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Indeterminatezza e mutamento linguistico

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Academic year: 2021

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Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee

2017

G

IAN

C

ARLO

F

EDELI

INDETERMINATEZZA E

MUTAMENTO LINGUISTICO

(2)

Assistente editoriale Maria Cristina Dalfino Progetto grafico Silvestro Caligiuri

Secondo le norme dell’ILIESI tutti i contributi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica

ISSN 2464-8698 ISBN 978-88-9782-808-2

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Dedico questo lavoro ai miei maestri Tullio De Mauro ed Enrico Arcaini, che mi hanno mostrato la via per studiare il linguaggio

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Desidero ringraziare l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del CNR, in particolare il direttore Antonio Lamarra, che mi ha fortemente incoraggiato a scrivere questo libro, e l’assistente editoriale Maria Cristina Dalfino per il supporto e la competenza. Ringrazio anche per le conversazioni e i preziosi consigli Giovanni Adamo, responsabile dell’Osservatorio neologico della lingua italiana dell’Istituto, e gli anonimi referee che, oltre ad aver avuto l’onere di leggere questo volume, mi hanno permesso di migliorarlo con suggerimenti utili e fruttuosi.

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C

APITOLO

1

IPERTESTO, MODELLI GERARCHICI E MUTAMENTO

LINGUISTICO

9 1. Il concetto di “ipertesto” e la “langue” di Saussure 25 2. Gerarchia e cambiamento linguistico. Il caso della

Grammatica Generativa

54 3. Principi ipertestuali e rappresentazione linguistica

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APITOLO

2

L'INDETERMINATEZZA E IL MUTAMENTO COME PRINCIPI

TEORICI

61 1. La disambiguazione dei significati

63 2. Le basi concettuali dell'ipotesi ipertestuale 63 3. Vaghezza, ambiguità, indeterminatezza 74 4. Mutamento linguistico

82 5. L’astrazione a fondamento della rappresentazione del sistema: omogeneità ed eterogeneità sistematica

94 6. Le frasi ben formate

109 7. Riepilogo e alcune considerazioni

117

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APITOLO

3

MUTAMENTO, ACQUISIZIONE LINGUISTICA E BIOLOGIA

DEL LINGUAGGIO

119 1.Introduzione

122 2. Acquisizione maturativa e innatismo in Grammatica Generativa

134 3. Due posizioni contrapposte: innatismo e costruttivismo 185

CONCLUSIONI

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NOTA PRELIMINARE

Scopo di questo studio è il tentativo di ipotizzare un modello di rappresentazione linguistica, la cui struttura sia capace di descrivere gli effetti dell’indeterminatezza del segno (come la vaghezza, le ambiguità, i giudizi dubbi di accettabilità) e la dinamicità del sistema. L’ipotesi si basa su alcuni principi teorici mutuati dalla definizione del concetto di ipertesto di T. Nelson [1992]. Il modello ipotizzato non è di per sé sufficiente per rappresentare un sistema complesso come quello linguistico, ma ha il pregio di rendere libere le connessioni dentro una struttura in grado di mantenere sotto controllo i propri elementi e le loro relazioni. Dunque rappresenta solo l’inizio di un percorso.

Per mostrare differenti possibilità di concepire astrattamente un sistema linguistico considererò versioni diverse del concetto di “ordine delle strutture” che compongono una teoria: quello cartesiano della Grammatica Generativa, quello non euclideo delle reti ipertestuali, la complessità nella teoria dello sviluppo psicogenetico di Jean Piaget e nella teoria del mutamento del biolinguista Eric Lenneberg.

Vorrei chiarire preliminarmente che cosa intendo con sistema linguistico. Il concetto di “sistema” prevede un insieme di componenti che interagiscono tra loro. Il modo in cui lo intenderò prevede almeno tre macro-componenti.

Una componente ambientale, ovvero il luogo in cui si producono gli atti locutori. Un luogo reale di cui chiunque fa esperienza, che può essere catturato o registrato sul campo e digitalizzato per la ricerca scientifica. Ma è anche un luogo astratto, individuato dal concetto teorico di “ambiente linguistico”, soggetto a essere definito. Cosa che cercherò di fare nel corso del testo.

Una componente psico-biologica. Lo studio delle funzioni cognitive e neurobiologiche dell’organo del linguaggio: il cervello dei parlanti in cui la lingua risiede come espressione di una competenza o abilità che evolve e si sviluppa nel corso della filogenesi e dell’ontogenesi dell’homo sapiens.

Una componente teoretica. È il luogo astratto in cui si deve rendere conto dell’omogeneità e dell’eterogeneità sistematica della lingua reale (percepita nell’ambiente linguistico) e in cui questa è

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scomposta e studiata formalmente come lessico, morfologia, sintassi, semantica.

Nei primi due capitoli tratterò i temi del mutamento e dell’indeterminatezza in relazione ai concetti di “lingua”, “atto locutorio” e “ambiente linguistico”. Qui i riferimenti teorici che considererò in relazione all’ipotesi ipertestuale saranno: la linguistica generale di Ferdinand de Saussure, la teoria dei segni di Charles Sanders Peirce, la teoria della Grammatica Universale e la concezione di “alta vischiosità delle strutture linguistiche” di Eric Lenneberg. Cercherò di mostrare i vantaggi che si possono ottenere considerando una concreta possibilità di rendere rappresentabili il mutamento linguistico e l’indeterminatezza del segno come principi produttivi e vitali del sistema.

I passi successivi dovrebbero affrontare due nodi cruciali, dei quali solo il primo sarà affrontato in questo lavoro.

La questione della biologia del linguaggio, che tratterò nel terzo capitolo. Qui si tratta di capire se esiste un quadro teorico di riferimento per concepire un sistema linguistico le cui strutture siano compatibili con l’ipotesi di una lingua eterogenea e dinamica. Contrapporrò la teoria della Grammatica Universale di Noam Chomsky alla teoria stadiale di Jean Piaget. Analizzando il confronto tra questi due studiosi si vedrà che nonostante lo sviluppo e i risultati della psicolinguistica evolutiva, dovuto alla scuola generativista, il contributo della psicobiologia piagetiana e dell’epistemologia genetica è fondamentale per capire l’organizzazione complessa dei processi conoscitivi. All’interno del paradigma generativista tratterò la teoria dell’acquisizione maturativa di Eric Lenneberg. In quest’ultima insieme allo sviluppo di teorie neurobiologiche sulla plasticità cerebrale si troverà conforto all’ipotesi che sto trattando.

Secondo nodo cruciale è la rappresentazione del sistema teorico, ovvero l’algebra linguistica che dovrebbe descrivere, spiegare e analizzare la struttura complessa delle connessioni morfologiche e lessicali, della rete sintattica e del sistema semantico. Queste costruzioni categoriali sono necessarie per interpretare l’ambiente linguistico, il flusso di informazioni organizzate che permea le società umane, che ne contiene e ne costituisce dinamicamente il patrimonio ereditario di conoscenze.

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CAPITOLO 1

IPERTESTO, MODELLI GERARCHICI E

MUTAMENTO LINGUISTICO

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1. IL CONCETTO DI “IPERTESTO” E LA “LANGUE” DI SAUSSURE

Sono circa trent’anni che il termine “ipertesto” e il suo significato fanno parte del nostro lessico.1 La formulazione originaria del concetto di “ipertesto” [Nelson 1965] e una versione più avanzata che utilizzeremo in questo lavoro [Nelson 1992] hanno come scopo l’individuazione di uno strumento pragmatico e di un modello teorico che permetta a un utente di reperire facilmente e manipolare liberamente grandi masse di informazione. Una struttura flessibile e potenzialmente adattabile a tutti quei domini scientifici e conoscitivi che hanno necessità di decostruire il proprio oggetto di studio per rappresentarne le complessità concettuali e visualizzare, in uno spazio organizzato, termini e relazioni variabili nel tempo. Questo aspetto rende il modello ipertestuale uno degli strumenti più efficaci e maggiormente avanzati nella costruzione di sistemi per lo studio e l’organizzazione della conoscenza. In questo paragrafo analizzerò il concetto “ipertesto” da un punto di vista teorico e cercherò di individuarne le componenti epistemiche cruciali per l’organizzazione logica dell’informazione a cui dà luogo. Dunque, non mi occuperò della realizzazione di ipertesti, come il World Wide Web, o di strumenti come XML o HTML. L’analisi sarà invece concentrata sulla forma logica del concetto che, nel corso di questo studio, porterà a ipotizzare una teoria della rappresentazione della mutabilità e dell’indeterminatezza di una qualsiasi lingua storico-naturale. Da questo punto di vista, il concetto individuato dal termine “ipertesto” sarà adattato alle esigenze argomentative di questo lavoro. Ciò che è essenziale nello sviluppo della mia ipotesi è l’individuazione dell’aspetto formale e delle potenzialità che costituiscono la forma ipertesto.

Una caratteristica di tutti gli autori che si sono occupati fin dall’inizio di questo concetto è il loro interesse a costruire uno strumento di studio fondato su due principi che hanno rappresentato per più di due millenni le proprietà fondamentali della comunicazione del sapere: il principio del dialogo tra studiosi e quello della produzione, ricerca e diffusione della conoscenza, che viene acquisita e sottoposta a critica, sempre per mezzo dello scambio e del dialogo. Un circolo

1 Cfr.: Sabatini, Coletti [2002], in cui la voce “Ipertesto”, in lingua italiana, è attestata

al 1986; nel Gradit [De Mauro 2000] al 1988, mentre, significativamente, “ipertestuale” è datato al 1996 e “ipertestualità” al 1997, dopo la diffusione di Internet (dal 1994 circa).

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virtuoso, dunque, che, nella mente e nelle idee di Theodor Nelson, di Tim Berners-Lee, e prima di loro di Vannevar Bush e di altri,2 avrebbe potuto essere reso più produttivo razionalizzando l’informazione e concentrandola in un sistema costruito in analogia con la struttura funzionale della mente umana. Così Vannevar Bush [Bush 1945], il primo a teorizzare in modo costruttivo un simile sistema, presenta la sua idea dopo aver mostrato le principali barriere fisiche alla circolazione della conoscenza: i lunghissimi tempi di riconoscimento e uso di alcune teorie scientifiche che hanno cambiato il nostro modo di concepire la natura (come le leggi genetiche di Mendel) e l’incredibile sproporzione tra la letteratura scientifica che si produce e le limitate possibilità di reperire, studiare e comparare [Bush 1945, 1967]. Quindi presenta la sua soluzione, che trae origine da riflessioni sul funzionamento dei processi mentali:

[…] La mente umana non funziona in questo modo. Essa opera per associazioni. Una volta che essa abbia un elemento a disposizione, salta istantaneamente all’elemento successivo suggerito, in base a un intrico di piste registrate nelle cellule del cervello dalla associazione dei pensieri. […] L’uomo non può sperare di replicare completamente con mezzi artificiali i processi mentali, ma sicuramente dovrebbe essere in grado di trarne molti insegnamenti [Bush 1945 p. 1/49].

La soluzione proposta da Bush, come è noto, è una macchina chiamata “memex” che oggi, se fosse riuscito a costruirla, potrebbe far mostra di sé in un museo della scienza come strumento di storia della meccanica. Ciò che è interessante rilevare è l’analogia tra la descrizione del reperimento e uso della letteratura scientifica e una rappresentazione della processazione cerebrale/mentale delle informazioni. Sfruttando questa analogia, Theodor Nelson, più di vent’anni dopo, darà vita al concetto e al termine “ipertesto” [Nelson 1965]. Nella descrizione della struttura di questo concetto, mi ispirerò alla formulazione che ne fa Nelson in Literary Machine [1992],3 mutuandone i principali principi fondanti.

2 Sotto la guida di Vannevar Bush, negli anni ‘30 fu costruito uno dei primi elaboratori

elettronici da scienziati come Claude Shannon e Harold Locke Hazen (v. Gleick, J. (2011) pp. 342-1102 e Bush, V. (1931) pp. 447–488). Alcuni altri autori che, tra la fine del XIX e il XX secolo, si sono occupati di organizzare sistemi di conoscenza lavorando su intuizioni simili a quelle di Bush e di Nelson sono Paul Otlet (1934), Henri La Fontaine (cfr. Cerisier, Füeg, 1998) e Douglas Engelbart (1968, 1970).

3 È importante, a questo proposito, dire che Nelson non è rigoroso nell’esporre la

struttura del concetto, e che le sue affermazioni daranno luogo alla maggior parte delle posizioni contrastanti oggi protagoniste del dibattito intorno agli ipertesti.

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Consideriamo un sistema costituito da tre proprietà strutturali e tre relazioni basilari che si riferiscono a tali proprietà [cfr. Nelson 1992, p. 0/5]: 1) Il sistema presenta un insieme di unità testuali distinte, e qualsiasi elemento si trovi in qualsiasi unità di testo è sempre riconducibile all’unità in cui è stato generato; la relazione corrispondente è chiamata “origine” e conduce da un elemento qualunque all’unità che lo ha generato;

2) È possibile cancellare unità o generarne nuove per mezzo di unità già esistenti o creandone per aggiunzione; la relazione corrispondente è chiamata “comunità” e individua gli elementi comuni tra le varie unità; 3) Qualsiasi unità o qualsiasi porzione di qualsiasi unità può essere collegata liberamente a qualsiasi unità o a qualsiasi porzione di unità (inclusa se stessa); la relazione corrispondente si chiama “collegamento” e contrassegna, mantiene traccia, e connette unità o porzioni di unità.

Ora cerchiamo di capire a cosa danno forma queste proprietà e relazioni.

La prima ci dice che ogni unità di testo o parte di unità fino a ogni elemento di senso (può essere un grafema o un fonema, nel caso di trascrizione) sono sempre riconducibili alla propria origine. L’origine può essere rappresentata da una lista di elementi linguistici (lessemi, forme, fonemi, tratti sovra-segmentali, etc.)4 o dal contesto originario di un concetto in una certa epoca o da un blocco di testo scelto esplicitamente in modo arbitrario. In questo modo è sempre possibile tenere sotto controllo la variabilità e la posizione, nel grafo ipertestuale, di qualsiasi pezzo di informazione che compare nell’aggregato di unità comunque quest’ultimo vari o si trasformi.

La seconda prevede la possibilità di creare nuove unità ad libitum o per mezzo di operazioni tra di esse o per semplice aggiunzione; banalmente una qualsiasi unità può anche essere eliminata o resa superflua. La relazione corrispondente, “comunità”, è così in grado di

4 In questo caso, scomporre corpora usando una lista elementare può essere

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raggruppare gli elementi in geometrie variabili. Nel generare una qualsiasi unità adopereremo forme linguistiche già esistenti e queste faranno parte di alcuni gruppi linguistici o testuali categorizzabili5. Una parola può essere raggruppata in una (o più) famiglie di radicali, di lemmi, di sinonimi, di polisemi e così via.

La terza asserisce la possibilità di collegare qualsiasi parte di testo con qualsiasi altra senza limiti di alcun genere, piccola o grande a piacere. Ovvero: chiunque può unire un qualsiasi pezzo del sistema a un altro, garantendo sia l’individuazione dei collegamenti sia la riunione in gruppi sia la memoria dei percorsi costruiti. Quest’ultima è senz’altro la proprietà più importante, che rende il sistema ipertestuale molto diverso dagli altri diagrammi (anche non lineari) teorizzati fino a ora, come gli alberi della teoria della dimostrazione o le reti dei sistemi connessionisti, le mappe concettuali di Quillian [1968] o le reti di Petri [1966]. Diversamente da queste teorie, la strategia metodologica più razionale, secondo Nelson, sembra sia quella di rendere il più libero possibile il sistema, e l’individuo agente responsabile della scelta dei percorsi (a-gerarchia).

I principi della forma ipertestuale, come abbiamo visto, sono fortemente libertari e permettono al sistema di essere ovunque molto fluido. In una struttura a-gerarchica dotata di strumenti di controllo come questa, la libertà di connettere pezzi di testo qualsiasi diviene uno strumento conoscitivo molto potente per la ricerca linguistica poiché lascia indefinita, e nello stesso tempo rappresentabile, la dimensione dell’errore e, come vedremo più avanti, qualsiasi limite teorico tra produzioni di senso e di non senso.

La struttura che si evince dai tre principi su esposti disegna una forma molto precisa che è anche fortemente duttile e variabile (v. figura 1): un insieme I, costituito da quattro blocchi di testo, garantisce la formazione di dodici collegamenti potenziali tra ogni blocco e almeno sedici sottoinsiemi, ovvero sedici sottogruppi compreso l’insieme vuoto (cioè la cancellazione di tutti i blocchi) e il sottoinsieme di tutte le unità di testo. In questo caso, stiamo rappresentando la potenzialità massima della struttura che non è detto debba essere totalmente connessa (in teoria dei grafi la chiamiamo “clique”). Se, per esempio,

5 Per esempio: due blocchi {Nome}, {Aggettivo} ne formano un altro

{Nome+Aggettivo}; oppure si raggruppano tutti i blocchi in cui è presente il concetto {XY}, di cui poi saranno ricostruibili tutti i passaggi fino all’origine di {X} e {Y}, in base al principio 1).

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queste unità fossero parole, l’ipertesto prevederebbe tutti i possibili collegamenti, anche quelli che risulterebbero privi di senso o non grammaticali. Se si trattasse di frasi, oltre a comprendere tutte le combinazioni argomentative possibili, il sistema coprirebbe anche tutte le possibilità di non senso. Il sistema segue regole precise per calcolare oltre al numero massimo dei sottoinsiemi anche quello dei collegamenti possibili, in base a formule molto semplici: per n blocchi di testo, i sottoinsiemi saranno 2n e i collegamenti n × (n - 1):

Figura 1: Un sistema di otto unità (o vertici) presenterà 256 gruppi possibili (28) e 56 cioè (8 × 7) collegamenti (o bordi). Consideriamo ogni collegamento biunivoco e, nel caso rappresentato in figura, non tra gruppi (altrimenti sarebbe 256 × 255). In qualsiasi punto può essere aggiunto un blocco di testo nuovo, un collegamento può essere interrotto o eliminato e un qualsiasi percorso è sempre tracciato e mantenuto in memoria dal sistema. In tal modo, considerando il raggruppamento insiemistico di due o più nodi si genera una progressione di raggruppamenti di ordini superiori, in cui rimangono sempre sotto controllo i vertici e i bordi: se ogni risultato generato dall’operazione 2x=y, dove x è la quantità di elementi del sistema, si riscrive come esponente di 2, avremo la serie 2y=z, 2z=u, 2u=r, … . Teoricamente è sufficiente partire da almeno due elementi, per generare una progressione infinita. Un riferimento pratico può essere l'insieme di fonemi base di una lingua da cui si genera l'insieme infinito di catene fonematiche potenziali. Inoltre per ogni gruppo basta applicare la formula n*(n-1) all’esponente o al risultato per sapere il numero dei collegamenti biunivoci possibili; banalmente il numero delle linee di collegamento sarà dato dalla formula (n*(n-1)) / 2.

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La linearità, qui rappresentata non solo dal percorso \abcdefgh\ ma da qualsiasi percorso scelto, così come il diagramma ad albero divengono casi particolari rispetto alle potenzialità dei collegamenti del sistema ed è proprio l’introduzione dell’opzione di scelta libera che permette a un soggetto agente di formulare tutte le possibilità (ovvero il sistema dei collegamenti) significative e non significative che si aprono nella costruzione di percorso delle varie unità date, aggiungendone anche di nuove. Soprattutto, assumere la possibilità di scelta libera di ogni percorso possibile lascia il discrimine senso/non senso a chi agisce nel sistema, che, in questo modo, può violare schemi preordinati e avventurarsi in territori in cui i valori di senso divengono ambigui o si perdono. Chi agisce nel sistema, dunque, opera scelte tra percorsi possibili; per esempio una frase può essere un percorso possibile tra forme esistenti collegate all’interno del sistema lessicale e morfosintattico di un parlante. Vedremo che questo aspetto, quello cioè di avere la possibilità di fare errori, di concepire strutture non ben formate, estremamente ambigue o anche prive di qualsiasi senso si rivelerà, dal punto di vista dell’applicazione al sistema linguistico, una delle potenzialità più sorprendenti delle proprietà del concetto di “ipertesto”.6 Inoltre, ogni scelta di percorso è rappresentabile insieme a qualsiasi altra nel medesimo sistema di collegamenti.

Dunque, in base ai tre principi su enunciati, il concetto “ipertesto” rappresenta un sistema di unità di testo separate, liberamente collegabili tra loro o tra qualsiasi porzione di testo all’interno del sistema, in cui ogni elemento è riconducibile alla propria origine, e il cui numero può variare per eliminazione, aggiunzione o generazione.

Come Vannevar Bush, Theodor Nelson immagina questo concetto come soluzione per l’archiviazione e l’uso di una massa di informazione enorme, che egli stesso prevede sia gran parte del patrimonio umano, il che, potenzialmente, significa l’intera conoscenza enciclopedica:

Il sistema Xanadu, progettato per accogliere molti tipi di strutture testuali, si è evoluto in un progetto per l’archiviazione universale dei media interattivi e, di fatto, per l’archiviazione universale dei dati; e in una rete crescente di stazioni di archiviazione

6 Vedremo nel resto di questo lavoro quanto è utile sfruttare questa proprietà di

disordine apparente all’interno di forme complesse. Questa proprietà permette al sistema di forzare se stesso nel concepire la possibilità di costruire argomentazioni o frasi. La forzatura è nei confronti della resa semantica degli enunciati che deve essere attuale rispetto al contesto sia sintattico sia di significazione.

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che, in linea di principio, possano salvaguardare gran parte del patrimonio umano, rendendolo allo stesso tempo più accessibile di quanto esso sia mai stato [Nelson 1992, p. 0/6].7

Come si può realizzare un progetto così ambizioso? ricordiamo che Nelson non si pone solo il problema dell’archiviazione universale, ma ha soprattutto l’obiettivo di rendere tali archivi facilmente accessibili e disponibili in tutte le varianti immaginabili.

Il problema che Theodor Nelson si è posto può essere riassunto nel modo seguente: il signor Nelson vuole avere accesso a una serie di informazioni, chiamiamole “abcdefgh”. “abcdefgh” esistono sicuramente da qualche parte, e “da qualche parte” significa nella massa delle informazioni archiviate sull’intero pianeta. Questa massa possiamo immaginarla costituita da tre ordini di senso: 1) una massa amorfa, che è, nella sua totalità, indistinta; 2) una massa percepibile come parzialmente strutturata (come in biblioteche, videoteche, fonoteche, etc.), difficile da individuare, in luoghi anche molto distanti, ma comunque utilizzabile: è quella che il signor Nelson sta cercando (e che corrisponde alla disponibilità delle informazioni nell’epoca in cui Nelson studiava il concetto di ipertesto, tra gli anni “60 e gli anni “90); 3) una massa di informazioni integrate, disponibili, facilmente reperibili, da gestire in un proprio archivio e modificabili: è ciò a cui il signor Nelson aspira. Dunque Nelson, per ottenere “abcdefgh”, deve disporre di uno strumento, chiamiamolo Z, che organizzi per lui tutta la massa di informazioni esistente e pubblicata.8 In questo modo abbiamo

7 “Xanadu” è il nome che Nelson dà allo strumento ipertestuale che è l’obiettivo della

sua ricerca [cfr. Nelson 1999, 2007, 2014]. Anche i tre principi su esposti, da cui siamo partiti per costruire il nostro modello in figura 1, si riferiscono alla struttura di Xanadu, che rappresenta il tentativo effettivo di costruire una forma ipertestuale. Questo fatto, ovvero l’effettiva possibilità di costruire un tale sistema, aggiunge un valore positivo alle ipotesi che faremo. Come è noto, Xanadu è la città fantastica del poema incompiuto di Coleridge Kublai Khan.

8 Questa ricostruzione del problema di Nelson corrisponde al cosiddetto sillogismo

pratico usato nella filosofia analitica anglo-sassone. Il cosiddetto sillogismo o ragionamento pratico [cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1147 a 25-30, ed. it. 1986] è stato approfondito soprattutto da William Dray [1957], Elizabeth Anscombe [1957] e in seguito da Georg von Wright [1971]. A proposito del dibattito iniziato negli anni ‘50 e non ancora concluso sui modelli di spiegazione scientifica, qui mi interessa rilevare le forti differenze che si possono evidenziare tra teorie gerarchiche e a-gerarchiche. Il sillogismo pratico ha una propria circolarità nel ragionamento che lo oppone a un modello nomologico-deduttivo. Più avanti, nel secondo paragrafo, affronterò il paradigma epistemologico di Hempel e Oppenheim, strettamente gerarchico e in netto contrasto con il sillogismo pratico. La formulazione schematica più usuale di questo ragionamento è la seguente:

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individuato gli elementi e i passi che compongono il ragionamento e possiamo fare le dovute distinzioni e osservazioni. Dobbiamo separare, innanzitutto, la necessaria competenza del signor Nelson da un eventuale sistema enciclopedico, in cui si trovano le informazioni indistinte e parzialmente strutturate. Egli sa che “abcdefgh” sono disponibili da qualche parte, forse in molti luoghi, ma poco accessibili o sconosciuti, e la ricerca inizia materialmente in biblioteche, per esempio, che catalogano poche informazioni e “abcdefgh” possono risultare difficili da reperire. Non esiste una struttura rapida e agile che sia in grado di raggruppare le masse di informazioni tutte insieme e permetta di trovare ciò che si cerca o almeno di sapere dov’è; non esiste cioè un sistema che, razionalmente, renda il tutto una forma agibile: non esiste il terzo ordine di senso. Dunque servirà uno strumento, Z, che non solo renda con il minimo sforzo ciò che si cerca, ma che, soprattutto, dia una struttura all’enorme massa di informazioni, rendendola un sistema unificato, necessariamente aperto e in continuo mutamento, in cui è possibile, per esempio, seguire le tracce di un concetto, non solo di un libro o di un articolo. L’ipertesto è questo strumento: ciò a cui dà luogo sarà il sistema ipertestuale. Il soggetto agente disporrà dello strumento ipertesto e di pezzi del sistema. Si vengono a formare in questo modo due entità distinguibili e interdipendenti: da una parte c’è il sistema ipertesto che contiene le informazioni e i collegamenti tra queste, messi a disposizione e condivisi dalla comunità di agenti; dall’altra l’agente singolo, che, in base alle proprie conoscenze e competenze, si muove liberamente nel sistema collegando, costruendo e adattando alle proprie esigenze percorsi di testo, che vengono poi condivisi e riusati nella comunità. È ovvio che il soggetto agente costruirà in questo modo gruppi di percorsi ipertestuali personali, pezzi del sistema generale, che potrà mantenere in memoria, cancellare o modificare. Abbiamo ora, potenzialmente, un sistema teorico e due sistemi concreti e tangibili: una struttura essenziale definita dai tre principi e dalle tre relazioni descritte in precedenza; un ipertesto generale che comprende e dà forma alla struttura teorica e a tutto ciò che si produce come informazione (testi scritti, immagini, suoni, collegamenti); un ipertesto

X intende ottenere P

X ritiene che non otterrà P, se non compie l’azione Q X si dispone a fare Q.

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individuale che attinge dal sistema generale e agisce al suo interno, cercando informazioni utili, nutrendolo con le proprie e archiviando. L’interdipendenza, necessaria per il funzionamento del sistema, è garantita dallo strumento ipertesto che organizza qualsiasi insieme di informazioni seguendo i medesimi principi e relazioni.

Abbiamo visto come il modello ipertestuale sia rappresentato da un sistema che archivia grandi masse di informazione e dai singoli utenti che hanno possibilità di accedervi, di reperire facilmente ciò che cercano, di incrementarne l’archivio e di collegare liberamente qualsiasi sottoinsieme con qualsiasi altro. Inoltre, ogni utente può possedere nel proprio computer lo strumento ipertestuale (un comune

browser) che gestisce i percorsi scelti dall’utente, selezionati nel

sistema generale.9 Dunque, abbiamo un sistema generale e un sistema individuale, e questi interagiscono per mezzo di uno strumento che fornisce le regole su come questi sistemi debbano funzionare. È chiaro che Nelson si riferisce alla concezione teorica di ipertesto generale, quando sostiene di aver progettato un sistema che rappresenta

la vera struttura dell’informazione con cui interagiamo; […] un sistema assolutamente

generale per rappresentare, archiviare e reperire qualsivoglia tipo di struttura – e che in più metta a disposizione di ogni campo dello scibile talune capacità che noi riteniamo universalmente necessarie [Nelson 1992, p. 2/5, corsivo nel testo]

e si riferisce alla costruzione di un ipertesto individuale, ad hominem, laddove sostiene che

i lettori possono scegliere percorsi diversi a seconda delle loro attitudini, o del corso dei loro pensieri, in modo finora ritenuto impossibile [Nelson 1992, p. 0/3].

L’idea di Nelson, da cui abbiamo per ora tratto solo conseguenze, è quella di costruire “la forma più generale di scrittura” [Nelson 1992, p. 0/2], anzi l’autore, temerariamente, ritiene che il suo sistema possa

9 Per rendere più realistica l’argomentazione, immaginiamo la rete Internet (che

effettivamente è un tipo di ipertesto, ma non quello teorico di cui stiamo trattando) a livello dei protocolli tra server come sistema generale e il computer di ogni utente gestito da un browser come sistema individuale. L’ipertesto ipotizzato da Nelson è comunque diverso e molto più potente di quello effettivamente realizzato da Tim Berners-Lee (cfr. Berners-Lee 2000, 2006), Internet. Nella visione di Nelson, per esempio, il sistema prevede la possibilità di modificare e collegare liberamente gli archivi del sistema generale.

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rappresentare “la forma più generale di linguaggio” [ibidem, v. n. 2]. Non è chiara la portata di queste affermazioni di Nelson (lui stesso le lascia senza alcun conforto teorico o bibliografico). Come Vannevar Bush, quando il filosofo statunitense si chiede come deve costruire questo strumento, senz’altro si riferisce al funzionamento della mente/cervello.10 Da questo riferimento si sviluppa la sua idea di costruire un sistema non gerarchico:

La struttura delle idee non è mai sequenziale; e in verità, nemmeno i processi del

nostro pensiero sono molto sequenziali. Certo, solo pochi pensieri alla volta passano attraverso lo schermo della nostra mente; ma mentre consideriamo una cosa, i nostri pensieri la intersecano continuamente, seguendo ora un collegamento ora un altro. Ogni nuova idea è comparata con molte parti dell’intero disegno della mente, o con qualche visualizzazione mentale del disegno stesso [Nelson 1992, p. 1/16].

Abbandoniamo, ora, l’approccio aleatorio alla “struttura delle idee”, manteniamo le condizioni estremamente libertarie della struttura ipertestuale e rivolgiamo la nostra attenzione alle lingue naturali. Ipotizziamo che il sistema, come definito nella figura 1, rappresenti la forma logica iniziale e incompleta di un modello teorico che descriva la capacità di comprendere e produrre enunciati.

Sosterrò che la struttura del concetto di “ipertesto” così come l’abbiamo articolata possa essere considerata parzialmente analoga ad alcuni concetti paradigmatici centrali nella maggior parte delle teorie linguistiche. In particolare la distinzione ipertesto generale/atto ipertestuale esprime un modello funzionale parzialmente analogo alla coppia teorica

parole/langue, generalmente accettata in linguistica generale.

In base alle considerazioni appena svolte, “ipertesto” può essere scomposto nei seguenti elementi concettuali:

- ipertesto generale : forma teorica potenziale di segmenti di informazione collegati senza restrizioni (principi e relazioni 1, 2, 3);

- atto ipertestuale : azione di un agente (o un gruppo) finalizzata a una

dispositio ipertestuale;

- ipertesto individuale : insieme degli atti ipertestuali di un soggetto agente che dà luogo a un archivio individuale. In questo modo si determina un

10 Useremo il termine “mente/cervello” per intendere sia la struttura fisiologica sia la

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sottoinsieme reale (ovvero attuale) del sistema ipertestuale;

- sistema ipertestuale : insieme degli archivi di ogni singolo agente (ipertesto individuale) che determina l’ambiente ipertestuale di tutti gli agenti e a cui tutti gli agenti hanno accesso per eseguire atti ipertestuali.

Cercherò di mostrare analogie e differenze tra questi elementi concettuali e alcune distinzioni teoriche fondamentali in linguistica generale, poiché si applicano a tutti i livelli del segno linguistico (fonetico-fonologico, morfologico-lessicale, sintattico e semantico).

Nel Corso di Linguistica Generale si legge:

Separando la lingua dalla parole, si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale [Saussure 1986, p. 23 (CLG 30)]

e, in nota, De Mauro spiega che i valori linguistici, più o meno condivisi,

si delimitano reciprocamente: fanno cioè s i s t e m a . E questo sistema di valori è qualche cosa di diverso (dialetticamente e trascendentalmente) dalle realizzazioni foniche e significazionali dei singoli atti di parole [Saussure 1986, n. 65, p. 386].

De Mauro definisce trascendentale e dialettico rispettivamente la differenza e il rapporto tra sistema linguistico e atto di parole. Questa definizione vale anche tra ipertesto generale e atto ipertestuale? Ora, la differenza trascendentale si sostanzia in un insieme di proprietà caratteristiche che si costituiscono in opposizione dialettica tra generale e particolare. La langue intesa come objet che ha un’esistenza sociale, ovvero appartiene necessariamente a una comunità di parlanti, si costruisce nel corso del tempo come un sistema in cui i valori delle forme (significazioni) esprimono significati arbitrari o immotivati rispetto alle forme, nel senso che non derivano dalle forme stesse. Dunque, per costituire un sistema devono delimitarsi reciprocamente. In questo senso il rapporto tra il concetto di ipertesto e la langue è solo parzialmente analogo. L’ipertesto è uno strumento necessariamente comunitario, la cui struttura funzionale ne definisce ogni aspetto e uso. Anche la langue è un sistema necessario e non appartiene ad alcun singolo soggetto, ma non prevede, per

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esempio da un punto di vista morfo-sintattico, tutte le possibilità combinatorie in gioco negli atti linguistici, poiché gli elementi del sistema, i segni, si delimitano reciprocamente dando luogo a un sistema complesso e dinamico che mantiene costantemente il proprio equilibrio.11 La parole, così come l’atto ipertestuale, è un processo contingente, che appartiene sempre a individui singoli, che nasce da un scelta più o meno libera (poiché senz’altro condizionata dal fattore extra-linguistico della cultura di appartenenza) nello scegliere quali valori significativi si vuole veicolare. Sia l’una sia l’altro sono determinati dai sistemi generali per quanto riguarda la possibilità della loro stessa esistenza. Entrambi funzionano per mezzo di uno strumento che è anche struttura ordinatrice del sistema generale: da qui il modello dell’intero circuito, il cui motore è l’opposizione dialettica tra i due.

Dunque, se la differenza trascendentale tra le due coppie di concetti è parzialmente analoga, poiché le differenze tra sistema e atto individuale sono simili, il rapporto dialettico tra il sistema e l’atto ipertestuale non è analogo a quello linguistico, a causa dei differenti oggetti che trattano: l’archiviazione universale e i fatti di lingua. Soprattutto, nelle strutture linguistiche i vincoli sintattici e quelli fonetico-fonologici non permettono alcuna libertà connettiva.12

In questa analogia parziale, la langue comprenderebbe le sotto componenti del concetto di ipertesto che ho chiamato “ipertesto generale”, ovvero l’aspetto teorico, essenziale nella formulazione di Nelson, che nella teoria linguistica è invece molto più complesso, e “sistema ipertestuale” ovvero l’aspetto sociale, tangibile e usato dalla comunità.13 Se ci spingiamo a considerare l’insieme di segmenti di informazione presenti nel cervello di ogni parlante una forma di ipertesto individuale (che comunque include l’aspetto sintattico, che diverrà più avanti fondamentale definendo un modello linguistico), otteniamo di trattare con il medesimo modello connettivo e i medesimi principi sia l’aspetto teoretico-generale, sia l’aspetto pragmatico, sia

11 Su questo punto, l’equilibrio dinamico, esiste un’analogia: entrambi sono sistemi

aperti, che si modificano incessantemente, mantenendo un proprio equilibrio strutturale.

12 Vedremo più avanti come un modello a-gerarchico che usa i principi ipertestuali sia

di conforto a una teoria del cambiamento sintattico.

13 Dal punto di vista linguistico, rappresenterò l’aspetto comunitario chiamandolo

“ambiente linguistico” (v. figura 2), il luogo in cui la forma linguistica nel cervello di ogni parlante si manifesta come ἐνέργεια, nel senso di Eugenio Coseriu [1971].

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quello dell’ambiente linguistico, sia quello della competenza. In figura 2, dobbiamo immaginare ogni sottoinsieme del sistema, piccolo o grande a piacere (comunque dotato di senso), costituito dalla medesima struttura: nell’insieme più grande, che rappresenta l’ambiente di vita del segno, le connessioni tra agenti, ovvero gli atti linguistico e ipertestuale, generano un network che può essere ricondotto ed è costituito dalle regole del medesimo modello connettivo, ovvero il sistema linguistico (a destra) e quello ipertestuale (a sinistra). Negli insiemi piccoli, gli individui sono sottoinsiemi degli ambienti e il modello che genera il network interno da cui sono costituiti è sempre il sistema ipertestuale per uno, una lingua naturale per l’altro. Lo stesso vale, o dovrebbe valere, per l’aspetto teorico, ovvero gli insiemi “theoretical hypertext” e “language theory”; nel senso che dovrebbero essere costituiti dal medesimo modello che descrivono. In linguistica, come in qualsiasi disciplina scientifica, bisogna sempre tenere presente che il lavoro di teoresi costituisce un metalinguaggio, la teoria, che descrive il proprio oggetto di studio ma non si identifica con questo. Come sostiene Saussure, trattando la linguistica diacronica

per potere fissare la storia di una lingua in tutti i suoi dettagli seguendo il corso del tempo, bisognerebbe possedere un’infinità di fotografie della lingua, prese di momento in momento (CLG 292).

Se consideriamo la struttura linguistica nel proprio equilibrio dinamico continuo non possiamo immaginare di definirne una fotografia istante per istante, ma possiamo aspirare alla costruzione di un sistema che ne descriva, almeno parzialmente, le modalità di funzionamento. Nel caso delle teorie linguistiche credo ci sia una complicazione in più, che può trasformarsi in un punto di forza: siamo condannati a usare un linguaggio (immaginiamo una forma di algebra) che teorizza il linguaggio (dobbiamo immaginare la stessa forma di algebra), piuttosto che usare la matematica per studiare la materia o l’universo, che darebbe luogo a due insiemi strutturalmente diversi, per esempio l’insieme “ambiente-oggetto di studio:materia” e l’insieme “teoria:matematica”. Quindi, nella figura 2, dovremmo aspettarci che il contenuto dell’insieme “language

theory” sia governato dai medesimi principi e strutture che cerca di

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linguistico e dunque fuori dal dominio degli effettivi atti di parole e delle competenze nel cervello dei singoli parlanti. Il dominio teorico, esterno alla realtà fisica del proprio oggetto di studio, deve necessariamente essere in relazione con questo nel processo di teoresi, cioè in un continuo e costante farsi della teoria. Da qui le due relazioni empiriche (“Theoresis” e “Feedback”) che l’insieme deve intrattenere costantemente con l’ambiente linguistico.

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Figura 2: una visualizzazione del confronto sulle analogie concettuali. In qualsiasi spazio preso a piacere all’interno di ogni insieme troviamo lo stesso aspetto strutturale: ipertestuale nell’insieme di sinistra, linguistico in quello di destra. L’aspetto strutturale dell’atto linguistico, esterno all’individuo e interno alla comunità dei parlanti, è lo stesso che ha luogo nella mente del parlante (competenza individuale) e nell’indagine teoretica. Nel paradigma ipertestuale, l’atto ipertestuale, esterno alla memoria del soggetto agente e interno alla comunità ipertestuale, ha lo stesso aspetto strutturale nelle memorie individuali e nella modellazione della teoria.

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La novità principale, che rappresenta la sostanza dell’idea di Nelson, è la definizione di una forma che in sé non contiene alcun tipo di antecedenza o precedenza logica o temporale necessaria. I principi che regolano la forma e che abbiamo discusso lasciano a chi accede al sistema la possibilità di dedurre una struttura gerarchica qualsiasi, permettendo di collegare i diversi valori significativi seguendo un principio ordinatore dei blocchi di testo semanticamente dipendente dall’utente, che ne stabilisce i collegamenti (i quali, come potenzialità, già esistono). Ogni percorso, così dedotto, avrà ovviamente diversi valori significativi, e, in alcuni casi, nessun valore significativo, e anche quest’ultimo è ammesso dal sistema. Decompartimentare e unificare l’informazione in un sistema unico comporta la perdita, all’interno del sistema, di strutture che regolano le attività dell’utente per mezzo di funzionalità ordinatrici necessarie. Secondo Nelson [1992] le gerarchie generano confusione, poiché rispondono a un ordine di un gruppo prestabilito: esistono molte modalità di ordinamento, dunque molti gruppi e, alla fine, tanta confusione. Invece questa forma di a-gerarchia, che potremmo chiamare “anarchia razionale”, in quanto regolata da principi che non impongono strutture predeterminate, ma solo potenzialità, consente di riversare il principio ordinatore su coloro che intervengono continuamente nel sistema, che lo possono influenzare e che costruiranno i propri percorsi e la propria memoria. D’altronde sarà l’utilizzatore del sistema in grado di stabilire se il percorso che ha costruito è significativo o meno, comunicabile o incomprensibile.14 Nella rappresentazione della langue, come nell’atto di parole, i limiti tra comprensibile e incomprensibile, grammaticale e a-grammaticale, come sappiamo, sono effettivamente sfumati, labili, spesso preda dell’indeterminatezza semantica o sintattica. L’adozione del principio a-gerarchico che regola la forma ipertestuale significa

14 Ciò non significa che l’informazione non abbia una struttura sistematica: l’ipertesto

è in grado di dare forma alla massa amorfa. La struttura dovrebbe essere rappresentabile sia con i soli tre principi enunciati sia con insiemi di configurazioni di sistema (per esempio lessicali, semantiche e sintattiche) che rendano possibili tutte le configurazioni esistenti o attuali. Nel senso del rapporto langue/parole tali configurazioni saranno senz’altro instabili; a livello teorico queste configurazioni sono parzialmente conformi ai principi ipertestuali, perciò non necessarie in se stesse e prodotte dalle possibilità logiche interne al sistema, che sono un numero altissimo – e, per mezzo del principio di libera aggiunzione e di ricorsione dell’esponenziazione, potenzialmente infinite (v. figura 1) – e dalle forme d’uso che forzano continuamente la stabilità apparente della forma generale (la langue). Tutto ciò sarà argomento del secondo capitolo.

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avvicinarsi all’idea di un processo dialettico tra langue e parole in cui il sistema si produce e si alimenta come ἐνέργεια, un farsi continuo della lingua. L’idea è che l’aspetto dell’indeterminatezza così come quello del mutamento possano divenire principi di sistema e, dunque, vestano il ruolo di fondamentali principi teorici, modificando il valore che diamo al concetto di “regola” in linguistica15. In buona sostanza, come avremo modo di approfondire, l’idea di Nelson è un punto di partenza per capovolgere il paradigma vigente.

2. GERARCHIA E CAMBIAMENTO LINGUISTICO. IL CASO DELLA GRAMMATICA GENERATIVA

Qualsiasi teoria linguistica ha la necessità di individuare un insieme di concetti generali da cui sia possibile far scaturire i principi per mezzo dei quali si formulano e si applicano le regole per ogni livello: fonetico e fonologico, morfologico e lessicale, sintattico e semantico. Alcuni di questi principi sono le definizioni che si danno di “spiegazione”, di “causa” e di “norma”. Da ciò dipende il modo con cui useremo i concetti di “regola” e di “eccezione”, ma anche di “descrizione” e di “funzione”, per esempio.16 La rappresentazione del sistema sarà soggetta a notevoli differenze a seconda che il valore del concetto di “regola” sia più spostato verso un’accezione normativa, prescrittiva o descrittiva. Così, se il sistema di spiegazione segue alcuni paradigmi, per esempio quello nomologico deduttivo o quello probabilistico, alle regole sarà attribuito un valore di validità conseguente, le illazioni raggiungeranno una certa precisione predittiva, le forme derivate saranno più o meno rigide, le funzioni individueranno domini e sotto-domini più o meno definiti e le cause del cambiamento di un oggetto di studio saranno più o meno trasparenti. Anche il modo stesso in cui intendiamo i concetti teorici di langue e di parole dipenderanno da questi concetti epistemici e, non a caso, uno dei leit motiv del secolo scorso è stato il dibattito sul modello di spiegazione adottato nelle

15 Il paragrafo successivo sarà dedicato a questo problema.

16 Con il verbo “dipendere” non si vuole indurre l’idea di una gerarchia concettuale.

Voglio intendere, invece, i concetti epistemici come strumenti i cui valori di senso sono intrecciati tra loro e in cui porre l’accento su un valore di senso piuttosto che su un altro produce sia principi conoscitivi sia rappresentazioni differenti.

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scienze cosiddette naturali e in quelle storico-sociali, dicotomia in cui non è per niente chiaro dove situare la ricerca linguistica.

Cercherò di illustrare un caso in cui una salda struttura teorica non riesce a spiegare in modo soddisfacente il fenomeno del cambiamento linguistico, a causa della forma strutturale gerarchica che tale teoria impone sia al concetto di lingua sia a quello di regola.

Secondo alcuni linguisti [cfr. Lass 1980], il problema principale, dal punto di vista della capacità esplicativa e descrittiva, delle teorie linguistiche (in particolare del cambiamento) riguarda la difficoltà a formulare le classiche leggi di copertura del tipo delle leggi universali condizionali:

∀x (P(x) → Q(x))

Lo schema afferma che se una qualsiasi variabile individuale x gode della proprietà P, allora avrà anche la proprietà Q. La formulazione di leggi di questo tipo permette di costruire una derivazione logicamente necessaria per qualsiasi evento particolare, in base al paradigma di spiegazione imposto dal modello nomologico deduttivo, che rappresenta, in tal modo, una struttura gerarchica emblematica nella filosofia della scienza. Il modello [Hempel, Oppenheim 1948] sostiene che ogni legge scientifica, per soddisfare al meglio i requisiti di spiegabilità, deve dedurre gli explananda dagli explanantia per necessità logica, in base allo schema di derivazione generale:

dove L1, ……, Ln sono gli enunciati che esprimono leggi generali, C1,

……, Cm gli enunciati che esprimono i fatti particolari che individuano

l’evento sotto esame ed “E” l’enunciato che esprime l’evento da spiegare. Il modello generale di derivazione significa che, dato un enunciato E in cui è espresso un fenomeno, si avrà spiegazione del fenomeno E, se si otterrà come conclusione di un processo inferenziale che deduca E dagli enunciati L1, ……, Ln e C1, ……, Cm. Se

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impieghiamo leggi di tipo probabilistico, il rapporto

explanantia/explananda sarà di tipo statistico inferenziale.17

Nelle discipline linguistiche un tale modello impone che la langue, a qualsiasi livello la si consideri, sia costituita di principi e schemi di regole generali (una grammatica universale) e particolari (la grammatica di una lingua particolare). Questi devono garantire il corretto processo di formazione degli enunciati (“E” nel modello Hempel-Oppenheim), eliminando la possibilità di generare frasi mal formate. Perché un modello di questo tipo possa funzionare è necessaria un’idealizzazione formale della struttura astratta, che, essendo costituita su principi, parametri e regole precise, tenda a escludere il più possibile condizioni perturbanti del sistema. Dunque la

langue è teorizzata come un’astrazione le cui strutture, per essere

scientificamente analizzabili, devono essere disposte in un ordine determinato da un certo insieme di leggi generali e particolari.

La teoria “principi e parametri”, fondamento della Grammatica Universale (abbrevieremo con GU) di Noam Chomsky, forse la più efficace prodotta finora per spiegare singole teorie grammaticali,18 elude il fenomeno del cambiamento, come vedremo, e lo relega a un ruolo di sfondo, estremamente marginale.19 Ciò dipende, come conseguenza, da una concezione astratta del concetto di lingua in generale e di ogni lingua particolare, che dovrà coincidere con la competenza di un singolo parlante ideale una lingua omogenea. Si eliminano così questioni spinose come la variabilità e la vaghezza. L’ambiente linguistico è una componente difficilmente idealizzabile ed è tagliato fuori, come fattore produttivo, dal processo di teoresi. In

17 Più esattamente sarà di tipo statistico-deduttivo o statistico-induttivo. Il primo dei

due fu abbandonato da Hempel [1961], poiché non si riusciva a stabilire un criterio di verifica per la correttezza delle asserzioni generalizzanti. Il modello induttivo, considerato più affidabile, contiene sempre leggi generali, ma di tipo statistico-induttivo, dove un fenomeno si prevede in base a una prossimità di probabilità che va da 0 a 1.

18 In grammatica generativa una teoria di una grammatica corrisponde alla

descrizione e spiegazione teorica di una lingua specifica, come vedremo tra poco. Anticipiamo che una lingua storico-naturale può avere una e una sola teoria grammaticale adeguata [cfr. Chomsky 1980].

19 È difficile trovare nei lavori di Chomsky riferimenti espliciti al problema del

cambiamento linguistico; quando ce ne sono è per rilevarne la scarsa importanza: “Ho enfatizzato i fatti biologici e non ho detto niente sui fatti sociali e storici. Non dirò niente riguardo a questi elementi nell’acquisizione del linguaggio. La ragione è che penso siano relativamente poco importanti” [Chomsky 1988, p. 157].

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questo ambiente la produzione della lingua si manifesta in enunciati incompleti, sintatticamente dubbi, dinamici sotto ogni punto di vista: semantico, sintattico, lessicale e articolatorio; come vedremo approfonditamente. L’atto di parole è la componente sostanziale dell’ambiente in cui le lingue si consumano e si generano. Un modello di spiegazione astratto si trova in difficoltà con condizioni mutevoli contingenti, perciò gli enunciati (o atti di parole) sono idealizzati nello strumento teorico “frase”, che vive in un contesto controllato dal linguista. Il principio di astrazione è l’aspetto che analizzerò, poiché è legato alle categorizzazioni del tipo gerarchico appena visto.

La Grammatica Universale rappresenta i principi che regolano la facoltà di linguaggio ed è ipotizzata come geneticamente determinata. Questi principi si manifestano in ogni lingua particolare attraverso l’attivazione di un numero finito di parametri, che ne rappresenta il processo di realizzazione effettivo. Tale realizzazione è l’espressione linguistica dei vincoli imposti dal rapporto tra grammatica universale e ambiente linguistico, dal momento che la scelta dei valori parametrici è veicolata passivamente dall’ambiente linguistico in cui un bambino cresce e acquisisce la propria lingua madre. In altri termini, la Grammatica Universale può essere immaginata come un insieme gerarchicamente strutturato da un complesso di teorie e sotto-teorie che possono essere rappresentate come delle scatole in cui esiste una funzione di marcatura (sollecitata da un input linguistico esterno) che regola i parametri contenuti nelle scatole mettendoli sulla posizione 0 o 1, marcato o non marcato. In questo modo la GU si avvia a divenire una lingua particolare, ovvero, parlando in termini teorici, una teoria grammaticale di una lingua specifica.20 La teoria di una qualsiasi grammatica particolare si presenta come un sistema di regole che permette di derivare indicatori sintagmatici finali a partire da un insieme lessicale iniziale,21 passando attraverso operazioni di

20 Per ragioni argomentative vedremo più avanti, in questo stesso paragrafo, come

funziona nel dettaglio questo aspetto della teoria.

21 Fino al Programma Minimalista, in termini non troppo specifici, la teoria di una

grammatica era costituita da regole di struttura sintagmatica che formano gli indicatori sintagmatici, cioè rappresentazioni nelle quali è indicata la struttura categoriale (sintagma nominale, sintagma preposizionale, frase, ecc.), e da regole trasformazionali che convertono indicatori sintagmatici in altri indicatori sintagmatici [Chomsky 1993]. Nei termini della teoria standard estesa (TSE) [Chomsky 1972a; 1975; 1977] si tratta di derivare una struttura superficiale (S-struttura) da una struttura profonda (D-struttura) attraverso l’operazione detta “muovi α”, cioè “muovi qualcosa”, per poi definire la forma fonetica e la forma logica.

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movimento esplicito e movimento implicito dei sintagmi, secondo lo schema seguente:

Figura 3: La selezione iniziale delle componenti è operata nel lessico (Lexicon). Select individua le componenti lessicali e le enumera nel Lexical Array. Le derivazioni operate dal sistema computazionale comprendono tre operazioni: Agree, Merge e Move. Agree o accordo è la relazione di unione grammaticale degli elementi lessicali che appartengono a un medesimo contesto di frase (checking domain). Merge è un’operazione ricorsiva che fonde due strutture sintattiche per generarne una nuova ed è definita, come Agree, dalla struttura della sintassi X-barra (X”), di cui si parlerà più avanti in questo capitolo. Move cambia di posizione ai costituenti sintattici definiti dalle operazioni precedenti. Overt Move, fin dal cosiddetto “T-model’ (Chomsky, N. A., Lasnik, H. 1977), sono chiamate le operazioni che convertono la D-structure in S-structure e come risultato hanno conseguenze nella Forma Fonetica della frase (perciò sono dette “aperte”). Covert Move sono operazioni coperte nel senso che non hanno riflesso nella forma fonetica e avvengono tra la componente di Spell-out e la Logic

Form. Nella componente di Spell-out le derivazioni si distinguono in due percorsi, uno

verso la componente fonetica (articolatoria e percettiva) e l’altro verso la forma logica (la componente semantica per la comprensione della frase), che rappresentano le componenti di interfaccia con gli altri sistemi cognitivi.

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Insieme allo schema di derivazione operano, nella rappresentazione di una lingua particolare, i principi e i parametri già impostati della GU legati tra loro, come la teoria del caso, la teoria del legamento, la teoria della reggenza, la teoria delle catene, il principio di proiezione, il principio di dipendenza dalla struttura, eccetera.22

Con questo modello di spiegazione, la Grammatica Generativa taglia fuori in due modi l’atto di parole come elemento teorico:

1) Con la funzione teorica del concetto di frase come rappresentante di ogni tipo di enunciato, anche questi ultimi non hanno più un ruolo nella teoria, se non come dati che possono confermare o rifiutare le affermazioni teoriche23 e che divengono al massimo l’explanandum “E” del modello hempeliano;

2) Considerando gli enunciati dell’ambiente linguistico che si manifestano al bambino in età evolutiva come tracce caotiche con l’unica funzione di indirizzare le scelte parametriche.

In questo modo si ottiene una teoria gerarchicamente determinata sia nell’aspetto generale della Grammatica Universale sia in quello relativo a ogni lingua particolare. Tutto ciò dovrebbe condurre a definire una disciplina scientifica che si basa e produce leggi di copertura sufficienti a spiegare e descrivere esaurientemente la capacità umana di produrre ogni lingua naturale ipotizzabile.

Vediamo perché questa teoria non riesce a spiegare e descrivere il fenomeno del cambiamento ovvero non riesce a definire una componente strutturale che comprenda la dimensione temporale delle lingue.

22 Lo scopo di questa descrizione è mostrare l’ossatura di una teoria gerarchica. Non

tratterò a fondo, in questa sede, né il programma minimalista, né tutte le teorie particolari che qui cito soltanto [cfr. Chomsky 1991, 1993, 1995, 2005; per quanto riguarda trattazioni manualistiche della teoria v. Radford 1988, Haegeman 1991, Graffi 1994, Carnie 2007].

23 Le frasi, in quanto astrazioni, sono molto diverse dagli enunciati reali della lingua

reale, come sa chiunque abbia trascritto una conversazione casuale (cioè non controllata dai parlanti che non sanno di essere registrati) o dedotto una struttura di frase come un teorema. Più avanti tratterò questa questione fondamentale, soprattutto rispetto ai gradienti di accettabilità sintattica, che ritengo siano un dato controfattuale rispetto a una teoria che poggia interamente la produzione linguistica (teorica) sulle frasi, senza curarsi del valore empirico e soprattutto induttivo dei dati ambientali.

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Nel quadro generativista, in cui il concetto di lingua è totalmente idealizzato, un limite epistemico e metodologico si trova nella possibilità di derivare dalla GU tutte le lingue umane possibili24 [cfr. Cinque 1994, Moro 2015].

L’ipotesi centrale della teoria della GU è che le teorie linguistiche particolari, le grammatiche delle singole lingue, esistano relativamente alla struttura universale, che non cambia: esiste come disposizione genetica e si attiva in età evolutiva come un istinto complesso (come, per esempio, il volo per gli uccelli o la deambulazione umana). Una volta stabiliti i parametri della GU quella lingua sarà fissata nella mente dei parlanti.

In un articolo intitolato I limiti interni del mutamento linguistico [1994], Guglielmo Cinque pone la questione del mutamento sia dal punto di vista della psicolinguistica evolutiva sia dal punto di vista della linguistica teorica, in una prospettiva interamente generativista25 [v. anche Biberauer 2008 e Moro 2015]. Molte ricerche e i dati che provengono dagli studi sulla GU mostrano che, in un significativo numero di casi, le differenze sintattiche tra varie lingue particolari e anche tra famiglie linguistiche sono probabilmente riconducibili a un insieme di principi e parametri e a un insieme di sotto-teorie della stessa GU. Se queste ricerche continuassero a essere confermate in linea di massima possiamo prevedere, sostiene Cinque, tre ipotesi possibili per spiegare questo fenomeno. La prima è la vecchia ipotesi dell’origine monogenetica delle lingue naturali. La seconda fonda le sue ragioni sulla teoria dei bisogni – in questo caso i bisogni comunicativi degli esseri umani. La terza, infine, chiama in causa la presunta identità delle menti umane, sostanzialmente la struttura e le funzioni del nostro apparato cerebrale. Scartate le prime due ipotesi, Cinque si concentra sulla terza, che è, come sappiamo, l’ipotesi su cui convergono il maggior numero degli studi sia dei sostenitori

24 Il tutto, come si vedrà più avanti in dettaglio, deve necessariamente essere

supportato da una teoria di matrice biologica dell’acquisizione linguistica e dell’evoluzione linguistica. Derivare algebricamente tutte le lingue umane possibili comprende il cambiamento in quanto potenzialità combinatoria dell’insieme di parametri della GU.

25 Espongo la posizione generativista sul mutamento partendo da questo lavoro di

Guglielmo Cinque anche se recentemente è uscito un libro di Andrea Moro [2015] in cui l’idea di “limite” nel mutamento linguistico resta sostanzialmente la stessa. Ho preferito seguire l’argomentazione di Cinque perché tratta la questione da più punti di vista maggiormente congeniali alla mia esposizione.

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dell’intelligenza generale sia dei modularisti.26 Anche qui è necessario fare una scelta ulteriore tra queste due posizioni, che non deve manifestarsi come un’impostazione dottrinaria, ma consentire di seguire un percorso di ricerca. Abbandonata, quindi, l’ipotesi dell’intelligenza generale,27 Cinque inizia a esporre le motivazioni che lo porteranno a circostanziare un giudizio estremamente preciso, secondo l’autore definibile in termini aritmetici, sul problema del mutamento linguistico. Anticipo, in parte, questo giudizio:

Le lingue possono differire solo rispetto al modo in cui fissano i differenti valori dei parametri universali. Questo permette un numero potenzialmente molto grande di sistemi differenti [Cinque 1994, p. 862].

I sistemi sono molti, ma, come risultato teorico, sono anche finiti: il che significa che le lingue possono mutare entro un certo numero di possibilità, oltre non è possibile andare [v. anche Moro 2015, §1.3.]. Il percorso che ragionevolmente porta a queste affermazioni trova i suoi punti di forza nella definizione di tre fatti teorici fondamentali a cui deve rispondere una qualsiasi teoria che ha come oggetto una lingua storico-naturale e che costituiscono una risposta ad altrettante domande:

1) In cosa consiste la conoscenza di una lingua; 2) Come è acquisita tale conoscenza;

3) Come si verifica il fenomeno della diversità tra le lingue.28

26 Si tratta delle differenze di prospettiva tra una concezione dello sviluppo

dell’intelligenza ipotizzata come un’integrità indivisibile e le ipotesi modulariste, che propongono un concetto di integrità mentale differente e da valutare in un ordine ipotetico di sistemi. I problemi scientifici che solleva lo scontro di queste due posizioni riguardano senz’altro l’ambito della psicologia evolutiva ma anche, e soprattutto, i riferimenti ai paradigmi della biologia teorica, nelle loro relazioni con lo studio dell’architettura e delle funzioni del sistema nervoso centrale.

27 Non mi soffermo, qui, sulle motivazioni di queste scelte. Le affronterò nella terza

parte di questo lavoro.

28 Cfr. Cinque 1994, p. 850. Le tre questioni centrali su cui la linguistica teorica deve

formulare le proprie ipotesi e le proprie teorie sono riportate in molti testi di Chomsky [cfr. tra gli altri: 1979, p. 3; 1985, p. 11; 1988, p. 5] con una variante rispetto alla formulazione di Cinque: la terza questione indicata da Chomsky riguarda la conoscenza (sempre teorica) procedurale, cioè come funziona l’uso di una lingua naturale.

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Le tre questioni sono legate una all’altra. Seguiremo, dunque, l’argomentazione aggiungendo alcuni commenti per ognuna delle tre fasi indicate.

Iniziamo con la prima questione. Consideriamo due ordini del concetto di “conoscenza”: il primo ordine (conoscenza 1, nell’articolo) corrisponde alla competenza linguistica del parlante, di cui egli è in parte cosciente. Tale consapevolezza è data empiricamente dalle affermazioni di accettabilità degli enunciati, dunque, secondo Cinque, dal riconoscere ciò che è corretto da ciò che non lo è. Il secondo ordine (conoscenza 2, nell’articolo) riguarda la conoscenza delle regole, dei principi e dei parametri, e delle teorie che ordinano i fatti di lingua, cioè spiega la conoscenza che si dà al primo ordine. Questo ordine superiore è ipotizzabile solo nell’ambito della ricerca scientifica e non ha altre garanzie di correttezza se non quelle che procedono dallo studio della conoscenza scientifica stessa (abbiamo visto il modello di Hempel), che in questo senso potrebbe rappresentare un terzo ordine di conoscenza (ma non ci occuperemo in questa sede di quest’ultimo problema, a cui per altro lo stesso Chomsky offre dei contributi [cfr. per esempio Chomsky 1980, pp. 230-231]). Come già detto, al livello inferiore (conoscenza 1) corrisponde la capacità di riconoscere l’accettabilità delle frasi. Consideriamo l’analisi di Cinque su un gruppo di frasi, la cui accettabilità o meno è accessibile ai parlanti. Le prime quattro frasi sono grammaticali:

1a) Mario non ha più vinto 1b) Mario non ha vinto più 1c) Mario non ha mica vinto 1d) Mario non ha vinto mica

A questo punto uniamo gli enunciati 1c + 1b e 1a + 1d e otteniamo: 2a) Mario non ha mica vinto più

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