui confrontarsi e infine rendere visibili, ovvero esplicitare, i nostri criteri decisionali. La visibilità dei propri criteri operativi (culturali, scientifici e tecnici) è l'indispensabile ingrediente nel momento assistenziale vero e proprio (la capacità di "oggettivare" ciò che sta succedendo qui ed ora) ed è anche lo strumento per una comunicazione costruttiva tra le operatrici.

Le nostre linee guida non sono uno strumento né di controllo né di giudizio, ma propriamente delle linee, dei binari entro cui muoversi per lavorare con consapevolezza nel momento presente e domandosi sempre il perché dei nostri gesti e delle nostre scelte, un documento

1 Donne e consultori Esperienze nella Provincia di Prato a cura di DANIELA

BAGATTINI VALENTINA PEDANI

LINEE GUIDA DI ASSISTENZA AL TRAVAGLIO E PARTO FISIOLOGICO A DOMICILIO E CASA MATERNITA' PRIMA EDIZIONE APRILE 1991 ULTIMA EDIZIONE novembre 2013 Redazione e introduzione a cura di Marta Campiotti e Paola Olivieri Ringraziamo il dott. Giuseppe Battagliarin per la consulenza

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