Bioregione come
spazio di ricerca e
progetto
a cura di Catherine Dezio e Antonio Longo
Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani ([email protected]; [email protected])
Il servizio propone una riflessione sulla natura esplorativa e progettuale del termine ‘bioregione’. Il campo d’indagine è la metropoli milanese, centro di un sistema di luoghi e paesaggi, relazioni tra produzioni e consumi, gestione di scarti ed energia. La prospettiva bioregionale, spesso legata a nuove ideologie e scuole, affinché non risulti una semplice modalità di identificazione accademica, richiede approcci pragmatici basati su azioni concrete; qui si parla di azioni rivolte al miglioramento della qualità agronomica e ambientale e della relazione tra produzioni, consumi e scarti. La lettura territoriale e paesaggistica del sistema bioregionale si offre come una prospettiva di lavoro e di ricerca imperfetta, ma utile alla comprensione di relazioni complesse, che permette di affrontare sfide ambientali e paesaggistiche riguardanti i territori contemporanei, nella valorizzazione delle risorse locali.
Parole chiave: bioregione; progetto di territorio e paesaggio; transdisciplinarità
Bioregion as research and design field
This section develops a reflection on the exploratory sense and nature of the word ‘bioregion’. The project field and space of investigation is Milan, as a center of an extended system of places and landscapes, relations between production and consumption, waste and energy management. The bioregional perspective, which often is linked to ideological and academic positions, requires more pragmatic approaches based on concrete actions; in this case, we talk about actions aimed at improving agronomic and environmental qualities and more efficient and sustainable systems. The description and setting of a bioregional system are offered as a maybe improvable research perspective but useful in order to understand complex relationships for facing environmental and landscape issues and challenges of contemporary territories.
Keywords: bioregion; territory and landscape design; transdisciplinarity
Ricevuto: 2019.07.04 Accettato: 2020.01.25
Il progetto Bioregione: un percorso originale di collaborazione tra competenze e istituzioni
Nel 2014 durante la fase di ideazione e promozione dell’Expo Milanese, quando l’alimentazione, l’agricoltura e la sostenibilità erano al centro dell’attenzione di molti e della comunicazione politica, un gruppo di lavoro interdisciplinare, formato da docenti e ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e del Politecnico di Milano, candidava con successo un progetto di ricerca intitolato
Bioregione a un finanziamento da parte di Fondazione Cariplo.
Il progetto aveva come obiettivo la «promozione dello sviluppo locale sostenibile, mediante l’organizzazione territoriale della domanda e dell’offerta di prodotti alimentari, attraverso il siste-ma dei consumi collettivi» (Aa.Vv, 2014). L’iniziativa nasceva dall’integrazione tra linee di studio e ricerca sviluppate nei due atenei milanesi, da gruppi di docenti e ricercatori con un lungo trascorso di progetti e sperimentazioni su questi temi.
Stefano Bocchi, presso l’Università Statale di Milano, da alcuni anni aveva avviato un percorso di lavoro sui sistemi agroalimen-tari locali (sal) e la sostenibilità delle forme di produzione agrico-la, entro una visione sistemica che integrava filiere di produzione e consumo alimentare, ecologia e ambiente (Bocchi, 2015). Presso il Politecnico di Milano era da tempo consolidata una tradizione di ricerca e di didattica territorialista, guidata dal Laboratorio di Progettazione Ecologica diretto da Giorgio Ferra-resi. L’attività del laboratorio integrava l’approccio ecologico e partecipativo alla pianificazione del territorio con una crescente attenzione al ruolo dell’agricoltura nello sviluppo locale e nelle
food policy (Ferraresi, Rossi, 1993).
Con una originale connessione tra studi tecnologici, di recupero edilizio e territoriale, ambientali e merceologici, Gianni Scudo, presso il dipartimento best (Building Environment Science & Technology), sviluppava ricerche e progetti dedicati allo studio delle relazioni sistemiche ed ecologiche legate ai cicli metabolici territoriali (Scudo, 2018). I diversi gruppi di lavoro, che nello stesso periodo erano impegnati in ricerche europee e di interesse nazionale (Ferraresi, 2014), avevano maturato la consuetudine all’integrazione tra ricerca e azione, attraverso progetti che prevedevano l’impegno diretto nell’accompagnamento delle comunità, delle imprese agricole nello sviluppo locale e di filiera. Nelle facoltà e nei dipartimenti di Agraria, dove tradizionalmente vi è sempre stata una diretta relazione con gli agricoltori, le aziende e la sperimentazione sul campo, l’innovazione portata dal gruppo di lavoro coordinato da Stefano Bocchi consiste-va, in particolare, nell’attenzione ai processi e alle filiere che
DOI: 10.3280/TR2020-093002
connettono modalità di coltura, produzione, consumo, gestione degli scarti. In questa chiave, sistemica e aperta all’integrazio-ne multidisciplinare, era stata avviata una intensa attività di ricostruzione critica delle ragioni e dei limiti della cosiddetta
rivoluzione verde, rivolta al suo superamento verso nuove forme
di sostenibilità. Questo, anche grazie a nuovi approcci collabora-tivi che considerano gli imprenditori agricoli come partner nella sperimentazione e nella diffusione delle innovazioni, piuttosto che destinatari e utenti passivi dell’innovazione scientifica (Bocchi, Dendena, Grassi, 2015).
Il coinvolgimento di attori locali nelle scelte di assetto e inve-stimento territoriale era anche nelle modalità e nel metodo di ricerca e pianificazione della scuola territorialista. L’attitudi-ne a descrivere gli aspetti di sistema oltre a un’approfondita conoscenza del territorio milanese erano maturate negli anni precedenti anche grazie all’esperienza originale del progetto per il risanamento ecologico dei bacini dei fiumi Lambro, Seveso e Olona. Al progetto, sviluppato circa vent’anni prima sotto la direzione di Alberto Magnaghi, avevano partecipato, insieme a numerosi altri progettisti e ricercatori, gli stessi Ferraresi e Scudo (Magnaghi, Paloscia, 1992; Magnaghi, 1995).
Il progetto Bioregione nasce, dunque, in un contesto originale di integrazione tra competenze e collaborazione tra università, non-ché in una fase di profondo cambiamento segnato dal congedo di Giorgio Ferraresi, che della ricerca era stato il principale ani-matore e promotore, dall’evoluzione dei ruoli e dei programmi di ricerca, di allargamento e apertura di nuove linee di lavoro e responsabilità. Andrea Calori, che avrà una funzione di grande rilievo nella promozione e gestione della food policy milanese, in collaborazione con l’Amministrazione comunale e la stessa Fondazione Cariplo (Calori, 2010; Calori, Magarini, 2015), così come Ruggero Bonisolli, che ha mantenuto attivo il Laboratorio di Progettazione Ecologica nel dipartimento, contribuiranno in modo sostanziale a definire, nella prima scrittura del progetto, gli obiettivi e il programma di azioni. Nella fase successiva di sviluppo e conclusione, Paola Caputo, come esperta di cicli ener-getici, con Matteo Clementi, e, insieme a chi scrive, Catherine Dezio per i temi territoriali, daranno continuità e sviluppo al lavoro, alla restituzione e alla diffusione dei risultati. L’Univer-sità Statale e il Dipartimento disaa, con Stefano Bocchi, Roberto Spigarolo, Francesca Orlando e, per gli aspetti economici e di valutazione, Stefano Corsi, daranno vita a nuove occasioni di approfondimento tematico, fino a costituire in modo formale un osservatorio e un laboratorio sui temi dell’agroecologia. Quest’ultimo, in continuità con l’esperienza di Bioregione, si è oggi consolidato ed è impegnato in nuove iniziative di ricerca e azione interuniversitarie; per esempio, aida, Associazione Italiana di Agroecologia, promuove e sviluppa i temi in stretto rapporto con Agroecology Europe e altre reti internazionali (www.agroecology-europe.org/).
Un termine impegnativo e un progetto di ricerca in evoluzione
Il termine bioregione, come illustrato nel contributo di Catherine Dezio che conclude questo servizio, è certamente impegnativo e portatore di molti significati che escono dai confini degli studi territoriali: allude a una condizione dinamica e viva di intera-zione tra spazio regionale (ma potremmo, con lievi differenze,
utilizzare le parole territorio o ecosistema) e la vita che lo per-corre. Nella tradizione dell’ecologia e dell’ecologia del paesag-gio, intesa come scienza delle relazioni, è un termine aperto ad accezioni tanto scientifiche quanto culturali (Ingegnoli, 2015; Brunkhorst, 2000), ed è spesso portatore di una carica ideolo-gica e talvolta utopica. Ben si adatta, quindi, ai caratteri della linea di ricerca territorialista e a quelle forme di agricivismo che ritornano frequentemente nell’urbanistica come nuove azioni di critica radicale alle condizioni sociali e spaziali della città contemporanea, espressa attraverso l’appropriazione e la cura dello spazio urbano e dei luoghi (Ingersoll, 2015, 2015a). Di una specifica bioregione è possibile studiare e comprendere le forme parziali e i processi, e ciò presuppone una prospettiva ravvicinata e partecipe dei fenomeni. Il punto di vista bioregionale riduce quindi le distanze tra la ricerca e il suo oggetto e implica l’azione e il coinvolgimento diretto. Nella tradizione culturale e tecnica americana, comporta un esplicito coinvolgimento personale autobiografico da parte di ricercatori e progettisti, oltre l’etica della partecipazione e dell’impegno diretto, con modalità che possono essere ricondotte alla relazione personale tra soggetto e ambiente (Lynch, Glotfelty, 2012).
Infine, va notato che bioregione è un termine di grande forza evocativa, che rimanda, come spesso accade per espressioni e temi che hanno a che fare con la vita e con la natura, a significati positivi e rassicuranti, in opposizione ad alcuni luoghi comuni negativi riferiti a città. Ciò premesso, è chiaro che occorre fare uso cauto di questo termine. Nel caso della ricerca Bioregione, anche per l’avvicendamento generazionale al quale si è accen-nato, pur muovendo da una domanda molto legata a reti locali e alla loro specifica identità, e da forti istanze etiche, l’approccio è stato necessariamente laico. L’evoluzione, l’adattamento e l’individuazione progressiva di possibili spazi di azione sono aspetti che fanno parte di ogni percorso di ricerca e, quando anticipiamo i risultati attesi, sappiamo di mentire o assumiamo importanti rischi. Bioregione si è connotato come un progetto in evoluzione e come occasione di apertura di nuovi spazi e temi di lavoro e approfondimento, anche attraverso la riformulazione del senso del termine, in relazione al contesto specifico milanese. Il racconto contenuto nelle pagine che seguono e i singoli con-tributi che lo accompagnano ne ripercorrono le premesse e gli obiettivi iniziali, lo sviluppo e i parziali scostamenti da questi, per formulare, in conclusione, alcune ipotesi sui suoi possibili sviluppi anche nel dialogo con un’eredità di studi e idee che, per l’urba-nistica italiana, rappresenta un patrimonio di grande rilevanza. Prima di introdurre i temi della ricerca, e per comprenderne la natura e i contenuti, è importante richiamare le circostanze che ne hanno prodotto l’avvio. Fondazione Cariplo, che per tre anni ne ha finanziato le attività, concede i propri contributi in base a diversi criteri, tra i quali bandi competitivi tematici indirizzati da linee di progetto oppure contributi extrabando.
I contributi extrabando derivano da linee di indirizzo strategico della Fondazione, la cui declinazione nei progetti specifici viene concordata e discussa con soggetti associativi e istituzionali sulla base di progetti dettagliati, anche attraverso fasi di dialogo e accompagnamento. È questa seconda modalità che ha portato alla scrittura di Bioregione, progetto coerente con una linea di ricerca condivisa, ma privo dei vincoli e delle inevitabili defor-mazioni portate dal dover rispondere a un bando con temi e struttura predefiniti. Il progetto presentato ha le caratteristiche
FrancoAngeli
di un testo programmatico originale, orientato da obiettivi di natura sia tecnica che civile, in coerenza con la natura filan-tropica del finanziatore e con le attitudini dei proponenti. Pur entro la struttura formale tipica di una candidatura, si configura come un testo-manifesto su Milano, sul cibo e sulle politiche di miglioramento del sistema bioregionale, traguardato attraverso i temi della sostenibilità delle filiere alimentari e produttive e delle possibili azioni strategiche. Il cuore della proposta è strutturato in tre parti: la prima parte descrive la base sociale del progetto; nella seconda viene definito l’approccio strategico, in rapporto con l’evoluzione della domanda sociale; nella terza, infine, è definito l’ambito d’azione (Aa.Vv, 2014).
Cibo, città e sostenibilità
Bioregione, si è detto, è stato proposto come ricerca-azione. La
legittimità di ogni ricerca-azione è fondata sull’effettiva presenza di una domanda sociale e di possibili spazi, temi e circostanze di interazione che con tale domanda si possano confrontare. Queste sono condizioni necessarie a orientare il lavoro e a renderlo operativo e concreto. L’accezione prioritariamente sociale dell’approccio alla produzioni-consumi è un aspetto che definirà lo spazio geografico di riferimento come esito del lavoro, piuttosto che come premessa: un ambito dinamico definito da pratiche, comportamenti sociali, spazi di scambio e di mercato.
Bioregione ha definito il campo d’indagine in forma molto ampia,
ovvero il diritto a una sana alimentazione e a un ambiente di vita sostenibile, per poi precisare uno spazio in cui la questione potesse essere affrontata in modo efficace.
Nella cultura diffusa, la salute, il cibo, la qualità delle filiere sono aspetti sempre più presenti. Tali aspetti sollecitano l’attenzione di ampie fasce della popolazione e, in modo particolare, di tutti coloro che fruiscono della ristorazione collettiva. Le frequenti mobilitazioni dei genitori degli alunni che fruiscono dei servizi di ristorazione presso le scuole (dagli allarmi incontrollati alle ribellioni rispetto a specifiche circostanze riportate dalle crona-che dei giornali, alla partecipazione attiva e consapevole nelle commissioni mensa), sono il segnale di una sensibilità crescente e della necessità di informazione che si estendono oltre la qualità e la modalità di somministrazione dei pasti, e che coinvolgono le filiere, le modalità di trasporto, produzione, gestione degli scarti e conseguenti sprechi. La rilevanza del tema dell’alimen-tazione e delle filiere locali risiede soprattutto nella sua capacità di sollecitare in modo diretto e responsabilizzare le persone rispetto alla più generale questione della sostenibilità degli stili di vita e dei modelli di sviluppo. Il progetto, nell’evidenziare tale condizione emergente, ne esplicita le implicazioni generali: «Si tratta di cogliere il tema del cibo locale come una modalità fondamentale di proporre il tema della sostenibilità intesa nel suo senso più originario e proprio. L’idea di un’attività economica che contribuisca in modo attivo al ripensamento delle relazioni sociali e, attraverso di esse, della qualità ambientale e territoriale, rappresenta, infatti, esattamente il cuore dell’approccio dello sviluppo sostenibile». Lo sviluppo sostenibile «non si identifica con un generico appello alla qualità ambientale, ma è un modo di pensare lo sviluppo, nel quale (sono) le attività economiche e il cambiamento dei meccanismi di produzione, distribuzione e consumo a sostenere il miglioramento della qualità sociale e ambientale» (Aa.Vv., 2014: 4).
Il progetto Bioregione propone, dunque, di uscire da un’accezione generica della sostenibilità e della qualità ambientale, e rifor-mularle in relazione a temi, spazi di azione e di responsabilità personale e collettiva. Questa impostazione corrisponde all’ac-cezione originale del concetto di sostenibilità, che a Milano ha trovato spazio di rappresentazione prima e durante Expo 2015, successivamente nello sviluppo della food policy dell’Ammi-nistrazione comunale. Sono gli stessi temi che oggi guidano, peraltro con assai maggiore concretezza di Milano, politiche e azioni di molte città nel mondo, agendo sia sui comportamenti individuali che sulle scelte da parte delle istituzioni nelle proprie politiche di approvvigionamento, offerta e public procurement (Lang, Barling, Caraher, 2009; Ilieva, 2016).
La scelta dell’ambito di ricerca e azione
Ma come si connota la metropoli milanese rispetto alle dinamiche di produzione e consumo entro filiere di qualità e sostenibili? Quali sono gli spazi di ricerca e azione possibili e praticabili per estenderle e migliorarle?
Sebbene la prospettiva bioregionale implichi visioni d’insieme il più possibile integrate e interconnesse, occorre ricordare che la descrizione dei cicli di produzione, consumo e gestione degli scarti si fonda su metodologie e approcci ancora sperimentali. La complessità dei sistemi richiede di limitare gli ambiti di indagine e i cicli da analizzare, che si differenziano per dimensioni ed esten-sione delle aziende coinvolte, per la diversa capacità produttiva dei suoli, per tipologie, quantità e origine dei prodotti, caratteristiche dei processi e degli attori coinvolti. I cicli di produzione-consumo, d’altra parte, possono essere studiati e interpretati in modo rela-tivamente indipendente utilizzando e integrando informazioni e basi dati che provengono da fonti diverse. Ciò accade nonostante una storia secolare di studi e sperimentazioni, lunga almeno quan-to quella della programmazione economica, come spesso ricordaquan-to da Giorgio Nebbia che per primo ha introdotto in Italia l’approccio ecologico agli studi economici e merceologici (Nebbia, 1999). Così il sistema milanese può essere letto come composto da alme-no quattro diversi sottosistemi: il sottosistema della produzione prevalentemente (ma non strettamente) locale e dell’acquisto diretto, dei gruppi di acquisto solidale, della vendita diretta dei produttori, delle piccole aziende di vendita e delle catene di media distribuzione specializzate nei prodotti biologici e di qualità; il sottosistema articolato dei pubblici esercenti, della ristorazione, dei bar, delle mense aziendali, che corrisponde al consumo diffuso, in particolare legato ai pasti fuori casa di chi lavora e studia (residenti, pendolari, turisti e utilizzatori della città per affari) che a sua volta rimanda al mondo della fornitura e del commercio all’ingrosso; un ulteriore sottosistema isolabile è quello della grande distribuzione, caratterizzato da una forte differenziazione qualitativa dell’offerta in relazione alle differenze e all’evoluzione della domanda e dalla capacità specifica delle imprese di stabilire contratti e accordi diretti con con produttori e distributori, spesso in una condizione di forte potere contrattuale dettando le regole del mercato; infine vi è il sottosistema della ristorazione istituzionale, gestita da grandi società di servizi di scala industriale (talvolta a partecipazione pubblica) in grado di fornire pasti a scuole, ospedali, case di riposo, caserme e in generale a luoghi in cui vengono offerti servizi pubblici in forma di servizio, orientato da criteri di
FrancoAngeli
1-2. Paesaggio della Vettabbia, nel contesto bioregionale milanese. Fotografie di Catherine Dezio, 2017.
economicità e di qualità controllate sulla base di gare pubbliche, bandi informati da protocolli, in relazione tanto con distributori che con produttori diretti.
Ciascuno di questi sistemi ha dei possibili punti di accesso ana-litici, basi di informazioni disponibili: indagini di settore, dati delle associazioni di categoria, bandi, contratti, protocolli che hanno talvolta un significato conoscitivo e di monitoraggio, in altri casi sono veri e propri strumenti di controllo e di governo. Il presupposto che permette di analizzarli singolarmente è che sono comunque interconnessi e parte del medesimo contesto bioregionale e che quindi le innovazioni portate da azioni mirate e specifiche in un sottosistema possono ripercuotersi sull’altro. Le diverse catene che caratterizzano i sistemi hanno punti di contatto in comune che corrispondono a circostanze di possibile innovazione e di trasferimento della conoscenza: i luoghi di produzione, le medesime aziende che operano a più scale e in forma multifuzionale, gli stessi utenti dei servizi che interagi-scono con chi controlla la qualità dei servizi della ristorazione istituzionale (in particolare negli asili e nelle scuole), i clienti della grande distribuzione o di pubblici esercizi, che con le loro scelte e consuetudini orientano l’offerta.
Un aspetto importante nella scelta dell’ambito di ricerca e azio-ne è il rapporto tra conoscenze disponibili, praticabilità delle indagini, possibili azioni, ed effetti di innovazione attesi. In generale si può osservare come il tema della qualità alimentare,
e del rapporto di questa con salute, ambiente e paesaggio, se pur sempre crescente in questi anni, a volte anche in termini banali e puramente retorici e promozionali, è consolidato in forme consapevoli tra i pochi cittadini che accedono, per ragioni eco-nomiche, culturali e per relazioni, a servizi di qualità e che sono capaci di costituirsi come interlocutori e acquirenti informati. Le forme di autorganizzazione, i gruppi di acquisto solidale, la conoscenza e l’accesso ai luoghi di vendita diretta e alle catene del biologico sono, per così dire, la punta di diamante, l’eccel-lenza numericamente ancora contenuta di un sistema complesso e molto variegato. Sono pratiche sempre più diffuse e che sfug-gono a scelte, strategie e accordi estesi mentre sono certamente influenzate da dinamiche di mercato e di regolazione nazionale ed europea oltre che dalla concorrenza delle produzioni normali e dalle loro diseconomie; per essere nel rispetto dei requisiti della qualità di filiera (nel rispetto dell’ambiente, delle persone e del loro lavoro, della giusta remunerazione dei produttori, della salubrità dei prodotti) è difficile che i prodotti biologici siano proposti a prezzi concorrenziali rispetto ai prodotti tradi-zionali, la cui economicità è riconducibile a una minore qualità ma soprattutto a gravi penalizzazioni dei fornitori, oltre al fatto che i costi ecologici e sociali sono spesso trasferiti nel territorio, nell’ambiente con grave impatto per le comunità locali e per il loro futuro, fino ad arrivare a vere e proprie forme di illegalità (Federbio, 2018).
Anche il mercato privato dei pubblici esercizi, mediato da moltissimi fattori e frammentato tra molte forme di utenza non direttamente modificabili in tempo breve, sebbene di grande in-teresse e impatto, sarebbe stato troppo complesso da affrontare. I dati dei rapporti annuali fipe (Federazione Italiana dei Pubblici Esercenti, Confcommercio) descrivono come la spesa media per consumi alimentari fuori casa sia in continua crescita. Si tratta di informazioni aggiornate annualmente e che nel 2018 hanno valutato una spesa annua di 2.118 euro per famiglia. Se nel 2008 il 32,1% dei pasti (su base nazionale) venivano consumati fuori casa, la tendenza, rilevata sulla base dei dati disponibili al momen-to della presentazione del progetmomen-to, è aumentata costantemente, nonostante la crisi. Ed è soprattutto il pasto di mezzogiorno, legato quindi alle consuetudini di studio e lavoro, che ha contribuito a tale incremento. L’indice complesso dei consumi fuori casa, che considera la frequenza media dei pasti in un mese lavorativo, è costantemente cresciuto dal 2015 al 2018, aumentando, seppure di poco, dello 0.8%, ma superando il livello precedente la crisi economica del 2008. Solo nel territorio del comune di Milano si contano oltre 1.700.000 pasti consumati fuori casa per ogni giorno feriale, un valore ben superiore alla popolazione residente e che descrive le reali dimensioni della vita nella città (fipe, 2019). Al gruppo di lavoro è sembrato quindi utile concentrare l’azio-ne sulle filiere che mobilitano quantità più importanti, sia per numero di utenti, che per quantità prodotte e lavorate, maggiori
superfici agricole, a fronte di filiere relativamente semplici e riconducibili a pochi decisori. Il progetto ha proposto di con-centrare l’azione sul mondo del consumo e della ristorazione istituzionale, una quota parte del totale dei pasti descritta dal rapporto fipe che, come si è accennato, interessa un altissimo numero di pasti annui e di utenti, non necessariamente disposti nelle proprie consuetudini domestiche a cambiamenti di com-portamento nell’alimentazione e nell’acquisto: nelle mense di scuole, ospedali, ospizi e residenze socio assistite il pasto servito è infatti prima di tutto un servizio e la scelta qualificante dipende in primo luogo da chi lo fornisce secondariamente dalla scelta di chi ne fruisce. Il rapporto tra cittadini, cibo e produzione e gestione degli scarti è stato quindi declinato entro uno scenario di possibile mutamento che coinvolge grandi gruppi privati e pubblici. È una diversa prospettiva rispetto a forme di interazio-ne diretta con gruppi di cittadini consapevoli, ed è ovviamente uno scenario diverso da quello, più rassicurante, dei gruppi di acquisto e delle filiere controllate dai consumatori. Tuttavia, in coerenza con gli obiettivi di efficacia del progetto, la filiera della grande ristorazione organizzata definisce uno scenario di azione preciso, che coinvolge soggetti fornitori di servizi, in com-petizione, legati alla necessità prioritaria del contenimento dei costi dei servizi ai cittadini, e si confronta con potenziali effetti sul territorio e nel mondo della produzione quantitativamente rilevanti ed estremamente estesi.
Questa scelta ha permesso di individuare spazi di azione definiti, relativamente semplici, ma in grado di influire sulla qualità della vita e sulle consuetudini di tutti coloro che frui-scono di mense aziendali pubbliche o private, o che consumano pasti presso strutture scolastiche e ospedaliere. Pochi decisori (responsabili di procedimento presso le pubbliche ammini-strazioni, amministratori e responsabili acquisti delle società di ristorazione, soggetti delegati al controllo e all’indirizzo, distributori...) influiscono in modo diretto su catene di acqui-sto-fornitura, offrendo servizi a milioni di persone all’anno, e si relazionano direttamente con le aziende fornitrici in base a protocolli, regolamenti, contratti, oltre che in base alla libera contrattazione.
Gli obiettivi specifici e la loro declinazione per temi di lavoro
Intorno al tema della ristorazione istituzionale e, in particolare, dei cicli di produzione-consumo che coinvolgono i soggetti pubblici, partecipati o privati convenzionati, il progetto è stato declinato in relazione alle specificità e alle attitudini dei diversi componenti del gruppo di ricerca. Il lavoro si è sviluppato su tre principali linee promuovendo contemporaneamente alcuni laboratori territoriali che, rispetto agli obiettivi iniziali, si sono collocati in posizione eccentrica rispetto a Milano, coinvol-gendo in particolare l’Oltrepò Mantovano, l’Abbiatense e il Magentino. Questa scelta deriva sia dalla difficoltà a stabilire, nei tempi della ricerca, solide sperimentazioni con attori rile-vanti della scena milanese, sia per la difficoltà incontrata nel collegare ambiti in cui erano già attive reti di collaborazione innovative per l’agricoltura (in particolare l’Ovest milanese) con le azioni e le tempistiche del progetto. La scelta trova an-che ragioni nell’effettiva geografia della bioregione milanese, dove il rapporto tra nucleo centrale della città metropolitana, luogo principale di consumo di prodotti biologici, e aree del Mantovano nella produzione di frutta e ortaggi, anche delle filiere di qualità è particolarmente evidente.
Una prima linea di ricerca, condotta dall’Università Statale, ha affrontato ed indagato le diverse forme di consumo collettivo di prodotti alimentari e i sistemi di approvvigionamento dei prodotti destinati alla ristorazione istituzionale nel bacino ali-mentare della Regione Lombardia e di Novara. In particolare, è stata studiata l’offerta di produzioni agricole biologiche e di qualità, per identificarne le potenzialità rispetto ad un ri-o-rientamento della domanda. Di tali scambi sono stati studiati, inoltre, i principali dati economici-quantitativi.
Una seconda linea di ricerca, condotta dal Politecnico di Milano, ha indagato i cicli energetici connessi alle filiere di produzione e consumo, identificando le potenzialità di riutilizzo dei rifiuti organici prodotti dal sistema della ristorazione istituzionale, e che possono essere trasformati in fertilizzanti per aziende dello stesso ambito territoriale, come base per l’aumento della sostanza organica presente nei terreni lombardi.
La terza linea di ricerca, in collaborazione tra le due università, ha individuato possibili connessioni tra attori della domanda e dell’offerta di prodotti agroalimentari, nella prospettiva di forme pattizie agroalimentari territoriali, con una particolare attenzione per i bacini urbani di maggiore concentrazione della domanda organizzata.
I risultati, un insieme di strumenti operativi
I risultati del lavoro, che si è protratto per oltre tre anni, si sono configurati come un insieme di informazioni, di strumenti pratici e operativi, che sfugge a un racconto unitario e sono stati orga-nizzati, in forma di archivio, in un sito web dedicato al progetto, che contiene, oltre a cinque quaderni tematici, il riferimento per l’accesso ad un database georeferenziato che mappa luoghi del consumo e della produzione e allo strumento denominato Food
Chain Evaluator, un dispositivo originale di calcolo
dell’efficien-za delle catene alimentari(www.bioregione.eu).
I contributi contenuti nelle pagine che seguono descrivono, oltre ai risultati teorici, in modo specifico alcuni di questi risultati e strumenti. Il lavoro sulle produzioni ha quantificato, con riferi-mento a cinque principali distretti produttivi della Lombardia, le superfici coltivate e gli allevamenti (numero di capi) per le principali categorie di prodotti alimentari, di origine vegetale e animale, appartenenti rispettivamente alle macro-categorie: frutta, ortaggi, cereali e legumi, bovini, suini e avicoli, distinguendo le produzioni di agricoltura convenzionale da quelle biologiche. L’indagine ha permesso si costruire un database georeferenziato (Geodatabase di Bioregione) che, oltre a costruire i riferimenti territoriali e geografici del lavoro, rappresenta uno strumento aperto di indagine e approfondimento fondamentale per attivare accordi, scambi di filiera e che può essere implementato in conti-nuazione. L’indagine sui pasti ha analizzato il numero e le diverse tipologie di servizi integrati e connessi all’attività principale di ristorazione. L’integrazione di servizi di diversa natura differenzia la ristorazione istituzionale da quella commerciale, identificando sistemi organizzati e disegnati (in forme relativamente rigide che limitano le opzioni di accesso al servizio da parte degli utenti) di produzione e fornitura, che, se noti, possono essere modificati e gestiti nel dialogo con gli attori di riferimento. È un passaggio fondamentale e propedeutico alle indagini e alle azioni successive. A questo scopo sono state esaminate la ristorazione scolastica, la ristorazione per la prima infanzia e per i minori, per gli anziani, gli ospedali e, infine, altre di minore entità (ad esempio, i servizi per i disabili). L’indagine è stata sviluppata attraverso questionari e i dati hanno ulteriormente alimentato l’apparato informativo del database di Bioregione.
L’indagine sui consumi collettivi ha permesso, invece, di rico-struire i consumi medi annui della ristorazione collettiva istitu-zionale, e la loro distribuzione sul territorio, in relazione a 47 categorie di prodotti distribuite tra diverse classi merceologiche (frutta, ortaggi, latte e derivati, carne e pesce e derivati, cereali e legumi e derivati, altri alimenti), sia in relazione al prodotto convenzionale che biologico. Il quadro emerso è stato compa-rato con i dati relativi alle politiche di approvvigionamento, con le tipologie di consumi e le relative quantità (con riferimento ad alcuni menù campione), e ai consumi di prodotti biologici, limitatamente alle mense scolastiche. Anche questi dati hanno contribuito ad alimentare il Geodatabase di Bioregione. Il quadro d’insieme e il dimensionamento, reso possibile dalle indagini fin qui descritte, hanno permesso di valutare le dimen-sioni e il flusso dell’energia implicato dalle catene di produzione, consumo, scarto, così come i suoi effetti ambientali. Il Food Chain
Evaluator (fce), insieme al geodatabase di Bioregione, permette di descrivere i processi di filiera che connettono domanda e offerta in un ambito territoriale definito, ed elaborare scenari progettuali migliorativi.
Bioregione, energia
e ambiente
Le conseguenze ambientali della pro-duzione e del consumo di cibo, in par-ticolare il settore agro-alimentare, sono state oggetto di attenzione delle politiche europee degli ultimi anni, che puntano a sviluppare catene di produzione e consumo più sostenibili. La ristorazione istituzionale ha un peso rilevante nel set-tore agro-alimentare. Solo la ristorazione scolastica, per esempio, rappresenta circa un terzo di tutti i pasti forniti in Italia dalla ristorazione istituzionale (angem, 2018) che fa riferimento a 360 milioni di pasti all’anno.1 Inoltre, tale richiesta è in continuo aumento. Ad esempio, a Milano si è passati da 15 milioni di pasti serviti nel 2005 a 17 milioni nel 20172 e la medesima tendenza si ritrova in altre città italiane come Torino e Roma.3
La ricerca Bioregione ha colto questo tema come un’opportunità per sviluppare approcci e metodi tesi a rendere più so-stenibili ed efficienti le filiere coinvolte. In questo contesto, il gruppo di lavoro del Dipartimento abc del Politecnico di Milano, coordinato da Paola Caputo, in collaborazione con il gruppo di lavoro del Dipartimento DAStU coordinato da Gianni Scudo, ha sviluppato il Food Chain
Evaluator (fce). Si tratta di uno strumento finalizzato a stimare l’impatto ambientale della ristorazione istituzionale mediante l’uso di tre indicatori: l’energia primaria non rinnovabile utilizzata lungo tutta la fi-liera, ovvero la cumulative energy demand (ced), il terreno agricolo necessario e il
costo di produzione. Lo strumento permet-te la simulazione di scenari migliorativi tesi a ridurre l’impatto energetico della ri-storazione istituzionale e trovare un punto d’incontro tra domanda e offerta locale. Gli aspetti innovativi di tale strumento si possono così riassumere:
– la possibilità di analizzare non solo le singole filiere alimentari ma anche la loro combinazione in termini di pasto equivalente;
– il calcolo di alcuni indicatori, con un approccio compatibile con quello della
lca, sia per prodotto alimentare sia per pasto equivalente;
– la possibilità di valutare differenti infor-mazioni legate alla fattibilità degli scenari (impatti sulla CO2 e sull’energia consuma-ta, terreno produttivo necessario, costo di produzione, profilo nutrizionale, dieta). Lo strumento sviluppato è stato applicato ad un caso studio lombardo: il sistema del-la ristorazione scodel-lastica dell’Abbiatense (comune di Abbiategrasso e limitrofi), che serve più di 2,5 milioni di pasti all’anno negli asili, scuole primarie e secondarie del territorio (Caputo et al., 2017). In tale contesto, lo strumento ha permesso di descrivere lo stato attuale della risto-razione scolastica e di suggerire scenari migliorativi utili a supportare politiche e scelte anche nel caso di nuovi appalti per la ristorazione istituzionale locale. I risultati acquisiti da un lato attestano la robustezza del modello e l’affidabilità del database, e dall’altro permettono la com-parazione di alcuni scenari corrispondenti all’impiego di prodotti locali e biologici e alla modifica di alcuni prodotti presenti nel menu, evidenziando l’opportunità di
agire in differenti stadi della filiera. Seb-bene applicato a un territorio lombardo relativamente piccolo, il metodo adottato si dimostra facilmente replicabile in altri contesti territoriali, come, per esempio, la provincia di Milano.
Pertanto, l’introduzione di pratiche a impatto energetico e ambientale ridotto può avere, in contesti più ‘massivi’, ef-fetti decisamente apprezzabili anche in termini di una migliora gestione del public
procurement e del rilancio delle economie
agricole locali e rispettose del contesto territoriale ed ecologico in cui operano. I contenuti si riferiscono al contributo di Paola Caputo e Giulia Pasetti, modulo Scarti Energia e Ambiente, al progetto Bioregione.
Note
1. Dati miur, http://dati.istruzione.it/opendata 2. Dati Milano Ristorazione, www.milanori-storazione.it
3. Dati InnoCat, www.sustainable-catering.eu
Riferimenti bibliografici
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La Bioregione come spazio di progetto
In conclusione di progetto, le sperimentazioni attraverso labora-tori locali sono state limitate a due ambiti di studio rappresenta-tivi del territorio lombardo: l’Abbiatense-Magentino e un insieme di comuni dell’oltre Po Mantovano, con un approfondimento sul comune di Pegognaga, dove sono stati svolti laboratori che hanno messo in relazione agricoltori e produttori con l’amministrazione locale e i fornitori di pasti per le scuole.
Nonostante il ridimensionamento delle iniziali ambizioni d’in-terazione con i territori, il quadro di conoscenze presentato alla conclusione del percorso di lavoro ha suscitato un alto interesse per l’originalità e l’utilità riconosciuta delle informazioni e
per la rilevanza pubblica delle tematiche. Le occasioni di pre-sentazione e discussione pubblica sono state supportate dalla stessa Fondazione Cariplo che ha dedicato al progetto l’annuale iniziativa Metropoli Agricole del 2018, e sono state sviluppate nell’ambito dei rapporti istituzionali e di collaborazione tra gli Atenei, la Regione Lombardia e la Società di Servizi per i Co-muni Lombardi. Il coinvolgimento di territori alla conclusione del percorso d’indagine scientifica, con finalità sperimentali e di applicazione di metodi e conoscenze, può apparire contradditto-rio rispetto all’impostazione di una ricerca che ambiva a essere anche un processo di conoscenza e azione, e avrebbe dovuto essere attivato molto prima della conclusione del progetto. In
FrancoAngeli
merito, è utile sottolineare come la parte del progetto Bioregione relativa alle politiche territoriali è forse la parte del lavoro che più ha risentito della ridefinizione in corso d’opera. Il congedo di Giorgio Ferraresi, che nella fase iniziale ha impostato un possibile tavolo collaborativo fondato su una rete di relazioni consolidate, in particolare con i Distretti Agricoli dell’area mi-lanese, ha interrotto all’avvio una modalità più propriamente partecipativa e di azione diretta nei territori.
Nella fase conclusiva è parso quindi utile sviluppare uno specifico lavoro di ridefinizione delle caratteristiche e delle implicazioni territoriali del progetto complessivo, a supporto delle diverse linee di ricerca, attraverso un’attività di dialo-go prevalentemente interna al gruppo di lavoro. Si è voluto ricostruire un punto di vista trasversale, che ponesse in di-scussione e attribuisse un nuovo senso propulsivo al concetto di bioregione, alimentato, non più dalle premesse, ma dai risultati della ricerca, e che lo qualificasse come uno spazio di sperimentazione. Il Quaderno di Lettura (Bioregione, 2018), prodotto nella fase finale del lavoro e che contiene gli esiti di questa fase, ha permesso, quindi, di far emergere un quadro di senso territoriale. È emerso in modo chiaro il carattere multi-dimensionale della bioregione, che sfugge a rappresentazioni univoche, in particolare cartografiche e che non può essere identificata, se non in parte, con rappresentazioni identitarie di tipo nostalgico. Alcuni indizi, come la relazione tra luoghi della produzione del biologico in Lombardia (decentrati nell’ambito mantovano) e luoghi del consumo (prevalentemente nella area milanese), oppure la specificità dei pattern territoriali connessi con alcune colture specifiche, permettono di cogliere come la bioregione sia definita da relazioni dinamiche e da geografie multiple, che coinvolgono reti e relazioni sia prossime che di-stanti. La riflessione sullo stato dell’arte delle ricerche, insieme agli esiti parziali del lavoro sull’ambito milanese, descrivono quindi la bioregione come un contesto attivo e uno spazio di progetto dinamico che richiede continue ridefinizioni. Le geo-grafie plurime della bioregione, e della bioregione milanese in particolare, sono descritte nelle diverse linee della ricerca dalle relazioni, dai flussi e dalle filiere, e ovviamente dai luoghi in cui si producono e si consumano i beni. Ciò non indebolisce la dimensione fisica, locale, geologica e biologica dei luoghi ma, anzi, la attualizza costantemente come parte viva di un sistema, non necessariamente composto da prossimità, ma misurato e definito prioritariamente dalla qualità e dalle dinamiche delle relazioni. Uno spazio di ricerca e progetto che merita di essere ancora ampliamente esplorato. (Antonio Longo)
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