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La pratica clientelare nel processo di personalizzazione della politica

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 2

1.Caratteri del fenomeno clientelare e contestualizzazione sociopolitica 5

1.1 Le radici storiche del patronato ed una prima definizione 6

1.2 La diade nella modernizzazione sociale 9

1.3 Lo scambio tra patrono e cliente 16

1.4 La prassi clientelare nelle istituzioni pubbliche 22

2. Il Clientelismo e lo spazio civile: il rapporto con il capitale sociale e la cultura politica 28

2.1 Le forme del capitale sociale 29

2.2 Cultura politica e familismo amorale. Due possibili fattori clientelari 35

2.3 Subculture e consociativismo nell’espansione del patronato nell’ Italia repubblicana 42

3.Il clientelismo nell’articolazione evolutiva dei partiti politici 51

3.1 Le fazioni: deriva clientelare dei partiti politici 53

3.2 L’intensità clientelare nella mutazione dei partiti politici 59

3.3 La personalizzazione della politica e la nascita del neopatrimonialismo 74

3.4 Neopatrimonialismo, personalizzazione del vertice di partito e primarie 82

4. La situazione della sinistra italiana: il cambiamento delle relazioni politiche dal Pci al Pd 88

4.1 La subcultura rossa 90

4.2 Dal Pci ai Ds: l’evoluzione della sinistra italiana 94

4.3 L’importanza della leadership e delle primarie nel Partito Democratico 103

4.4 L’ascesa di Renzi al ruolo di Segretario e la personalizzazione del Pd 110

5. Il clientelismo come nuova prassi democratica? La frammentazione politica ed il voto di preferenza 118

5.1 La frammentazione della rappresentanza politica e la prospettiva del clientelismo 120

5.2 La deriva civica nelle elezioni comunali ed i rischi che comporta 128

5.3 La questione del voto di preferenza 139

6. Conclusioni finali e considerazioni critiche 152

Bibliografia 160

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Introduzione

Il seguente lavoro di tesi di laurea persegue un approfondimento analitico sul fenomeno del clientelismo, sia a livello del campo sociale, sia per quanto riguarda il sistema politico e il livello simbolico-cognitivo dei singoli agenti sociali, esplicando le relazioni che si instaurano tra le dimensioni delle articolazioni societarie e le conseguenze che comportano nel processo di riproduzione strutturale.

La secolarizzazione delle grandi narrazioni del XX secolo, derivante, principalmente, dal fallimento delle società fondate sul socialismo reale, è stata seguita da un progressivo distanziamento degli individui dai vari schemi di cognizione della realtà imposti dai dogmi ideologici, permettendo la creazione di ampi margini di azione autorealizzativa nel contesto della globalizzazione economica e finanziaria.

Le nuove forme di rapporto interindividuale delle società postcontemporanee si vengono a basare sui dettami liberistici della circolazione dei capitali e dello scambio commerciale, secondo la logica del massimo profitto e della finalizzazione dei desideri della singola persona, determinando una atomizzazione dei legami sociali, impostati su principi prettamente utilitaristici.

Il successo culturale e sociale dell’individualismo e del neoliberismo impone una contrazione dei sistemi di regolazione socioeconomici dei Welfare State, poiché occorre garantire la libertà di attuazione delle strategie comportamentali ad ogni singolo agente presente all’interno del tessuto societario.

Tuttavia, il corrente momento di concentrazione delle risorse economiche e culturali in gruppi sempre più ristretti ed esclusivi, comporta un forte squilibrio nelle probabilità di successo dei singoli percorsi di miglioramento personale, ma anche nella partecipazione alla vita pubblica delle comunità e delle società in cui gli individui si trovano inseriti e dove svolgono le attività quotidiane. La polarizzazione dei mezzi economici e culturali, posti sotto il controllo di una minoranza autoreferenziale, mina la possibilità (intrinseca in quei regimi che si definiscono democratici) alla maggioranza della popolazione di usufruire di risorse e di opportunità favorevoli al progresso sociale ed economico personale e collettivo, decretando, nei fatti, una privatizzazione del divenire sociale.

In una tale situazione chiaro è l’emerge del rischio della proliferazione di forme di subordinazione economica e sociale, dettate dall’abilità dei nuovi notabili contemporanei di elargire favori di natura personale, sotto forma di trasmissioni pecuniarie, in funzione di una socializzazione gerarchizzante dell’intero assetto sociale, sulla base del proprio potere d’influenza sullo sviluppo complessivo.

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Nella formazione politica interna ai sistemi istituzionali democratici, le forme di subordinazioni emergono nei partiti e negli apparati burocratici in concomitanza con l’affermazione delle tendenze plebiscitarie nella formulazioni parlamentari e governative delle democrazie odierne, sempre più incentrate sulle personalità e non sulle organizzazioni partitiche.

La personalizzazione dei ruoli apicali dei vecchi impianti partitici ad integrazione di massa (o delle formazione loro eredi) e la nascita di organizzazioni personali, insieme all’applicazione della metodologia commerciale nel rapporto con i cittadini e gli elettori, ha provocato, nei sistemi istituzionali, la costituzione di staff di tecnici specializzati nella profusione di campagne propagandistiche incentrate sul capo politico, privi di alcune legittimità democratica, ed agenti per l’obbiettivo del raggiungimento del potere da parte del referente politico, in vista dei conseguenti ritorni materiali.

Il riscontro politico del fenomeno del clientelismo sociale si delinea come sistema privatizzato secondo la concorrenza di singole unità politiche, sorrette da organizzazioni selezionate direttamente dal vertice di potere per canoni di lealtà personale e conoscenze tecniche, utili a rapportarsi in modo diretto e secondo logiche mercantilistiche alla popolazione, in vista, unicamente, della vittoria elettorale.

Sulla base di tali considerazioni, si apre una serie di quesiti riguardanti l’influenza che un sistema sociale e politico altamente individualistico come quello odierno pone sulle modalità di relazione tra le singole entità agenti: in una contesto di forte accentramento delle ricchezze e di disequilibrio di potere, il clientelismo sta divenendo il rapporto strutturale tra gli agenti del campo sociale postcontemporaneo? Che cognizione dello spazio pubblico comporta una visione del mondo composta solo da rapporti personali che escludono enti impersonali e trascendenti le parti che la instaurano? Tale tipologia di legami che ripercussioni possono avere sui vecchi ordinamenti democratici? Ci stiamo dirigendo verso un sistema di consenso plebiscitario verso le nuove figure dei cosiddetti “principi democratici”? E’ valida e legittima una concezione mercantilistica, basata unicamente sullo scambio di utilità, del mandato di rappresentanza? Vi è il rischio di una privatizzazione della res publica?.

Il seguente lavoro è finalizzato al tentativo di fornire spunti di riflessione su questa particolare dinamica scoiale, attraverso un’analisi della letteratura scientifica inerente al fenomeno del patrimonialismo sociale e del patronato politico e sull’osservazione di alcuni dati riguardanti l’evoluzione del comportamento politico degli agenti politici e delle organizzazioni politiche.

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L’opera si compone di sei capitoli.

Nel primo capitolo verrà effettuata un’analisi eziologica ed epistemologica sulla natura storica e sociale delle prestazioni clientelari, sull’essenza della relazione diadica, sulle caratteristiche del contesto politicoeconomico che favorisce la formazione e lo sviluppo della prassi patronale, e i connotati che essa assume all’interno dello spazio istituzionale.

Nel secondo capitolo viene invece effettuata uno studio sulla dimensione simbolica e significativa che il patronato occupa nello spazio sociale di una comunità, relazionandolo con concetti fondamentali per la sociologia politica, come il capitale sociale, la cultura civica e le realtà subculturali dell’Italia moderna.

Il terzo capitolo si occupa di correlare l’utilizzo della prassi clientelare con i vari modelli evolutivi dei partiti politici, denotandone la frequenza dell’utilizzo a seconda della struttura ordinativa che le organizzazioni assumono nella trasformazione diacronica e nel rapporto conseguente che si viene ad instaurare con la base militante e l’elettorato.

Nel quarto capitolo viene invece proposto una focalizzazione analitica concernente l’evoluzione che i maggiori partiti della sinistra italiana (il Partito Comunista Italiano, il Partito dei Democratici della Sinistra, i Democratici di Sinistra ed il Partito Democratico) in termini di personalizzazione delle cariche politiche ed istituzionali, il rapporto con i militanti e le campagne elettorali, collegandoli all’intensità dell’uso di pratiche patronali e alla mercificazione delle relazioni politiche e sociali. Nel quinto capitolo si propone un raccolta di dati inerente alla diffusione di agenti politici localistici, all’aumento delle liste civiche e del voto di preferenza nelle elezioni regionali e comunali in maniera tale da evidenziare l’evoluzione del comportamento elettorale dei candidati e dei votanti e i pericoli che la logica particolaristica clientelare pone sia sulla formazione della rappresentanza democratica che sulla legittimità e l’imparzialità dell’amministrazione delle risorse pubbliche

Infine, nel sesto ed ultimo capitolo vengono esposte le conclusioni tratte dal percorso di studio e le considerazioni critiche riguardo ai risultati ottenuti.

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Capitolo 1

Caratteri del fenomeno clientelare e contestualizzazione

sociopolitica

Si propone, in questo capitolo di apertura, di effettuare una analisi generale del clientelismo, sia nella sua accezione sociologica che politica, cercando di individuare i tratti salienti delle relazioni che si interpongono tra patrono e cliente, le cause che permettono la loro attuazione, le conseguenze che vengono poste in essere nel campo della vita sociale quotidiana ed il loro collegamento con il sistema pubblico-istituzionale.

L’epistemologia riguardante il fenomeno in osservazione si attua attraverso una ricerca eziologica del patronato, grazie ad una precisa contestualizzazione storica, culturale ed economica, in grado di evidenziare gli elementi che, nel corso dell’evoluzione storica degli assetti sociali di quello che viene denominato Occidente, hanno permesso a singole personalità, o talvolta a ristretti gruppi di individui, di scalare la stratificazione gerarchica della struttura gruppale, ed arrivare a monopolizzare il potere deliberativo e le risorse di amministrazione e governo collettive, in funzione della riproduzione degli squilibri socioeconomici e del mantenimento delle posizioni di influenza nelle relazioni tra gli agenti sociali.

Per cui è necessario individuare il preciso ambiente storicoculturale nel quale, per la prima volta, il clientelismo è nato, per poi riuscire ad evidenziare, anche attraverso il contributo degli studi classici della sociologia, come esso sia diventato fattore di integrazione culturale e politica nella formazione degli Stati-nazione dell’epoca contemporanea.

Fondamentale, anche per la comprensione del ruolo che le relazioni patronali occupano nelle società globalizzate odierne, è denotare come da fatto di natura sociale sviluppatosi con processi di trasformazione capitalistica delle vecchie comunità tradizionali, il patronato sia divenuto fattore propulsivo di formazione politica delle entità istituzionali, modalità di amministrazione governativa del territorio e viatico comunicativo tra organizzazione politica e società civile.

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1.1 Le radici storiche del patronato ed una prima definizione

Il clientelismo viene definito dal Dizionario delle Scienze Sociali edito dall’Istituto Treccani come

“[…] un’ampia gamma di legami di dipendenza, […], che hanno in comune il fatto di essere contratti da attori sociali, i quali dispongono di risorse ineguali che vengono scambiate in transazioni asimmetriche, ma in apparenza reciprocamente vantaggiose ed aperte.”1

Tale etimologia ritrova le proprie origini storiche nel contesto culturale dell’antica Roma monarchica e, in seguito, repubblicana, all’interno della quale il clientelismo, dapprima nato come rapporto giuridico e successivamente sviluppatosi come relazione di carattere interpersonale e privato, scaturisce e si estende in conseguenza alla suddivisione classista tra Patrizi e Plebei2 avvenuta in concomitanza alla leggendaria fondazione dell’Urbe da parte del primo re Romolo. Approfondimenti storiografici compiuti in epoca moderna3 hanno mostrato come, indipendentemente dalla provenienza di classe degli individui coinvolti, “la relazione di patronato” fosse un rapporto asimmetrico instaurato tra due soggetti, il Cliens (Cliente) e il Patronus (Patrono), e fondato sull’applicazione dell’obsequium, ovvero l’obbligo di rispetto che ogni antico cittadino romano sentiva nei confronti di coloro che erano in una posizione superiore, sulla base della influenza pubblica, nella scala gerarchica della società.

Questo sentimento di rispetto si reificava attraverso vantaggi materiali e strumentali di vario genere, che rafforzava il legame di clientela ogni volta che venivano attuati; esso denotavano la capacità effettiva del patrono di prendersi cura del corrispettivo protetto, e rafforzava il sentimento di riconoscenza di quest’ultimo verso il proprio protettore.

I favori elargiti variavano di natura, e consistevano in supporti economici ed in gesti formali di amicizia che suggellavano la condizione di dipendenza e di subordinazione del cliente.

Tra di essi vi era la deditio, ovvero una forma di usufrutto di un bene pubblico su concessione (in

precarium) del patrono; inoltre, la relazione amicale prevedeva l’obbligo di soccorrere il cliente e,

in caso di necessità, di accoglierlo in casa e quello di invitarlo saltuariamente a pranzo, informandosi delle sue condizioni e dell’andamento degli affari posti.

1 Dizionario di Scienze Sociali dell’Istituto Treccani, Roma, 2016 2 Diogene di Alicarnasso, Storia antica di Roma, II, 9, 3

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A ciò si aggiungeva un supporto prettamente strumentale tangibile, spesso consistente nel frequente rifornimento di vettovaglie, definito in latino come sportula, ed in un ausilio economico, fornito sotto forma di denaro, nei momenti di maggiore o di imminente difficoltà finanziaria, o nel caso di fallimento di trattazioni commerciali.

Come forma di riconoscenza e di gratitudine verso il patrono, il cliente assicurava il proprio sostegno nelle assemblee, ove la votazione veniva effettuata pubblicamente, e nelle imprese belliche che venivano affrontate.

Tale sostegno politico, e principalmente pubblico, garantiva al patrono un accrescimento del rispetto sociale all’interno della propria comunità, un ritorno economico negli affari, derivante sia dalla sua carica politica che dal prestigio acquisito, un allargamento del bacino elettorale nelle varie classi ammesse alla scelta elettorale ed un aumento delle possibilità di ascesa nelle istituzioni pubbliche4.

Questo breve parentesi storiografica permette di evincere, e contemporaneamente evidenziare, come, nonostante i cambiamenti avvenuti nell’arco dell’evoluzione culturale degli schemi di vita, per quanto riguarda le formazione delle relazioni economiche e politiche, la distribuzione delle risorse di potere tra i vari attori sociali collettivi e individuali e le strutture legislative ed amministrative che agiscono nei vari contesti territoriali , ancora oggigiorno vengono posti in essere veri e propri rapporti di patronato.

In base a ciò risulta una semplificazione ingenua e fuorviante considerare, in funzione dei fatti contemporanei, la prassi clientelare come sopravvissuto ciarpame di relazioni culturali ormai estinte e consegnate unicamente allo studio storico; occorre invece, per un’ analisi sociologica coerente e quanto più possibile esauriente, individuare le persistenze simboliche e fattuali che permettono al clientelismo di essere una fattore integrante della vita sociale della nostra epoca globalizzata, ed evidenziare come le pratiche di patronato si siano trasformate nella modernizzazione della vita umana, divenendone, in alcuni contesti storici, addirittura un elemento propulsivo e promotore. Necessario è osservare, altresì, come la natura delle relazioni clientelari siano state messe in atto ed abbiano in tal modo coadiuvato quella che Polany, in un’opera classica dello studio sociologico5

, ha definito come “la grande trasformazione”, ovvero quella drastica evoluzione antropologica attuatasi con l’avvento dell’ era industriale moderna tra la seconda metà del XVIII secolo fino alla fine del XX secolo, in cui l’innovazione tecnologico-capitalistica, l’urbanizzazione del territorio e la razionalizzazione politica hanno, nei fatti, modificato in modo irreversibile le relazioni sociali, le

4 A. Giardina, L’Uomo Romano, Laterza, Roma-Bari, 1993 5 K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974

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prassi di scambio economico e le costruzioni simboliche dei gruppi, segnando il passaggio dalla comunità tradizionale al sistema urbano razionale-burocratico dei complessi sociali contemporanei. Ciò permette di concettualizzare il patronato come elemento modernizzante, e consente una specificazione delle sue azioni di ricomposizione delle fratture sociali, di integrazione politica delle comunità particolari e anche delle distorsioni che ne sono derivate.

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1.2 La diade nella modernizzazione sociale

Il clientelismo, durante la trasformazione dei vecchi assetti comunitari nei moderni assetti societari a stampo tecnologico-capitalistico, riesce a volgere una funzione di collante sociale impedendo, ai contesti in cui si pone in essere, di sfociare in situazioni di anomia sociale e di anarchia governativa. Nei fatti, i processi di modernizzazione della vita umana cancellano, nell’arco di pochi decenni, modalità di relazione collettiva e pratiche di socializzazione formatesi nel corso di una sedimentazione culturale e simbolica nelle coscienze individuali e collettive durate centinaia di anni, e fondate sulla lentezza della dei procedimenti riproduttivi delle regole gruppali e sui codici normativi dettati dai dogmi della fede.

Questo complesso strutturale viene quasi completamente eliminato dalle tre grandi rivoluzioni (scientifica, politica, tecno-industriale) della modernità, le quali fissano un campo sociale connotato si da una maggiore libertà di azione per l’attore sociale, ma dove, al contempo, si implementa un forte senso di indeterminatezza e disorientamento.

Le innovazioni determinate dai successi della ricerca scientifica e dalla secolarizzazione della concezione della realtà, non più soggetta alla ciclicità dei rituali tradizionali ma all’osservazione e alla sperimentazione, fa si che avvenga una rottura con tutto ciò che si basava sull’apparato della tradizione e della fede religiosa e, a ciò, consegue un distacco dell’individuo da ogni inquadramento predeterminato dalla consuetudine e dalla regolarità comunitaria, ed una nuova forma di socializzazione, il cui perno consiste nella libera realizzazione e nella conoscenza come potere e possibilità di creazione del personale percorso di vita.

Si sfaldano i quadri prestabiliti dalla regolarità comunitaria e dalla fede, con una modifica definitiva della prospettiva cognitiva dell’uomo, basata sul libero arbitrio e sull’acquisizione di conoscenza come capitale d’influenza sociale.

Ciò coincide, in campo politico, nelle riforme liberali dell’epoca, le quali traducono nella società civile le nuove visioni sociali e gli obbiettivi di sviluppo che la cultura dell’uomo emancipato persegue tramite il commercio e la partecipazione pubblica.

I due eventi culminanti sono la Guerra d’Indipendenza Americana (1775-1783) e la Rivoluzione Francese (1789-1799), le quali rompono in maniera esplicita la divisione di ceto dettata dalle monarchie dell’ ancien regime, e consolidano l’affermarsi della borghesia come nuova classe dominante, insieme a nuove forme di partecipazione politica che trasformano l’uomo da suddito a cittadino, accelerando la mobilità sociale.

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Quest’ultima si rileva diretta conseguenza dell’affermarsi delle nuove logiche di commercio capitalistico, con cui si realizza il superamento delle vecchie modalità di lavoro, la privatizzazione dei mezzi produttivi, la nascita della nuova classe proletaria e l’urbanizzazione del tessuto territoriale, precedentemente a carattere rurale ed agricolo.

Si erge una nuova situazione di vita, nella quale migliaia di persone vedono annullarsi valori, prassi relazionali e concezioni della realtà che componevano sia l’essenza stessa della coscienza del singolo soggetto sociale che l’associazione in collettivi più ampli, oltre alle modalità di sostentamento e alle maniere di condotta della quotidiana nella società6.

Traspare una rottura istantanea con tutto ciò che fosse relativo al passato, gettando l’uomo moderno in una situazione di solitudine, in cui, senza l’appoggio di raggruppamenti comunitari, venivano a mancare gli ancoraggi valoriali e culturali con cui poter agire e muoversi con sicurezza all’interno del campo sociale, e rapportarsi con gli altri e con le istituzioni, in maniera determinata e regolarizzata; ad una maggiore libertà e possibilità di azione conseguente allo sfaldamento delle comunità dogmatica corrisponde, tuttavia, una maggiore sensazione di incertezza riguardante il presente (e di conseguenza il futuro) e di sfiducia nell’altro.

A questa condizione di alta diffidenza sociale, che nella sociologia classica si esplica con il passaggio dalla Geimenschaft alla Gesellschaft7 e le trasformazioni relazionali inerenti8 , si cerca di contrapporre dei legami di solidarietà e di confidenza su base individualistica e personale, attraverso uno scambio di favori, sia di natura economico-materiale che sociale, funzionali al saldamento di relazioni di fiducia e reciproco appoggio; esse sono vere e proprie diadi patronali, nelle quali individui di status sociale ed economico differenti instaurano, sulla base di interessi strumentali, rapporti privati e clientelari di reciproco sostegno.

Difatti le relazioni patronali si manifestano come

6 R.A. Nisbet, La tradizione sociologica, La Nuova Italia, Scandicci, Firenze, 1987 7 F. Tonnies, Comunità e Società, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea, 1979 8 M. Weber, Economia e Società, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea, 1999

in essa il sociologo tedesco parla di una trasformazione della tipologia di relazione tra individui; l’affermazione della modernità porta alla trasformazione delle relazioni chiuse, tipiche dei rapporti comunitari (Vergemeinschaftun), in relazioni aperte delle associazioni (Vergesellschaftung), per le quali gli individui vengono spinti nella formazione di collettivi, secondo interessi personali e non, come in passato, secondo valori culturali e confessioni religiose

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“[…] un caso speciale di rapporto diadico […] che implica un’amicizia largamente strumentale, e in vista del quale un individuo di status socio-economico più elevato (patrono) usa la sua influenza e le sue risorse per procurare vantaggi […] ad una persona di status inferiore (cliente), che a sua volta ricambia offrendo al patrono appoggio generico e assistenza, ivi compresi servizi personali.”9

ovvero in un rapporto coinvolgente in maniera unica ed esclusiva due singole persone differenti per status e possibilità di agire.

Per cui “La struttura sociale della diade si fonda immediatamente sull’uno e sull’altro dei due [soggetti], e la defezione di uno dei due distruggerebbe a riguardo il tutto […].”10 ed essa, nel contesto spersonalizzato della società

occidentale ad elevato sviluppo industriale, si delinea come ultimo residuo associativo in grado di generare legami di fiducia da contrappore alla crescente e frenetica competizione economica, alla mancanza di appartenenza ad un gruppo ben determinato e alla scarsa penetrazione legislativa dello Stato.

A livello sociale lo sfaldamento delle relazioni comunitarie, la sfrenata competizione economica, l’accentramento delle ricchezze e la mancata implementazione di un riequilibrio legislativo da parte delle istituzioni pubbliche, consente l’inserimento di nuovi soggetti sociali, individuati nei nuovi capitalisti nei contesti rurali nei vecchi notabili agricoli, i quali, sfruttando l’acquisizione di ingenti mezzi economici, implementano una forma di integrazione sociale caratterizzata dalla loro figura di dispensatori di favori e basata su rapporti diadici di subordinazione individuale, funzionali all’espansione della loro influenza e alla sottomissione dei rispettivi clienti.

Inoltre la caratteristica principale della diade è che non dà vita ad un ente trascendente le singolarità che la costituiscono, poiché la sua essenza nasce e finisce in maniera immanente nel legame che si instaura tra le due persone che la creano; ciò rileva la forza istantanea di questo tipo di relazione, che coinvolge gli aspetti emotivi e pratici di una persona, ma anche la sua debolezza endogena per quanto concerne prospettive di lungo termine, in quanto la perdita del carattere di specificità in favore del riconoscimento di un ente super-personale ne decreterebbe subito la fine.

Questo tipo di strutturazione sociale fornita dal clientelismo non dà origine ad alcun procedimento di oggettivazione delle relazioni interpersonali11 e delle varie tipologie di socializzazione che ne derivano, ma crea una rete formata da grappoli relazionali, i cui punti di intersezione vengono composti da individui collegati da legami amicali particolaristici.

9 J.C. Scott, Clientelismo e sviluppo politico, in L. Graziano (a cura di), Clientelismo e mutamento politico, FrancoAngeli, Milano, 1974, cit. p.128

10 K.H. Wolff, The Sociology of G. Simmel, Glencoe-McGraw-Hill, New York, 1950, cit. p.123 11 P.L. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna, 1997

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Emblematica è la situazione della contrattazione lavorativa nelle prime fasi dello sviluppo capitalista, connotata dall’assenza delle organizzazioni sindacali, dalla categorizzazione professionale e dai diritti lavorativi per la classe proletaria; essa prevedeva la diretta pattuizione riguardante retribuzione salariale e orario di lavoro, tra proprietario industriale e lavoratore, il quale, in assenza di qualsiasi tipo di protezione collettiva, era succube delle disposizioni dettate della volontà produttiva.

Ciò fortificava l’individualizzazione dei legami relazionali ed una articolazione societaria centrata sui nuovi squilibri economici, per i quali l’industriale riusciva e mantenere la propria egemonia e controllo delle ascensioni sociali grazie alla possibilità di incrementare il i propri profitti e di interrompere, a proprio piacimento e discrezione, il rapporto lavorativo con l’operaio, senza alcun conseguenza economica o politica.

Questa alta frammentazione tra possessori e lavoratori veniva accentuata dal fatto che i processi di urbanizzazione e industrializzazione costrinsero migliaia di persone a trasferirsi nelle grandi città in cerca posti d’occupazione a numero limitato; ciò permetteva di avere per i capitalisti un ampio bacino di sostituzione dei singoli impiegati a disposizione, limitando i costi di mantenimento del lavoro, mentre all’interno del proletariato si innescava una feroce concorrenza che, insieme all’obbligo della contrattazione diretta, accentuava il senso di solitudine e le tendenze alla sottomissione servile e sociale dei membri della nuova classe economica.

La società moderna si veniva a costruire secondi un accentramento catalizzatore della fabbrica, divenuta perno di ogni formazione relazionale tra classi economiche e, all’interno di esse, tra individui in perenne concorrenza per la sopravvivenza sociale e l’accaparramento dei profitti. Attorno al centrale sistema produttivo ad alta intensità industriale gravitavano migliaia di individui, socialmente atomizzati, in quanto disuniti e non correlati da alcun sentimento di solidarietà o vincolo di appartenenza, i quali andavano singolarmente alla contrattazione lavorativa in una condizione iniziale di svantaggio e di debolezza normativa.

Facile era quindi per il capitalista, installare forme di riconoscimento e di debito sociale, in maniera da condizionare il sentimento di appartenenza degli operai, ed espandere il proprio prestigio in ambito commerciale, affaristico e politico-istituzionale.

Il rapporto lavorativo non veniva formalizzato da alcuna normativa riguardante retribuzioni, orario, contributi del padrone, forme di assistenza sociale e veniva stipulato sulla base della semplice discrezione dirigenziale; ciò veniva considerato come un dono da parte del lavoratore, il quale, visto

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l’alta concorrenza nella ricerca di un occupazione, era obbligato alla sottomissione e al volere del proprio superiore.

Tale situazione permette di evidenziare come al vertice della piramide clientelare si pone il patrono, che, grazie alla sue capacità di influenza che abbraccia i vari campi della vita sociale, crea una rete di subordinati connessi unicamente dal riconoscimento dell’azione di difesa e sostegno attuata nei propri confronti; ciò non crea una comunione valoriale e simbolica in grado di dare vita ad un senso comune, una cognizione collettiva della realtà basata sulla condivisione di codici culturali, ne ad una legittimazione della struttura creata.

Si evince come la solidità del tessuto sociale instaurato si fondi solamente sulla riconoscenza dei singoli clienti nei confronti del patrono, e nell’abilità di quest’ultimo di dare dimostrazione di efficacia ed efficienza delle proprie risorse e strategie di azione.

Più che un sistema ordinato e regolato, nasce una costellazione di relazioni specifiche ed esclusive, connotate dalla posizione di dipendenza dei singoli nei confronti del sovraordinato e da una legittimazione diffusa, ma non condivisa, derivante dalla soggezione degli individui subalterni, obbligati ad agire all’ombra della restituzione del favore ricevuto, e dalla discrezione del detentore del potere di influenzare le ascese e i declini delle persone nella gerarchia del rango sociale.

La relazione patronale sfrutta, nell’insieme complessivo, sia dinamiche moderne, come l’accumulazione dei profitti descritta dal socialismo scientifico marxista12

, la divisione del lavoro sociale13 e la successiva mutazione dei legami solidaristici14, ma anche sentimenti ed emozioni che gli studi antropologici hanno denotato nelle pratiche tradizionali degli scambi di doni15; difatti, il patrono, per mezzo dell’elargizione di un dono (che nella società ad economia concorrenziale si reifica in un guadagno pecuniario) a favore del proprio cliente, lega quest’ultimo a lui tramite un debito di riconoscenza che, non potendo essere eguagliato, visto la differenza di status di classe e di ruolo nella scala della stratificazione gerarchica socio-economica, pone il donatario in una condizione di subordinazione e di dipendenza, divenendo strumento per l’accumulo di potere e di espansione del carisma da parte del patrono.

12 K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1976 K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1971

K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1974

le quali, rispettivamente in successione, trattano del cambiamento mosso dal Capitale in quanto relazione di subordinazione sociale, in cui il denaro, da viatico del fluire commerciale (M-D-M), diviene obbiettivo finale, in funzione della realizzazione del profitto (D-M-D’, con D’= D+ΔD) e della riproduzione delle disuguaglianze di classe

13 E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea, 1963 14 E. Durkheim, L’Educazione morale, UTET, Torino, 1969

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Nei nuovi contesti urbano-industriali, dove la frammentazione dei rapporti, le divaricazioni economiche e la depersonalizzazione dei contesti istituzionali nei quali l’agente sociale è costretto a muoversi provocano un perenne sentimento di disagio ed angoscia16, il collasso anomico del corpo societario viene evitato dalla fondazione di grappoli relazionali diadici del patrono (o di gruppi ristretti di patroni), il quale, ponendosi come chiave di volta dell’intera struttura sociale moderna, e in taluni contesti addirittura a sostituzione della legislazione pubblica, forma una diffusa serie di rapporti personalistici e privati, elargendo donazioni e supporti economici sotto una patina di aiuto amicale, ma in verità dirette strumentalmente all’allargamento della personale sfera di influenza, in modo tale da condizionare e dirottare l’andamento economico ed i meccanismi di costruzione sociale a favore dei propri tornaconti.

Questo tipo di relazioni vengono vincolate dal perdurante obbligo di riconoscenza e di obbligazione che deriva, per il cliente, nel ricevere e nell’accettare il dono offertogli; ciò lo colloca in una posizione di inferiorità, in quanto, ogni volta e a seconda delle necessità, sarà obbligato nella fornitura di servizi e appoggio verso il proprio patrono, in una sorta di solidarietà “forzata”, la quale, visto anche la natura di scambio sociale da cui trova le proprie origini, in quanto non formalizzato attraverso una stipulazione contrattuale, prolungherà nel tempo ed in modo indeterminato la condizione di debitore e di dipendenza del cliente.

E’ evidente, in conseguenza a queste considerazioni, come, con l’implementazione di un sistema di integrazione collettiva a carattere clientelare, avvenga una accentuazione delle disuguaglianze derivanti dalla stratificazione sociale della modernità.

La creazione di una serie di dipendenze basate su una contrattazione debitoria determina un sistema verticistico, in cui, all’apice di ogni grappolo diadico che funge da simulacro di una coesione sociale, si pone il patrono che, per mezzo delle sue clientele, riesce a riprodurre lo status quo o a sfruttare situazioni affaristiche, aumentando i propri profitti e il suo bacino di influenza17.

Soprattutto durante la prima modernità, il modello teorico della relazione diadica patrono-cliente aveva una corrispondenza empirica con il rapporto lavorativo che legava l’imprenditore industriale al proletario; infatti i due soggetti risultanti dalla stratificazione classista del capitalismo, ponevano in essere un legame non completamente formalizzato dalla legislazione sociale, sulla base di una disparità sia nella ricchezza economica, che nella capacità di incidere nei processi di deliberazione

16 G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 1996 G. Simmel, Filosofia del denaro, UTET, Torino, 1984

17 S.N. Eisenstadt, L. Roniger, The study of Patron-Client relations and recent development in Sociological Theory, in S.N. Eisenstadt, R. Lemarchand, Political Clientelism, Patronage and development, SAGE, Thousands Oak, 1981, pp.272-273

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legislativa per l’amministrazione territoriale.

L’assunzione e la retribuzione, più che come diritto sociale ed un compenso per la prestazione lavorativa e la partecipazione alla catena industriale e produttiva, passavano come la dispensazione di favori personali, spinti da una benevolenza rispetto alle condizioni di degrado della classe lavorativa, ma in realtà miranti all’accumulo del profitto e al suo incremento grazie ad una riduzione del costo della manodopera.

La successiva formazione delle associazioni sindacali ha posto un freno alle dinamiche speculative della dirigenza industriale, costruendo con il tempo un piattaforma normativa con cui gli operai poterono riequilibrare i rapporti lavorativi, tramite la rivendicazione dei propri diritti politici e sociali, influenzando anche il sistema politico, e la società nel suo complesso.

In base a questi fatti storici, si evidenzia come il patronato sia un sistema di polarizzazione generale, finalizzato all’accentramento dei profitti economici, del potere decisionale politico riguardante i codici normativi, di influenza economica nell’inclusione/esclusione di individui favorevoli o no alla costruzione clientelare.

Questa verticalizzazione del tessuto sociale avviene per mezzo della stabilizzazione di un sostrato intermedio, ossia i grappoli composti dai singoli clienti, i quali legittimano l’operato dei superiori sulla base della coercizione sociale a cui sono sottoposti e dallo stato di sottomissione contratta attraverso il debito sociale.

Ciò da vita ad un circolo autoreferenziale, nel quale gli output si riversano unicamente sulla cima patronale, mentre gli input vengono diretti secondo logiche di emarginazione verso tutti coloro che non si adeguano al sistema di subordinazione, e ai clienti secondo logiche di miglioramento economico, e di ascesa sociale, che però non intacchi la supremazia patronale.

L’integrazione sociale avviene sulla base del riconoscimento dell’autorità di un gruppo ristretto di individui, le cui facoltà economiche gli permettono di partecipare direttamente alla vita politica della comunità, occupando stabilmente posizioni di comando, o influenzando la classe dirigente per mezzo di ingenti finanziamenti durante lo sforzo elettorale per la nomina; ciò, come vedremo in seguito, causa una debolezza del sistema politico, nel quale non avviene una selezione del personale dirigenziale secondo regole impersonali e meritocratiche, ma seguendo le fratture socioeconomiche e il ruolo assunto dall’individuo all’interno del campo sociale, determinando un radicamento dell’influenza economica nelle scelte politiche, un occupazione delle funzioni istituzionali di un ristretto quadro dirigenziale, una delegittimazione dell’apparato Statale il rafforzamento del prestigio patronale.

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1.3 Lo scambio tra patrono e cliente

Il vincolo clientelare possiede una duplice natura che si reifica come una interazione legata dalla logica dello scambio diretto, coinvolgendo le prestazioni che le persone devono attuare mentre la fiducia nasce a partire dalla dimostrazione di efficienza nel soddisfare le aspettative di ruolo (caratteristica basilare di una relazione di scambio con una razionalità di scopo) e, contemporaneamente, come un’ unione morale e sacrale suscitata dal patrono tramite l’accettazione dell’atto simbolico di dedizione al cliente, mentre in quest’ultimo nasce la sensazione di riconoscenza verso la benevolenza del protettore (riguardante antropologicamente una relazione di comunità con un forte senso di appartenenza)18.

Un fenomeno sociale di tale fattezza richiama fortemente la descrizione che Mauss fa del dono nel suo saggio19; nei fatti il clientelismo si concretizza attraverso uno scambio di natura sociale, in cui le prestazioni non vengono stabilite da una pattuizione contrattuale soggetta ad una precisa norma legislativa, ma sono indefinite, e, per la sua stessa essenza, coinvolge gli individui a livello sia materiale che emozionale, senza una limitazione temporale definita.

Gli scambi clientelari si sottraggono alla logica della equivalenza monetaria, ed imprimono nel ricevente una sensazione di riconoscenza, una volontà di restituire il favore che non potrà essere, tuttavia, un ricambio economico, ma qualcosa di diverso20; lo scambio sociale “si basa sul principio che una persona rende un favore ad un’altra, e anche se esiste una generica aspettativa di qualche futura ricompensa, la sua esatta natura non è mai stipulata in anticipo”21

.

La mancanza di una regolazione e l’impossibilita di una misurazione economica sanciscono la discrezionalità del rapporto tra i due soggetti coinvolti e la concezione strettamente personale di esso, che, nella sua realizzazione, reifica le posizioni di super-ordinazione/sub-ordinazione e l’asimmetria intrinseca tra i due individui; per cui la clientela, nel suo significato sociale prevede una reciprocità diretta , la quale non può essere mediata, ovverosia non si può usare alcuna tipologia di mediazione nel rapporto tra patrono e sottoposto, in quanto verrebbe meno la sicurezza che deriva dalla frequentazione personale, e quindi l’intimità, la particolarità del legame associativo patronale.

18 G. Greco, Appunti per una tipologia della clientela, in L. Graziano (a cura di), op. citata p.11 19 M. Mauss, op. citata p.13

20 P.M. Blau, Exchange and power in social life, J.Wiley, New York, 1964

21 S.H. Sahlins, La Sociologia dello scambio primitivo, in E. Grendi (a cura di), L’Antropologia Economica, Einaudi, Torino, 1972

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La subordinazione del cliente avviene attraverso il contatto diretto con il patrono, in modo tale da instaurare un rapporto di fiducia basata sulla conoscenza personale; essa si concretizza senza l’intermediazione di alcun individuo, perché l’amicizia tra i due individui comporta il confronto faccia-a-faccia, in alcuni casi accompagnata addirittura dall’esecuzione di pratiche rituali di una rilevante importanza simbolica.

La reciprocità si rivela ineguale per la tipologia di rapporto che si viene a compiere, poiché si esplica nella subordinazione di un individuo nei confronti di un altro, sulla base di un indebitamento personale (che prescinde una prestazione pecuniaria) che esige la riconoscenza prolungata e l’obbligo della restituzione; il patrono, tramite l’elargizione del dono, riesce ad implementare nel cliente, oltre che la coscienza del debito contratto, un forte senso di riconoscenza per il supporto dispensato, agendo sulla dimensione sentimentale ed emozionale della persona.

A ciò sin aggiunge la natura delle prestazioni coinvolte nello scambio, le quali non vengono prestabilite da una pattuizione e possono avere, di conseguenza, natura ed entità differenti; questo squilibrio rafforza la supremazia patronale per l’evidente discrezionalità con cui il patrono può scegliere l’importanza, sia in termini quantitativi che qualitativi, dell’aiuto realizzato, calcolando oculatamente i ritorni che ne possono derivare; si tratta di scegliere come poter rendere il più duraturo possibile lo stato di dipendenza del cliente, in funzione del massimo sfruttamento del supporto coatto che si pone in essere per il risanamento della condizione debitoria, e contemporaneamente, prevedere i vantaggi potenziali che possono originarsi nella stipulazione del patto clientelare con un certo individuo.

Lo scambio clientelare non coinvolge alcuna stipulazione contrattuale, in quanto non prevede la parificazione delle prestazioni dei due contraenti.

Il contratto, al contrario, quantifica in modo preciso e netto la quantità esatta delle azioni individuali attraverso la funzione reificatrice universale del denaro e la coercizione della legge volta a garantire l’esecuzione degli obblighi contrattuali da parte dei contraenti.

Messa in evidenza è anche la strutturazione dell’ambiente in cui si svolge lo scambio, condizionato da una mancata implementazione della legittimazione di un’entità sovra-individuale in grado di ordinare, sotto l’efficacia della sanzione disciplinare, le modalità di relazione tra gli individui; ciò lascia spazio alla discrezione dei patroni, che mettono in atto una associazione basata sulla loro specifica volontà, e sui loro privati obbiettivi, per mezzo della subordinazione di una moltitudine di agenti sociali che divengono dipendenti con la contrazione del debito sociale.

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La deficienza legislativa e l’inefficienza di un controllo sociale solido e programmato fa si che la discrezionalità individuale possa trasformare l’essenza dello scambio contrattuale, facendolo divenire sociale e asimmetrico, volto solamente al beneficio di un'unica parte; il cliente, in questo caso, si ritrova ad essere collegato con il proprio patrono su due livelli, quello economico, in quanto molto spesso il favore disposto consiste in una transizione pecuniaria, e quello sentimentale-emotivo, dovuto alla riconoscenza del sostegno offerto, che rende il sottoposto incline alla realizzazione di qualsiasi obbiettivo dettato dal superiore.

Il clientelismo moderno unisce l’agire razionale e strumentale nato con l’affermazione delle logiche di accumulazione del capitale, e quello carismatico-tradizionale, tipico delle comunità costituite sulla base dei valori religiosi dettati da personaggi in grado di accumunare un gruppo di singole entità sulla base dell’influsso carismatico.

Per quanto riguarda i benefici coinvolti, essi risultano essere di natura estrinseca, ovvero vantaggi divenuti indipendenti dall’organizzazione che li produce o li procura, e che non vengono veicolati da valori, ma unicamente dalla discrezione del patrono che li gestisce, o dei quali si è appropriato; tale situazione si viene a creare tramite l’elargizione di favori economico-strumentali, propri del patrono e ottenuto attraverso il successo nella competizione economica, altresì, per mezzo di una appropriazione indebita, con la quale beni appartenenti alla collettività, in quanto pubblici, vengono trasformati, o fatti passare, come privati grazie ad una azione d’intermediazione del vertice clientelare.

Ciò accade nel momento in cui il patrono riesce ad importare la sua influenza sociale all’interno dei meccanismi di decisione pubblica, riguardanti leggi, assegnazioni di appalti o di interventi assistenziali, finanziamenti pubblici ecc., i quali divengono, agli occhi dei cittadini, come una donazione effettuata dal singolo individuo e non come un azione statale diretta al benessere generale dell’attività civica; la privatizzazione delegittima lo Stato nel suo complesso, e rafforza la dominazione singolare del patrono, il quale, per mezzo della discrezionalità dei suoi interventi, velati da una falsa finalità pubblica, crea il proprio grappolo clientelare, utile al privato miglioramento finanziario e al consolidamento dell’influenza sociale.

E’ evidente quindi l’essenza privatistica e particolare delle relazioni che si instaurano e la loro finalizzazione strumentale e utilitaristica da parte degli individui in posizione dominante, i quali non si pongono obbiettivi di natura collettiva, ovvero relativi al benessere generale, ma unicamente a quello personale.

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Questa modalità di scambio ha una diffusività verticistica e verticale; ciò significa che le mire espansionistiche di un sistema clientelare vertono verso la nascita di una struttura di disuguaglianze volte al mantenimento di assetti di influenza stabiliti, o alla creazione di nuovi legami di dipendenza, ed all’allargamento dei bacini di influenza del patrono.

Il sistema clientelare si esplica come meccanismo di sottrazione di vantaggi (potenziali e non) proficui all’utilità pubblica e di dirottamento univoco di risorse e mezzi verso il vertice patronale, che, una volta privatizzato ciò che in realtà è comune e appartenente alla comunità, lo sfrutta per riprodurre la stratificazione sociale ed economico-finanziaria, e quindi ampliando il proprio consenso e le proprie capacità di intervento distorsivo delle allocazioni dei beni collettivi e dei profitti economici.

E’ impossibile, in qualsiasi contestualizzazione sia essa politica, sociale o economica, una forma di patronato egualitario, e di conseguenza vengono escluse le relazioni orizzontali che vedono interagire in modo paritario due attori sociali; scopo delle reti diadiche clientelari è esclusivamente quello di allargare la sfera di influenza del patrono, attraverso l’elargizione di favori ed atti di sostegno e protezione, volti a instillare nel cliente un sentimento di riconoscenza ed ammirazione che lo ponga in una posizione passiva, e a mettere in atto azioni per ripagare il debito sociale contratto, in quanto

“[…] lo squilibrio economico [e sociale] è la base su cui si sviluppa la generosità come meccanismo di acquisizione del rango e della leadership, e la sopravvivenza di un sistema fondato sulla generosità non può che perpetuare o acuire gli squilibri di partenza.”22

Lo scambio sociale si istituisce come strumento di accumulazione di potere in funzione della riproduzione di assetti di stratificazione sociale e squilibri economico-commerciali, e all’estensione dell’autorità (weberianamente intesa come carisma) e dell’influenza del patrono; esso si muove in un tessuto sociale disconnesso, caratterizzato da forti disuguaglianze, situazioni di insicurezza generale e concentrazioni di risorse che derivano dalla competizione capitalistica e dal fatto che l’azione dell’amministrazione statale non è riuscita ad implementarvi un controllo solido ed una riconoscenza simbolico-normativa.

La distribuzione atomistica di protezione e sostegno attuata dalle dinamiche clientelari, permette al patrono di ricucire e riordinare gli strappi reazionali del contesto moderno, creando una falsa collettività, in quanto ogni singolo attore sociale si lega all’altro in un rapporto privato di subordinazione; ciò diffonde l’autorità di una sola persona, e non crea alcuna condivisone valoriale

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e significativa, alcuna forma di legittimazione istituzionale intesa come un insieme di norme esplicite, condivise da una collettività basata su processi di scambio indiretto (mediato da valori e leggi) che, per mezzo di compromessi, creano direttive comuni finalizzate all’utilità sociale.

Nella società, il patronato riesce ad instaurarvisi grazie alla frammentazione del sistema di potere, dovuta ad un inadeguata integrazione del sistema politico, non completamente indipendente rispetto alla strutturazione civico-comunitaria; la doppia infiltrazione tra istituzione e tessuto civile compromette i criteri meritocratici di selezione del personale politico-amministrativo, e permette ai notabili di esportare le disuguaglianze sociali ed economiche nel campo politico, precludendo la partecipazione dei cittadini alla vita democratica e ai processi decisionali.

Un ulteriore conseguenza della trasposizione nelle istituzioni della stratificazione clientelare è l’occupazione prolungata da parte dei notabili delle cariche pubbliche, la quale causa una identificazione tra persona e ruolo, è una direzione del sentimento di legittimità verso l’autorità del singolo agente politico, e non verso quella statale23.

Più prettamente sociale è la deficienza organizzativa che deriva dallo sfaldamento dei tradizionali assetti comunitari, alla quale consegue una dissonanza cognitiva riguardante modelli di comportamento, e la diffusione di sentimenti di insicurezza e solitudine; l’inadeguata consapevolezza della conformazione delle componenti razionali che fondano la società moderna24, getta nella confusione persone con strumenti di analisi della realtà obsoleti e che, nel tentativo di ricostruire una nuova forme di reti di sostegno, si affidano a alla (falsa) benevolenza degli abbietti patroni, non comprendendone appieno le seconde finalità di sfruttamento.

In questa situazione di profondo mutamento agisce anche una distribuzione non ponderata dei mezzi economici, conseguenza della competizione nel nuovo mercato libero del capitalismo, alla quale segue una disuguaglianza del controllo della ricchezza e della mobilità sociale.

Si manifesta un allargamento nel possesso di ricchezza, che nega, da un lato, alla maggioranza degli attori sociali la possibilità di attuare le proprie strategie di azione e, quindi, la realizzazione personale come soggetto, mentre dall’altro, permette a coloro che occupano i vertici della gerarchia gruppale, di rafforzare la propria posizione dominante tramite incrementi monetari, ed ampliamento delle possibilità di azione all’interno del campo sociale.

Manca, nell’andamento del libero mercato, un intervento pubblico in grado di riequilibrare le capacità di iniziativa individuale delle persone, in modo da attenuare gli effetti collaterali della competizione dell’economia capitalistica.

23 G. Greco, op. citata p.16

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Da tali asserzioni si evidenzia come il clientelismo riesca a sfruttare le concatenazioni che si originano dalle lacune nei procedimenti di modernizzazione, provocando una polarizzazione del possesso dei mezzi di compimento personale e collettivo, e la costruzione di una falsa comunità pubblica, dove, invece del perseguimento del benessere generale, si consolida una sistema piramidale, funzionale al mantenimento delle disuguaglianze degli individui, e al rafforzamento, nelle dinamiche di sviluppo sociale, di singoli individui; oltre ad inquinare la concezione di ciò che significa cooperazione e solidarietà, la verticalità patronale distorce l’efficienza e l’efficacia del regime politico democratico per mezzo della distorsione delle pratiche di governo e dei processi di deliberazione legislativa.

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1.4 La prassi clientelare nelle istituzioni pubbliche

Come denotato in precedenza, le pratiche clientelari riescono ad inserirsi in tessuti sociali fortemente disarticolati, nei quali la polarizzazione del possesso/controllo delle risorse economiche e politico-sociali e l’isolamento individuale costringono gli attori sociali a vedere come unica possibilità di sicurezza ed ascesa sociale l’affiliazione ad un patrono.

Quest’ultimo, con la distribuzione di favori, mira ad espandere la propria cerchia diadica, in modo tale da propagare il raggio di azione delle proprie strategie di potere, ed impedire mutamenti rilevanti della sedimentazione gerarchica.

Difatti, l’obbiettivo è quello di instaurare rapporti di fiducia specifici ed esclusivi, che riducano i subordinati ad un perenne stato di dipendenza, condizionato dalla restituzione del favore ricevuto, che blocchino la costruzione di una istituzione legittima (ossia condivisa) superpartes, e che riproducano i rapporti di potere e di egemonia sociale.

Tuttavia, la ricerca sociologica ha evidenziato come il patronato abbia contraddistinto la formazione dei sistemi istituzionali nazionali (uno degli aspetti più importanti dei processi di modernizzazione), e la le strategie di azione per quanto riguarda le fasi di composizione, di voto e di governo dei singoli partiti posti alla competizione elettorale e amministrativa.

Il clientelismo in questo caso funge da elemento di integrazione sociale e di implementazione simbolica e culturale della legittimazione dell’apparato statale, in quanto

“[sorge] nel contesto di una struttura sociale in cu l’autorità è dispersa, e l’ambito di azione dello Stato è limitata, ed in cui esiste una notevole separazione tra villaggio, città e Stato. […] d’altra parte il clientelismo è connesso all’ampliarsi dello Stato e del suo campo di azione, e alla generale proliferazione della sua attività, come pure alla crescente integrazione tra villaggio, città e Stato.”25

Il patrono diviene punto di contatto, e successivamente, di intersezione del sistema politico con quello civile, determinando una strutturazione delle istituzioni pubbliche che, nella loro acquisizione di forma, vanno a riflettere e rappresentare le disuguaglianze economiche e di influenza, presenti negli assetti societari:

25 A. Weingrod, Rapporti clientelari tradizionali e clientelismo del partito politico, in L. Graziano, op. citata p.23, cit. pp.192-195

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“[la] verticalità della relazione sociale fa del notabile il centro del sistema. L’asimmetria del rapporto patrono-cliente determina una situazione di dipendenza […]. Anche laddove il patrono non svolgeva funzioni pubbliche, i rapporti con le istituzioni venivano sempre mediati da lui; questo complesso di relazioni causò la nascita di precisi meccanismi di integrazione sociale e politica.”26

Un sistema politico si manifesta come

“[…] formazione storica che si emancipa dalla società civile […] nei suoi due aspetti della legittimazione e dell’efficacia. [Esso] si emancipa nella misura in cui riesce a sviluppare risorse proprie di legittimità, cioè di integrazione politica di soggetti […], e nella misura in cui riesce a sviluppare risorse proprie di efficacia, ossia una burocrazia capace di attuare le direttive politiche dal centro alla periferia del sistema politico e della società civile.”27

ovvero un sistema sovraordinato al livello sociale e civile, che impone le proprie linee direttive attraverso l’esercizio del potere legittimato, nel senso di riconosciuto e condiviso dalla collettività nel suo insieme.

Ciò prevede una selezione della classe dirigente che oltrepassi le dinamiche di potere, e che vada a ricoprire ruoli impersonali raffiguranti l’autorità statale e i ministeri pubblici di cui fanno parte; questa metodologia selettiva preclude una personalizzazione delle cariche istituzionali, delle funzioni legislative e della gestione territoriale, in quanto l’individuo occupante la posizione pubblica compone una parte dell’apparato statale complessivo e, conseguentemente, non viene identificato con la carica che ricopre e i poteri che ne derivano.

La relazione di patronato diviene procedimento di integrazione politica che estromette totalmente la razionalità impersonale di un apparato burocratico emancipato, poiché ricalca in maniera univoca il livellamento delle subordinazioni clientelari imposte nella società civile; ciò permette di identificare la persona di potere con il ruolo che va ricoprire all’interno del settore pubblico, compiendo una personalizzazione e, contemporaneamente, una privatizzazione della gestione politica del territorio, caratterizzata dalla volontà individuale e degli interessi personali del politico.

Effettivamente “[…] la pratica del clientelismo, basato com’è su un suo personale del potere, impedisce quella dissociazione ruoli e titolari dei ruoli che è la prima caratteristica dell’autorità istituzionalizzata.” 28

A ciò si aggiunge il fatto che

26 S.N. Eisenstadt, opera citata p.14, cit. pp.31-32

27 P. Farneti, Sistema politico e società civile, Giappichelli, Torino, 1974, cit. p.58

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“[se la confusione di ruoli tra Stato e società] si protrae per lungo tempo ed assume forme patologiche […] si è in presenza di una debolezza strutturale del sistema politico (e specialmente della società civile). Il clientelismo [può anche essere visto] come emancipazione politica mancata, come effetto di uno sviluppo politico che ha lasciato irrisolti fondamentali problemi di integrazione, insieme a quelli di costruzione dell’apparato statale.”29

Il clientelismo politico si reifica nella possibilità del singolo politico di monopolizzare le funzioni derivanti dalla carica pubblica che va ad occupare, identificare ruolo sociale e ruolo istituzionale ed instaurare una gestione delle risorse pubbliche finalizzata ad interessi privati; si tratta di estendere la propria rete di clientela riproducendo a livello politico le stratificazioni sociali, grazie all’elargizioni di favori diretti a singoli individui (nomine pubbliche e miglioramenti economici), in modo tale da assicurarsi un bacino elettorale che garantisca un appoggio politico al momento delle elezioni ed in supporto alla monopolizzazione della carica amministrativa attraverso la rielezione.

La completa assimilazione del ruolo istituzionale con la figura del personaggio politico produce un indebolimento della legittimità statale, ed impianta nelle coscienza cittadina un’immedesimazione, di per sé artificiale e democraticamente distorsiva, tra funzione amministrativa e personaggio politico.

Questo sta alla base della gestione particolaristica dei beni collettivi, in quanto, ponendosi come intermediario indispensabile, il notabile dirotta, secondo il proprio volere, progetti pubblici, gare di appalto, assegnazioni amministrazioni condivise unicamente ai soggetti che potranno garantire al sua rielezione alla amministrazione statale, promuovendo nel tempo la gestione privatizzata del sistema di governo.

Si può desumere come il risultato del clientelismo politico sia speculare a quello di natura sociale, in quanto non avviene la creazione di un sistema politico emancipato e radicato sulla legittimazione collettiva, ma si concretizza un ciclico sostegno politico verso lo specifico concorrente elettorale, il quale, una volta raggiunta la carica ambita, si fa garante di indirizzare la gestione dello sviluppo economico verso i propri sostenitori personali, o di ridistribuire nomine e cariche politiche a uomini di fiducia del proprio establishment.

Al Governo della Legge, composto da una burocrazia razionale e basato sull’obbedienza proveniente da un ordinamento impersonale di regole generali ed astratte, si sostituisce un Governo degli Uomini (definito da Weber come Stato Patrimoniale), nel quale le strutture amministrative si

29 ivi, cit. p.68

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organizzano secondo le configurazioni di potere personale che i politici riescono ad imprimere alle istituzioni pubbliche, con la nomine di affiliati fedeli, e la spartizione del progetti pubblici ed economici alle categorie professionali sostenitrici nella società civile.

Questa confusione sistemica e, al contempo, funzionale dei ruoli tra azione sociale e politica risultante dalla prassi del clientelismo si reifica in due processi direttamente proporzionali, che si alimentano vicendevolmente, ovvero la “privatizzazione della politica”, da considerare come la monopolizzazione dell’accesso diretto alle cariche pubbliche, le quali divengono beneficio esclusivo di soggetti che le utilizzano per fini privati e personali a discapito dell’incremento della salute generale del corpo sociale, e la “statalizzazione della società” in base alla quale i rapporti sociali non vengono regolati dalle leggi ma da istituzioni sotto il dominio di specifici soggetti politici, con lo scopo di ridurre il raggio d’azione dei diretti concorrenti alle nomine politiche.

Punto di congiunzione dei due processi è il patrono che si pone, nel medesimo istante, come rappresentante degli interessi elettorali e gestore delle dinamiche di trasformazione sociale, divenendo elemento indispensabile per il funzionamento di entrambi i sistemi e ponendosi in un posizione di privilegio per la dominazione socio-politica.

Storicamente, questa caratteristica avviene in un precisa congiunzione sociologica durante la conformazione delle entità nazionali, ovvero la contemporanea modernizzazione economica (l’instaurazione del mercato capitalistico-industriale nelle campagne ad economia agricola) delle località tradizionali e rurali, insieme alla formazione delle istituzioni statali (la modernizzazione delle modalità di partecipazione politica e di gestione territoriale)30.

Come accaduto per il Mezzogiorno italiano e in alcuni contesti come Asia e America Centrale, il posizionamento del notabile locale, spesso proprietario a mezzadro o a latifondo dei terreni di lavorazione agricola, come punto di congiunzione tra le varie comunità e il sistema centralizzato, ha permesso di instaurare un integrazione politica in modo personalistico, ovvero mirato alla conservazione delle ricchezze personali, alla deviazione delle spinte modernizzanti nella riproduzione di rapporti economici asimmetrici, e alla riproduzione di disuguaglianze sociali secolari.

I proprietari agricoli, alcuni divenuti industriali, hanno potuto così occupare le funzioni amministrative, personalizzando la condotta politica sia nella sua stessa funzione, ovvero unendo carica pubblica e ruolo sociale, sia negli obbiettivi, nell’ aumentare la ricchezza economica personale ed impedire la concorrenza esterna.

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All’accoppiamento tra ruolo sociale ed istituzionale segue una concettualizzazione dello Stato nella coscienza cittadina non disgiunta completamente dai suoi rappresentanti, i quali esercitavano l’amministrazione pubblica come un fatto prettamente privato, estensione degli affari personali; ciò, in Italia, ha avuto conseguenze determinanti nella disaffezione alla vita politica, nel modus operandi delle istituzioni che non ha caratterizzato solo il sud, ma il paese nella sua interezza.

Il tessuto sociale che si viene a creare si unisce solamente intorno al consenso verso il singolo esponente delle istituzioni, che in tal maniera crea, con la concessione di finanziamenti pubblici, gare di appalto ecc., un sicuro appoggio elettorale e politico; inoltre, questa privatizzazione dell’esercizio del potere pubblico ha fatto si che vi fosse un ulteriore confusione riguardo al monopolio dell’esercizio della violenza.

Difatti l’unione politico-sociale nella figura del notabile nell’amministrazione sociale comportava la creazione di una legittimità nei confronti della persona, e non della funzione, e denotava un governo del territorio secondo logiche personalistiche e private; in questo modo, violenza statale e privata si fondevano in unico esercizio, dando il là alla distorsione della concezione statale e alla consociazione tra criminalità e legalità.

La sistematizzazione clientelare e la disunione sociale hanno dato spazio quindi all’emersione di forme distorte dei governi territoriali, e ad una errata concezione del potere, permettendo al fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso di poter divenire forza d’ordine, e con ciò manifestazione dell’amministrazione e della legislazione statale in determinati territori (ed ai giorni nostri in tutta Italia).

La gravità dell’infiltrazione del clientelismo nel sistema politico sta nella sua mancata realizzazione in termini di impersonalità dei processi decisionali e deliberativi, che non garantiscono l’applicazione della legge in funzione del benessere generale, e la delegittimazione dello stesso, poiché la personificazione del ruolo fa sì che le scelte vengano prese secondo logiche private e particolaristiche, a cui si accompagna il fatto che i meriti del funzionamento politico e sociale vengano prese dal singolo individuo e non complessivamente dalla burocrazia governativa.

La perenne presenza del medesimo corpo politico a gestire la cosa pubblica, genera anche una specializzazione del quadro dirigenziale, facendo divenire l’attività politica da passione a vera e propria professione, dalla quale scaturisce una specializzazione nella conoscenza del funzionamento del meccanismo statale, tale da escludere qualsiasi altro agente sociale non avvezzo alla partecipazione e alla informazione politica.

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Per di più la legittimazione di corpi esterni all’esercizio della forza legislativa provoca una vera dissonanza cognitiva del funzionamento governativo, facendo si che la violenza privata, esclusa e illegittima in uno stato liberale di diritto, divenga uno strumento di ordine riconosciuto dalla comunità, fornendo di legittimità un organizzazione di natura criminale.

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Capitolo 2

Il Clientelismo e lo spazio civile: il rapporto con il capitale

sociale e la cultura politica

La vita quotidiana di un agente sociale inserito in un tessuto relazionale che lo collega con gli altri attori sociali e con le istituzioni che compongono le strutture associative, si pone in essere secondo una parte materiale, denotata dalle risorse personali e collettive, per mezzo delle quali, si applicano le proprie linee di azione nel perseguimento dell’autorealizzazione (sia essa singolare che gruppale), e da una parte immateriale, o per meglio dire teorica, la quale, attraverso i processi di socializzazione ed acculturazione dell’individuo, va a costituire i quadri cognitivi di analisi della realtà, stabilendo gli atteggiamenti e i comportamenti che si rilevano adeguati alla convivenza in una determinata società.

Risorse ed immaginario simbolico risultano fondamentali nell’osservazione del comportamento di un soggetto sociale, per cui, nell’ambito dello studio delle pratiche clientelari, occorre approfondire i meccanismi con cui il patrono riesce a privatizzare risorse collettive, in funzione del raggiungimento del potere sociale e dell’ampliamento della sua sfera d’influenza, sottraendole agli altri agenti e riproducendo, mediante questa appropriazione, la livellazione economica e sociale; complementare è l’inserimento dell’immaginario patronale all’interno delle coscienze individuali dei membri di un gruppo, e di come l’inquinamento simbolico che ne derivi possa formalizzare una vera e propria cultura clientelare che si contrappone alle culture politiche e civiche presenti nel territorio, provocando una pratica politica distorta, una sfiducia nella legittimità istituzionale e governativa e una incompleta attuazione di un regime democratico.

Tale analisi fornisce inoltre un occasione comparativa della strutturazione di una società democratica, dell’importanza di come l’interazione tra stato e società debba avvenire per mezzo dell’intermediazione di corpi esterni ad organizzazioni cittadine e popolari, e delle caratteristiche culturali e politiche che hanno permesso al clientelismo di divenire pratica organica nella formulazione legislativa e nella sua attuazione territoriale.

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