• Non ci sono risultati.

I diritti residuali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I diritti residuali"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

This is an author version of the contribution published on:

Questa è la versione dell’autore dell’opera:

[AIDA 2010, Giuffrè, Milano, 215-243]

The definitive version is available at:

La versione definitiva è disponibile alla URL:

[www.giuffre.it]

(2)

ALESSANDRO COGO

I diritti residuali

SOMMARIO: 1. Il tema.  2. Origini ed evoluzione della disciplina dei diritti residuali.  3. I diritti residuali nella legge 122/1998. A. La l. 122/98 introduce in Italia delle quote riservate ai produttori indipendenti imposte dalla dir. TSF. B. A questo fine è necessario dettare una definizione di «produttore indipendente». L'operazione è tuttavia complicata dalla modifica medio tempore delle norme comunitarie di riferimento. C. La l. 122/98 detta una definizione apparentemente ambigua: proprio nella parte in cui parla per la prima volta di «diritti residuali». D. Prima lettura possibile. I diritti residuali attuano la disciplina comunitaria delle quote di programmazione ed investimento riservate ai produttori indipendenti e costituiscono in particolare uno dei criteri che certificano la provenienza dei filmati trasmessi da un produttore così qualificato. E. Seconda lettura possibile. I diritti residuali sono la quota inderogabile di corrispettivo che le emittenti devono riconoscere a tutti i produttori indipendenti con i quali contrattino la cessione di diritti di utilizzazione economica relativi a filmati già esistenti o da produrre, anche in comune. E. L'interpretazione accolta da AGCOM nel primo regolamento sulle quote di programmazione ed investimento e nel primo regolamento sui diritti residuali.  4. I diritti residuali nel t.u. radiotv. A. Il t.u. radiotv sembra avallare l'interpretazione accolta da AGCOM. B. AGCOM predispone nel frattempo nuove norme regolamentari che assegnano alla disciplina dei diritti residuali una funzione nuova ed ulteriore: favorire la concorrenza tra fornitori di servizi televisivi che sfruttano piattaforme trasmissive diverse. C. Ed alcune emittenti televisive private impugnano questo nuovo regolamento davanti alla magistratura amministrativa.  5. I diritti residuali nel decreto cd. Romani. A. Il decreto Romani nasce dall'obbligo di recepire la dir. 2007/65/CE, che estende alla televisione interattiva i vantaggi assicurati dal principio del paese di origine ma non interamente gli obblighi di promozione di opere europee ed indipendenti. B. In linea con le indicazioni che provengono (apparentemente) dal diritto comunitario, lo schema di decreto abroga la disciplina dei diritti residuali. C. Il decreto infine approvato conferma invece l'istituto e ne modifica tuttavia il campo di applicazione. D. AGCOM predispone un nuovo regolamento sui diritti secondari: che tiene conto solo in parte delle innovazioni apportate alla norma primaria.  6. Conclusioni.

1. Il tema che mi è stato affidato ha per oggetto i rapporti economici tra i produttori di contenuti audiovisivi e le imprese che a vario titolo offrono tali contenuti al pubblico con l'uso di uno dei tanti mezzi di comunicazione a distanza oggi disponibili. Riguarda in particolare un segmento di questi rapporti, vale a dire la ripartizione tra produttori ed «emittenti» dei diritti d'autore e connessi che hanno per oggetto lo sfruttamento economico dei contenuti di volta in volta ceduti, prodotti su commissione o coprodotti. Tocca ancor più in particolare la delimitazione ope legis del loro potere di spartirsi i diritti in parola secondo proporzioni e modalità scelte in autonomia. Ed in questa prospettiva rinvia subito alla distinzione tra diritti che transitano in capo all'utilizzatore e rispettivamente diritti che «residuano» in capo al produttore.

Così presentati, i diritti residuali sembrerebbero semplicemente accrescere il catalogo già ricco di limitazioni all'autonomia negoziale che condizionano la circolazione dei diritti d'autore e connessi. E' sufficiente ricordare ad esempio che gli artt. 118 ss. l.a. regolano in vario modo i rapporti economici tra autori ed editori; o che nel campo delle opere cinematografiche gli artt. 46, 46-bis e 84 l.a. intervengono energicamente sulle relazioni tra autori, artisti e produttori. In un caso e nell'altro le norme in campo distinguono infatti costantemente tra diritti che passano di mano in mano e diritti che residuano invece in capo al cedente (1).

In questa prospettiva si potrebbe essere dunque tentati di enfatizzare gli elementi di analogia tra la disciplina dei diritti residuali e quella dei contratti di diritto d'autore, di accomunarle sul piano

1¾¾¾¾() Cfr. AUTERI, Contratti traslativi del diritto di autore e principio di indipendenza delle facoltà di

utilizzazione, in Riv. dir. ind. 1963, II, 105 ss., 126 s.; RICOLFI, Diritto d'autore, in ABRIANI, COTTINO e RICOLFI,

(3)

sistematico e di ricavare poi da questa ricostruzione elementi utili per interpretare e completare le norme più recenti o per provare magari a riflettere sul significato di quelle più risalenti.

Questa prima impressione merita tuttavia di essere verificata con attenzione. Ed appare anzi subito falsa non appena si rifletta sulla collocazione sistematica della disciplina dei diritti residuali, sulla funzione ad essa assegnata dall'ordinamento, sul suo campo di applicazione soggettivo ed oggettivo.

Come cercherò d'illustrare nelle pagine che seguono, la disciplina qui studiata ha origini (incerte e comunque) lontane tanto dal diritto generale dei contratti, quanto più in particolare dal diritto secondario d'autore. Essa pare d'altro canto avere ad oggetto non il regime di circolazione dei diritti di proprietà intellettuale ma l'attività delle emittenti televisive. Pare poi ispirata ad obiettivi contingenti, che si collegano solo occasionalmente con la tutela degli apporti creativi, artistici ed imprenditoriali protetti dal sistema della proprietà intellettuale. Ed è alla luce di questi altri obiettivi che deve forse essere interpretata ed applicata.

Ciò non toglie che queste regole presuppongano l'esistenza di diritti d'autore o connessi ed incidano sui rapporti che hanno per oggetto questi diritti. Come tali, esse vanno allora coordinate con le norme del diritto primario e secondario d'autore di volta in volta applicabili.

2. La disciplina dei diritti residuali è saldamente collocata tra le norme che disciplinano l'esercizio delle attività di emittenza televisiva e più in generale di fornitura di servizi media audiovisivi.

Così come le norme con le quali si accompagna, la disciplina qui studiata è per molti versi figlia della transizione rapidissima dall'era della televisione analogica a quella della televisione digitale; e poi ulteriormente dall'era della televisione digitale lineare a quella della televisione digitale interattiva. Più precisamente, essa mi sembra nascere con a mente temi collegati alla prima era, salvo acquisire però presto funzioni ulteriori ed in parte diverse al mutare del contesto tecnologico di riferimento. Sì che, in prospettiva storica, mi pare si debba parlare non di una ma di tre discipline dei diritti residuali. E ciò per le ragioni che proverò ad argomentare di seguito, a partire dall'illustrazione di un falso storico: l'esistenza di un obbligo discendente dal diritto comunitario di riconoscere diritti residuali ai produttori indipendenti.

3. I «diritti residuali» compaiono nell'ordinamento giuridico italiano con la l. 30 aprile 1998 n. 122, recante «disposizioni sul differimento di termini previsti dalla l. 31 luglio 1997 n. 249 relativi all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonché norme in materia di programmazione e interruzioni pubblicitarie televisive».

Questa legge costituisce il secondo di tre provvedimenti che avrebbero dovuto realizzare la riforma del settore radiotelevisivo voluta dal governo Prodi I e predisposta dal ministro delle comunicazioni Maccanico. Segue più precisamente da presso la l. 31 luglio 1997 n. 249, che istituisce l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni e le affida in particolare il compito di assicurare il pluralismo nel settore radiotelevisivo sia con strumenti di regolazione sia con la repressione dei comportamenti diretti a costituire o mantenere posizioni dominanti. Ed anticipa però al contempo alcune disposizioni destinate a confluire in una successiva legge di disciplina del sistema delle comunicazioni (2), per la verità entrata in vigore solo nel corso della legislatura

successiva ed in un testo profondamente diverso.

Per quanto qui d'interesse, la l. 122/1998 pone rimedio al mancato recepimento di alcune norme della direttiva 89/552/CEE del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive (cd. dir. televisione senza frontiere, di qui in avanti: TSF): e mira così ad evitare la prosecuzione di una causa per inadempimento che la Commissione CE aveva nel frattempo avviato davanti alla Corte di giustizia (3).

2¾¾¾¾() Disegno di legge classificato come atto n. 1138 del senato della XIII legislatura, disponibile su http://www.senato.it/leg/13/BGT/Testi/Ddlpres/00001067.htm#BGT1.

3¾¾¾¾() Cfr. il comunicato stampa IP/97/1154 del 18 dicembre 1997 in cui la Commissione CE dà conto del mancato recepimento degli artt. 4, 5, 10 co. 2 e 11 dir. TSF da parte dell'Italia, ricorda l'invio della lettera di messa in

(4)

A. L'art. 26 l. 6 agosto 1990 n. 223 di disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato (cd. l. Mammì) aveva recepito solo in parte le norme sulla promozione della distribuzione e della produzione di programmi televisivi europei dettate dalla dir. TSF. E più precisamente aveva imposto alle emittenti pubbliche e private soggette alla giurisdizione italiana l'obbligo di destinare ad opere europee la maggior parte del loro tempo di trasmissione dedicato ai film, secondo quanto previsto (con qualche differenza significativa) dall'art. 4 TSF; ma aveva omesso (tra l'altro) di vincolarle anche a destinare alle «opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti stesse» una quota minima del 10% del loro tempo di trasmissione o del loro bilancio destinato alla programmazione.

La l. 122/1998 sana questo difetto, riforma la disciplina delle quote di riserva ed introduce in particolare le regole di vantaggio per i produttori indipendenti imposte dalla dir. TSF, con delega all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di qui in avanti: AGCOM) per la verifica annuale del loro rispetto da parte delle emittenti televisive soggette alla giurisdizione italiana (4).

B. L'applicazione di questa disciplina richiede d'altro canto l'individuazione di criteri che permettano di definire quando un'opera audiovisiva «europea» sia stata «realizzata da un produttore indipendente». Essi sono infatti necessari alle emittenti per selezionare le opere da acquisire e per comporre poi i propri palinsesti in conformità alle disposizioni di legge; e sono naturalmente necessari anche ad AGCOM per poter adempiere ai propri obblighi di vigilanza (5).

Il compito non è tuttavia agevole: perché le norme comunitarie di riferimento non sono affatto limpide e per di più subiscono alcune modifiche in contemporanea con la stesura delle disposizioni italiane di (tardiva) attuazione. Si tratta per il vero di modifiche assai minute: e tuttavia molto importanti per ragioni che emergono non appena si tenga a mente il contesto che le origina.

Qui converrà allora ricordare che la dir. TSF è calibrata sul mercato televisivo degli anni '80: in cui operano poche emittenti (un centinaio circa) su territori che coincidono sistematicamente con i confini dei singoli stati nazionali (6). La direttiva procede d'altro canto dall'idea che questo assetto

limiti lo sviluppo del settore televisivo, impedisca in particolare la fornitura di servizi televisivi su scala comunitaria e vada pertanto superato. A questo fine applica allora un meccanismo complesso (7), che combina i) l'armonizzazione minima delle regole che limitano la libertà delle emittenti a

tutela di alcuni interessi generali; ii) l'applicazione del principio del paese di origine, in virtù del quale per tutte le materia coperte dall'armonizzazione l'emittente è tenuta soltanto al rispetto delle regole del paese in cui è stabilita (ed alla vigilanza ad opera delle relative autorità), che possono essere anche più rigorose di quelle imposte dalla direttiva; e per conseguenza iii) l'applicazione del principio del passaporto comunitario, che vieta in linea di principio agli stati membri d'impedire la ricezione del segnale proveniente da emittenti soggette alla giurisdizione di un paese diverso della Comunità.

Le regole sulla promozione audiovisiva comunitaria dettate dagli artt. 4 e 5 dir. TSF occupano in questa costruzione una posizione per molti versi singolare. L'armonizzazione non è infatti qui necessaria per rimuovere differenze di disciplina a livello nazionale che potrebbero limitare la fruizione delle libertà fondamentali sancite nei trattati (8). Non ve ne sarebbe infatti il bisogno, visto

mora in data 15.1.1996, del parere motivato in data 7.8.1997 ed annuncia l'intenzione di adire la Corte di giustizia CE per far accertare l'inadempimento.

4¾¾¾¾() Art. 2 co. 6 l. 122/1998.

5¾¾¾¾() Per la descrizione dei controlli effettuati da AGCOM v. BRUNO e NAVA, Il nuovo ordinamento delle

comunicazioni, Giuffrè, Milano, 2006, 737 s..

6¾¾¾¾() Per una ricostruzione del mercato televisivo italiano nel periodo immediatamente precedente all'approvazione della dir. TSF cfr. L.C. UBERTAZZI, Il sistema televisivo italiano, in Dir. com. e degli scambi int. 1986,

243 ss., 249 ss..

7¾¾¾¾() Sul quale v. RICOLFI, Attività assicurativa e competizione regolatoria, in Assicurazioni 2006, 395 ss.,

402 ss.; MASTROIANNI, Territorialità e Paese d'origine nelle direttive sui servizi di media audiovisivi e sulle pratiche

commerciali sleali, in questa Rivista 2008, 3 ss., 8 s..

8¾¾¾¾() E così ad es. in Italia il d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, modificato in parte qua dalla l. 4 febbraio 1985 di conversione, prevedeva già all'art. 3 delle quote riservate alle opere nazionali ed europee. Questa disposizione obbligava infatti le emittenti a «riservare almeno il venticinque per cento del tempo dedicato alla trasmissione di film di lungo, medio e corto metraggio ai film di produzione nazionale o di Paesi membri della Comunità economica europea».

(5)

che norme nazionali così congegnate non resisterebbero - secondo l'apprezzamento della Commissione (9) - all'applicazione delle norme sulla libera circolazione dei servizi.

L'armonizzazione è qui diretta invece a realizzare obiettivi di politica culturale ed industriale comunitaria (10): tra i quali gioca un ruolo primario l'ampliamento dell'offerta televisiva, da

conseguire anche attraverso l'ingresso sul mercato di nuove emittenti. E siccome l'accesso al mercato dipende anche dalla disponibilità di contenuti audiovisivi appetibili, la direttiva avverte la necessità di stimolare la crescita di centri di produzione nuovi ed autonomi dalle emittenti già presenti sul mercato (11): così da eliminare alla radice il rischio che gli incumbent ostacolino

l'ingresso di nuovi concorrenti con il controllo delle linee di approvvigionamento. Ecco allora l'introduzione di quote di programmazione o di investimento riservate ai «produttori indipendenti».

Da questo punto di vista si comprende bene perché la dir. TSF non si faccia carico di definire in dettaglio il concetto di «indipendenza» e si limiti invece a riferirlo - come è ovvio - ai rapporti tra produttori ed emittenti (così il considerando 23). Spetta infatti a ciascuno stato membro verificare se le emittenti stabilite sul suo territorio trasmettano o finanzino in misura sufficiente opere europee prodotte dagli «indipendenti». Ed è bene che possano svolgere questa valutazione con l'elasticità necessaria per aiutare le imprese a rendersi gradualmente autonome dalle emittenti (12).

L'assenza di una definizione prescrittiva non ostacola d'altro canto significativamente l'attuazione della direttiva. Gli stati membri ricorrono infatti tutti a criteri in larga parte equivalenti, che si rifanno all'esistenza di partecipazioni azionarie significative delle emittenti nel patrimonio dei produttori (o viceversa). E presto (già nel febbraio 1993) i servizi della Commissione predispongono delle «suggested guidelines» che definiscono il concetto di «indipendenza» sulla base di due criteri apparentemente cumulativi: i) la partecipazione dell'emittente al capitale del produttore (o viceversa), che non deve essere superiore al 25%; ii) la destinazione dei filmati prodotti nell'ultimo triennio, che non devono essere ceduti alla medesima emittente per più del 90% del totale (13).

Di lì a poco si assiste tuttavia ad un primo e rapido mutamento delle condizioni di mercato. Il numero delle emittenti televisive cresce infatti in misura esponenziale (divengono presto alcune centinaia (14)), grazie in particolare alla diffusione delle tecnologie digitali ed al successo della

piattaforma satellitare. L'offerta subisce d'altro canto un processo di diversificazione sempre più spinto: sia dal punto di vista del tipo programmi trasmessi, con l'emersione in particolare dei canali

9¾¾¾¾() Cfr. la relazione illustrativa che accompagna la proposta di direttiva del Consiglio presentata dalla Commissione CE il 6 giugno 1986, COM(86) 146 final/2, 11 ss..

10¾¾¾¾() Con prevalenza di questi ultimi sui primi. Sul punto cfr. da ultimo ROBERTI e ZENO-ZENCOVICH, Le

linee guida del d. lgs. 15 marzo 2010, n. 44 («decreto Romani»), in Dir. inf. 2010, 1 ss., 2 s.; SAMMARCO, La

produzione audiovisiva europea, ivi, 243 ss., 252. V. inoltre CASTENDYK, KEIL e WICKLEDER, Möglichkeiten

rechtlicher Regulierung zugunsten der Film- und Fernsehproduzenten in Nordrhein-Westfalen, Potsdam, 2005, su

www.epi-medieninstitut.de, 226.

11¾¾¾¾() Cfr. ancora la proposta di direttiva COM(86) 146 final/2, 23.

12¾¾¾¾() Dalle relazioni sull'attuazione degli artt. 4 e 5 dir. TSF pubblicate dalla Commissione CE risulta d'altro canto che l'Italia ha lamentato sin da principio l'assenza di una definizione (possibilmente imperativa) nella direttiva e si è appellata di frequente a questa mancanza per giustificare l'inadempimento agli obblighi di promozione delle opere dei produttori indipendenti. Per il vero, la lettura di queste relazioni dimostra l'impiego da parte degli stati membri di definizioni solo in parte simili (tutti applicano variamente il criterio della «proprietà»; solo alcuni quello della destinazione delle opere ad una o più emittenti): ed infatti anche la Commissione lamenta a più riprese la difficoltà di dedurre considerazioni di sintesi sul funzionamento del mercato interno dei servizi televisivi a partire da report nazionali basati su criteri diversi tra loro (cfr. in particolare la prima comunicazione della Commissione sull'applicazione degli artt. 4 e 5 dir. TSF del 3 marzo 1994, COM(94) 57 final, 5). Allo stesso tempo però la Commissione pare persuasa che queste difficoltà siano ampiamente giustificate dall'esigenza di costruire un sistema sufficientemente flessibile da consentire di calibrare l'intervento stato per stato: cfr. qui già la seconda comunicazione della Commissione del 15 luglio 1996, COM(96)302 final, 61, che valorizza l'armonizzazione attraverso suggested guidelines di cui infra nel testo.

13¾¾¾¾() Le suggested guidelines sono allegate alla prima comunicazione della Commissione sull'attuazione degli artt. 4 e 5 dir. TSF, cit..

14¾¾¾¾() Secondo i dati raccolti dalla Commissione CE nella sesta comunicazione relativa all'applicazione degli artt. 4 e 5 dir. TSF del 28 luglio 2004, COM(2004) def., 4, il numero complessivo dei canali diffusi al 1 gennaio 2003 sul territorio dell'Europa a 15 stati membri ammonta ad 880.

(6)

tematici; sia dal punto di vista delle modalità di comunicazione, che possono essere ora gratis ed a pagamento, in abbonamento od a consumo, anche secondo modalità near-on-demand.

Come è facile comprendere, questi sviluppi rafforzano la domanda di contenuti (15), che in

alcuni ambiti (in particolare: quello dei canali tematici (16)) divengono rapidamente scarsi; ed in

questa prospettiva l'idea originaria della Commissione di promuovere con il meccanismo delle quote la moltiplicazione di centri di produzione autonomi dalle emittenti televisive appare allora lungimirante, a tacer d'altro perché non poche tra le nuove emittenti si approvvigionano quasi unicamente da produttori indipendenti.

Al tempo stesso emerge però la possibilità (prima soltanto teorica) di sfruttare il medesimo contenuto per la prestazione di una varietà di servizi. E ciò suggerisce di valorizzare l'indipendenza dei produttori dalle emittenti anche da un punto di vista nuovo. Se in passato l'indipendenza poteva manifestarsi soltanto o principalmente nel fornire ad una pluralità di emittenti contenuti tutti diversi tra loro, nel contesto nuovo essa si manifesta anche con la cessione dei diritti di sfruttamento economico relativi allo stesso contenuto ad emittenti diverse, una per ciascuna piattaforma di trasmissione o modalità di comunicazione al pubblico.

Verso la fine degli anni '90 il testo della direttiva e le «suggested guidelines» subiscono così un aggiornamento minuto, si diceva, ma significativo. Così in particolare il considerando 31 della dir. 97/36/CE del 30 giugno 1997 (cd. TSF II), suggerisce una nuova e più ricca definizione di «produttore indipendente», che riprende i due criteri già indicati nelle prime linee guida («proprietà della società di produzione», «entità dei programmi forniti alla stessa emittente») e ne aggiunge tuttavia un terzo: «la proprietà dei diritti di sfruttamento secondari». Le nuove suggested guidelines - annunciate nell'aprile 1998 ed entrate in vigore l'1 gennaio 1999 - spiegano poi che questo criterio ulteriore dovrebbe servire a negare lo status di «indipendenti» ai produttori che rinuncino a gestire in proprio almeno una parte dei diritti di sfruttamento economico dei loro filmati audiovisivi e li cedano invece in blocco alle emittenti televisive (17).

C. La l. 122/1998 interviene a cavallo di questi eventi. Detta così una definizione di «produttore indipendente» che riprende già le indicazioni contenute nel testo più recente della direttiva; non può tuttavia tener conto delle indicazioni esplicative contenute nella nuova edizione delle «suggested guidelines», siccome pubblicate in epoca successiva; ed interpreta così in modo piuttosto originale il riferimento alla proprietà dei diritti secondari comparso al considerando 31 dir. TSF II.

La norma entrata in vigore applica in modo abbastanza fedele i criteri relativi a «proprietà» ed «entità dei programmi forniti alla stessa emittente» nella parte in cui stabilisce che «ai fini della presente legge sono considerati produttori indipendenti gli operatori di comunicazione europei che svolgono attività di produzioni audiovisive e che non sono controllati da o collegati a soggetti destinatari di concessione, di licenza o di autorizzazione per la diffusione radiotelevisiva o che per un periodo di tre anni non destinino almeno il 90 per cento della propria produzione ad una sola emittente» (18).

15¾¾¾¾() Cfr. Commissione CE, Libro verde sulle scelte strategiche per potenziare l'industria europea dei programmi nell'ambito della politica audiovisiva dell'Unione europea, COM(94) 96 def., 9, 13 s..

16¾¾¾¾() Per i quali v. già la terza relazione della Commissione CE sull'applicazione degli artt. 4 e 5 dir. TSF, COM(98) 199 final, 61 ss..

17¾¾¾¾() Più precisamente: «questo criterio consente di valutare l'indipendenza di un produttore nell'ipotesi in cui tutti i suoi diritti, compresi i diritti di sfruttamento secondari, siano stati acquistati da emittenti, cosicché al produttore indipendente risulti impossibile costituire un catalogo di programmi i cui diritti di sfruttamento secondari possano essere venduti su altri mercati» (suggested guidelines pubblicate in allegato alla quarta comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa all'applicazione degli artt. 4 e 5 della dir. TSF, 17 luglio 2000, COM(2000) 442 def., 71 s.).

18¾¾¾¾() La fattispecie introdotta dall'art. 2 co. 4 l. 122/1998 (e rimasta pressoché intatta anche nei testi di legge successivi) appare per certi versi contraddittoria. Da un lato, essa detta un concetto «assoluto» d'indipendenza, in virtù del quale questo status appartiene solo ai produttori che non siano direttamente partecipati o collegati da qualunque emittente: e non anche a quelli che sono controllati o collegati da una emittente diversa da quella cui cedano diritti sui contenuti in ciascun caso concreto. Dall'altro, essa attenua considerevolmente il rigore che discenderebbe dall'applicazione di questa regola nella parte in cui attribuisce rilievo - così come le suggested guidelines, ad onor del vero - soltanto alle partecipazioni dirette; non tiene invece conto che la «dipendenza» può derivare dal fatto che l'emittente ed il produttore appartengono ad un medesimo gruppo; e per corollario sembra allora incentivare (o quanto

(7)

Essa costruisce invece a partire dell'ultimo tratto - in cui si suggerisce di tener conto de «la proprietà dei diritti di sfruttamento secondari» - una norma di significato ambiguo, secondo cui «ai produttori indipendenti sono altresì attribuite quote di diritti residuali derivanti dalla limitazione temporale dei diritti di utilizzazione televisiva acquisiti dagli operatori radiotelevisivi secondo i criteri stabiliti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni» (19) (art. 2 co. 4 l. 122/1998). E

presta così il fianco ad interpretazioni che si discostano in vario modo dal modello comunitario, con effetti via via più incisivi sui rapporti di mercato tra emittenti televisive e fornitori dei contenuti teletrasmessi.

D. Una prima ed ovvia lettura prosegue lungo la strada sin qui tracciata; valorizza l'avverbio «altresì», che congiunge il terzo segmento dell'art. 2 co. 4 l. 122/98 ai primi due; e considera allora questa norma come l'applicazione - forse goffa - del nuovo criterio introdotto dal considerando 31 dir. TSF II.

L'ultima parte dell'art. 2 co. 4 l. 122/1998 indicherebbe dunque un parametro di massima per valutare il rispetto degli obblighi di programmazione ed investimento imposti alle emittenti stabilite in Italia, in virtù del quale esse potrebbero adempiere agli obblighi di legge solo con opere acquisite lasciando ai rispettivi produttori «quote di diritti residuali» (20). Ed affiderebbe poi ad AGCOM il

compito di precisare le condizioni contrattuali minime affinché quest'onere possa dirsi adempiuto. Che cosa debba poi intendersi per «diritti residuali» e loro «quote» è problema diverso, ma forse risolvibile senza troppe difficoltà a partire dai lavori preparatori della dir. TSF II ed anche senza tener conto della seconda edizione delle «suggested guidelines». Dai lavori preparatori emerge infatti già chiaramente il modello cui potrebbe essersi ispirato il nostro legislatore al momento di specificare il riferimento criptico del considerando 31 alla proprietà dei «diritti secondari». Questo criterio ulteriore compare infatti per la prima volta nella proposta di direttiva avanzata dalla Commissione per tener conto degli emendamenti apportati dal Parlamento europeo nell'ambito della procedura di codecisione. La relazione di accompagnamento introduce in particolare l'allora considerando 21 c). Ed a questo proposito osserva che «a further useful criterion of independence to be taken into account is the degree to which the producer retains the right to exploit the work on secondary markets (eg. after first broadcast or after a certain time) as suggested by the amendment» (21).

I «diritti residuali» sarebbero dunque la versione nostrana dei «diritti secondari» menzionati dalla proposta di direttiva: e si tratterebbe dunque del diritto di utilizzare economicamente il filmato audiovisivo dopo la prima pubblicazione da parte dell'emittente od allo scadere di un certo lasso di tempo. Le «quote» equivarrebbero poi alla misura di questo potere: che - se si ragiona secondo le categorie del diritto d'autore e dei diritti connessi - va definito come di consueto in ragione delle modalità di sfruttamento economico comprese, del territorio interessato, nonché dall'eventuale esclusività.

Se si procede lungo la linea ora illustrata occorre tuttavia domandarsi quale sia il rapporto tra il riconoscimento dei diritti residuali e gli altri criteri indicati dall'art. 2 co. 4 l. 122/1998 per meno non ostacolare) la costituzione di gruppi editoriali integrati verticalmente. Su questi temi cfr. CASTENDYK, KEIL e

WICKLEDER, Möglichkeiten rechtlicher Regulierung zugunsten der Film- und Fernsehproduzenten in

Nordrhein-Westfalen, cit., 214.

19¾¾¾¾() Vale la pena osservare che la definizione dettata dall'art. 2 co. 4 l. 122/1998 non trova corrispondenza nel disegno di legge di disciplina del sistema delle comunicazioni presentato dal ministro Maccanico al Senato nel corso della XIII legislatura (v. sopra). Quest'ultimo non conteneva in particolare il criterio relativo alla soglia massima di destinazione della produzione; e non conteneva neppure l'inciso finale sui diritti residuali.

20¾¾¾¾() In questo senso cfr. FAVALE, Determinazione dei criteri di attribuzione (e di interpretazione) delle

quote di diritti residuali derivanti dalla limitazione temporale dei diritti di utilizzazione televisiva acquisiti dagli operatori radiotelevisivi, in DRT 2001, 353 ss., 396.

21¾¾¾¾() Cfr. Commissione CE, Amended proposal for a European Parliament and Council Directive amending Council Directive 89/552/EEC on the coordination of certain provisions laid down by law, regulation or administrative action in Member States concerning the pursuit of television broadcasting activities, presentata il 7 maggio 1996, COM(96) 200 final. L'idea che «durata e portata dei diritti ceduti» costituiscano un criterio per misurare «il livello di indipendenza del produttore rispetto all'emittente che ha trasmesso il suo programma» compare però già nel Libro verde della Commissione CE sulle scelte strategiche per potenziare l'industria europea dei programmi nell'ambito della politica audiovisiva dell'Unione europea, cit., 31.

(8)

contraddistinguere i produttori indipendenti (o meglio: le opere che provengono da produttori così qualificati): e più precisamente se si tratti di criteri concorrenti o viceversa cumulativi.

La soluzione del quesito non è d'altro canto di poco conto: e si riflette invece in modo decisivo sull'intensità della tutela offerta indirettamente ai produttori indipendenti. La previsione di un criterio ulteriore e concorrente agevola infatti le emittenti televisive, che possono così adempiere agli obblighi di legge anche con la diffusione o l'acquisto di opere audiovisive di produttori cui siano legate da rapporti di controllo o collegamento o che abbiano destinato loro tutti o quasi i filmati realizzati negli ultimi tre anni: alla sola condizione di riconoscere a questi fornitori le «quote di diritti residuali» minime indicate da AGCOM con proprio regolamento. L'introduzione di un criterio ulteriore e cumulativo rafforza invece la protezione dei produttori, nella misura in cui costringe le emittenti a riconoscere «quote di diritti residuali» anche ai fornitori indipendenti sulla base di uno o entrambi i criteri relativi a proprietà e destinazione dell'output: sempre che l'acquisto sia motivato anche od unicamente dall'esigenza di soddisfare gli obblighi di programmazione e d'investimento fissati dalla legge.

Il diritto comunitario non offre d'altro canto indicazioni univoche in un senso o nell'altro. E la ragione sembra risiedere precisamente nell'opposizione strenua delle emittenti televisive all'introduzione di regole cogenti (avvertite come) impropriamente limitative della loro autonomia negoziale (22).

E. La lettura ora riferita trova d'altro canto conferma nei lavori preparatori della l. 112/1998, così come quelli relativi ai disegni di legge ad essa collegati (23) di cui si è detto. Tutti fanno sempre

e soltanto riferimento alla necessità di conformare il diritto interno al diritto comunitario per fermare la procedura d'infrazione in atto (24). Ed è allora ragionevole attendersi che le norme interne

così adottate si limitino a quanto necessario per rendere operativo in Italia il meccanismo delle quote di riserva.

A ben vedere però l'art. 3 co. 1 dir. TSF attribuisce agli Stati membri la «facoltà di prevedere norme più rigorose o più particolareggiate nei settori» in essa inclusi, fermo restando il principio secondo cui ciascuno stato membro ha giurisdizione solo sulle emittenti stabilite sul suo territorio. E potrebbe allora ben darsi che il legislatore italiano abbia inteso sì attuare la direttiva, ma con norme nella specie più rigorose.

L'ultima parte dell'art. 2 co. 4 l. 122/1998 si presta infatti ad una interpretazione diversa da

22¾¾¾¾() Cfr. ad es. la Stellungnahme von ARD und ZDF zu den Themenpapier für die Liverpooler Konferenz zur audiovisuellen Politik del 29 agosto 2005, su http://ec.europa.eu/avpolicy/docs/reg/modernisation/issue_papers/contributions/ip3-ard-zdf.pdf, resa nel corso dei lavori preparatori della dir. sui servizi media audiovisivi (sulla quale v. infra, §5).

23¾¾¾¾() V. in particolare la relazione esplicativa che precede il disegno di legge presentato al Senato n. 1138, secondo cui l'art. 9 (poi anticipato dall'art. 2 l. 122/98) «in linea con la legislazione in materia elaborata in sede europea [...] indica le percentuali della programmazione che deve essere riservata alle opere europee o di produttori indipendenti».

24¾¾¾¾() Nella relazione introduttiva che precede la l. 122/98 il ministro Maccanico non dà spiegazioni specifiche su riconoscimento di diritti residuali. Si limita invece ad illustrare sinteticamente che gli artt. 2 e 3 del disegno di legge vogliono sanare alcuni difetti di recepimento della direttiva TSF così come modificata nel 1997 e secondo le indicazioni fornite da un parere motivato della Commissione CE. Dice in particolare che: «con gli articoli 2 e 3 del disegno di legge, concernenti, rispettivamente, le quote di programmazione da destinare alle opere europee e alle produzioni indipendenti ed il regime delle interruzioni pubblicitarie, si intendono sanare alcuni difetti di recepimento della direttiva 89/552/CEE del Consiglio, del 3 ottobre 1989, di recente oggetto di un parere motivato della Commissione delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 169 del Trattato. In tal modo il Governo, riproponendo alcune disposizioni sostanzialmente simili a quelle contenute nel disegno di legge governativo recante «Disciplina del sistema delle comunicazioni», attualmente all'esame del Senato della Repubblica (atto Senato n. 1138), riafferma la propria volontà di conformarsi al predetto parere motivato adeguando la normativa vigente alle disposizioni della citata direttiva 89/552/CEE, con le modifiche introdotte dalla direttiva 97/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 1997, e si affida al Parlamento per una rapida approvazione dell'iniziativa legislativa». Non diversamente, le commissioni competenti della Camera hanno dato sempre per scontato che la disposizione in parola si limitasse a sanare le lacune lamentate dalla Commissione CE [così si evince in particolare dal resoconto della seduta di Mercoledì 29 aprile 1998 delle Commissioni Riunite VII (Cultura, scienza e istruzione) e IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera e dal resoconto della seduta del 29 aprile 1998 della XIV Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea).

(9)

quella ora riferita. Può in particolare lasciar intendere l'introduzione dell'obbligo per tutte le emittenti televisive soggette alla giurisdizione italiana di riconoscere «quote di diritti residuali» a tutti i produttori indipendenti europei dai quali acquistino contenuti audiovisivi. Ciò a prescindere dalla rilevanza delle opere così acquisite per il rispetto delle quote di programmazione o di investimento. E con delega ad AGCOM di precisare il contenuto di questo limite generale all'autonomia negoziale degli interessati.

Ora, questa interpretazione appare subito forzata (25). A prima vista sembra infatti emergere una

sproporzione evidente tra la finalità di incentivo alle produzioni indipendenti ricavabile dalla lettura anche più rigorosa dell'art. 5 dir. TSF alla luce del considerando 31 introdotto dalla dir. TSF II e quello che deriva dall'applicazione orizzontale della disciplina dei diritti residuali a tutti i rapporti tra emittenti e produttori indipendenti. E tuttavia questa sproporzione è in parte colmata - almeno in apparenza - dall'operare di due limitazioni.

Per un verso occorre infatti osservare che la disciplina qui considerata non appartiene al diritto dei contratti ma alla regolazione delle attività televisive. Pare allora imporre alle emittenti (26)

obblighi di comportamento, e precisamente di negoziare alcuni contratti in accordo con i principi ricavabili dalla legge e dai regolamenti AGCOM. Se così è, la violazione di questi obblighi di comportamento potrebbe implicare soltanto l'applicazione delle sanzioni previste dalla disciplina dell'emittenza televisiva (27). Non è detto invece che essa si rifletta sulla validità ed efficacia dei

contratti conclusi in violazione; e così in particolare che determini la nullità integrale o parziale dei contratti non conformi al modello imposto alle emittenti, eventualmente con sostituzione di diritto delle clausole non ammesse.

Per altro verso val la pena di ricordare che la disciplina dei diritti residuali si applica solo a fronte dell'acquisto di diritti di utilizzazione televisiva: e non opera pertanto ogni qual volta produttori indipendenti ed emittenti televisive negozino diritti diversi da quelli ora detti (e basti qui ricordare quelli home video o per sequel o prequel).

Come che sia, resta pur sempre dubbia l'opportunità di norme così fatte. Questo limite all'autonomia negoziale diminuisce infatti la competitività delle emittenti stabilite in Italia rispetto a quelle stabilite in altri stati membri, nella misura in cui le obbliga a concedere diritti residuali a tutti i produttori indipendenti con i quali contrattano, anche stranieri, ed a negoziare dunque

25¾¾¾¾() Anche se sostenibile secondo CASTENDYK, KEIL e WICKLEDER, Möglichkeiten rechtlicher

Regulierung zugunsten der Film- und Fernsehproduzenten in Nordrhein-Westfalen, cit., 215, secondo cui il

considerando 31 offre «die europarechtliche Basis für eine von jeglicher Förderung unabhängige Regulierung vertragliche Inhalte».

26¾¾¾¾() A ben vedere, neppure a tutte le emittenti stabilite nel nostro paese, ma soltanto - sembrerebbe doversi

ricavare dalla lettura complessiva dell'art. 2 co. 4 l. 122/1998 - a quelle sulle quali grava la promozione delle opere di produttori indipendenti: le destinatarie di concessione (e pertanto: che trasmettono con tecnica analogica terrestre) purché non locali né dedicate alle televendite.

27¾¾¾¾() La l. 223/1990, nel testo modificato dall'art. 8 d.l. 27 agosto 1993 n. 323, dettava un assetto ben definito: all'art. 26 imponeva il rispetto delle quote; ed all'art. 31 attribuiva espressamente al Garante per la radiodiffusione e l'editoria il potere di comminare sanzioni amministrative alle emittenti inadempienti. La l. 249/1997 non interviene sulla disciplina sostanziale e si limita a riassegnare queste competenze ad AGCOM (art. 1 co. 22). Con la l. 122/1998 il coordinamento tra le diverse fonti salta: l'art. 2 co. 6 di questa legge conferma l'attribuzione ad AGCOM del compito di vigilare sul rispetto delle quote; l'art. 2 co. 7 abroga l'art. 26 l. 223/1990, siccome la disciplina sostanziale delle quote da esso prevista è ormai superata; nessuna norma della l. 122/1998 adegua però il testo dell'art. 31 l. 223/1990, così che le sanzioni da esso previste restano riferite alla disciplina sostanziale abrogata. Solo con l'entrata in vigore del t.u. radiotv (introdotto dal d. legisl. 31 luglio 2005 n. 177) la materia riceve una nuova sistemazione. Nel testo attualmente in vigore esso dispone all'art. 51 in particolare che «l'Autorità applica, secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi, ed in particolare quelli previsti: [...] g) in materia di tutela della produzione audiovisiva europea ed indipendente, dall'articolo 44 e dai regolamenti dell'Autorità» (co. 1); in questo caso «applicando le norme contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma: [...] d) da 10.329 euro a 258.228 euro, in caso di violazione delle norme di cui al comma 1, lettera g)»; salva la possibilità di disporre «la sospensione dell'attività per un periodo non superiore a sei mesi» se la violazione è di particolare gravità o reiterata; o addirittura «la revoca della concessione o dell'autorizzazione» nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide della stessa autorità.

(10)

l'acquisizione dei contenuti a condizioni meno vantaggiose. D'altra parte non è neppure detto che esso si risolva in un vantaggio per i produttori indipendenti. Non si può infatti escludere che quest'onere addizionale disincentivi l'acquisto di contenuti da produttori indipendenti oltre la misura strettamente necessaria per adempiere agli obblighi comunitari di programmazione ed investimento: perché l'emittente avrebbe convenienza a produrre in proprio pur di conservare il controllo sullo sfruttamento del filmato su qualunque piattaforma e senza limiti di tempo. Nè infine si può dare per scontato che stimoli la diffusione delle opere audiovisive: perché può condurre alla frammentazione dei diritti di utilizzazione economica ad esse relativi ed aumentare per conseguenza i costi di transazione per chi fosse interessato al loro utilizzo, emittenti comprese.

F. La disciplina di dettaglio dei «diritti residuali» è affidata da principio ad AGCOM, che tarda tuttavia diversi anni prima di mettere mano alla materia e mostra più d'una incertezza sulla strada da prendere.

In un primo momento l'Autorità non pare dubitare che i diritti residuali siano soltanto l'ultimo di tre criteri dai quali dipende l'attribuzione di un'opera audiovisiva ad un «produttore indipendente». Ciò si evince dal primo regolamento sulla promozione della distribuzione e della produzione di opere europee approvato da AGCOM con delibera del 16 marzo 1999 n. 9/99: che detta una definizione di «produttori indipendenti europei» (art. 3); dispone l'applicazione immediata del criterio basato sull'esistenza di rapporti di controllo o di collegamento; rinvia invece di tre anni l'entrata in vigore del criterio relativo alla destinazione delle produzioni così come l'approvazione del regolamento sui diritti residuali; ed ordina infine la compilazione di un elenco dei produttori indipendenti «in base ai criteri di cui sopra».

Negli anni immediatamente successivi l'Autorità dà conto nelle proprie relazioni annuali di attività intense di studio e di consultazione con le parti interessate, avvertite come necessarie per comprendere meglio le caratteristiche del mercato dell'audiovisivo e per ricostruire la prassi negoziale invalsa tra gli operatori (28).

Proprio in questo periodo sembra maturare in seno ad AGCOM l'idea che i «diritti residuali» siano una provvidenza ulteriore e diversa rispetto alle quote di riserva di origine comunitaria. Ed in un primo momento l'Autorità pare anzi orientarsi verso regole che obbligherebbero le emittenti a riconoscere ai produttori indipendenti il pagamento di somme di denaro allo scadere delle «limitazioni temporali» da essa stabilite (29): secondo un modello che non ha apparentemente nulla a

che vedere con le indicazioni comunitarie, comunque intese; e che si avvicina invece molto a quello dei diritti ad equa remunerazione attribuiti dagli artt. 46-bis e 84 l.a. agli autori ed artisti di opere cinematografiche.

Questa impostazione lascia tuttavia presto il passo a norme scarne e di per sé oscure, ma che nel complesso - anche alla luce degli atti preparatori e delle relazioni di AGCOM sulle proprie attività (30) - deducono in effetti dall'art. 2 co. 4 l. 122/1998 l'obbligo per le emittenti di riconoscere «diritti

residuali» ai produttori indipendenti; e tuttavia sembrano adottare un atteggiamento cauto, sia dal punto di vista della delimitazione della fattispecie, sia dal punto di vista del meccanismo di limitazione dell'autonomia negoziale.

Il regolamento sui diritti residuali approvato da AGCOM con delibera del 4 agosto 2003 185/03/CSP (31) pare infatti restringere il campo dei rapporti rilevanti alla sola ipotesi in cui il

produttore partecipi alle spese di realizzazione e sviluppo dell'opera audiovisiva (32). Per reciproco, 28¾¾¾¾() Cfr. in particolare le relazione di AGCOM sull'attività svolta e sui programmi di lavoro per l'anno

2002, su http://www.agcom.it/Default.aspx?message=viewrelazione annuale&idRelazione=10, 239.

29¾¾¾¾() Cfr. la delibera AGCOM del 15 novembre 2001 600/01/CSP, che reca il primo schema di regolamento di attuazione dell'art. 2 co. 4 l. 122/1998 e lo sottopone a consultazione pubblica. Questo schema definisce in particolare i diritti residuali come «il diritto soggettivo posto in capo ai produttori indipendenti derivante dalla limitazione temporale dell’utilizzazione radio-televisiva da parte dell’operatore» (art. 1); e prevede poi significativamente che «il compenso ai produttori indipendenti di cui al precedente articolo è corrisposto dagli operatori radiotelevisivi anche tramite le associazioni di categoria maggiormente rappresentative» (art. 4).

30¾¾¾¾() V. in particolare la relazione di AGCOM sull'attività svolta e sui programmi di lavoro per l'anno 2004, su http://www.agcom.it/Default.aspx?message=viewrelazioneannuale&id Relazione=4, 226 ss..

31¾¾¾¾() Di qui in avanti: reg. dir. res. I.

(11)

restano escluse tutte le produzioni realizzate in proprio dai produttori o, all'estremo opposto, tutte quelle interamente finanziate ed organizzate dalle emittenti televisive. E questa conclusione pare subito in accordo con gli obiettivi della disciplina comunitaria da cui queste norme originano: perché nel primo caso il produttore non necessita di sostegno per acquisire un grado d'indipendenza maggiore dalle emittenti, siccome dispone dei mezzi necessari per realizzare opere audiovisive in proprio e per comportarsi come un soggetto autonomo sul mercato; mentre nel secondo caso non è in effetti possibile isolare un soggetto qualificabile come produttore diverso dall'emittente medesima, seppure pro quota, a vantaggio del quale dispiegare le regole di protezione qui studiate.

Questa limitazione della fattispecie aiuta d'altro canto a comprendere il meccanismo d'intervento sull'autonomia negoziale predisposto dalle norme regolamentari.

Se si ragiona con a mente le categorie del diritto primo d'autore, le norme qui studiate si applicano in casi in cui l'opera audiovisiva è il frutto della combinazione di apporti (nella specie imprenditoriali) ed è come tale oggetto di diritti in comunione tra le parti, se non altro per quanto attiene al diritto connesso attribuito in proprio ai produttori cinematografici e di sequenze di immagini di movimento dall'art. 78 ter l.a. (33). Gli accordi che presiedono alla combinazione di

questi apporti mirano d'altro canto tipicamente a far acquisire all'emittente il controllo sullo sfruttamento economico dell'opera audiovisiva; solo di rado lasciano al produttore una parte dei diritti di utilizzazione; e prevedono invece normalmente un corrispettivo in denaro a fronte della rinuncia alla quota del diritto d'autore e del diritto connesso che corrisponderebbe all'apporto, pur piccolo, da egli prestato (34).

La disciplina regolamentare dei residuali si concentra su questi accordi ed obbliga le parti a conformarsi ad un modello almeno in parte diverso: che esclude in buona sostanza la possibilità per l'emittente di acquistare a titolo definitivo e fin da principio la disponibilità per intero dell'opera così negoziazione tra le parti e vengono attribuite ai produttori indipendenti in misura proporzionale alla effettiva partecipazione alle fasi di sviluppo e di realizzazione delle produzioni di cui all’articolo 2», vale a dire di tutte «le attività di produzione, coproduzione anche con emittenti televisive, realizzazione per conto terzi, di opere audiovisive, svolte dai produttori indipendenti» che esitino nella realizzazione di opere audiovisive suddivise per categorie dall'art. 2 reg. dir. res. I. A ben vedere però mi pare che la disciplina finisca qui per delimitare ex post la fattispecie: al produttore indipendente che non abbia partecipato alle fasi di realizzazione e sviluppo non spetta alcuna quota di diritti residuali; egli è dunque destinatario della disciplina dei diritti residuali; e tuttavia non ne ricava nulla. Così dovrebbe accadere ad esempio tipicamente quando egli abbia realizzato l'opera per conto terzi senza prestare gli apporti minimi da cui discende il diritto residuale.

33¾¾¾¾() L'acquisto originario del diritto connesso è d'altro canto conseguenza immediata della prestazione degli apporti tecnici, scientifici e finanziari necessari alla fissazione dell'opera audiovisiva. Se questi apporti sono prestati da più soggetti, il diritto connesso pare corrispondentemente sorgere in capo a tutti loro, secondo quote proporzionali al contributo prestato da ognuno di essi ed in analogia con quanto previsto dall'art. 10 l.a. per la collaborazione creativa. A meno che gli apporti siano prestati materialmente da soggetti diversi e debbano tuttavia essere riferiti giuridicamente soltanto ad uno di essi. Come accade ad esempio quando l'emittente affidi al produttore una o più attività necessarie per la venuta ad esistenza del programma sulla base di un contratto che le addossi per intero il rischio economico dell'operazione. In ipotesi così fatte la dottrina italiana ritiene che i diritti connessi spettino per intero ed a titolo originario in capo all'impresa (nella sostanza) committente (sul punto cfr. P. GALLI, sub art. 78 ter l.a., in L.C.

UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova, 2007, 1731;

BERTANI, Impresa culturale e diritti esclusivi, Giuffrè, Milano, 2000, 437). E resta però forse valida la precisazione corrente nella dottrina tedesca secondo cui bisogna verificare se lo schema di volta in volta impiegato dalle parti sposti per intero il rischio dell'operazione economica in capo al committente e gli lasci il controllo sulla direzione dei lavori (cosa che non accade ad esempio quando l'impresa incaricata della produzione organizzi come meglio ritiene i lavori e sopporti il rischio di eventuali sforamenti del budget - così come il vantaggio per eventuali risparmi di spesa). Sul punto cfr. SCHWARZ e REBER, §42 UrhG, in LOEWENHEIM, Handbuch des Urheberrechts, Beck, München, 2003, 647 s.. Il medesimo ragionamento non mi pare invece replicabile rispetto ai (concorrenti) diritti d'autore sull'opera audiovisiva. Così anzitutto perché questi diritti spettano - secondo la lettura maggioritaria qui condivisa - a titolo originario ai soggetti indicati dall'art. 44 l.a. e non al produttore. Poi ulteriormente perché quest'ultimo li acquista per via contrattuale, così come presupposto dall'art. 45 l.a.; può allora accadere che i negozi di volta in volta conclusi indichino più di un beneficiario e lascino emergere l'intenzione di acquistare diritti in comunione; ma più tipicamente essi sono conclusi da una soltanto delle imprese che partecipano alla produzione dell'audiovisivo, che li acquista in proprio e li riversa se mai pro quota all'altra se ciò è previsto dal contratto da cui dipende la collaborazione; non vi è dunque contitolarità del medesimo diritto, ma la spartizione ex ante delle facoltà di sfruttamento economico in esso comprese.

34¾¾¾¾() Una rassegna di questi accordi si trova nella relazione che accompagna il reg. dir. res. II approvato da AGCOM il 22 aprile 2009 con delibera 60/09/CSP.

(12)

realizzata.

A quanto è dato comprendere, l'Autorità pare procedere dall'idea che la vita commerciale delle opere audiovisive destinate alla televisione si componga di due segmenti, che corrispondono alla sua utilizzazione primaria e rispettivamente secondaria. Nella prima fase colloca in particolare la prima diffusione televisiva diretta al pubblico italiano (o meglio: un primo ciclo di diffusioni dirette al pubblico italiano, che può comprendere un numero indefinito di passaggi televisivi); e nella seconda inserisce tutte le comunicazioni successive o dirette ad un pubblico straniero. Essa dà poi per acquisito che le utilizzazioni secondarie seguano anche dal punto di vista cronologico quelle primarie. E sulla base di questi dati attua l'art. 2 co. 4 l. 122/1998.

Il primo regolamento sui diritti residuali fissa dunque in sette o cinque anni (a seconda dei generi) il periodo di sfruttamento primario dell'opera audiovisiva, che decorre dalla prima diffusione televisiva e può essere interamente fruito solo a condizione che la pubblicazione avvenga entro cinque anni dalla consegna del prodotto finito (35). Lascia per implicito libertà piena ad

emittenti e produttori di accordarsi sullo sfruttamento economico del filmato per questo primo periodo. Ed obbliga invece le emittenti ad attribuire ai produttori indipendenti qualche forma di partecipazione alla fase di sfruttamento secondario successiva. Quale sia poi il contenuto di questa partecipazione - e cioè delle «quote di diritti residuali» - è lasciato alla libera determinazione delle parti: e non è dato in particolare comprendere se debba necessariamente trattarsi del diritto di sfruttare economicamente l'opera o se possa trattarsi anche e soltanto nel pagamento di compensi ulteriori. L'unico limite previsto è ancora una volta che questo «corrispettivo» sia proporzionato «alla effettiva partecipazione alle fasi di sviluppo e di realizzazione delle produzioni» (36).

Norme così fatte lasciano intendere piuttosto chiaramente che al centro delle preoccupazioni dell'Autorità vi è in questa fase più che altro la protezione dei produttori indipendenti nei rapporti con le emittenti televisive, da attuarsi con l'imposizione di condizioni contrattuali minime intese a compensare almeno in parte la differenza di potere negoziale tra le parti (37). Meno o per nulla

avvertita è invece la necessità di stimolare la circolazione dei diritti sulle opere audiovisive come strumento per garantire una maggiore concorrenza sul mercato dei servizi televisivi, secondo lo schema che si è visto essere presupposto dal considerando 31 della direttiva TSF II. La possibilità -non esclusa dalle norme del regolamento - di pattuire diritti residuali che abbiano per contenuto una remunerazione ulteriore si sposa infatti bene con l'idea di garantire ai produttori indipendenti corrispettivi equi; e non coopera invece in alcun modo evidente alla costruzione di cataloghi di contenuti appetibili cui possano accedere nuove imprese interessate ad entrare nel mercato dei servizi televisivi.

4. Negli anni immediatamente successivi all'approvazione del primo regolamento AGCOM sui diritti residuali l'assetto ora ricostruito subisce l'operare di due forze in parallelo.

Da un lato, il diritto primo pare recepire l'interpretazione dell'art. 2 co. 4 l. 122/1998 accolta dall'Autorità e ne amplia anzi il campo di applicazione. Dall'altro, il diritto secondo si avvia verso un processo di rinnovamento graduale che lo avvicina al modello comunitario di riferimento sul piano della filosofia di fondo; e tuttavia ad un tempo lo allontana ancor più da questo stesso modello dal punto di vista dell'intensità dell'intervento sull'autonomia negoziale degli operatori di mercato.

A. La disciplina dei diritti residuali subisce due modifiche piccole ma significative ad opera del d. legisl. 31 luglio 2005 n. 177, che attua la delega disposta dalla legge 112/2004 - cd. legge Gasparri dal nome del ministro proponente - e reca il testo unico delle disposizioni in materia di radiotelevisione.

Il t.u. raccoglie tra l'altro anche le norme di favore per le opere di produttori indipendenti ed

35¾¾¾¾() Così che il periodo di sfruttamento primario può protrarsi per un massimo di dodici anni. 36¾¾¾¾() Art. 3 co. 2 reg. dir. res. I.

37¾¾¾¾() E v. infatti le motivazioni avanzate da AGCOM nel perorare la necessità di una definizione comunitaria di «diritti secondari» a fianco a quella di «produttori indipendenti»: che sarebbe a suo dire conforme a «gli obiettivi recati nella Direttiva di tutela dei produttori indipendenti e di salvaguardia delle loro prerogative rispetto al prevalente potere di mercato dei broadcaster».

(13)

abroga espressamente anche l'art. 2 l. 122/1998 (38). Dovrebbe anche in questo campo limitarsi ai

soli interventi di coordinamento resi opportuni dal riordino delle disposizioni già in vigore. E tuttavia nel campo qui considerato sembrerebbe implicitamente avallare una tra le possibili interpretazioni delle norme sui diritti residuali - quella per l'appunto nel frattempo accolta da AGCOM - ed estenderne l'ambito di applicazione a tutte le emittenti televisive, quale che sia la piattaforma di trasmissione - etere, cavo, satellite, in tecnica analogica o digitale, compreso internet - impiegata (39).

Il t.u. separa infatti la fattispecie del «produttore indipendente» dalla disciplina di vantaggio ad esso riservata (40); definisce poi il concetto di indipendenza con a mente soltanto i parametri relativi

a controllo/collegamento e destinazione dell'output; recide allora il collegamento - «altresì» - tra la titolarità di diritti residuali ed il riconoscimento dello status di «indipendente» per il calcolo delle quote di programmazione ed investimento riservate; colloca viceversa il riconoscimento dei diritti residuali tra le provvidenze che spettano direttamente od indirettamente ai produttori europei indipendenti; gli attribuisce in apparenza rilievo autonomo, nella misura in cui se ne occupa in un comma a sé stante; e lascia dunque intendere che tutte le emittenti televisive siano tenute a corrispondere quote di diritti residuali ai produttori dotati di questo status, oltre a dover rispettare gli obblighi di programmazione ed investimento previsti dalle norme comunitarie di riferimento.

I lavori preparatori della cd. legge Gasparri e del t.u. radiotv segnalano che questa innovazione non è stata motivata dal governo né percepita dalle commissioni parlamentari chiamate ad esprimere il proprio parere sullo schema di decreto delegato. Essa è tuttavia molto significativa perché rafforza il fondamento del potere di AGCOM d'intervenire sulla negoziazione dei diritti di sfruttamento economico dei contenuti audiovisivi, pur se soltanto rispetto ai rapporti in cui siano parte emittenti televisive e produttori indipendenti. E negli anni immediatamente successivi l'Autorità dimostra di voler esercitare questo potere in modo molto incisivo, per farsi carico anche di esigenze avvertite ma non soddisfatte a livello comunitario.

B. A soli tre anni dall'approvazione del primo regolamento sui diritti residuali l'Autorità prende atto che la disciplina in allora dettata è per certi versi obsoleta e necessita di essere ripensata (41).

Rileva in particolare che le condizioni di mercato sono mutate per via dello sviluppo di nuove piattaforme e modalità di trasmissione in concorrenza tra loro. Osserva d'altro canto che questa evoluzione è positiva e va incentivata, poiché offre possibilità nuove di valorizzazione dei contenuti, inclusi quelli dei produttori indipendenti. Rileva, senza dirlo, che alcune pratiche negoziali correnti sono d'ostacolo al conseguimento di questi obiettivi (42). Ha a mente in particolare

38¾¾¾¾() V. art. 54 lett. c) n. 1 t.u. radiotv.

39¾¾¾¾() Secondo il testo originario dell'art. 6 t.u. l'obbligo di favorire «lo sviluppo e la diffusione della

produzione audiovisiva europea anche secondo quanto previsto, con riferimento ai produttori indipendenti, dall'articolo 44» incombe su «le emittenti e i fornitori di contenuti televisivi». Per «fornitore di contenuti» si intende d'altro canto il «soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi o radiofonici e dei relativi programmi-dati destinati alla diffusione anche ad accesso condizionato su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite o con ogni altro mezzo di comunicazione elettronica e che è legittimato a svolgere le attività commerciali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati» [art. 1 co. 1 lett. d)]. E per emittente televisiva si intende invece «il titolare di concessione o autorizzazione su frequenze terrestri in tecnica analogica, che ha la responsabilità editoriale dei palinsesti dei programmi televisivi» [art. 1 co. 1 lett. q)]. L'art. 44 co. 4 t.u. addossa l'obbligo specifico di riconoscere diritti residuali agli «operatori radiotelevisivi», che non sono definiti dal t.u. ma che sembrano comprendere per l'appunto sia le emittenti che operano in tecnica digitale su qualunque piattaforma (i «fornitori di contenuti») sia le emittenti televisive che operano in tecnica analogica su frequenze terrestri (le «emittenti televisive»). Ed infatti il reg. dir. res. II di AGCOM precisa la definizione di «operatore radiotelevisivo» proprio nel senso ora detto. Restano invece esclusi, sia per le norme di legge che per quelle regolamentari, i «fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato», vale a dire i fornitori di contenuti on demand.

40¾¾¾¾() La definizione di produttore indipendente è collocata in particolare all'art. 2 co. 1 lett. g). La disciplina di vantaggio è invece distribuita tra l'art. 6 - che detta «principi generali del sistema radiotelevisivo a tutela della produzione audiovisiva europea» - e l'art. 44 - che detta la disciplina di dettaglio sulla «promozione della distribuzione e della produzione di opere europee».

41¾¾¾¾() Cfr. la delibera del 15 gennaio 2007 164/06/CSP, che indice una consultazione pubblica sul reg. dir. res. I; e poi ulteriormente la delibera del 7 agosto 2008 166/08/CSP, che approva uno schema di nuovo reg. dir. res. ed indice una nuova consultazione pubblica.

(14)

l'acquisto da parte delle emittenti di diritti di utilizzazione economica ampi, che si riferiscono a tutte le piattaforme e modalità di trasmissione, senza l'obbligo peraltro di esercitare direttamente od indirettamente tutti questi diritti. E si determina allora ad utilizzare la delega sui diritti residuali per stimolare una prassi negoziale diversa, che favorisca la disaggregazione dei diritti di utilizzazione economica, per lo meno in relazione alle opere dei produttori indipendenti.

Questa iniziativa si traduce in un nuovo regolamento sui diritti residuali (43), adottato con

delibera del 22 aprile 2009 60/09/CSP, che amplia anzitutto il campo di applicazione della disciplina qui considerata sia sul piano soggettivo che oggettivo. Include in particolare tra i soggetti vincolati tutti i fornitori di servizi televisivi, a prescindere dalla piattaforma impiegata per trasmettere il segnale, sulla scia delle indicazioni già ricavabili dal diritto primo. Ed estende poi il tipo di rapporti soggetti all'applicazione di queste norme ben oltre i limiti originari della combinazione di apporti finanziari ed organizzativi prestati da emittenti e produttori indipendenti.

Da questo punto di vista l'Autorità articola infatti una serie di ipotesi in ragione della logica che presiede allo scambio e senza riguardo invece per la configurazione giuridica del rapporto. Alcune di queste ipotesi descrivono d'altro canto situazioni che corrispondono al modello di partenza: e così in particolare la coproduzione e la produzione audiovisiva prevalentemente finanziata da un operatore televisivo, in cui è elemento necessario ai fini dell'applicazione della disciplina qui considerata la combinazione di apporti finanziari ed organizzativi delle emittenti e dei produttori indipendenti (44). Altre ipotesi rinviano invece a rapporti diversi, in cui l'opera è realizzata

interamente dal produttore indipendente, ora sulla base di un contratto che mira a far acquisire i diritti di sfruttamento economico all'emittente (secondo lo schema dunque della commissione), ora in vista della concessione dei diritti che sorgeranno (in licenza o forse anche in acquisto) (45).

Per conseguenza, la disciplina dei diritti residuali finisce così per incidere su situazioni apparentemente eterogenee, secondo schemi concettuali diversi ed in vista però del medesimo risultato: impedire cioè alle emittenti di acquistare a titolo definitivo la disponibilità integrale delle opere realizzate dagli indipendenti. Ora infatti i diritti d'autore spettano in comunione ai produttori ed alle emittenti in ragione degli apporti finanziari ed organizzativi prestati per creare l'opera: sì che l'applicazione delle limitazioni temporali impedisce al produttore indipendente di cedere la propria quota, pur piccola, di diritti d'autore e connessi all'emittente. Ora invece i diritti d'autore e connessi spettano al produttore indipendente, il quale ne dispone prima o dopo la venuta ad esistenza dell'opera in favore dell'emittente televisiva: sì che l'applicazione delle limitazioni temporali gli impedisce in questo caso di cedere a titolo definitivo i diritti di utilizzazione economica all'emittente e gli consente al più di concederli in uso per un periodo di tempo limitato.

Quale che sia la struttura del rapporto, l'Autorità dispone che «la cessione dei singoli diritti deve avvenire in maniera autonoma, per ogni singola piattaforma trasmissiva, al fine di consentire la valorizzazione di ciascuno di essi» (46). La disaggregazione (o se si preferisce «spacchettamento») è

dunque imposta già nella fase di negoziazione del contratto: e così in particolare perché essa è funzionale all'applicazione delle limitazioni temporali da cui dipende l'acquisto dei diritti residuali da parte del produttore indipendente.

A questo proposito l'Autorità richiama allora la suddivisione convenzionale del ciclo di valorizzazione delle opere audiovisive in due periodi, primario e secondario. Conferma per implicito che produttori ed emittenti possono accordarsi liberamente sulla ripartizione dei diritti di utilizzazione economica in relazione al primo periodo. Fissa poi autoritativamente la durata massima di questa prima fase, al termine della quale «sorgono» i diritti residuali - con obbligo peraltro a carico dell'emittente di esercitare ciascuno dei diritti acquistati entro due anni dalla

regolamentazione della comunicazione, in IDA 2010, 20 ss., 34.

43¾¾¾¾() Di qui in avanti: reg. dir. res. II.

44¾¾¾¾() Cfr. art. 2 co. 2 e 5 reg. dir. res. II. 45¾¾¾¾() Cfr. art. 2 co. 3 e 4 reg. dir. res. II.

46¾¾¾¾() Art. 3 co. 4 reg. dir. res. II, secondo cui «la cessione dei singoli diritti deve avvenire in maniera autonoma, per ogni singola piattaforma trasmissiva, al fine di consentire la valorizzazione di ciascuno di essi». Nelle note illustrative che accompagnano questo reg. si legge d'altro canto che la «finalità dell'intervento regolamentare» è di «assicurare la disaggregazione dei diritti e la relativa negoziazione separata».

Riferimenti

Documenti correlati

Entrando nel dettaglio del procedimento è possibile accedere alla barra delle azioni, nella quale sono presenti i pulsanti delle azioni disponibili, al fascicolo documentale e

Per il Commissario, si tratta sicuramente di un passo in avanti, ma forse non del tutto sufficiente: “da un lato abbiamo le piattaforme di media sharing, dall’altro i titolari

Al punto 12 del documento di consultazione è specificato che l’affidamento dei servizi di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari e comunicazioni connesse (legge 20

Con riferimento al terzo quesito, circa la possibilità di utilizzare il contributo assegnato dall'AGCOM anche per il finanziamento del trattamento accessorio

I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle

I servizi di messaggistica che prevedono l’invio di un messaggio ai Clienti Finali vengono comunemente definiti servizi di messaggistica di tipo “MT” (“Mobile Terminated”) mentre

Le nuove linee guida AgCom per il recesso dai contratti di telefonia, Internet e pay tv stabiliscono che il credito residuo rimasto ad un cliente al momento di recedere

Il servizio WLR comprende alcune prestazioni native (cfr. Tabella 1 del documento di Offerta) ed altre oggetto di fornitura su base richiesta (cfr. Tabella 2 del