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Ruolo dell'ormone tiroideo nel controllo dello sviluppo della retina di Xenopus laevis

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Academic year: 2021

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Riassunto

La metamorfosi degli Anfibi è un processo mediante il quale un girino si sviluppa in un organismo adulto, nella maggior parte dei casi terrestre. Questo comporta profonde modificazioni morfologiche esterne accompagnate da cambiamenti fisiologici interni. In particolare, il sistema visivo subisce enormi riarrangiamenti. Nei girini gli occhi sono posti lateralmente dotando l’animale di una visione panoramica ma non binoculare. Durante la metamorfosi il cranio cambia forma e gli occhi migrano dorso-frontalmente, cambiando le relazioni spaziali tra occhi e corpo e portando un certo grado di sovrapposizione binoculare. Nel periodo di crescita embrionale tutti gli assoni delle cellule gangliari retiniche di ciascun occhio proiettano al tetto ottico ed al talamo controlaterali incrociandosi nel chiasma ottico. Alla metamorfosi si formano nuove proiezioni retino-talamiche ipsilaterali. Queste fibre derivano da nuove cellule gangliari retiniche che si originano dalla porzione ventro-temporale della retina. Infatti, questa zona durante la metamorfosi prolifera maggiormente rispetto alla porzione dorso-nasale. Negli Anfibi la crescita retinica è continua per tutta la vita dell’animale, grazie alla continua apposizione di cellule a partire da una zona localizzata alla periferia della retina, la zona del margine ciliare (CMZ). La CMZ contiene cellule staminali in continua proliferazione. Durante la metamorfosi si osserva un incremento di proliferazione della CMZ ventrale rispetto a quella dorsale, che porta ad una crescita specifica della zona ventro-temporale della retina.

Tutti i processi che avvengono durante la metamorfosi sono sotto il controllo dell’ormone tiroideo (TH). I recettori per il TH sono recettori intracellulari, che migrano dal citoplasma al nucleo in seguito al legame con l’ormone stesso e si legano ai promotori di vari geni, influenzandone la trascrizione. I geni regolati dal TH sono numerosi, e codificano per proteine strutturali e fattori di crescita. I recettori per il TH sono espressi ubiquitariamente in tutto il sistema nervoso centrale, incluso l’occhio, e non presentano differenze tra CMZ dorsale e ventrale. Recentemente è stato dimostrato la crescita asimmetrica della retina è mediata da una deiodinasi di tipo III (D3) che inattiva il TH. D3 è espressa ad alti livelli nella CMZ dorsale, e rendendo questa porzione di CMZ resistente allo stimolo proliferativo dato

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dal TH durante la metamorfosi. L’mRNA per D3 è presente nella CMZ dorsale da stadi di sviluppo molto precoci, molto prima che una tiroide funzionante si sia sviluppata.

Lo scopo di questa tesi è stato quello di caratterizzare a livello molecolare il ruolo del TH nei cambiamenti retinici che avvengono alla metamorfosi, cercando di analizzare la rete genica che è alla base della sua azione.

Abbiamo quindi inizialmente caratterizzato in girini metamorfici e pre-metamorfici l’espressione di alcuni fattori di trascrizione noti per regolare la proliferazione ed il differenziamento della retina durante lo sviluppo embrionale (Xrx1, Xsix3, Xpax6, Xotx2 etc). La relazione spaziale tra l’espressione di questi geni e le specifiche cellule della CMZ in attiva proliferazione è stata analizzata associando esperimenti di ibridazione in-situ su sezioni con esperimenti di incorporazione di bromodeossiuridina. Inoltre, stiamo attualmente analizzando quali di questi geni siano sotto il controllo del TH. A questo scopo stiamo trattando girini pre-metamorfici con diverse dosi di TH, ed analizzando tramite ibridazione in situ ed RT-PCR l’espressione dei geni di interesse.

Un secondo obbiettivo è stato quello di individuare geni responsabili dell’espressione di D3 nella CMZ dorsale. Mediante microiniezione di mRNA in un singolo blastomero di embrioni a 4 cellule abbiamo sovraespresso alcuni geni coinvolti nello stabilire la polarità dorso-ventrale della retina. Abbiamo osservato che Xvax2, un fattore ventralizzante, reprime l’espressione di D3 mentre ET, un fattore dorsalazzante, ne promuove l’espressione. Questi dati indicano che gli effetti di TH sulla retina vengono programmati dal sistema retinico che determina la polarità dorso-ventrale molto prima che l’ormone venga prodotto.

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Abstract

Amphibian metamorphosis is a developmental process through which a tadpole turns into an adult froglet, mainly terrestrial. Metamorphosis implies deep external morphological transformations as well as internal physiological changes. In particular, the visual system undergoes enormous rearrangements. Tadpoles have laterally placed eyes, so that the animals have a panoramic vision, but lack a binocular one. During metamorphosis, the skull shape changes and the eyes move across the head dorso-frontally, modifying spatial relationships between the eyes and the body, and leading to a substantial degree of binocular overlap. In the embryo growth period, axons of all retinal ganglion cells of both eyes project to the contralateral optic tectum and thalamus, crossing each other in the optic chiasm. During metamorphosis, a novel pattern of retinal projections develops, that connect the retina to the ipsilateral thalamus. These fibres come from new retinal ganglion cells, which originate in the ventrotemporal portion of the retina. This zone, in fact, proliferates during metamorphosis more than its dorsonasal counterpart. In amphibians, retinal growth is a process continuing all life long. This is due to the continuous apposition of cells starting from a region at the peripheral edge of the retina, the ciliary marginal zone (CMZ). The CMZ contains stem cells continuously proliferating. During metamorphosis a higher degree of proliferation of the ventral CMZ is observed with respect to the dorsal CMZ: this leads to a specific growth of the ventrotemporal region of the retina.

All the processes occurring during metamorphosis are regulated by thyroid hormone (TH). TH-receptors are nuclear receptors, which migrate from the cytoplasm to the nucleus after having bound the ligand, and affect the transcription of several genes through binding to their promoters. There are different types of genes regulated by TH, which code for structural proteins and growth factors. TH-receptors are expressed everywhere in the central nervous system, eyes included. Moreover, they do not show any difference between dorsal and ventral CMZ. Recently it has been shown that the asymmetric growth of the retina during metamorphosis is mediated by a Type III deiodinase (D3), which inactivates TH. D3 is expressed at high levels in the dorsal CMZ, rendering this portion of CMZ resistant to the proliferative input given by TH during metamorphosis. D3 mRNA is present in the dorsal

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CMZ since very early development stages, even before the development of a functional thyroid gland.

This work aims at characterizing, at a molecular level, the role of TH in the retinal changes which occur before metamorphosis, and at analysing the genetic network at the basis of TH action.

First, the expression of some transcription factors has been characterized at metamorphic and pre-metamorphic stages. These factors (Xrx1, Xsix3, Xpax6, Xotx2, Xchx10 and Xvax2) are known as regulators of retinal proliferation and differentiation during embryonic development. The spatial relationships between the expression patterns of these genes, and the specific cells of CMZ actively proliferating has been analysed by coupling in situ hybridisation experiments with bromodeouxiridine incorporation experiments. Aiming at establishing which among these genes are under the control of TH, pre-metamorphic tadpoles have been reared in the presence of different doses of TH. Moreover, the analysis of the expression of the genes of interest has been carried out via in situ hybridisation and RT-PCR. A second purpose of this work was the individuation of genes responsible for the expression of D3 in dorsal CMZ. Some of the genes involved in the determination of dorso-ventral polarity of the eye have been overexpressed by microinjecting their mRNAs in a single blastomere of 4-cell embryos. The overexpression of Xvax2, a factor that has a ventralizing effect on the developing eye, has been observed to inhibit the expression of D3 in the dorsal retina. Contarily, overexpression of ET, a factor that dorsalizes the retina, promotes D3 expression. This evidence shows that the effects of TH on the retina are programmed by the retinal system which determinates dorso-ventral polarity long before TH is produced.

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Sviluppo precoce dei Vertebrati

Tutti i Vertebrati hanno un comune modello di sviluppo. La gastrulazione dà origine a un embrione che possiede un foglietto interno endodermico, un foglietto intermedio mesodermico e un foglietto esterno ectodermico. Con il procedere dello sviluppo, le interazioni tra il mesoderma dorsale e il soprastante ectoderma danno inizio all’organogenesi, la formazione di tessuti ed organi specifici.

La neurulazione

La neurulazione è l’insieme dei movimenti e delle interazioni cellulari che porta allo sviluppo del sistema nervoso centrale (SNC).

Il cordomesoderma induce nell’ectoderma soprastante la formazione del tubo neurale cavo che si differenzierà in cervello e midollo spinale. La prima indicazione del fatto che una certa regione dell’ectoderma è destinata a diventare tessuto nervoso è un cambiamento nella forma delle cellule. Le cellule ectodermiche che stanno sulla linea mediana si allungano rispetto a quelle che formeranno l’epidermide, le quali invece si appiattiscono ulteriormente. Le cellule con morfologia colonnare portano alla formazione di una regione ispessita e in rilievo rispetto all’ectoderma circostante, chiamata piastra neurale (Fig. 1), i cui margini, piegandosi verso l’alto, danno origine alle pliche neurali. Le pliche neurali migrano verso la linea mediana dorsale dell’embrione e alla fine si fondono per formare il tubo neurale al di sotto dell’ectoderma. La piastra neurale si allunga e si restringe posteriormente grazie all’estensione convergente, un fenomeno in cui le cellule, su di uno stesso piano, si intercalano lungo l’asse medio-laterale.

Questo processo, detto neurulazione primaria, è tipico di tutti i Vertebrati fatta eccezione dei Pesci, nei quali la formazione del tubo neurale avviene attraverso un processo chiamato neurulazione secondaria. In questi infatti il tubo neurale si forma da un cordone solido di cellule che viene indotto ad invaginarsi nell’embrione e in seguito diventa cavo, formando il tubo neurale. Negli Anfibi, Uccelli e Mammiferi solo la parte più caudale del tubo neurale si forma per neurulazione secondaria (Nievelstein et al.,1993; Catala et al.,1996).

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Figura 1. La neurulazione nei Vertebrati.

La differenziazione del tubo neurale nelle varie regioni del sistema nervoso centrale avviene simultaneamente a tre livelli diversi: a livello anatomico macroscopico, con la formazione delle vescicole cerebrali e del midollo spinale; a livello istologico, con diverse popolazioni cellulari che vanno a formare diverse regioni funzionali del cervello e del midollo spinale; a livello citologico, con il differenziamento delle cellule neuroepiteliali nei numerosi tipi di neuroni e cellule gliali. Nella sua regione anteriore, il tubo neurale si rigonfia sotto l’azione della pressione idrostatica positiva esercitata sulle sue pareti dal liquor in esso contenuto (Fig. 2). Si forma così una vescicola archencefalica più anteriore e una vescicola deuterencefalica più caudale. Segue poi uno stadio a tre vescicole: l’archencefalo diventa prosencefalo (cervello anteriore), e il deuterencefalo si suddivide in mesencefalo (cervello medio) e romboencefalo (cervello posteriore). Il prosencefalo dà origine a due protuberanze secondarie che daranno le vescicole ottiche e si divide ulteriormente in una parte anteriore (il telencefalo), da cui si sviluppano gli emisferi cerebrali con la corteccia cerebrale, e in una parte più caudale (il diencefalo), da cui derivano il talamo, l’ipotalamo e l’epitalamo. Il mesencefalo non si divide e vi si distingue dorsalmente un tetto, con i lobi ottici, e

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ventralmente un corpo. Il romboencefalo si suddivide in metencefalo e mielencefalo. Il primo dà origine dorsalmente al cervelletto, e ventralmente si differenzia poco dal retrostante mielencefalo e si parla complessivamente di midollo allungato.

Figura 2. Compartimentazione del tubo neurale.

I neuroni della corteccia cerebrale sono organizzati in strati, ognuno con differenti connessioni e funzioni. Questi neuroni derivano da cellule del tubo neurale originario che è composto da neuroepitelio germinativo pseudostratificato in cui le cellule sono in continua divisione. Nel momento in cui queste divisioni diventano asimmetriche, la cellula figlia smette di dividersi ed inizia a migrare (Cremisi et al., 2003). Le cellule uscite per prime dal ciclo cellulare coprono una distanza minore durante la migrazione; le cellule uscite più tardi dal ciclo migrano più lontano delle cellule più vecchie e formano regioni più superficiali della corteccia. La successiva differenziazione dipende dalla posizione che questi neuroni finiscono per occupare una volta usciti dalla regione delle cellule in divisione (Jacobson, 1991). Il tubo neurale può così essere suddiviso in tre strati: uno strato ventricolare interno dove risiedono le cellule in proliferazione; uno strato mantellare intermedio costituito da cellule in migrazione uscite dal ciclo cellulare; uno strato marginale esterno che contiene le fibre nervose.

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Sviluppo dell’occhio dei Vertebrati

Eventi morfogenetici

L’occhio è un organo estremamente complesso sia per struttura che per funzione. Le numerose componenti dell’occhio derivano da un’ampia varietà di sorgenti. Per esempio, la retina è un derivato della vescicola ottica, la lente e parte della cornea originano dall’ectoderma e i muscoli che controllano la capacità di mettere a fuoco gli oggetti derivano dal mesoderma parassiale, dalla vescicola ottica e dalle creste neurali. Il corretto sviluppo di tutte queste componenti è un processo coordinato finemente nel tempo e nello spazio a produrre un organo funzionante.

Possiamo far risalire l’inizio dello sviluppo dell’occhio alla fine della gastrulazione, allo stadio di piastra neurale precoce, momento in cui l’endomesoderma interagisce con l’ectoderma dorsale inducendo in questo un destino neurale e in particolare la formazione del cristallino (o lente) (Saha et al.,1989). Un’ampia regione della piastra neurale anteriore viene specificata a formare strutture neurali anteriori (Sasai et al., 1994) e successivamente regionalizzata a dare, tra l’altro, il “campo morfogenetico dell’occhio”. A questo punto è possibile identificare, nel neuroectoderma anteriore, i territori presuntivi da cui origineranno le strutture neurali dell’ occhio (Eagleson e Harris,1990).

La prima prova evidente della formazione degli occhi sono le due estroflessioni delle pareti laterali del diencefalo, le vescicole ottiche. Queste continuano a crescere lateralmente in direzione prossimo-distale allontanandosi dal tubo neurale a cui restano collegate tramite il peduncolo ottico. Ciascuna vescicola invia segnali induttivi al sovrastante ectoderma il quale si ispessisce e forma il placode del cristallino. Il placode del cristallino causa a sua volta modificazioni della vescicola ottica: esso si invagina progressivamente fino a staccarsi dall’ectoderma, dando origine alla vescicola del cristallino che, interagendo a sua volta con la vescicola ottica, ne induce l’invaginazione a partire dalla porzione ventrale (Cvekl e Piatigorsky, 1996). In questo modo la vescicola ottica (definita ora coppa ottica) assume un aspetto bistratificato: lo strato più esterno, il prossimale, differenzierà in epitelio pigmentato producendo melanina, lo strato più interno, il distale, darà vita alla retina neurale. Il peduncolo ottico si assottiglia progressivamente fino a diventare un canale di passaggio per

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gli assoni delle cellule gangliari diretti al tetto ottico. A partire da questo stadio di sviluppo, il peduncolo viene chiamato nervo ottico.

Il campo morfogenetico dell’occhio

I processi molecolari che regolano la complessa e coordinata sequenza di eventi morfogenetici iniziano a stadio di gastrula e neurula precoce. Durante lo sviluppo iniziale del sistema nervoso centrale viene indotta e specificata, nella piastra neurale anteriore, una regione a forma di mezzaluna potenzialmente capace di formare gli occhi e per questo chiamata “eye field” cioè “campo morfogenetico dell’occhio”. In un secondo momento, questa singola ed uniforme regione viene suddivisa in due distinti territori bilaterali e simmetrici che formeranno gli occhi separati. Esperimenti di manipolazione di embrioni, condotti sia in Anfibi che in pollo, hanno dimostrato che nelle cellule posizionate medialmente nel campo dell’occhio il destino retinico viene represso da segnali inibitori provenienti dalla regione sottostante, cioè dalla parte più mediale del mesoderma precordale, detta piastra precordale (Li et al:,1997).

A livello molecolare, in Xenopus ed in topo, il suddetto cambiamento nel programma di sviluppo nella regione mediale dell’”eye-field” si accompagna alla repressione di diversi geni regolatori, Pax6 (Hirsch e Harris, 1997), Rx (Casarosa et al., 1997; Mathers et al., 1997), Optx2 (Zuber et al., 1999), ed ET (Li et al., 1997) nella parte mediana del loro dominio di espressione nella piastra neurale anteriore. Recenti studi mostrano che il territorio dell’occhio è specificato a stadio di piastra neurale da un gruppo di fattori di trascrizione “Eye Field Trascription Factor” (EFTFs) che includono Rx1, Pax6, Six3, Lhx2, tll e Optx2 (Zuber et al., 2003). Molti di questi geni sono stati identificati come omologhi di geni in Drosophila melanogaster: ad esempio Pax6 è un omologo di twin of eyeless (toy), eyeless (ey); Six3 e Optx2 sono omologhi di optix. Essi sono necessari per la formazione dell’occhio e sufficienti, quando sovraespressi, a indurre occhi ectopici nel moscerino. Il loro pattern di espressione si sovrappone durante la specificazione del territorio dell’occhio ed è regolato dall’espressione dei sistemi segnale Notch e EGFR (Kumar et al., 2001). Una sovraespressione di Pax6, Six3, e Optx2, può espandere o indurre tessuto ectopico dell’occhio in diverse parti del sistema nervoso dei Vertebrati (Mathers et al., 1997; Chow et al., 1999; Zuber et al., 1999; Bernier et al., 2000). Inoltre una sovraespressione di ognuno di questi geni riesce ad attivare, ma non a

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ridurre, l’espressione degli altri (Andreazzoli et al., 1999; Loosli et al., 1999; Zuber et al., 1999; Lagutin et al., 2001; Lagutin et al., 2003). Queste osservazioni lasciano pensare che, così come per Drosophila, nei Vertebrati la formazione del campo dell’occhio risulti sia da una serie lineare di induzioni a cascata, sia da attivazioni reciproche tra fattori di trascrizione. I risultati sperimentali in Xenopus avvalorano questa idea (Zuber et al., 2003). L’espressione di Xotx2 è necessaria per specificare i territori presuntivi del neuroectoderma anteriore, ma la specificazione del campo morfogenetico dell’occhio ne richiede la repressione locale. Rx1 ha un’importante ruolo a questo livello essendo capace di reprimere l’espressione di Xotx2 (Andreazzoli et al., 1999). E’ stato dimostrato che ET, il primo ad essere espresso tra gli EFTFs, induce l’espressione di Rx1 il quale a sua volta reprime Otx2 (Zuber et al., 2003). Tramite interazioni a “feedback” tra gli EFTFs viene specificato l’”eye field” e determinato il suo destino.

Polarità dell’occhio

L’occhio dei vertebrati è una complessa struttura polarizzata in cui il destino di sviluppo di una singola cellula dipende dalla sua posizione nel primitivo territorio dell’occhio. Comunemente la polarità dell’occhio è descritta in termini di asse prossimo-distale (P-D), asse dorso-ventrale (D-V), asse naso-temporale (N-T).

La polarità prossimo-distale inizia ad essere evidente durante la transizione da vescicola ottica a coppa ottica, quando le cellule più vicine al cervello contribuiscono alla formazione del peduncolo ottico, mentre le cellule localizzate in una posizione distale rispetto all’asse neurale costituiscono la retina. Allo stesso tempo inizia a manifestarsi anche la polarità dorso-ventrale dell’occhio; le cellule localizzate in diverse posizioni dell’asse dell’occhio intraprendono differenti movimenti morfogenetici e diversi programmi di proliferazione, differenziamento e proiezioni assonali. Ad esempio la fissura ottica è uno dei più evidenti marcatori della polarità D-V dell’occhio in sviluppo. La sua comparsa nella retina ventrale riflette l’avanzamento dell’ invaginazione della vescicola ottica intorno alla lente a formare la coppa ottica. Per quanto riguarda i programmi di proliferazione, è noto che le cellule posizionate ventralmente proliferano più a lungo e differenziano più tardi rispetto alle cellule retiniche dorsali (Lupo et al., 1999). I diversi tipi cellulari retinici sono stratificati in un preciso ordine lungo gli assi che è fondamentale per una corretta trasmissione del segnale

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visivo. Infine la polarità dorso-ventrale della retina neurale è anche rappresentata dall’organizzazione che assumono gli assoni delle cellule retiniche ed in particolare gli assoni delle cellule gangliari che rappresentano la via di uscita dell’informazione visiva verso i centri superiori che la processeranno: il tetto ottico per gli Anfibi, Pesci e Uccelli e il collicolo superiore per i mammiferi. Lo schema di tutte le proiezioni assonali della via retina-tetto ottico viene chiamata mappa topografica (Crossland et al., 1974). Gli assoni delle cellule gangliari che partono dalla retina temporale (posteriore) proiettano nella porzione rostrale (anteriore) del tetto ottico, mentre gli assoni delle cellule gangliari nasali (anteriori) “mappano” sul tetto caudale (posteriore). Secondo lo stesso principio gli assoni dalla retina dorsale proiettano al tetto laterale (ventrale), mentre quelli della retina ventrale si dirigono al tetto mediale (dorsale). Per assicurare che si formi una mappa topografica precisa, le cellule gangliari devono ricevere un’identità posizionale che gli permetta di dirigere i propri assoni in appropriate aree del tetto. Ci sono dei gradienti di molecole guida unici per ogni gruppo di assoni delle cellule gangliari retiniche che devono raggiungere precisi siti del tetto ottico (Sperry et al.,1963).

La scoperta che una famiglia di recettori tirosina chinasi (recettori Eph) e i loro ligandi (efrine), ancorati alla membrana sono espressi in gradienti nella retina e nel tetto ottico del pollo ha permesso di ipotizzare una loro funzione come molecole guida degli assoni (Cheng et al., 1995).

La retina

La retina neurale matura è una struttura stratificata, costituita da sei tipi di cellule neurali ed un tipo di glia (Fig. 3). Al microscopio in sezione trasversale si può apprezzare l’alternanza tra strati nucleari, costituiti dai corpi cellulari dei neuroni, e strati plessiformi, costituiti dai processi cellulari tramite cui le cellule stabiliscono interconnessioni sinaptiche tra loro. A partire dall’epitelio pigmentato si riconosce uno strato nucleare esterno costituito dai corpi dei fotorecettori, coni e bastoncelli, deputati alla ricezione dello stimolo luminoso. Segue poi lo strato plessiforme esterno che separa lo strato nucleare esterno dallo strato nucleare interno. In quest’ ultimo sono presenti: i neuroni bipolari, che garantiscono la comunicazione tra i fotorecettori e le cellule gangliari; i neuroni amacrini e i neuroni orizzontali, deputati al trasporto dell’informazione in senso orizzontale e alla sua integrazione; le cellule della glia di

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Müller i cui prolungamenti si ramificano ampiamente, che si suppone siano coinvolte nella protezione e/o riparazioni dei neuroni retinici. L’ultimo strato è costituito dalle cellule gangliari i cui assoni costituiscono il nervo ottico. Infine lo strato plessiforme interno separa lo strato nucleare interno dallo strato delle cellule gangliari.

Figura 3. Rappresentazione schematica di una retina di Vertebrato. Abbreviazioni: GCL, Ganglion Cell Layer (strato delle cellule gangliari); INL, Inner Nuclear Layer (strato nucleare interno); ONL, Outer Nuclear Layer (strato nucleare esterno).

Questa architettura laminare viene raggiunta attraverso un coordinato programma di eventi che comprende la proliferazione, la migrazione e la morte cellulare programmata.

La retinogenesi

La retina neurale presuntiva è inizialmente un epitelio monostratificato, come la parete del prosencefalo da cui deriva. Le cellule che la costituiscono vanno incontro a varie divisioni successive, migrano verso l’epitelio pigmentato e si dividono ancora; alcune di queste cellule migrano successivamente nello strato interno. Si distinguono così due strati di neuroblasti da cui deriveranno i tre strati nucleari retinici definitivi. La retinogenesi di tutti i Vertebrati mostra due comuni caratteristiche. I sette tipi cellulari vengono sempre generati in un preciso

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ordine: le cellule gangliari si differenziano per prime, seguite dai coni, dalle cellule amacrine, dai bastoncelli, dalle cellule bipolari e, infine, dalle cellule della glia di Müller; in realtà l’ordine con cui compaiono questi tipi cellulari non è del tutto sequenziale, in quanto alcuni di questi vengono generati contemporaneamente ad altri (Young et al., 1985). Inoltre, i progenitori retinici sono multipotenti a differenti stadi di sviluppo e la decisione su quale destino cellulare intraprendere può verificarsi durante o dopo l’ultima divisione mitotica, così che due cellule figlie di un certo progenitore possono intraprendere destini diversi (Turner e Cepko, 1987). La multipotenza delle cellule progenitrici retiniche suggerisce l’esistenza di fattori locali che influenzano le decisioni del destino cellulare da intraprendere da ciascuna cellula. Infatti le componenti intrinseche che delineano le proprietà delle cellule progenitrici retiniche, come i fattori di trascrizione nucleari, i recettori della superficie cellulare, le molecole delle vie di segnale intracellulare, sottostanno a progressivi cambiamenti mano a mano che lo sviluppo procede (Lillien et al., 1995). Un recente modello di sviluppo retinico propone che le cellule progenitrici passino attraverso degli “stati di competenza” e che ciascuno di questi favorisca la specificazione di uno o più tipi cellulari. Lo “stato di competenza” è presumibilmente definito da proprietà intrinseche alla cellula progenitrice che determinano il suo grado di risposta a fattori estrinseci e di conseguenza il suo potenziale di sviluppo (Livesey et al., 2001). Quindi durante la retinogenesi cambiamenti dei segnali intrinseci, rappresentati da numerose classi di fattori di trascrizione (“homeobox”, bHLH, “leucine zipper”), promuovono la “nascita” di tipi cellulari differenti da un pool omogeneo di cellule progenitrici retiniche multipotenti.

La zona del margine ciliare (CMZ)

Nei Vertebrati inferiori, Pesci e Anfibi, la retina è in continua crescita durante tutta la vita dell’organismo, mantenendo le proporzioni con le dimensioni corporee. Le nuove cellule non sono intersperse in tutta la retina, ma aggiunte in corrispondenza di una regione periferica della retina, la zona del margine ciliare (CMZ, Ciliary Marginal Zone). Negli embrioni di Xenopus, la somministrazione transiente di bromodeossiuridina (BrdU), composto in grado di marcare il DNA delle cellule in mitosi, evidenzia anelli di cellule marcate nella retina, suggerendo che la progenie della CMZ non migri, ma rimanga in loco, mentre nuove cellule vengono man mano aggiunte in periferia. Il risultato di questo processo è che nell’adulto

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l’area più centrale della retina è formata dalle cellule più vecchie, nate durante l’embriogenesi (Perron et al., 1998). La CMZ presenta una precisa organizzazione cellulare dalla periferia fino al margine centrale, al confine con la retina già differenziata in strati. Essa è stata dettagliatamente studiata in Xenopus dove si sono individuate quattro zone principali (Fig. 4), ciascuna caratterizzata da un’espressione differenziale di geni coinvolti nel differenziamento retinico (Perron et al., 1998).

Zona 1 o di specificazione: è la parte più periferica della CMZ, dove l’epitelio pigmentato si

ripiega sulla retina neurale. In essa si trovano cellule staminali multipotenti, capaci di dare origine sia a cellule dell’epitelio pigmentato sia della retina neurale; esprimono geni precoci del differenziamento retinico, Xrx1, Xsix3, Xpax6. Le cellule staminali sono caratterizzate da un ciclo cellulare molto lento che porta un basso livello di incorporazione di BrdU.

Zona 2 o proneurale e neurogenica: i retinoblasti presenti in questa zona originano cloni di

cellule retiniche neurali e gliali. Si tratta di retinoblasti con le stesse caratteristiche delle cellule embrionali presenti nei primordi della retina a stadio di coppa ottica. Esprimono X-Notch-1, X-Delta-1 e i primi fattori di trascrizione del tipo “basic helix-loop-helix” (bHLH) come Xash1 e Xash3, oltre ai geni già espressi dalle cellule della zona 1.

Zona 3 o di determinazione: come indicato dal nome, in questa zona avviene la

determinazione del tipo cellulare. Infatti le cellule cominciano a esprimere fattori bHLH come Xash3, Xash5 e XNeuroD, ma anche geni di strati più specifici come ad esempio Xotx2.

Zona 4 o di differenziamento: contiene precursori post-mitotici e cellule ancora non

completamente differenziate che confinano con i neuroni maturi della retina centrale. Non sono più espressi X-Notch-1, X-Delta-1 ed i geni Xash, ma è rilevabile l’espressione di geni marcatori specifici tipi cellulari differenziati come ad esempio Brn3.0, che è espresso nelle cellule gangliari della retina matura.

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Figura 4. Rappresentazione schematica della retina di Xenopus. E’ mostrata la divisione in zone indicate con i numeri 1, 2, 3, 4 e l’espressione dei geni caratteristici di ciascuna zona. Nelle prime tre zone hanno sede le cellule proliferanti, mentre nella zona 4 le cellule sono già post-mitotiche, in fase di diffrenziamento. Nelle regioni più centrali la retina appare già differenziata e in essa sono riconoscibili i tipici strati cellulari.

I geni “master” della retina

Nella retina, numerosi geni “homeobox” espressi nelle cellule progenitrici svolgono un ruolo importante nella regolazione della proliferazione, in quanto intervengono nel determinare sia la corretta percentuale delle cellule proliferanti che l’uscita dal ciclo cellulare. Appartengono a questa categoria Rx1, Pax6, Six3. Altri fattori di trascrizione sono invece implicati nella determinazione e specificazione di tipi cellulari particolari come ad esempio Otx2, Vax2 e Chx10.

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Xrx1

I geni Rx sono geni “homeobox” i cui omologhi sono stati trovati nell’uomo, nei roditori, nei pesci, nel moscerino, nonché in Xenopus (Casarosa et al., 1997; Chuang et al., 1999; Furukawa et al., 1997; Mathers et al., 1997; Ohuchi et al., 1999). L’espressione dei diversi geni Rx ha un profilo comune in tutte le specie, in quanto sono sempre espressi nel diencefalo ventrale e precocemente nel campo morfogenetico dell’occhio. La funzione dei geni Rx è stata dettagliatamente analizzata tramite approcci di inattivazione e sovraespressione. La sovraespressione di Xrx1 nel tubo neurale anteriore di Xenopus porta un’iperplasia del tubo neurale, una drammatica espansione del tessuto retinico ed, in alcuni casi, la formazione di una retina ectopica (Mathers et al., 1997; Andreazzoli et al., 1999; Chuang et al., 2001). Topi omozigoti per una mutazione nulla sono anoftalmici (Mathers et al., 1997), non formando nessuna struttura dell’occhio, nemmeno le più precoci come le vescicole e le coppe ottiche. Pesci medaka (Oryzia latipes) mutanti del gene Rx3 non formano la vescicola ottica (Loosli et al., 2001). I geni Rx sono dunque importanti per la formazione della vescicola ottica.

Data la precoce e diffusa espressione di questo gene, è confermata l’idea dell’importanza di Xrx1 per la specificazione del campo morfogenetico dell’occhio nel tubo neurale anteriore. D’altro canto è stato dimostrato, sempre in Xenopus, un diretto ed esclusivo ruolo di Xrx1 nella proliferazione e nel mantenimento della multipotenza delle cellule progenitrici retiniche (Andreazzoli et al., 2003; Casarosa et al., 2003).

Pax6

Pax6 è un membro della famiglia di fattori di trascrizione Pax omologo del gene eyeless di Drosophila. Contiene due motivi di legame al DNA, un dominio “paired” e un omeodominio “paired-type” (Walther et al., 1991). Nei Vertebrati viene espresso a partire dalla gastrulazione nella piastra neurale anteriore (Walther & Gruss, 1991; Li et al., 1994; Grindley et al., 1995). È essenziale per il corretto sviluppo di numerosi organi tra cui il cervello, il pancreas e l’occhio (Callaerts et al., 1997). Pax6 è infatti un regolatore chiave dello sviluppo dell’occhio; è necessario per la sua formazione in diversi organismi ed è sufficiente per indurre occhi ectopici nel moscerino e nella rana (Halder et al., 1995; Chow et al., 1999). Ratti e topi omozigoti per la mutazione sono anoftalmici e muoiono alla nascita (Hogan et al., 1986; Grindley et al., 1997). Inoltre Pax6 ha un ruolo nella proliferazione e differenziamento

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delle cellule progenitrici retiniche. Dopo la formazione della coppa ottica Pax6 viene represso nel peduncolo ottico e nelle cellule dell’epitelio pigmentato, ma la sua espressione è mantenuta nella neuroretina. In particolare lo si ritrova espresso nelle cellule progenitrici retiniche in proliferazione, mentre l’espressione diminuisce in molte cellule dopo il differenziamento. Nella retina matura, l’espressione di Pax6 persiste nelle cellule amacrine e nelle cellule gangliari (Macdonald et al., 1997). Cellule progenitrici retiniche deficienti per Pax6 mostrano una ridotta capacità proliferativa e differenziano solo in interneuroni amacrini (Marquardt et al., 2001). Fino ad oggi non esistono comunque evidenze che mostrino un’azione diretta di Pax6 sul macchinario del ciclo cellulare, ma è stato identificato un target citoplasmatico di Pax6, la proteina necab, la cui sovraespressione aumenta l’attivazione trascrizionale dei fattori retinogenici bHLH che promuovono il differenziamento della cellule progenitrici retiniche (Bernier et al., 2001).

Six3

Six3 appartiene alla famiglia SIX-omeodominio (di cui sine oculis (so) di Drosophila è il membro fondatore) ed ha un’alta omologia di sequenza con Optix, un altro gene di Drosophila della stessa famiglia. E’ inizialmente espresso nel neuroectoderma anteriore e nella successiva retinogenesi la sua espressione è ristretta alle cellule progenitrici retiniche e alle cellule gangliari differenziate (Ghambari et al., 2001). La maggior parte degli studi su Six3 sono stati compiuti utilizzando la tecnica della sovraespressione in numerosi Vertebrati modello compresi medaka (Loosli et al., 1999), zebrafish (Danio rerio) (Kobayashi et al.,1998), Xenopus (Bernier et al., 2000) e topo (Lagutin et al., 2001). In tutti questi modelli, la sovraespressione di Six3 induce vescicole ottiche ectopiche nella regione del tubo neurale prospettica del mesencefalo e romboencefalo, suggerendo un importante e precoce ruolo nell’induzione della vescicola ottica. In medaka l’aumentato livello di espressione di Six3 causa un’espansione della normale vescicola ottica, mentre in zebrafish si espande il prosencefalo rostrale indicando, in entrambi i casi, la competenza del gene a promuovere la proliferazione nel neuroepitelio. Esperimenti di “perdita di funzione” effettuati sul pesce medaka utilizzando il “knock down” di Six3 tramite oligonucleotidi morfolino hanno mostrato la perdita del prosencefalo e degli occhi(Carl et al., 2002). Lo stesso fenotipo è stato osservato in topi “knock out” omozigoti mancanti del gene Six3(Lagutin et al., 2003).

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Come Six3 possa regolare la proliferazione delle cellule progenitrici retiniche rimane ancora una questione aperta. Recenti ricerche (Del Bene et al., 2004) mostrano come Six3, legando geminin, una molecola capace di inibire la progressione del ciclo cellulare, promuova la proliferazione.

Chx10

Chx10 appartiene alla classe di geni “homeobox” di tipo “paired-like” con dominio CVC. E’uno dei più specifici marcatori delle cellule progenitrici retiniche dei Vertebrati iniziando dalla vescicola ottica (Liu et al., 1994; Passini et al., 1997; Chen et al., 2000). Quando le cellule progenitrici differenziano ed escono dal ciclo cellulare, l’espressione di Chx10 si “spegne” in tutte le cellule post-mitotiche fatta eccezione per le cellule bipolari (Burmeister et al., 1996). Mutazioni nel gene Chx10 (compresa la mutazione naturale orJ) in topo mostrano il fenotipo denominato “ocular retardation” (or) caratterizzato da una retina di piccole dimensioni (Burmeister et al.,1996). L’effetto sembra essere dovuto a una riduzione della capacità proliferativa delle cellule progenitrici retiniche, soprattutto alla periferia della retina (Burmeister et al., 1996; Bone-Larson et al., 2000). Anche la fissura ventrale mostra delle anomalie che determinano la mancata uscita dagli assoni delle cellule gangliari dall’occhio. Inoltre, si ha una completa assenza di interneuroni bipolari (Burmeister et al., 1996).

Otx2

Otx2 è dotato di un omeodominio di classe bicoid ed è stato infatti clonato come un omologo murino del gene orthodenticle (otd) di Drosophila. In topo, Otx2 si esprime nell’ectoderma embrionale per poi restringersi gradualmente all’estremità anteriore dell’embrione man mano che procede la gastrulazione (Simeone et al., 1993). In Xenopus, Xotx2 viene dapprima espresso nel mesendoderma precordale presuntivo della regione dell’organizzatore, per poi restringersi alla piastra neurale anteriore e nei distretti prosencefalici e mesencefalici (Pannese et al., 1995). L’importanza per lo sviluppo del cervello anteriore e degli occhi è stata dimostrata in esperimenti di perdita di funzione in Xenopus e topo, nei quali si riscontrano problemi di gastrulazione e la perdita delle strutture anteriori come il prosencefalo, il mesencefalo e gli occhi, probabilmente per problemi durante l’induzione

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neurale (Acampora et al., 1995; Isaacs et al., 1999; Gammil e Sive, 2001). La sovraespressione in Xenopus induce tessuto nervoso e ghiandole del cemento, ma non occhi ectopici (Blitz et al., 1995; Pannese et al., 1995). In ogni caso studi in cui la sovraespressione di Pax6, Six3, Optx2 o Rx produce tessuti oculari ectopici suggeriscono che Otx2 sia necessario alla formazione dell’occhio: questi si formano infatti solo nella regione della testa definita dall’espressione di Otx2, anteriormente al romboencefalo (Andreazzoli et al., 1999; Bernier et al., 2000; Mathers et al., 1997). In topo è stato visto che Otx2 è essenziale per la specificazione dei fotorecettori e per lo sviluppo della ghiandola pineale (Nishida et al., 2003).Esperimenti eseguiti in Xenopus hanno invece evidenziato un coinvolgimento di Xotx2 nella specificazione dei neuroni bipolari (Viczian et al., 2003).

Vax2

Vax2 è un fattore di trascrizione “homeobox” con un forte dominio di espressione confinato alla porzione ventrale della retina neurale prospettica in topo, uomo e Xenopus (Barbieri et al., 1999; Ohsaki et al., 1999). Una sovraespressione di Vax2 induce una sorprendente espansione del peduncolo ottico. Inoltre gli occhi mostrano un fenotipo ventralizzato, indicato dall’espansione dell’espressione di marcatori retinici ventrali e dalla riduzione del dominio di espressione di marcatori della retina dorsale (Barbieri et al., 1999). Similmente, la sovraespressione in pollo di cVax2 determina la ventralizzazione della retina in sviluppo e una profonda alterazione delle proiezioni retino-tettali sull’asse dorso-ventrale (Schulte et al., 1999). Topi “knock out” per Vax2 hanno confermato il ruolo svolto dal fattore di trascrizione nello sviluppo dell’occhio come dimostrato dalla presenza di coloboma (Barbieri et al., 2002). Inoltre i topi mutanti mostrano un alterato sviluppo dell’asse dorso-ventrale dell’occhio (Barbieri et al., 2002). Nella retina di Xenopus l’espressione di Xvax2 è mantenuta nella retina ventrale con un forte segnale nella zona del margine ciliare e nel chiasma ottico a stadi pre-metamorfici (Liu et al., 2001).

ET

E’ stato originariamente identificato in Xenopus come un membro della famiglia dei fattori di trascrizione T-box; è espresso molto precocemente in un singolo dominio a mezzaluna al centro della piastra neurale anteriore. A stadi più tardivi l’espressione di ET è localizzata

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nella porzione dorsale della retina, ma non nella lente o nella metà ventrale dell’occhio. Lo si ritrova ancora espresso nella ghiandola del cemento, una struttura epidermica anteriore la cui formazione è spesso associata con l’induzione neurale. A partire da stadio 26 ET è anche espresso nei gangli cefalici e nell’organo della linea laterale (Li et al., 1997). Recenti studi di sovraespressione mostrano che ET è coinvolto nel meccanismo che stabilisce la polarità dorsoventrale dell’occhio (Wong et al., 2002). ET è un membro della sottofamiglia dei T-box chiamata Tbx2 che comprende i geni Tbx2, Tbx3, Tbx4 e Tbx5. In topo e pollo, gli ortologhi di Tbx2, Tbx3 e Tbx5 sono tutti espressi in domini sovrapposti nella retina neurale dorsale (Chapman et al., 1996; Sowden et al., 2001) molto simili ai domini di espressione di ET in Xenopus (Li et al., 1997).

La metamorfosi

In molte specie di animali lo sviluppo embrionale porta ad uno stadio larvale con caratteristiche profondamente differenti da quelle dell’organismo adulto. Molto spesso la metamorfosi rappresenta una strategia adattativa cosicché ad esempio le forme larvali sono specializzate per la crescita o la migrazione verso la colonizzazione di nuovi ambienti.

Durante la metamorfosi i processi dello sviluppo vengono attivati da specifici ormoni e l’intero organismo si modifica. I cambiamenti non riguardano soltanto la forma, ma anche la biochimica, la fisiologia ed il comportamento, ovvero le relazioni dell’organismo con l’ambiente esterno.

La metamorfosi negli Anfibi

Al giorno d’oggi sopravvivono tre ordini di Anfibi che includono circa 4000 specie: gli Anuri (rospi e rane), gli Urodeli (tritoni e salamandre) e gli Apodi, che come dice il nome stesso sono privi di arti e conducono una vita sotteranea. La metamorfosi negli Anfibi è generalmente associata con i cambiamenti che preparano l’organismo acquatico ad un esistenza per lo più terrestre e differisce notevolmente tra i vari gruppi. Per molti Anuri, le uova deposte in acqua si sviluppano in larve acquatiche che emergono sulla terra solo a metamorfosi completata. E’ un’eccezione il rospo Xenopus laevis che conduce una vita

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acquatica anche da adulto. Negli Anuri i cambiamenti metamorfici sono molto radicali, e la maggior parte degli organi è soggetta a modificazioni. I mutamenti regressivi includono la perdita dei denti cornei del girino e delle branchie interne ed il riassorbimento della coda. Allo stesso tempo avvengono dei processi costruttivi, come lo sviluppo degli arti e della ghiandola dermoide. Il cranio cartilagineo del girino viene rimpiazzato da un cranio prevalentemente osseo, la mandibola cambia forma e si sviluppano i muscoli della lingua (non in Xenopus che non ha la lingua). Anche l’apparato sensoriale si modifica: degenera il sistema della linea laterale del girino e l’occhio e l’orecchio vanno incontro ad un’ulteriore differenziazione. Il grande intestino caratteristico dell’alimentazione erbivora del girino si ridimensiona per far fronte all’acquisizione di una dieta carnivora da parte della rana adulta. Negli Urodeli invece la metamorfosi causa cambiamenti molto meno evidenti. Tipiche alterazioni includono un ispessimento dell’epidermide e il riassorbimento delle branchie e della pinna caudale. Molto spesso comunque l’organismo adulto è molto simile al premetamorfico.

Negli Apodi la modificazione più evidente è l’ispessimento dell’epidermide che forma delle scaglie. In molte specie gli occhi vengono coperti dall’epidermide e da tessuto osseo e i muscoli extraoculari degenerano. Contemporaneamente si forma una sorta di “tentacolo” sensoriale al posto degli occhi.

Cambiamenti biochimici

Al diverso assetto del corpo dell’animale deve corrispondere un diverso metabolismo che permetta all’organismo metamorfosato di adattarsi e sopravvivere nelle nuove condizioni ambientali. Uno dei cambiamenti biochimici nella metamorfosi di alcune specie di rane è l’induzione degli enzimi necessari alla produzione di urea. I girini, come la maggior parte dei pesci di acqua dolce, sono ammoniotelici, cioè eliminano ammoniaca. Molte rane adulte, invece, (come il genere Rana, ma non Xenopus) sono uroteliche: come la maggior parte dei vertebrati terrestri, eliminano cioè urea. E’ durante la metamorfosi che nel fegato si sviluppano gli enzimi indispensabili per processare i composti azotati che vengono resi non tossici ed escreti. Nell’individuo adulto anche l’emoglobina sanguigna ha caratteristiche diverse rispetto all’emoglobina embrionale: ha dei cicli di legame e rilascio dell’ossigeno più efficienti e dipendenti dal pH come tutti i Vertebrati terrestri.

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Controllo ormonale: l’ormone tiroideo

I primi studi sul controllo ormonale della metamorfosi risalgono agli inizi del secolo scorso, quando Gudernatsch notò che cibando larve di Bufo vulgaris e Rana Esculenta con pezzi di ghiandola tiroidea essiccata, esse andavano incontro precocemente alla metamorfosi (Gudernatsch, 1912). Da allora in poi prese corpo l’idea che l’ormone tiroideo (TH) fosse la causa scatenante della metamorfosi degli Anfibi, ma nulla ancora si sapeva circa il suo meccanismo d’azione. La sintesi dell’ormone tiroideo è innescata dal rilascio da parte dell’ipotalamo dell’ormone rilasciante la tirotropina (TRH, Thyrotropin Releasing Hormone). Questo induce l’ipofisi a secernere l’ormone che stimola la tiroide (TSH, Thyroid Stimulating Factor), il quale, a sua volta, favorisce il rilascio dell’ormone tiroideo nel sangue da parte della tiroide (Di Liegro et al., 1987) (Fig. 5). Questi stessi ormoni, mediante un meccanismo a “feedback”, regolano i passaggi che portano alla loro produzione.

L’ipotalamo secerne il TRH L’ipofisi secerne il TSH

La tiroide rilascia T4 e T3 nel sangue

Figura 5. Regolazione della sintesi e del rilascio dell’ormone tiroideo.

Strutturalmente l’ormone tiroideo consiste di due residui di tirosina che possono essere associati con tre o quattro molecole di iodina, formando due composti comunemente chiamati rispettivamente Triiodiotironina (T3) e Tiroxina (T4) (Fig. 6). La forma attiva biologicamente è la triiodiotironina; T4 viene trasformata in T3 da enzimi chiamati deiodinasi di tipo II (D2) presenti in diversi tessuti.

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Figura 6. Struttura dell’ormone tiroideo.

L’ormone tiroideo esplica la sua azione regolando l’espressione genica attraverso recettori nucleari detti “recettori dell’ormone tiroideo” (TR) (Weinberger et al., 1986; Yaoita et al.,1990). I recettori tiroidei, conosciuti nelle due principali isoforme TRα e TRβ, appartengono alla superfamiglia di recettori nucleari che include anche i recettori steroidei e recettori dell’acido retinoico (RXR) (Mangelsdorf et al., 1995). Come la maggior parte dei recettori di questa famiglia, i TR hanno un dominio di legame al DNA all’estremità N-terminale, che riconosce sequenze di riconoscimento dell’ormone tiroideo (TRE) sui geni bersaglio, e il dominio di legame al TH all’estremità C-terminale. I TR possono legare gli elementi di risposta come omodimeri (TR-TR) o eterodimeri, ma esperimenti in vivo indicano che essi funzionano preferenzialmente come eterodimeri formati con i recettori dell’acido retinoico (TR-RXR). Tramite il legame alle sequenze di riconoscimento sul DNA, gli eterodimeri TR-RXR possono regolare la trascrizione di geni bersaglio in modo TH-dipendente. In assenza di TH l’eterodimero si complessa con un corepressore e reprime la trascrizione. Il legame di TH al complesso TR-RXR favorisce il rilascio del corepressore e consente l’associazione con un coattivatore e la trascrizione del gene tramite le proteine leganti le “TATA box” e la RNA polimerasi II. Quindi l’ormone tiroideo può regolare la trascrizione di una molteplicità di geni che possono essere proteine strutturali, fattori di

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crescita o enzimi proteolitici. Sono state recentemente scoperte un gran numero di proteine cellulari che mediano e coadiuvano il riconoscimento tra recettori ed ormone (Cheng, 2000), rendendo ancor più fine e regolata la sua azione. Non è azzardato affermare che tutti gli effetti dell’ormone tiroideo alla metamorfosi possono essere interpretati in termini degli effetti dell’ormone tiroideo su specifici geni.

Ciò che rende possibile il coordinamento degli eventi della metamorfosi è la necessità di quantità differenti di ormone per produrre effetti specifici diversi. Questo è ciò che viene chiamato “concetto di soglia”: mentre la concentrazione degli ormoni aumenta gradualmente, si verificano eventi diversi a diverse concentrazioni di ormone (Kollros, 1961).

Xenopus laevis come sistema modello

Diversi motivi generali hanno indotto a scegliere Xenopus laevis, un anfibio anuro di origine sudafricana, come modello di studio in laboratorio. Innanzitutto il suo sviluppo è un buon paradigma di come prenda forma il corpo di un vertebrato: dato che le modalità di sviluppo di tutti i Vertebrati sono simili, i meccanismi di base dell’embriogenesi in Xenopus laevis possono essere estesi anche alle altre classi, con le dovute eccezioni. Inoltre in qualsiasi periodo dell’anno la femmina può essere artificialmente indotta a deporre uova mediante stimolazione ormonale: di solito vengono rilasciate tra le 1000 e le 1500 uova, che possono essere fecondate dall’esterno con facilità. La grandezza delle uova (circa 1 mm di diametro), permette di manipolarle facilmente, osservandole con uno stereomicroscopio. Essa consente inoltre un’ampia gamma di esperimenti: ad esempio, attraverso la microiniezione di DNA plasmidico o mRNA sintetizzato in vitro è possibile studiare l’effetto della sovraespressione di un gene. Altra caratteristica utile è la rapidità con cui si sviluppano gli embrioni: una volta fecondato, l’uovo di Xenopus laevis si divide in due blastomeri in circa 90 minuti e le divisioni successive avvengono in maniera sincrona ogni 20 minuti, fino allo stadio di blastula (Fig. 7). Di solito perché un embrione arrivi allo stadio di larva natante e quindi abbia completato l’organogenesi sono sufficienti due giorni. Al fine degli studi di questa tesi, Xenopus ci è stato utile in virtù del fatto che raggiunge, in tempi ragionevoli per lo sperimentatore, gli stadi metamorfici senza necessitare di elaborate condizioni di crescita e di nutrizione.

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Figura 7. Ciclo vitale di un Anfibio.

La metamorfosi del sistema visivo di Xenopus laevis

Una conseguenza evidente e spettacolare della metamorfosi degli Anfibi Anuri è il movimento degli occhi dalla loro posizione originaria ad una più dorso-frontale. Nel girino infatti i due occhi sono posizionati lateralmente dotando l’animale di una visione monoculare, restrittiva dell’ambiente esterno, ma adeguata all’esistenza di organismi erbivori che vengono predati. La migrazione degli occhi fornisce all’organismo adulto un certo grado di sovrapposizione binoculare e quindi una percezione tridimensionale dell’ambiente esterno adatta ad uno stile di vita da predatore. Questo comporta profonde modificazioni nell’ordine delle relazioni tra cervello, corpo ed ambiente esterno che devono essere nuovamente ristabilite. Non è un caso che, proprio alla metamorfosi, nuove proiezioni retino-talamiche ipsilaterali si aggiungano a quelle controlaterali già esistenti nel girino (Hoskins et al., 1985b). Le nuove fibre prendono origine da un popolazione di cellule del margine ventrale della retina che proprio in questo momento inizia a proliferare maggiormente rispetto alla

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controparte dorsale (Jacobson, 1976; Beach et al., 1979b). Questa estensiva ed asimmetrica proliferazione fornisce nuovi neuroni alla porzione di retina responsabile della visione binoculare, ma soprattutto compensa per i cambiamenti nella posizione degli occhi assicurando che un punto dell’ambiente esterno continui a proiettare su una derminata porzione di retina e mantenendo cosi invariato l’asse cervello-corpo-ambiente (Fig. 8).

Figura 8. Migrazione degli occhi di Xenopus alla metamorfosi e crescita retinica asimmetrica.

L’ormone tiroideo ed il controllo della crescita retinica

E’ oggi accertato che l’ormone tiroideo può indurre una varietà di effetti in diversi tessuti neurali, tra cui proliferazione, differenziamento e migrazione (Thompson et al., 2001). La proliferazione asimmetrica della porzione ventrale della retina inizia a stadio embrionale 54 quando i livelli dell’ormone tiroideo circolante cominciano ad aumentare. Era evidente da tempo che l’ormone tiroideo potesse scatenare il cambiamento nella proliferazione delle cellule retiniche tramite un’azione diretta sull’occhio. Infatti il lento rilascio di TH nell’occhio di girini stimola la proliferazione cellulare limitatamente all’occhio trattato sia in Xenopus, sia in Rana (Kaltenbach et al., 1972; Beach et al., 1979a). Entrambe le estremità della retina sono in grado di rispondere al TH, ma la retina ventrale prolifera di più. Una sorta di controprova venne da esperimenti con il propiltiouracile (PTU), un composto in grado di bloccare la produzione di tiroxina (T3) nella tiroide impedendo la iodinazione della tirosina.

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Il trattamento con PTU inibisce l’incremento di proliferazione nella retina ventrale alla metamorfosi (Green, 1978). L’applicazione locale di tiroxina nell’occhio di girini trattati con PTU riesce a ricreare la crescita asimmetrica del margine ventrale e dorsale della retina. Dal momento che l’ormone tiroideo agisce tramite i suoi recettori, si era inizialmente pensato che ci fosse nella retina ventrale una più alta concentrazione di questi recettori, e che questo spiegasse la sua risposta di aumentata proliferazione dopo stimolazione con l’ormone. Questa ipotesi è stata però smentita da studi che mostrano una uguale distribuzione dei trascritti dei recettori dell’ormone tiroideo nella porzioni dosale e ventrale della retina (Kawahara et al., 1991).

Deiodinasi di tipo III (D3)

La iodiotironina 5-deiodinasi di tipo III (D3) è un enzima che degrada la forma attiva dell’ormone tiroideo, T3, nella molecola inattiva, T2, la diiodiotironina (St. Germain et al., 1994). E’ stato individuato come un gene attivato in risposta al TH, inizialmente isolato nella coda di girini di Xenopus (Wang et al., 1991; St. Germain et al., 1994), ma poi trovato espresso in altri tessuti dell’animale in metamorfosi, principalmente nelle strutture che presentano una ridotta risposta al TH (Berry et al., 1998); la sua espressione diminuisce nei tessuti che hanno concluso la metamorfosi (Wang et al., 1993). Girini transgenici che sovraesprimono D3 sono resistenti al trattamento con TH: essi si sviluppano normalmente attraverso gli stadi embrionali e premetamorfici, ma arrestano la crescita all’apice della metamorfosi e non riassorbono la coda, processo per cui è richiesta un’alta concentrazione di ormone (Huang et al., 1998). Questi risultati indicano che D3 può modulare l’azione del TH in vivo “proteggendo” i tessuti dall’azione dell’ormone.

Da un’analisi dell’espressione di D3 nella retina durante la metamorfosi è emersa un’espressione asimmetrica della deiodinasi, predominante nella retina dorsale, dove è colocalizzata con X-Notch-1, un marcatore delle cellule progenitrici retiniche (Marsh-Armstrong et al., 1999). Questa espressione di D3 nella retina è già presente a stadio 35/36, quando ancora non si è formata una ghiandola tiroidea funzionante che appare a stadio 46; questo significa che D3 è espresso nella CMZ dorsale in modo indipendente dall’ormone tiroideo (Marsh-Armstrog et al., 1999).

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In girini trattati con acido iopanoico, un inibitore di D3, e fatti crescere in mezzo contenente TH esogeno, la CMZ dorsale è indotta a proliferare in maniera simile alla CMZ ventrale. Al contrario, girini transgenici che sovraesprimono D3 sono resistenti all’induzione alla proliferazione normalmente osservata nella CMZ ventrale di girini trattati con TH esogeno (Marsh-Armstrong et al., 1999). D3 è sufficiente a spiegare il passaggio da crescita simmetrica a asimmetrica che avviene nella retina alla metamorfosi: nella CMZ dorsale D3 degrada l’ormone tiroideo. Quali siano i fattori che regolano l’espressione di D3 nella porzione dorsale dell’occhio è ancora al momento una questione aperta.

Proiezioni retino-talamiche ipsilaterali

Durante lo sviluppo embrionale tutti gli assoni delle cellule gangliari retiniche che compongono i due nervi ottici si dirigono al tetto e al talamo controlaterali, incrociandosi in un punto alla base del diencefalo chiamato chiasma ottico. Alla metamorfosi insorge un nuovo fascio di fibre retiniche per ciascun occhio (Fig. 9), che si dirige al talamo ipsilaterale (Hoskins et al 1985b). Le cellule che danno origine a questa nuova popolazione di fibre ipsilaterali risiedono nella porzione ventro-temporale della retina e nessuna cellula della porzione più dorsale ne contribuisce alla formazione (Hoskins et al., 1985a). Dopo la dimostrazione che girini trattati con propiltiouracile (PTU, inibitore della sintesi di TH) non sviluppano proiezioni retino-talamiche ipsilaterali, si è provato ad iniettare TH in uno solo dei due occhi dei girini trattati. L’ormone tiroideo iniettato è in grado di indurre la formazione delle fibre ipsilaterali limitatamente all’occhio iniettato (Hoskins et al., 1985a).

L’occhio a stadi embrionali precoci è già determinato riguardo a quale regione della retina proietterà ipsilateralmente o controlateralmente alla metamorfosi. Se ad esempio, gli occhi di embrioni a stadio 33, molto prima che inizino a produrre TH, vengono ruotati di 180°, sviluppano alla metamorfosi le proiezioni retino-talamiche ipsilaterali a partire dall’originale regione temporo-ventrale, a dispetto della sua nuova collocazione dorso-nasale. L’ormone tiroideo agisce quindi durante la metamorfosi “leggendo la rotta” già programmata nelle cellule della coppa ottica e portando alla formazione di un sottoinsieme di neuroni che proiettano ipsilateralmente (Hoskins, 1990).

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Figura 9. Posizione degli occhi e relative proiezioni retino talamiche di anfibi pre-metamorfici e metamorfici. A: Nel girino gli occhi sono posti lateralmente e le cellule gangliari (in blu) proiettano al tetto ottico controlaterale. B: Alla metamorfosi la cellule gangliari in posizione ventro-temporale (in verde) iniziano a proiettare al talamo ipsilaterale.

Recentemente sono state identificate alcune “molecole guida” degli assoni ed è stato visto che le cellule del chiasma, il punto di scelta della via da intraprendere per le fibre controlaterali e ipsilaterali, secernono un fattore diffusibile inibente la crescita degli assoni (Wang et al., 1995). Studi in vitro hanno dimostrato che membrane preparate da cellule del chiasma inibiscono la crescita di assoni che provengono dalla retina ventro-temporale, ma non la crescita di quelli che provengono dalla regione dorso-nasale. Sembra quindi che le molecole che guidano le proiezioni retino-talamiche ipsilateralmente siano molecole contatto-repulsive (Wizenmann et al., 1993). Sono noti tre gruppi di molecole con queste caratteristiche: le semaforine transmembrana, alcune molecole della matrice extracellulare (ad esempio il proteoglicano), e le efrine (Tessier-Lavigne et al., 1996). Le efrine sono molecole che svolgono la loro funzione tramite dei recettori tirosina chinasi i quali sono rappresentati da 14 membri divisi in due sottoclassi, EphA e EphB, che si differenziano per la loro preferenziale affinità con un ligando. Studi in Xenopus supportano il ruolo delle efrine

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nel determinare la divergenza degli assoni retinici al chiasma ottico. Innanzitutto va messo in evidenza che le cellule gangliari retiniche ventro-temporali, dai cui assoni originano le fibre ipsilaterali, esprimono alti livelli di recettori Eph. L’ephrinB2 è espressa nel chiasma di embrioni di Xenopus metamorfici, ma non in quello di embrioni premetamorfici; quando viene fatta esprimere prematuramente nel chiasma embrionale, causa la formazione precoce di proiezioni ipsilaterali da parte delle cellule gangliari che ne esprimono i recettori (Nakagawa et al., 2000). Le ephrinB2 sono espresse anche nel chiasma dei mammiferi (topo e uomo), ma sono assenti in quello di Pesci e Uccelli, che non sviluppano proiezioni ipsilaterali. L’idea di base è che le interazioni repulsive tra i recettori EphB ed i loro ligandi, le ephrinB, possano guidare gli assoni in migrazione dalla retina ventrale lontano dal chiasma ottico, verso il tratto ipsilaterale che conduce al tetto. Nella retina di topo, le cellule gangliari i cui assoni proiettano ipsilateralmente possono essere distinte dalle più numerose che proiettano controlateralmente dall’espressione del fattore di trascrizione Zic2 (Herrera et al., 2003). Questa proteina appartiene alla famiglia di fattori di trascrizione con dominio “zinc finger” omologhi del gene di Drosophila odd-paired (opa). Zic2 ha un’espressione nella retina ventro-temporale limitatamente al periodo in cui si formano le fibre ipsilaterali che si allontanano dal chiasma ottico. Esperimenti di perdita e guadagno di funzione hanno indicato che Zic2 è necessario e sufficiente a regolare la repulsione da segnale al centro del chiasma ottico (Herrera et al., 2003).

Scopo della tesi

Scopo generale di questo lavoro di tesi è stato quello di analizzare il ruolo dell’ormone tiroideo nei cambiamenti retinici che avvengono alla metamorfosi rivolgendo particolare interesse alla regolazione della rete genica che è alla base della sua azione.

Nella prima parte ho cercato di individuare i geni responsabili dell’attivazione di D3 nella porzione dorsale della retina di Xenopus laevis. Questo ha previsto, attraverso esperimenti di microiniezione in vivo di mRNA, la sovraespressione Xvax2 e ET (marcatori rispettivamente della retina ventrale e dorsale) e la successiva analisi di eventuali cambiamenti nell’espressione di D3.

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In un secondo momento ho cercato di individuare quali tra i geni coinvolti a vari livelli nei primi stadi dello sviluppo dell’occhio sono implicati nei cambiamenti che avvengono nella retina alla metamorfosi, in particolare la proliferazione asimmetrica della zona del margine ciliare ventrale e dorsale. Ho quindi caratterizzato in occhi di girini pre-metamorfici e metamorfici l’espressione di alcuni fattori di trascrizione implicati nel controllo della proliferazione e differenziamento cellulare della retina durante lo sviluppo embrionale. Al fine di chiarire la relazione spaziale tra l’espressione di questi geni e le specifiche cellule della CMZ ho associato esperimenti di ibridazione in situ con esperimenti di incorporazione di BrdU. Una volta stabilito il pattern di espressione di questi geni alla metamorfosi ho analizzato quale tra loro si trovasse sotto il controllo dell’ormone tiroideo. Ho iniziato a questo scopo il trattamento di girini pre-metamorfici con ormone tiroideo per indurre metamorfosi precoce ed analizzato tramite ibridazione in situ e RT-PCR l’espressione dei geni di interesse.

Ho infine messo a punto la tecnica di marcatura degli assoni del nervo ottico con il colorante lipofilico DiI ponendo così le basi per un futuro dettagliato studio sulla formazione delle fibre retino-talamiche ipsilaterali alla metamorfosi.

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Trasformazione di cellule competenti

Ceppi Batterici

DH5α: F-, φ80dlacZ∆M15 supE44, λ- ∆(lacZYA-argF) U169, deoR, endA1, gyrA96,

hsdR17(rk-, mk+), phoA, thi-1, recA1, relA1. Questo ceppo è stato utilizzato per amplificare i vettori plasmidici: è difettivo per la restrizione e porta le mutazioni recA1 e relA1 per migliorare la stabilità e la qualità dei plasmidi ricombinanti preparati dalle “mini-“ e “midi- preps”. Contiene inoltre il marcatore φ80lacZ∆M15 che permette la α-complementazione del gene della β-galattosidasi e la selezione dei ricombinanti in un test bianco-blu.

Preparazione di cellule competenti

Mediante il seguente protocollo le cellule di E. coli (ceppo DH5α) sono state rese competenti per la successiva trasformazione con vettori plasmidici.

• Prelevare una colonia cresciuta “Over Night” (O/N) su terreno solido e inocularla in 50 ml di terreno liquido.

• Far procedere la crescita a 37°C in agitazione fino a che la densità ottica (OD) misurata a 600 nm raggiunge il valore di 0,2.

• Interrompere la crescita mantenendo 3’ in ghiaccio. • Centrifugare in tubo sterile per 10’ a 5000 rpm a 4°C.

• Eliminare il sopranatante e risospendere in ½ del volume iniziale (circa 25 ml) di RbCl 50 mM freddo.

• Mantenere 30’ in ghiaccio.

• Centrifugare in tubo sterile per 10’ a 5000 rpm a 4°C.

• Eliminare il sopranatante e risospendere in 1/50 del volume iniziale (circa 0,8 ml) di RbCl 50 mM freddo.

• Conservare in aliquote a –80°C.

Trasformazione batterica

Con questo procedimento è possibile trasformare cellule batteriche con DNA plasmidico. • Aggiungere 5-20 ng di plasmide ad un’aliquota di 200 µl di cellule competenti.

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• Incubare in ghiaccio per 30 min.

• Sottoporre a “heat shock” a 42°C per 45 secondi. • Incubare in ghiaccio per 5 minuti.

• Aggiungere 800 µl di LB preriscaldato a 37°C e incubare in stufa per 60 minuti. • Piastrare le cellule su terreno solido selettivo

• Dopo incubazione a 37°C O/N, sulla piastra Petri compaiono le colonie: L’antibiotico fa si che crescano solo le cellule che hanno assunto il plasmide poiché esso contiene il gene che conferisce la resistenza.

• Ogni volta che è stata effettuata una trasformazione, è stata controllata l’efficacia dell’antibiotico piastrando, in parallelo, 100 µl di cellule batteriche sottoposte a uguale trattamento in assenza di DNA plasmidico.

Terreni di coltura liquidi

Luria-Bertani Broth (LB):

NaCl 1%

bacto tryptone 1%

bacto yeast extract 0,5%

(autoclavare)

Terreni di coltura Solidi

Bottom Agar:

agar sciolto in LB 1,5%

(autoclavare)

Antibiotici usati per terreni selettivi:

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Cloni

pCS2-Xvax2:contiene regione codificante di Xvax2 clonata per PCR in EcoRI-Xba di CS2+.

Per la trascrizione del senso è necessario linearizzare con NotI e trascrivere con la RNA polimerasi SP6.

pCS2.XET: contiene la regione codificante di XET. Per la trascrizione del senso bisogna

linearizzare con NotI e trascrivere con la RNA polimerasi SP6.

pBS-Xvax2: contiene il cDNA full-length di Xvax2 clonato con NotI-EcorI di pBluescript

SK+. Per la trascrizione dell’antisenso, da utilizzare come sonda per ibridazioni in situ, tagliare con NotI e trascrivere con la RNA polimerasi T7.

D3: Per la trascrizione dell’mRNA antisenso, da usare per ibridazioni in situ tagliare con

EcoRI e trascrivere con la RNA polimerasi T7.

pBS4 A3: contiene l’inserto di Xpax2 clonato in EcoRI-XbaI di pBluescript II SK+. Per la

trascrizione dell’antisenso linearizzare con EcoRI e trascrivere con la RNA polimerasi T3.

Xchx10 (gene bank BC044049). Il frammento di Xchx10 è costituito da 2994 pb ed è

inserito in pCMV-SPORT6. Per trascrivere l’RNA antisenso tagliare con SalI e trascrivere con la RNA polimerasi T7.

Xotx2: Il cDNA di Xotx2 di 900 pb è inserito in pGEM3. Per ottenere l’RNA antisenso è

necessario linearizzare con EcoRI e trascrivere con la RNA polimerasi SP6.

Xrx1: (Casarosa et al., 1997). Xrx1 (1485 pb) è inserito in pGEM3. Per ottenere l’RNA

antisenso linearizzare con BamHI e trascritto con la polimerasi T7.

Xsix3: il frammento di Xsix3 è inserito nel plasmide pBluescript SK+. Per trascrivere l’RNA

antisenso è necessario tagliare con SpeI e trascrivere con la RNA polimerasi T7.

Estrazione di DNA plasmidico su piccola scala

mediante lisi alcalina ("mini-prep”)

Tale metodo permette di estrarre circa 2-20 µg di DNA plasmidico da cellule trasformate per successivo sequenziamento o digestione diagnostica.

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• Da una piastra di E. coli recanti il plasmide di interesse o da uno stock di batteri in glicerolo al 10%, viene effettuato in maniera sterile un inoculo di un clone che viene posto in un tubo batteriologico da 10-15 ml contenente 3 ml di brodo di coltura LB con ampicillina (100 µg/ml).

• Il tubo è incubato per 12-16 ore a 37°C in agitazione, affinché la coltura batterica raggiunga la fase di crescita stazionaria.

• La coltura viene quindi centrifugata a 12000 rpm per 1-3 min allo scopo di ottenere un “pellet” di cellule batteriche.

• Il pellet viene risospeso in 400 µl di “soluzione 1”.

• Alla suddetta sospensione si aggiungono 400 µl di “soluzione 2” e la miscela viene mescolata delicatamente invertendo il tubo.

• La reazione di lisi alcalina non deve procedere per una durata superiore a 5’, trascorsi i quali si aggiungono 400 µl di “soluzione 3”, necessaria a far precipitare le membrane e le pareti delle cellule lisate, insieme al DNA cromosomico e all’RNA ad alto peso molecolare che ad esse sono associati.

• Dopo una centrifugazione di 15’ a 12000 rpm viene recuperato il sopranatante, contenente il DNA plasmidico, l’RNA a basso peso molecolare, le proteine batteriche. • Si aggiungono 0.7 volumi (V) di isopropanolo alla fase acquosa contenente il DNA

plasmidico e si lascia 10’ a temperatura ambiente (RT).

• In questo modo il DNA plasmidico e l’RNA a basso peso molecolare precipitano e vengono recuperati mediante centrifugazione (10‘ a 12000 rpm).

• Seguono il lavaggio del “pellet”, ottenuto in etanolo (EtOH) al 70%, e la sua risospensione, in 20 µl di TE (o H2O mQ) contenente RNAsi A ad una concentrazione di 20 µl/ml, allo scopo di eliminare l’RNA a basso peso molecolare.

Soluzioni

Soluzione 1

Tris-HCl 25mM pH 8

EDTA 10mM

Figura

Figura 1. La neurulazione nei Vertebrati.
Figura 2 .  Compartimentazione del tubo neurale.
Figura 3 .  Rappresentazione schematica di una retina di Vertebrato. Abbreviazioni: GCL, Ganglion Cell  Layer (strato delle cellule gangliari); INL, Inner Nuclear Layer (strato nucleare interno); ONL, Outer  Nuclear Layer (strato nucleare esterno)
Figura 4. Rappresentazione schematica della retina di Xenopus. E’ mostrata la divisione in zone indicate  con i numeri 1, 2, 3, 4 e l’espressione dei geni caratteristici di ciascuna zona
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